Diario di Giulia (indice capitoli) |
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- Domina,
dobbiamo parlare.
Era mezzogiorno e
mi trovavo nel mio studio al piano terreno, occupata con gli affari della
proprietà come sempre facevo a quell’ora del giorno. Mario Servilio mi sorprese
entrando senza farsi annunciare. Per quanto ne sapevo, malgrado ci fosse una
porta di comunicazione tra i nostri uffici, egli non era mai venuto nel mio. E,
quando io entravo nel suo, mi servivo della porta principale.
Sollevai la testa
dai documenti che stavo studiando e guardai mio marito, prendendo nota del suo viso stanco e magro, e del
suo corpo ora leggermente curvo. Sesostris aveva cercato di impedirgli di
lavorare così duramente, tuttavia lui lo aveva congedato in modo cortese ma
fermo e si era seppellito negli affari.
Adesso Mario
Servilio sedeva nella sedia che Apollinario usava quando conferivamo in questa
stanza e mi guardò per un lungo istante.
- Domina, non possiamo più rimandare. Devi iniziare ad imparare come gestire i
miei affari. Non possiamo prenderci in giro. Il mio tempo è agli sgoccioli.
Come sempre, non
potei che essere scossa dall’indifferenza con cui egli parlava del proprio
triste fato. Ed aveva ragione, il suo tempo era agli sgoccioli. Abbandonai lo
stilo sullo scrittoio e congiunsi le mani sul lucido mogano.
- Domine, non
posso farlo…
- Sì, Giulia,
puoi. - In precedenza soltanto una volta aveva usato il mio nome, quando mi
aveva offerto non solo il matrimonio ma la vendetta che bramavo. Una vendetta
che, nell’imminenza della morte, sentivo estremamente vacua e insensata.
- Ho bisogno del
tuo aiuto, - continuò lui. - Mi stanco facilmente e quel medico egizio mi
tormenta tutto il giorno dicendo che devo riposare…
- Ha ragione, -
interruppi. - Dovresti riposare di più.
- Grazie per la
tua preoccupazione, domina. Ma perché io possa riposare, ho bisogno che tu mi
aiuti con i miei affari.
Mi alzai e presi
a percorrere la stanza incessantemente, come avevo fatto quando avevo cercato
di convincerlo che non ero la donna che voleva sposare.
- Non posso! - Insistei. - Non posso farlo!
- Domina, hai
fatto un magnifico lavoro con la villa e la tenuta. Così magnifico che possono
quasi andare avanti da sole. Sono certo che al tuo ex precettore non dispiacerà
supervisionarle per te mentre lavori con me. Sarà pagato generosamente.
- Non è soltanto
la villa o la tenuta, è…
- Domina, questo
cambiamento non interferirà con i nostri personali accordi originali, - mi
interruppe. - Anche se avessi avuto un ripensamento, è già tardi per quello…
come probabilmente hai notato… - Io arrossii violentemente. L’intimità ci era
così aliena che la possibilità di essa non aveva mai nemmeno sfiorato le nostre
conversazioni simili a colloqui d’affari.
- Inoltre,
domina, ho un progetto che mi piacerebbe ultimare prima di morire ed esso
richiederà molto tempo… il solo modo perché io possa completarlo è che tu inizi
a prenderti cura dei miei affari. - Ci guardammo l’un l’altra in silenzio. Egli
sospirò. - Nel corso degli anni, ho imparato ingegneria e costruzione navale.
Volevo progettare e costruire una nave che fosse completamente mia. Una nave
molto speciale. Le navi mercantili affidabili possono essere troppo lente per
certi carichi. Per anni ho sognato di costruire una nave che fosse veloce ed
affidabile al tempo stesso…. Ed ora che sono sicuro di aver risolto tutti i
problemi e posso cominciare a costruirla… non ne ho il tempo. Non abbastanza.
La mia sola opportunità di raggiungere il mio scopo è che tu mi aiuti a
dirigere i miei affari.
Mentre parlava,
Mario Servilio aveva perso la sua consueta freddezza, sostituita da qualcosa di
stranamente familiare e sconcertante. Seduto di fronte al mio scrittoio, dal
lato sbagliato dello scrittoio per un uomo uso a dare ordini come era lui, egli
all’improvviso sembrava vulnerabile e solo. Vederlo così mi riportò alla mente
altre circostanze ed altri luoghi e anche altri uomini. Massimo che dapprima si
infuriava con me scoprendo il mio tentativo di suicidio, poi rivelando di colpo
l’angoscia che si annidava nelle profondità della sua anima, schiacciandomi la
bocca con la sua in una frenesia d’amore, frustrazione e bisogno. Marco Aurelio
seduto nella luce fioca in una tenda d’esercito vicino al Mar Nero, mentre si
perdeva nei suoi ricordi di Massimo e del suo affetto per lui, l’uomo più
potente del mondo che si spogliava della porpora e dell’oro e mi mostrava
l’uomo stanco, anziano e solo che realmente era. Cornelio Crasso, in un’altra
tenda in una notte di tempesta da qualche parte tra la Moesia e Roma, un
questore militare romano, figlio minore di un ricco senatore, innamorato di
Ovidio e delle sirene ed anche di una schiava appena liberata. Uomini forti.
Uomini speciali. Uomini talmente diversi. Eppure avevano qualcosa in comune: i
loro passi si erano incrociati con quelli di una donna dai capelli rosso-oro
alla quale avevano mostrato la loro vera natura, al di là delle armature e dei
mantelli porpora. Alla quale avevano mostrato la loro anima. Con la quale
avevano condiviso un’intimità ben più profonda e intensa di quella della carne.
Uomini che avevano cambiato la mia vita irrompendovi e offrendomi i doni più
inaspettati e inestimabili: libertà, istruzione, rispetto di sé, sicurezza… e
la possibilità di scoprire che cosa preziosa fosse l’amore, anche se non
corrisposto.
Ed ora, Mario
Servilio si era affiancato a loro. L’uomo che era venuto da me e mi aveva
chiesto di essere sua moglie malgrado fossi una ex schiava e prostituta. Che mi
aveva offerto l’opportunità di diventare potente e rispettata. L’uomo che mi
conosceva meglio di quanto entrambi volessimo ammettere. L’uomo che mi ero
abituata ad avere intorno, tutto freddezza e sicurezza in se stesso ed ora
vicino alla morte e che divideva con me il suo sogno di gioventù.
Sconfitta, tornai
al mio seggio dietro la scrivania. Mio marito mi diede un colpetto sulla mano.
- Dal momento che
tu aiuterai me, non ci sarà molto da fare per i miei segretari, così essi
potranno dare una mano ad Apollinario….
Trattenni il
respiro.
- Non gradiranno la cosa! - disssi. - Mi odieranno!
- Oh, lo fanno
già, - disse Mario Servilio con un sorriso sardonico. - Sanno che erediterai
gli affari e sarai la loro padrona …
Ansimai di nuovo.
- Come si suppone che diriga gli affari con loro che mi odiano? Ne sanno più di
quanto io non sarò mai in grado di sapere!
Il sorriso di mio
marito adesso non era sardonico, ma divertito.
- Molto semplice,
domina: quando me ne sarò andato, li promuoverai ad un posto nel quale
guadagneranno tanto di quel denaro che sarà loro sommo interesse che tu riesca
molto bene negli affari…
E fu così che
incominciò. Come la mia vita cambiò di nuovo. Trascorrevo ore ed ore lavorando
a fianco a fianco con Mario Servilio, imparando di importazione, di navi,
navigazione, tasse e leggi. Leggendo contratti e la sua corrispondenza
commerciale, rapporti e inventari di magazzini. Lavoravo nel mio studio e lui
nel suo, tuttavia la porta di comunicazione ora rimaneva aperta. I suoi
segretari si accigliavano alla mia presenza, specialmente quando andavamo
insieme ai magazzini vicini al porto, ma non pronunciarono mai una parola di
protesta. Invece, aiutavano cortesemente sia me che Apollinario nei nostri
compiti sotto lo sguardo divertito di Mario Servilio.
Mio marito
recuperò la salute abbastanza da essere in grado di andare a Roma regolarmente.
Da quando ci eravamo sposati, avevamo trascorso gli inverni laggiù. All’Urbe
c’erano anche molti affari da sbrigare. Mario Servilio aveva un’altra villa a
Bauli[1], nell’ Italia Meridionale, ma io avevo paura di navigare ed egli
non era abbastanza forte da sopportare il lungo viaggio via terra. Quando soggiornavamo
ad Ostia, ricevevamo visitatori e offrivamo frequentemente cene e banchetti. E,
quando eravamo soli, dividevamo tutti i nostri pasti e non facevamo più brevi
conversazioni, ma chiacchieravamo senza fine di navi e affari.
Anche se
cominciavo ad imparare di navigazione e commercio d’importazione con
malavoglia, presto scoprii che la cosa poteva essere affascinante e cominciai a
capire perché riuscisse ad assorbire tanto Mario Servilio. Mio marito fu
compiaciuto quando cominciai a prendere decisioni da sola e si concentrò sulla
sua nave, che stava per essere costruita nel suo cantiere navale in Ostia, non
certo il più comodo, ma comunque quello più vicino e perciò facilmente
accessibile nella sua condizione attuale. Un’occhiata fugace ai suoi diagrammi
fu sufficiente per capire che sarebbe stata speciale.
Quando Mario
Servilio me li mostrò nel suo studio e io glielo dissi, s’illuminò d’orgoglio.
- Ero certo che ti sarebbe piaciuta, come ero certo che avresti finito con
l’amare gli affari…
Imbarazzata,
annuii in silenzio.
- Domina, vorrei
che tu mi facessi un favore supplementare, - disse. - Vorrei che tu dessi un
nome alla nave… Sembra che io non riesca a trovarle un nome adeguato…
In quei giorni, avevo
già imparato che dare il nome ad una nave era una enorme responsabilità. Mio
marito non era né religioso né superstizioso, tuttavia era molto attento con i
nomi che sceglieva per le sue navi. E questa per lui era articolarmente
importante.
All’improvviso,
ricordai una conversazione in una tenda, mentre all’esterno infuriava una
tempesta. Una conversazione con un ufficiale che aveva l’incarico di portarmi
in salvo a Roma e che amava Ovidio e le sirene. Un uomo che mi aveva mandato il
suo ex precettore invece di cercare di convincermi a diventare la sua amante.
Sollevai la testa dai diagrammi che stavo esaminando.
- Sirena, - dissi senza esitazioni. - Chiamala Sirena.
Mario Servilio mi
osservò in un modo che non aveva mai fatto, come apprezzando la mia bellezza
invece del mio carattere e io mi sentii arrossire.
- Come sempre,
domina, hai colto nel segno. Sirena sia!
Pochi giorni
dopo, Mario Servilio venne nel mio studio, ma non si sedette come faceva di
solito. Invece, mi chiese di uscire a vedere qualcosa che voleva mostrarmi.
Mentre parlavamo, egli strofinò il mento di Fenione, il gatto abissino dagli
occhi dorati, eccezionalmente tranquillo, che mi aveva regalato e che amava
stare sdraiato sul pavimento dello studio e dormire sugli scaffali, lontano dalle
attenzioni dei micini giocosi di Rubia, decisi a mordergli la coda.
Mario Servilio mi
condusse all’entrata a doppie porte della villa e fuori nel portico. Quando
vidi che cosa mi stava aspettando, non potei fare a meno di trattenere il
fiato. Era un cavallo alto, molto elegante, con lunghe membra, robusto ma non
massiccio come i cavalli da battaglia che avevo visto all’accampamento
dell’esercito. Il suo collo era lungo e arcuato, la testa piccola e ben
proporzionata, gli occhi grandi ed espressivi, a rivelare l’indole buona e
gentile dell’animale.
- L’ho visto per
caso alla proprietà di uno dei miei soci e mi sono ricordato che ti piace
cavalcare… Il suo precedente proprietario ha detto che un castrato è l’ideale
per una donna che cavalca… - disse Mario Servilio.
Ma io non stavo
prestando attenzione. Stavo andando verso il cavallo che mi stava osservando
con curiosità. Era un baio scuro, il genere di mantello che in inverno diventa
quasi nero. Non avevo mai avuto paura dei cavalli, nemmeno quando ero piccola
ed eccomi ad esaminarlo con occhio esperto sotto lo sguardo divertito del
mastro di stalla che gli teneva la briglia. Sulla sua testa non c’erano segni
bianchi come è usuale quando si tratta di bai, ma aveva due piccoli segni
bianchi sulla zampa posteriore ed una piccolissima macchia sul labbro
superiore, come se qualcuno lo avesse toccato con un dito sporco di farina
lasciandogliene un po’ sul labbro. Il mantello del castrato brillava sotto il
sole e la criniera e la coda ben strigliate erano lunghe e vaporose.
Mario Servilio
venne verso di noi.
- Si chiama Sidereum[2], - disse. - Spero che non t’importi che gli sia già stato dato un
nome da un’altra persona…
Non m’importava.
Non m’importava affatto. Ero troppo occupata ad esaminare il bel cavallo, accarezzandone
il mantello lucente, guardandolo nei liquidi occhi nobili, parlandogli… Da
quando ero giunta alla villa, ero andata a cavalcare molte volte. La stalla era
piena di bei cavalli e giumente, animali forti e sani e ben allevati. Tuttavia
non mi ero mai affezionata ad alcuno di essi e, anche se vagamente mi ero
ripromessa di chiedere qualche puledro o comprarmene, non l’avevo mai fatto.
Adesso, questo magnifico animale mi era stato regalato… Mi voltai per
ringraziare mio marito, ma egli era silenziosamente tornato alla casa. Per un
breve istante sentii che avrei dovuto corrergli dietro, ma intuitivamente
sapevo che egli capiva ed era contento della mia eccitazione. Presi la briglia
dal mastro di stalla.
- Ciao, bello, - dissi al cavallo. - Diventeremo grandi amici tu ed io…