Diario di Giulia - Parte seconda

Diario di Giulia (indice capitoli)
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Capitolo VIII – Vedovanza, 178 d.C.- Parte prima

- Domina, dobbiamo parlare.

Era mezzogiorno e mi trovavo nel mio studio al piano terreno, occupata con gli affari della proprietà come sempre facevo a quell’ora del giorno. Mario Servilio mi sorprese entrando senza farsi annunciare. Per quanto ne sapevo, malgrado ci fosse una porta di comunicazione tra i nostri uffici, egli non era mai venuto nel mio. E, quando io entravo nel suo, mi servivo della porta principale.

Sollevai la testa dai documenti che stavo studiando e guardai mio marito, prendendo nota del suo viso stanco e magro, e del suo corpo ora leggermente curvo. Sesostris aveva cercato di impedirgli di lavorare così duramente, tuttavia lui lo aveva congedato in modo cortese ma fermo e si era seppellito negli affari.

Adesso Mario Servilio sedeva nella sedia che Apollinario usava quando conferivamo in questa stanza e mi guardò per un lungo istante.
- Domina, non possiamo più rimandare. Devi iniziare ad imparare come gestire i miei affari. Non possiamo prenderci in giro. Il mio tempo è agli sgoccioli.

Come sempre, non potei che essere scossa dall’indifferenza con cui egli parlava del proprio triste fato. Ed aveva ragione, il suo tempo era agli sgoccioli. Abbandonai lo stilo sullo scrittoio e congiunsi le mani sul lucido mogano.

- Domine, non posso farlo…

- Sì, Giulia, puoi. - In precedenza soltanto una volta aveva usato il mio nome, quando mi aveva offerto non solo il matrimonio ma la vendetta che bramavo. Una vendetta che, nell’imminenza della morte, sentivo estremamente vacua e insensata.

- Ho bisogno del tuo aiuto, - continuò lui. - Mi stanco facilmente e quel medico egizio mi tormenta tutto il giorno dicendo che devo riposare…

- Ha ragione, - interruppi. - Dovresti riposare di più.

- Grazie per la tua preoccupazione, domina. Ma perché io possa riposare, ho bisogno che tu mi aiuti con i miei affari.

Mi alzai e presi a percorrere la stanza incessantemente, come avevo fatto quando avevo cercato di convincerlo che non ero la donna che voleva sposare.
- Non posso! - Insistei. - Non posso farlo!

- Domina, hai fatto un magnifico lavoro con la villa e la tenuta. Così magnifico che possono quasi andare avanti da sole. Sono certo che al tuo ex precettore non dispiacerà supervisionarle per te mentre lavori con me. Sarà pagato generosamente.

- Non è soltanto la villa o la tenuta, è…

- Domina, questo cambiamento non interferirà con i nostri personali accordi originali, - mi interruppe. - Anche se avessi avuto un ripensamento, è già tardi per quello… come probabilmente hai notato… - Io arrossii violentemente. L’intimità ci era così aliena che la possibilità di essa non aveva mai nemmeno sfiorato le nostre conversazioni simili a colloqui d’affari.

- Inoltre, domina, ho un progetto che mi piacerebbe ultimare prima di morire ed esso richiederà molto tempo… il solo modo perché io possa completarlo è che tu inizi a prenderti cura dei miei affari. - Ci guardammo l’un l’altra in silenzio. Egli sospirò. - Nel corso degli anni, ho imparato ingegneria e costruzione navale. Volevo progettare e costruire una nave che fosse completamente mia. Una nave molto speciale. Le navi mercantili affidabili possono essere troppo lente per certi carichi. Per anni ho sognato di costruire una nave che fosse veloce ed affidabile al tempo stesso…. Ed ora che sono sicuro di aver risolto tutti i problemi e posso cominciare a costruirla… non ne ho il tempo. Non abbastanza. La mia sola opportunità di raggiungere il mio scopo è che tu mi aiuti a dirigere i miei affari.

Mentre parlava, Mario Servilio aveva perso la sua consueta freddezza, sostituita da qualcosa di stranamente familiare e sconcertante. Seduto di fronte al mio scrittoio, dal lato sbagliato dello scrittoio per un uomo uso a dare ordini come era lui, egli all’improvviso sembrava vulnerabile e solo. Vederlo così mi riportò alla mente altre circostanze ed altri luoghi e anche altri uomini. Massimo che dapprima si infuriava con me scoprendo il mio tentativo di suicidio, poi rivelando di colpo l’angoscia che si annidava nelle profondità della sua anima, schiacciandomi la bocca con la sua in una frenesia d’amore, frustrazione e bisogno. Marco Aurelio seduto nella luce fioca in una tenda d’esercito vicino al Mar Nero, mentre si perdeva nei suoi ricordi di Massimo e del suo affetto per lui, l’uomo più potente del mondo che si spogliava della porpora e dell’oro e mi mostrava l’uomo stanco, anziano e solo che realmente era. Cornelio Crasso, in un’altra tenda in una notte di tempesta da qualche parte tra la Moesia e Roma, un questore militare romano, figlio minore di un ricco senatore, innamorato di Ovidio e delle sirene ed anche di una schiava appena liberata. Uomini forti. Uomini speciali. Uomini talmente diversi. Eppure avevano qualcosa in comune: i loro passi si erano incrociati con quelli di una donna dai capelli rosso-oro alla quale avevano mostrato la loro vera natura, al di là delle armature e dei mantelli porpora. Alla quale avevano mostrato la loro anima. Con la quale avevano condiviso un’intimità ben più profonda e intensa di quella della carne. Uomini che avevano cambiato la mia vita irrompendovi e offrendomi i doni più inaspettati e inestimabili: libertà, istruzione, rispetto di sé, sicurezza… e la possibilità di scoprire che cosa preziosa fosse l’amore, anche se non corrisposto.

Ed ora, Mario Servilio si era affiancato a loro. L’uomo che era venuto da me e mi aveva chiesto di essere sua moglie malgrado fossi una ex schiava e prostituta. Che mi aveva offerto l’opportunità di diventare potente e rispettata. L’uomo che mi conosceva meglio di quanto entrambi volessimo ammettere. L’uomo che mi ero abituata ad avere intorno, tutto freddezza e sicurezza in se stesso ed ora vicino alla morte e che divideva con me il suo sogno di gioventù.

Sconfitta, tornai al mio seggio dietro la scrivania. Mio marito mi diede un colpetto sulla mano.

- Dal momento che tu aiuterai me, non ci sarà molto da fare per i miei segretari, così essi potranno dare una mano ad Apollinario….

Trattenni il respiro.
- Non gradiranno la cosa! - disssi. - Mi odieranno!

- Oh, lo fanno già, - disse Mario Servilio con un sorriso sardonico. - Sanno che erediterai gli affari e sarai la loro padrona

Ansimai di nuovo.
- Come si suppone che diriga gli affari con loro che mi odiano? Ne sanno più di quanto io non sarò mai in grado di sapere!

Il sorriso di mio marito adesso non era sardonico, ma divertito.

- Molto semplice, domina: quando me ne sarò andato, li promuoverai ad un posto nel quale guadagneranno tanto di quel denaro che sarà loro sommo interesse che tu riesca molto bene negli affari…

 

E fu così che incominciò. Come la mia vita cambiò di nuovo. Trascorrevo ore ed ore lavorando a fianco a fianco con Mario Servilio, imparando di importazione, di navi, navigazione, tasse e leggi. Leggendo contratti e la sua corrispondenza commerciale, rapporti e inventari di magazzini. Lavoravo nel mio studio e lui nel suo, tuttavia la porta di comunicazione ora rimaneva aperta. I suoi segretari si accigliavano alla mia presenza, specialmente quando andavamo insieme ai magazzini vicini al porto, ma non pronunciarono mai una parola di protesta. Invece, aiutavano cortesemente sia me che Apollinario nei nostri compiti sotto lo sguardo divertito di Mario Servilio.

Mio marito recuperò la salute abbastanza da essere in grado di andare a Roma regolarmente. Da quando ci eravamo sposati, avevamo trascorso gli inverni laggiù. All’Urbe c’erano anche molti affari da sbrigare. Mario Servilio aveva un’altra villa a Bauli[1], nell’ Italia Meridionale, ma io avevo paura di navigare ed egli non era abbastanza forte da sopportare il lungo viaggio via terra. Quando soggiornavamo ad Ostia, ricevevamo visitatori e offrivamo frequentemente cene e banchetti. E, quando eravamo soli, dividevamo tutti i nostri pasti e non facevamo più brevi conversazioni, ma chiacchieravamo senza fine di navi e affari.

Anche se cominciavo ad imparare di navigazione e commercio d’importazione con malavoglia, presto scoprii che la cosa poteva essere affascinante e cominciai a capire perché riuscisse ad assorbire tanto Mario Servilio. Mio marito fu compiaciuto quando cominciai a prendere decisioni da sola e si concentrò sulla sua nave, che stava per essere costruita nel suo cantiere navale in Ostia, non certo il più comodo, ma comunque quello più vicino e perciò facilmente accessibile nella sua condizione attuale. Un’occhiata fugace ai suoi diagrammi fu sufficiente per capire che sarebbe stata speciale.

Quando Mario Servilio me li mostrò nel suo studio e io glielo dissi, s’illuminò d’orgoglio.
- Ero certo che ti sarebbe piaciuta, come ero certo che avresti finito con l’amare gli affari…

Imbarazzata, annuii in silenzio.

- Domina, vorrei che tu mi facessi un favore supplementare, - disse. - Vorrei che tu dessi un nome alla nave… Sembra che io non riesca a trovarle un nome adeguato…

In quei giorni, avevo già imparato che dare il nome ad una nave era una enorme responsabilità. Mio marito non era né religioso né superstizioso, tuttavia era molto attento con i nomi che sceglieva per le sue navi. E questa per lui era articolarmente importante.

All’improvviso, ricordai una conversazione in una tenda, mentre all’esterno infuriava una tempesta. Una conversazione con un ufficiale che aveva l’incarico di portarmi in salvo a Roma e che amava Ovidio e le sirene. Un uomo che mi aveva mandato il suo ex precettore invece di cercare di convincermi a diventare la sua amante. Sollevai la testa dai diagrammi che stavo esaminando.
- Sirena, - dissi senza esitazioni. - Chiamala Sirena.

Mario Servilio mi osservò in un modo che non aveva mai fatto, come apprezzando la mia bellezza invece del mio carattere e io mi sentii arrossire.

- Come sempre, domina, hai colto nel segno. Sirena sia!

 

Pochi giorni dopo, Mario Servilio venne nel mio studio, ma non si sedette come faceva di solito. Invece, mi chiese di uscire a vedere qualcosa che voleva mostrarmi. Mentre parlavamo, egli strofinò il mento di Fenione, il gatto abissino dagli occhi dorati, eccezionalmente tranquillo, che mi aveva regalato e che amava stare sdraiato sul pavimento dello studio e dormire sugli scaffali, lontano dalle attenzioni dei micini giocosi di Rubia, decisi a mordergli la coda.

Mario Servilio mi condusse all’entrata a doppie porte della villa e fuori nel portico. Quando vidi che cosa mi stava aspettando, non potei fare a meno di trattenere il fiato. Era un cavallo alto, molto elegante, con lunghe membra, robusto ma non massiccio come i cavalli da battaglia che avevo visto all’accampamento dell’esercito. Il suo collo era lungo e arcuato, la testa piccola e ben proporzionata, gli occhi grandi ed espressivi, a rivelare l’indole buona e gentile dell’animale.

- L’ho visto per caso alla proprietà di uno dei miei soci e mi sono ricordato che ti piace cavalcare… Il suo precedente proprietario ha detto che un castrato è l’ideale per una donna che cavalca… - disse Mario Servilio.

Ma io non stavo prestando attenzione. Stavo andando verso il cavallo che mi stava osservando con curiosità. Era un baio scuro, il genere di mantello che in inverno diventa quasi nero. Non avevo mai avuto paura dei cavalli, nemmeno quando ero piccola ed eccomi ad esaminarlo con occhio esperto sotto lo sguardo divertito del mastro di stalla che gli teneva la briglia. Sulla sua testa non c’erano segni bianchi come è usuale quando si tratta di bai, ma aveva due piccoli segni bianchi sulla zampa posteriore ed una piccolissima macchia sul labbro superiore, come se qualcuno lo avesse toccato con un dito sporco di farina lasciandogliene un po’ sul labbro. Il mantello del castrato brillava sotto il sole e la criniera e la coda ben strigliate erano lunghe e vaporose.

Mario Servilio venne verso di noi.
- Si chiama Sidereum
[2], - disse. - Spero che non t’importi che gli sia già stato dato un nome da un’altra persona…

Non m’importava. Non m’importava affatto. Ero troppo occupata ad esaminare il bel cavallo, accarezzandone il mantello lucente, guardandolo nei liquidi occhi nobili, parlandogli… Da quando ero giunta alla villa, ero andata a cavalcare molte volte. La stalla era piena di bei cavalli e giumente, animali forti e sani e ben allevati. Tuttavia non mi ero mai affezionata ad alcuno di essi e, anche se vagamente mi ero ripromessa di chiedere qualche puledro o comprarmene, non l’avevo mai fatto. Adesso, questo magnifico animale mi era stato regalato… Mi voltai per ringraziare mio marito, ma egli era silenziosamente tornato alla casa. Per un breve istante sentii che avrei dovuto corrergli dietro, ma intuitivamente sapevo che egli capiva ed era contento della mia eccitazione. Presi la briglia dal mastro di stalla.
- Ciao, bello, - dissi al cavallo. - Diventeremo grandi amici tu ed io…



[1] L’attuale Bacoli, rinomata località balneare in provincia di Napoli  (N.d.T.).

[2] Sidereum: in latino, "Luce delle stelle" (N.d.A.).