|
- E’ inutile, Apollinario! Non ci
riuscirò mai!
Il mio tutore alzò gli occhi dal
papiro che stava esaminando e sospirò.
- Giulia, dicevi lo stesso del greco e oggi il tuo accento può rivaleggiare
perfino col mio!
Eravamo nello studio privato del
mio appartamento, un luogo dove potevo ritirarmi a leggere e scrivere e, se
avevo tempo e sufficiente capacità di resistenza, ricevere le mie lezioni,
lontano dall’incessante andirivieni di una servitù delle dimensioni di una
legione. Avevo un altro studio al piano terreno, proprio accanto a quello di
mio marito. Era in quel luogo più pubblico che sedevo ogni mattina per
dirigere… o almeno cercare di dirigere… la tenuta familiare e la proprietà
agricola. Tre mesi erano trascorsi dalla mia prima cena di ricevimento, che
aveva avuto successo, e dopo avevano avuto luogo anche altri ricevimenti e
perfino un banchetto. Ora stavo agonizzando sui conti e registri della casa. E,
come al solito, avevo chiesto aiuto ad Apollinario.
- Questo è diverso! Completamente
diverso! Non sarò mai, mai, capace di farlo!
- Giulia, per quanto io ricordi,
hai salvato il cuscino porpora per il sedere dell’attuale imperatore, perciò
occuparsi dei conti di casa non può essere più difficile… O pericoloso! Nemmeno
in una casa di queste dimensioni.
Mi accigliai alla sua ironia.
- Non essere irrispettoso verso l’imperatore! - dissi in tono indignato. Egli
non mi offrì una risposta, ma un sorriso divertito. - Sono seria! Non ti piace
Marco Aurelio?
- Oh, mi piacerebbe molto di più
se non fosse un imperatore!
- Sei un repubblicano? - chiesi a
voce bassa, scandalizzata.
Apollinario rise.
- No, Giulia. Io sono greco! I greci e gli imperatori non vanno d’accordo. Noi abbiamo inventato la democrazia!
- Non essere sciocco! - ritorsi. -
I Greci sono stati romanizzati due secoli fa.
- Adesso non essere tu la sciocca, Giulia, - rispose
pazientemete. - La Siria fu romanizzata. L’Ispania fu romanizzata. Anche la
Britannia lo sarà a tempo debito. La Grecia è la Grecia e sempre lo sarà. Gli
imperatori romani vanno e vengono. La Grecia resta.
- Oh. - Non fu che un suono
strozzato. Non riuscii a pensare a nient’altro da dire.
- A proposito, il tuo Marco
Aurelio è davvero un uomo notevole. E’ rispettabile e istruito. E intelligente!
Altrimenti non sarebbe sopravvissuto tanto a lungo dalle parti del Palatino,
anche se gli Antonini non sono un branco di traditori e assassini come lo erano
i Claudi. Quello che mi preoccupa è la sua mancanza d’azione riguardo al suo
erede…
- Gli è sopravvissuto solo un
figlio…
Nel corso degli anni, la coppia
imperiale aveva perso molti bambini.
- Il più giovane e, a quel che ho
sentito, non esattamente adatto alla porpora. - Apollinario aveva amici
ovunque. Se aveva udito notizie importune sull’erede legittimo, le aveva udite
da una fonte attendibile.
- Se diverrà imperatore, sarà il
primo dai tempi di Nerone ad essere assurto al Palatino… e il Palatino o rovina
i figli imperiali o li uccide…
Rabbrividii al pensiero. Nemmeno
gli ex schiavi amavano farsi ricordare certi uomini che avevano ostentato
l’aureo serto d’alloro.
- Non sto sottintendendo che
Commodo sia un altro Nerone, ma mi è stato detto che non ha talento per la
politica… anche se ama il potere e l’idea di diventare imperatore, - disse. -
Sembra che l’intelligenza del padre sia andata tutta a sua sorella Lucilla.
Sobbalzai al nome della donna che
aveva amato Massimo e che gli era stata offerta in matrimonio. La donna che
avrebbe potuto essere la chiave per l’ascesa di lui al potere politico e forse
perfino al trono. Tuttavia egli aveva rifiutato di divorziare dalla moglie
contadina e aveva respinto lei così come aveva respinto me. L’imperatore aveva
ragione: sua figlia ed io avevamo molto in comune. Mi accigliai ancora di più.
In quei giorni ero così occupata che non avevo molto tempo nemmeno per pensare
a Massimo. E quando me ne resi conto, mi sentii una traditrice. Verso chi… lui
o io… non lo sapevo.
- Comunque, per tornare al tuo
problema attuale, Giulia, quello di cui hai bisogno è un segretario… - continuò
il mio precettore, per una volta inconsapevole del mio tumulto interiore.
- Stai suggerendo che devo
aggiungere altre persone a questa tenuta familiare delle dimensioni di una
legione? - chiesi indignata. Apollinario sorrise.
- Quello che sto suggerendo,
Giulia, è che io prenda un periodo di congedo da tuo precettore e divenga tuo
segretario per il tempo a venire.
Ero stupefatta.
- Mio segretario? Vuoi farmi da segretario? Sei pazzo!
- Con il dovuto rispetto, domina,
non sono io che ho sposato il ricco armatore e ci ha messi in questo pasticcio!
- Io lo guardai accigliata. Apollinario sorrise radioso. - Ma devo ammettere,
signora, che venire qui con te e’ stato un buon affare. La casa è meravigliosa,
i bagni sono grandiosi e avevo dimenticato quanto fosse bello vivere vicino al
mare. Inoltre, il tuo uomo non ha solo denaro, ma anche gusto, i suoi cuochi
sono eccellenti e la sua biblioteca è semplicemente stupefacente…
- Deve aver comprato tutto come
una specie d’investimento! Non legge mai! - ringhiai, cercando di nascondere il
tumulto e
l’imbarazzo che l’altruismo di Apollinario scatenava sempre dentro di me.
- Ebbene, ha fatto un investimento
meraviglioso. Adesso, come tuo segretario, mi occuperò dei conti e preparerò le lettere di
pagamento perché tu le firmi…
Apollinario aveva ragione:
occuparsi dei conti di casa non era difficile quanto il salvare l’impero. Ma vi
si avvicinava molto. Moltissimo.
- Non capisco perché lui debba
offrire tanti banchetti, - mi lamentai con l’infinitamente paziente
Apollinario.
- Semplice, mia cara: vuole
presentare a tutti la sua bella moglie. Chiunque al suo posto farebbe lo
stesso.
Stavamo seduti fianco a fianco sul
divano da lettura che tenevo sulla mia terrazza, sotto una grande tenda a
strisce, studiando diagrammi e bevendo succo di mela freddo in un quieto
pomeriggio all’inizio dell’estate. Ero sposata a Mario Servilio da più di un
anno. Nei mesi passati avevo imparato e perfezionato le necessarie capacità per
dirigere la lussuosa proprietà vicina al mare e diventare l’efficiente padrona
di casa che mio marito si aspettava diventassi. Avevo perfino scoperto che
potevo mettere a buon frutto alcune delle capacità che avevo imparato nella mia
vita precedente: come avere sempre il controllo della situazione, come
anticipare i bisogni e i gusti delle persone, come essere educata e graziosa ma
con seducente mistero. Ma soprattutto, avevo imparato ad amare il fatto di
comandare. Avevo imparato ad accettare la sfida, le responsabilità ed il
successo. Mio marito non mi aveva mai lodato per i miei trionfi, solo
ringraziata educatamente per ogni ricevimento di successo che avevo
organizzato, ogni intrattenimento che avevo offerto, ogni cambiamento che avevo
introdotto, ogni delicatezza che avevo aggiunto. E, quando qualcosa non aveva
funzionato bene come ci si era aspettati, non mi aveva mai criticata o preteso
delle giustificazioni. Invece, diceva:
- La prossima volta andrà meglio.
La mia remunerazione faceva
sembrare Marco Aurelio un taccagno ed era regolarmente aumentata da costosi
regali che giungevano al mio appartamento con incredibile regolarità. Tuttavia,
Mario Servilio non me li diede mai di persona, ma li faceva consegnare da uno
dei suoi segretari, da Nicia o Atenodoro, a seconda della natura del regalo. E
la loro natura non poteva essere più varia, perché preziose antichità furono
seguite da profumi esotici, sontuose sete da squisiti pezzi d’arredamento,
inestimabili manoscritti da un gatto abissino color sabbia dagli occhi dorati,
e costosi gioielli da rara vetreria.
- Il nostro matrimonio è notizia vecchia, amico mio. Fino ad ora, devo esser
stata presentata a metà dei mercanti e armatori e appaltatori dell’impero…
Il desiderio di Mario Servilio di
celebrare il suo compleanno con un grande banchetto era arrivato in un momento
molto inopportuno. Avevo finalmente trovato il tempo di iniziare a ridisegnare i
giardini ed il compito era diventato formidabile. Avevo avuto una lite seria
con l’architetto originale quando era comparso alla villa con un esercito di
schiavi per buttar giù il giardino precedente e livellare il terreno prima di
cominciare a ricostruire e piantare. Avevo rifiutato di tollerare l’uso di
schiavi nella mia casa, e l’uomo aveva fatto un sogghigno beffardo ed era
andato da mio marito a fare le sue rimostranze. Mario Servilio non offriva mai
alcun aiuto quando gli chiedevo istruzioni, però non accettava neppure che la
mia autorità fosse messa in discussione. Licenziò l’architetto prima che questi riuscisse a finire di
spiegare la ragione del nostro disaccordo. Quando cercai di ringraziarlo per il
suo appoggio, egli disse semplicemente:
- Tu sei mia moglie. Un marito deve rispettare la moglie e assicurarsi che
anche gli altri la rispettino.
Licenziare l’architetto significò
trovarne un altro e ricominciare daccapo. Adesso, il giardino era a metà strada
dal suo glorioso restauro, ma subiva lo stadio in cui sembrava più un campo di
battaglia che un futuro giardino. E il nuovo banchetto di Mario Servilio
strideva con la logistica del giardino. Nel modo più assoluto.
- Il tuo matrimonio non sarà mai notizia vecchia, Giulia, - rispose
Apollinario. - Tutti questi uomini darebbero un braccio per…
Non completò mai la frase. La
porta dell’appartamento si aprì sbattendo fragorosamente e udimmo passi
affrettati nel salotto. Apollinario ed io ci accigliammo all’unisono. A pochi
servi era concesso entrare nel mio rifugio privato e nessuno entrava non
annunciato. Il mio precettore si alzò in piedi e andò verso l’arcata, ma prima
di poterla raggiungere, un Atenodoro senza fiato irruppe in terrazza.
- Domina! Il padrone! Lo hanno appena portato qui! E’ svenuto al porto!
Balzai in piedi e corsi verso
l’appartamento di mio marito all’altra estremità del corridoio, seguita da
Apollinario e dall’intendente farfugliante, la cui gamba malata gli rendeva
difficile affrettarsi.
- Ha battuto la testa! E il medico non è a casa!
Aprendo la porta dell’appartamento
di mio marito, mi resi conto vagamente che era la prima volta che varcavo la
soglia delle sue stanze private. L’appartamento era simile al mio e si apriva
su una terrazza separata. Era spazioso e arioso, ma arredato in modo più
austero. Come il suo studio al piano terreno, era decorato con murali
raffiguranti panorami marini e navi e sui tavoli c’erano modellini navali. Una
vita dedicata all’importazione e al commercio era presente in molti oggetti che
adornavano la stanza, da scatole egizie a vetreria di Tiro, arazzi che potevano
provenire solo da Parto e bronzi dalla Grecia.
I due segretari erano in piedi
all’entrata della camera da letto di Mario Servilio, discutendo in modo acceso
tra di loro. Li spinsi da parte ed entrai nella zona notte. Vidi che mio marito
giaceva sul letto e che il suo servitore, Fedro, lavorava fianco a fianco con
una donna. Lo stavano svestendo.
- Che cosa è successo? Come sta mio marito? - chiesi affrettandomi verso di
loro.
- E’ svenuto, padrona Giulia. Devo
controllarlo e metterlo comodo.
La donna aveva parlato senza
voltarsi e nel greco sibilante parlato dagli alessandrini. Eppure, i suoi
lineamenti, i capelli neri intrecciati ed il vestito non potevano essere più
egizi. Il suo nome era Merith, era sposata al medico residente di Mario
Servilio ed era una ben nota ostetrica, una femina
medica[1] molto richiesta. Molti anni prima, Andrea mi aveva detto
che nell’Egitto tolemaico le donne potevano istruirsi nello stesso modo degli
uomini e seguire carriere professionali. C’erano donne avvocato, medico,
insegnanti e filosofe. Tuttavia i Romani avevano vinto la regina Cleopatra e
posto fine all’istruzione e all’indipendenza femminili, condannando le donne
egizie alle loro case, a tessere e a partorire figli, come già avevano fatto
con le proprie donne decenni prima. Tuttavia c’erano in Egitto donne che ancora
si istruivano, praticando le loro arti e la loro antica fede. Erano guaritrici,
levatrici, donne sagge. Rispettate come sacerdotesse, venivano da lunghe
discendenze femminili e ricevevano il loro addestramento dalle madri e dalle
nonne. Merith era una di loro e suo marito ne aveva affinato l’addestramento al
di là della professione di levatrice ed erborista fino a farla diventare una
donna medico brava quanto lui. La coppia era giunta alla villa poco prima che
io sposassi Mario Servilio. Qeusti aveva scoperto Sesostris, un egiziano
romanizzato, mentre cercava invano una cura per la sua malattia. L’uomo aveva
accennato al suo interesse su come veniva praticata la medicina nell’Urbe e mio
marito lo aveva assunto e aveva dato un alloggio a lui e alla sua famiglia in
una dipendenza secondaria della sua proprietà sul mare. Dato che Mario Servilio non
aveva alcuna obiezione da fare sul fatto che Merith praticasse la sua
professione di levatrice fuori della villa, presto ella fu molto richiesta,
grazie alla fama che si era fatta trattando con molta attenzione alcune nascite
difficili. Sesostris
e Merith venivano invitati regolarmente ai ricevimenti di mio marito, ma la
donna raramente partecipava, indaffarata com’era con la sua professione e con
l’addestramento delle sue gemelle di dodici anni che avrebbero seguito le sue
orme.
Rimasi
ai piedi del letto, guardando intenta Mario Servilio, ma cercando di non
interferire con Merith e Fedro. Era estremamente pallido, i suoi capelli
d’argento sempre perfettamente pettinati ricadevano sulla fronte alta coprendo
solo a metà un livido violaceo. Lavorando in fretta e con efficienza, gli
tolsero la tunica e per la prima volta vidi il corpo svestito di mio marito. Ne
fui molto scossa. Mario Servilio era un uomo alto, in forma per la sua età e
abbronzato per le molte ore passate al porto e ai cantieri. Inoltre, lo avevo
sempre considerato un bell’uomo. Ma le pieghe pesanti dei suoi vestiti e la
mancanza di intimità tra di noi mi avevano nascosto il fatto che la sua
malattia era progredita. Siccome non era mai stato male da quando ci eravamo
sposati, mi ero dimenticata che aveva i giorni contati. Anzi, mi ero abituata alla
cullante quotidianità e la servitù e la proprietà avevano tenuto la mia mente
lontana dalla disturbante realtà. Ma adesso, mentre vedevo la sua cassa
toracica penosamente delineata contro la pelle tirata del suo petto, la peluria
argentea e le ombre profonde sotto le palpebre chiuse, non potei che sentirmi
spaventata.
- Mio marito non c’è, padrona
Giulia, - continuò Merith. - La settimana scorsa fece il controllo settimanale
a padron Servilio e lo trovò bene. C’era da inviare un carico di rifornimenti
sanitari all’accampamento
pretoriano ai limiti della città e tuo marito pensava che a Sesostris sarebbe
piaciuto dare un’occhiata al loro valetudinarium[2] e parlare con i chirurghi militari.
La parola latina sembrò incongruente
in mezzo al greco e per un momento ebbi dificoltà a capire di che cosa stesse
parlando Merith: i miei occhi erano fissi sui lividi sul fianco e sul petto di
mio marito, che sembravano crescere e scurirsi sotto il mio sguardo
affascinato. Merith vide quello che stavo guardando.
- Il suo sangue è troppo fluido, padrona Giulia. E’ una conseguenza della sua
malattia. E’ svenuto e si è fatto male. I suoi vasi sanguigni sono molto
fragili e sta sanguinando…
Ansimai. Merith mi guardò
brevemente e decise che non stavo per svenire.
- Il sanguinamento sembra essere superficiale, ma è un serio allarme riguardo
la sua condizione, - continuò la donna egizia mentre controllava il polso di
Mario Servilio e gli sollevava le palpebre. - Quando Sesostris lo ha controlalto
due giorni fa, sembrava più debole, come ci si era aspettati, ma in forma…
- G-guarirà? - chiesi e potei
sentire la mano calda di Apollinario sulla mia spalla. Merith continuò a
controllare Mario Servilio. Sospirò.
- E’ un combattente. Non si arrenderà
facilmente… - Le sue dita piccole e scure esplorarono il collo e le ascelle di
mio marito. - Ha delle ghiandole infiammate. Avrà la febbre. Devo farlo rinvenire, stabilizzarlo e
prepararlo per la febbre.
Mentre parlava, Merith aprì una
cassettina di legno ed estrasse dei vasetti. Chiese a Fedro dell’acqua e
cominciò a mescolare alcune polveri. Mi osservò brevemente.
- Parlagli, padrona Giulia. Dobbiamo farlo rinvenire.
Obbedii con gambe molli come
acqua. Non mi spavento facilmente. Nessuna donna che abbia ucciso a sangue
freddo può essere facilmente spaventata, ma questo era diverso. Questo era
sicurezza e certezza e cullante quotidianità che di nuovo mi venivano
strappate.
- D-domine, - cominciai, poi mi fermai e presi nella mia la mano fredda e sudata
di Mario Servilio. - D-domine, ti prego, svegliati! - Gli diedi dei colpetti
sulla mano senza risultato. - Domine, - insistei. - Sono io! Ti prego,
svegliati!
Le palpebre di Mario Servilio si
aprirono, mosse la testa da un lato all’altro.
- Sabina? - gemette. - Sabina?
Il silenzio cadde nella stanza.
Inghiottii ma rifiutai di guardare gli altri. Al contrario, mi sforzai di
sorridere.
- Sì, domine, - dissi, - sono qui…
Mario Servilio sorrise debolmente.
Fedro aiutò Merith a sollevarlo quanto bastava per portare una tazza alle sue
pallide labbra, ma egli allontanò il viso. Gli strinsi la mano.
- Domine, ti prego, devi bere. Ti farà sentire meglio…
Egli gemette di nuovo, poi permise
a Merith di dargli la medicina, tossendo due volte e ricadendo pesantemente
sulla spalla di Fedro. La femina medica
ordinò quindi al valletto di coprirlo con una coperta di lana malgrado il
caldo.
- La febbre arriverà presto, - disse. - Padrona Giulia, faresti meglio ad
occuparti di quegli uomini irritanti che tuo marito chiama suoi segretari e a
lasciarmi con lui.
Annuii con aria assente.
Apollinario mi prese per un braccio e gentilmente mi guidò verso la porta. Come
lo fece, io vidi la statua che era stata nascosta alla mia vista dal corpo di
Merith. Era su di un bel piedistallo vicino al letto di Mario Servilio, una
piccola statua di marmo di una giovane donna romana, seduta su una sedia con in
braccio un bambino stretto al seno. Una scultura piuttosto insolita, perché la
donna non guardava l’orizzonte, dignitosa e distaccata, ma teneva la testa
china sul bimbo e gli sorrideva mentre lui sollevava le manine paffute verso la
madre. C’erano petali di rosa attorno alla statua.
Petali di rosa per una moglie
morta da tempo e per un figlio morto da tempo.
- Mi occuperò di ogni cosa e tornerò, - dissi.
Mario Servilio aveva lodato le mie
virtù, tuttavia ne avevo altre che lui non aveva ancora scoperto. Per esempio,
sono brava in caso di crisi, come Massimo aveva imparato in Moesia. Perciò, una volta
nella stanza esterna, congedai tutte le domande e senza esitazioni presi a
distribuire ordini al segretario più anziano.
- Torna al porto e occupati di tutto quanto sia necessario! Se qualcuno chiede
della salute di padron Servilio, di’ che ha avuto un colpo di sole e che ha
bisogno di riposo! Non permettere a nessuno di sapere che è ammalato. Egli non
vorrebbe che i suoi concorrenti sapessero che sta male di salute! Gli affari
devono continuare come al solito. Tu… - Non riuscivo a ricordare i nomi dei
segretari di mio marito.
- Scriboniano, - suggerì il più
giovane.
- Scriboniano, vai con Apollinario
e aiutalo ad occuparsi dei messaggi per gli ospiti che dovevano venire qui per
il banchetto della prossima settimana. Di’ loro che è stato annullato… No, di’
loro che è stato rimandato. Apollinario penserà a qualche scusa plausibile. Non
voglio che la notizia della salute di padron Servilio si sparga. E non voglio
che venga disturbato! Se avete bisogno di direttive, chiedete ad Apollinario o
a me…
Fu una lunga notte, la prima di
molte che avrei condiviso con Merith e Fedro. Talvolta con Sesostris. Molte
volte da sola. La febbre arrivò e Mario Servilio cadde in preda al delirio.
Sudava, rabbrividiva, ruotava la testa sui guanciali, chiamava Sabina. Gli
offrimmo tutto il conforto possibile: più coperte, acqua fresca, un panno
bagnato sulla fronte, una stretta rassicurante della mano. Ogni poche ore,
Merith mescolava con acqua una polvere che prendeva da un vasetto
contrassegnato in modo inquietante e lo obbligava a berla. Non un compito
facile.
- La cura di Ecate[3], - disse rispondendo ad una domanda inespressa. - Polvere
di corteccia di salice. Estremamente amara, ma ottima per la febbre. Nell’arte
dell’ostetricia e nelle malattie dei bambini può significare la differenza tra
la vita e la morte…
Merith inumidì ancora una volta il
viso febbricitante di Mario Servilio poi si sedette di nuovo vicino a me. Avevo
già scoperto che rimanere alzati tutta la notte ad accudire un ammalato procura una strana, inquietante
intimità.
- Padrona Giulia, - disse la donna
all’improvviso. - Spero che non ti dispiaccia se mi prendo cura di tuo marito
personalmente invece di chiamare un medico da Ostia. Ma, poiché mio marito
tornerà presto e io conosco il caso di padron Servilio…
- Ti sono grata di essere qui,
Merith. Sono certa che è in buone mani…
- Deduco che sapevi della sua
malattia quando lo sposasti, - disse Merith. Per un istante pensai che mi
stesse giudicando, vedendo l’ovvio: una giovane donna che per cupidigia sposa
un ricco uomo malato. Ma i suoi liquidi occhi scuri erano dolci e gentili.
Anuii. - E’ stato coraggioso da parte tua accettarlo, - soggiunse.
- Non è giusto, - dissi a voce
bassa, guardando il volto pallido di Mario Servilio. Sembrava più vecchio dei
suoi cinquantaquattro anni e fragile come non avrei mai immaginato che sarebbe
stato.
- La malattia non è mai giusta,
padrona Giulia. E la morte è anche peggio. Perché tanti bambini muoiono? Perché
la morte reclama una madre e lascia indietro degli orfani? Perché gli uomini si
uccidono l’un l’altro in battaglia? - Merith si strinse nelle spalle. - Non
siamo altro che mortali, padrona Giulia. Ma la dea è saggia e sa.
Aggrottai la fronte. La dea. Non
ero mai stata religiosa anche se per abitudine recitavo preghiere e invocavo
gli dei quando le formule di cortesia lo richiedevano. Ma lo facevo
meccanicamente così come Mario Servilio frequentava l’altare della sua casa e
faceva benedire le sue navi prima di vararle. Mio marito credeva solo in se
stesso e io non credevo in nessun altro che Massimo, tuttavia egli era
lontanissimo da me.
La dea di Merith non poteva che
essere Iside, la dea egizia il cui tempio avevo visto in Ostia. Per decadi i
culti orientali si erano insinuati in Italia, radunando devoti tra coloro che erano delusi dal
culto ufficiale.
- Sì, padrona Giulia, la Madre Iside. Ella non può offrire risposte alle nostre
domande su cosa è giusto o ingiusto, sulla vita e la morte. Ma ella ha dato a
me e ad altre come me la capacità di curare, così che alcune vite possano
essere risparmiate ed altre possano essere portate in questo mondo…
Brevemente, sollevai gli occhi
e guardai il viso di Pollia Sabina Marcia, il sorriso materno congelato per
l’eternità. Merith seguì il mio sguardo.
- Noi donne siamo tutte figlie della dea…
Il gemito di Mario Servilio la
interruppe. Ella andò da lui e controllò i suoi segni vitali ancora una volta.
Poi si girò e sorrise.
- La Madre Iside sia benedetta, la febbre è passata. Guarirà.
Mario Servilio guarì, sì, e non
appena Sesostris lo dichiarò in grado di lasciare il letto, egli chiese a Fedro
di aiutarlo a vestirsi e scese nel suo studio, per curarsi degli affari. La
vita riprese la normalità e due settimane dopo celebrammo il banchetto
rinviato.
Ma entrambi sapevamo che era
l’inizio della fine.
[1] Femina medica: in latino, una donna
medico che assiste esclusivamente pazienti donne e che fa anche da “ostetrica”
(levatrice) (N.d.A.).
[2] Valetudinarium: In latino, l’infermeria di un accampamento militare romano (N.d.A).
[3] Ecate era la divinità greca che presiedeva durante la notte alle strade; la sua statua veniva posta in ogni incrocio, ed incuteva paura essendo essa la guida notturna dei morti; amava stare accanto al sangue versato; i Greci usavano in un giorno di fine mese lasciare, di notte, agli incroci delle strade, un piatto con del cibo per la dea. Era rappresentata con tre teste o anche con tre corpi (N.d.T.).