Diario di Giulia – Parte seconda

Capitolo VII - Gli anni ad Ostia, 175-176 d.C. - Seconda parte

- E’ inutile, Apollinario! Non ci riuscirò mai!

Il mio tutore alzò gli occhi dal papiro che stava esaminando e sospirò.
- Giulia, dicevi lo stesso del greco e oggi il tuo accento può rivaleggiare perfino col mio!

Eravamo nello studio privato del mio appartamento, un luogo dove potevo ritirarmi a leggere e scrivere e, se avevo tempo e sufficiente capacità di resistenza, ricevere le mie lezioni, lontano dall’incessante andirivieni di una servitù delle dimensioni di una legione. Avevo un altro studio al piano terreno, proprio accanto a quello di mio marito. Era in quel luogo più pubblico che sedevo ogni mattina per dirigere… o almeno cercare di dirigere… la tenuta familiare e la proprietà agricola. Tre mesi erano trascorsi dalla mia prima cena di ricevimento, che aveva avuto successo, e dopo avevano avuto luogo anche altri ricevimenti e perfino un banchetto. Ora stavo agonizzando sui conti e registri della casa. E, come al solito, avevo chiesto aiuto ad Apollinario.

- Questo è diverso! Completamente diverso! Non sarò mai, mai, capace di farlo!

- Giulia, per quanto io ricordi, hai salvato il cuscino porpora per il sedere dell’attuale imperatore, perciò occuparsi dei conti di casa non può essere più difficile… O pericoloso! Nemmeno in una casa di queste dimensioni.

Mi accigliai alla sua ironia.
- Non essere irrispettoso verso l’imperatore! - dissi in tono indignato. Egli non mi offrì una risposta, ma un sorriso divertito. - Sono seria! Non ti piace Marco Aurelio?

- Oh, mi piacerebbe molto di più se non fosse un imperatore!

- Sei un repubblicano? - chiesi a voce bassa, scandalizzata.

Apollinario rise.
- No, Giulia. Io sono greco! I greci e gli imperatori non vanno d’accordo. Noi abbiamo inventato la democrazia!

- Non essere sciocco! - ritorsi. - I Greci sono stati romanizzati due secoli fa.

- Adesso non essere tu la sciocca, Giulia, - rispose pazientemete. - La Siria fu romanizzata. L’Ispania fu romanizzata. Anche la Britannia lo sarà a tempo debito. La Grecia è la Grecia e sempre lo sarà. Gli imperatori romani vanno e vengono. La Grecia resta.

- Oh. - Non fu che un suono strozzato. Non riuscii a pensare a nient’altro da dire.

- A proposito, il tuo Marco Aurelio è davvero un uomo notevole. E’ rispettabile e istruito. E intelligente! Altrimenti non sarebbe sopravvissuto tanto a lungo dalle parti del Palatino, anche se gli Antonini non sono un branco di traditori e assassini come lo erano i Claudi. Quello che mi preoccupa è la sua mancanza d’azione riguardo al suo erede…

- Gli è sopravvissuto solo un figlio…

Nel corso degli anni, la coppia imperiale aveva perso molti bambini.

- Il più giovane e, a quel che ho sentito, non esattamente adatto alla porpora. - Apollinario aveva amici ovunque. Se aveva udito notizie importune sull’erede legittimo, le aveva udite da una fonte attendibile.

- Se diverrà imperatore, sarà il primo dai tempi di Nerone ad essere assurto al Palatino… e il Palatino o rovina i figli imperiali o li uccide…

Rabbrividii al pensiero. Nemmeno gli ex schiavi amavano farsi ricordare certi uomini che avevano ostentato l’aureo serto d’alloro.

- Non sto sottintendendo che Commodo sia un altro Nerone, ma mi è stato detto che non ha talento per la politica… anche se ama il potere e l’idea di diventare imperatore, - disse. - Sembra che l’intelligenza del padre sia andata tutta a sua sorella Lucilla.

Sobbalzai al nome della donna che aveva amato Massimo e che gli era stata offerta in matrimonio. La donna che avrebbe potuto essere la chiave per l’ascesa di lui al potere politico e forse perfino al trono. Tuttavia egli aveva rifiutato di divorziare dalla moglie contadina e aveva respinto lei così come aveva respinto me. L’imperatore aveva ragione: sua figlia ed io avevamo molto in comune. Mi accigliai ancora di più. In quei giorni ero così occupata che non avevo molto tempo nemmeno per pensare a Massimo. E quando me ne resi conto, mi sentii una traditrice. Verso chi… lui o io… non lo sapevo.

- Comunque, per tornare al tuo problema attuale, Giulia, quello di cui hai bisogno è un segretario… - continuò il mio precettore, per una volta inconsapevole del mio tumulto interiore.

- Stai suggerendo che devo aggiungere altre persone a questa tenuta familiare delle dimensioni di una legione? - chiesi indignata. Apollinario sorrise.

- Quello che sto suggerendo, Giulia, è che io prenda un periodo di congedo da tuo precettore e divenga tuo segretario per il tempo a venire.

Ero stupefatta.
- Mio segretario? Vuoi farmi da segretario? Sei pazzo!

- Con il dovuto rispetto, domina, non sono io che ho sposato il ricco armatore e ci ha messi in questo pasticcio! - Io lo guardai accigliata. Apollinario sorrise radioso. - Ma devo ammettere, signora, che venire qui con te e’ stato un buon affare. La casa è meravigliosa, i bagni sono grandiosi e avevo dimenticato quanto fosse bello vivere vicino al mare. Inoltre, il tuo uomo non ha solo denaro, ma anche gusto, i suoi cuochi sono eccellenti e la sua biblioteca è semplicemente stupefacente…

- Deve aver comprato tutto come una specie d’investimento! Non legge mai! - ringhiai, cercando di nascondere il tumulto e l’imbarazzo che l’altruismo di Apollinario scatenava sempre dentro di me.

- Ebbene, ha fatto un investimento meraviglioso. Adesso, come tuo segretario, mi occuperò dei conti e preparerò le lettere di pagamento perché tu le firmi…

 

Apollinario aveva ragione: occuparsi dei conti di casa non era difficile quanto il salvare l’impero. Ma vi si avvicinava molto. Moltissimo.

 

- Non capisco perché lui debba offrire tanti banchetti, - mi lamentai con l’infinitamente paziente Apollinario.

- Semplice, mia cara: vuole presentare a tutti la sua bella moglie. Chiunque al suo posto farebbe lo stesso.

Stavamo seduti fianco a fianco sul divano da lettura che tenevo sulla mia terrazza, sotto una grande tenda a strisce, studiando diagrammi e bevendo succo di mela freddo in un quieto pomeriggio all’inizio dell’estate. Ero sposata a Mario Servilio da più di un anno. Nei mesi passati avevo imparato e perfezionato le necessarie capacità per dirigere la lussuosa proprietà vicina al mare e diventare l’efficiente padrona di casa che mio marito si aspettava diventassi. Avevo perfino scoperto che potevo mettere a buon frutto alcune delle capacità che avevo imparato nella mia vita precedente: come avere sempre il controllo della situazione, come anticipare i bisogni e i gusti delle persone, come essere educata e graziosa ma con seducente mistero. Ma soprattutto, avevo imparato ad amare il fatto di comandare. Avevo imparato ad accettare la sfida, le responsabilità ed il successo. Mio marito non mi aveva mai lodato per i miei trionfi, solo ringraziata educatamente per ogni ricevimento di successo che avevo organizzato, ogni intrattenimento che avevo offerto, ogni cambiamento che avevo introdotto, ogni delicatezza che avevo aggiunto. E, quando qualcosa non aveva funzionato bene come ci si era aspettati, non mi aveva mai criticata o preteso delle giustificazioni. Invece, diceva:
- La prossima volta andrà meglio.

La mia remunerazione faceva sembrare Marco Aurelio un taccagno ed era regolarmente aumentata da costosi regali che giungevano al mio appartamento con incredibile regolarità. Tuttavia, Mario Servilio non me li diede mai di persona, ma li faceva consegnare da uno dei suoi segretari, da Nicia o Atenodoro, a seconda della natura del regalo. E la loro natura non poteva essere più varia, perché preziose antichità furono seguite da profumi esotici, sontuose sete da squisiti pezzi d’arredamento, inestimabili manoscritti da un gatto abissino color sabbia dagli occhi dorati, e costosi gioielli da rara vetreria.
- Il nostro matrimonio è notizia vecchia, amico mio. Fino ad ora, devo esser stata presentata a metà dei mercanti e armatori e appaltatori dell’impero…

Il desiderio di Mario Servilio di celebrare il suo compleanno con un grande banchetto era arrivato in un momento molto inopportuno. Avevo finalmente trovato il tempo di iniziare a ridisegnare i giardini ed il compito era diventato formidabile. Avevo avuto una lite seria con l’architetto originale quando era comparso alla villa con un esercito di schiavi per buttar giù il giardino precedente e livellare il terreno prima di cominciare a ricostruire e piantare. Avevo rifiutato di tollerare l’uso di schiavi nella mia casa, e l’uomo aveva fatto un sogghigno beffardo ed era andato da mio marito a fare le sue rimostranze. Mario Servilio non offriva mai alcun aiuto quando gli chiedevo istruzioni, però non accettava neppure che la mia autorità fosse messa in discussione. Licenziò l’architetto prima che questi riuscisse a finire di spiegare la ragione del nostro disaccordo. Quando cercai di ringraziarlo per il suo appoggio, egli disse semplicemente:
- Tu sei mia moglie. Un marito deve rispettare la moglie e assicurarsi che anche gli altri la rispettino.

Licenziare l’architetto significò trovarne un altro e ricominciare daccapo. Adesso, il giardino era a metà strada dal suo glorioso restauro, ma subiva lo stadio in cui sembrava più un campo di battaglia che un futuro giardino. E il nuovo banchetto di Mario Servilio strideva con la logistica del giardino. Nel modo più assoluto.
- Il tuo matrimonio non sarà mai notizia vecchia, Giulia, - rispose Apollinario. - Tutti questi uomini darebbero un braccio per…

Non completò mai la frase. La porta dell’appartamento si aprì sbattendo fragorosamente e udimmo passi affrettati nel salotto. Apollinario ed io ci accigliammo all’unisono. A pochi servi era concesso entrare nel mio rifugio privato e nessuno entrava non annunciato. Il mio precettore si alzò in piedi e andò verso l’arcata, ma prima di poterla raggiungere, un Atenodoro senza fiato irruppe in terrazza.
- Domina! Il padrone! Lo hanno appena portato qui! E’ svenuto al porto!

Balzai in piedi e corsi verso l’appartamento di mio marito all’altra estremità del corridoio, seguita da Apollinario e dall’intendente farfugliante, la cui gamba malata gli rendeva difficile affrettarsi.
- Ha battuto la testa! E il medico
non è a casa!

Aprendo la porta dell’appartamento di mio marito, mi resi conto vagamente che era la prima volta che varcavo la soglia delle sue stanze private. L’appartamento era simile al mio e si apriva su una terrazza separata. Era spazioso e arioso, ma arredato in modo più austero. Come il suo studio al piano terreno, era decorato con murali raffiguranti panorami marini e navi e sui tavoli c’erano modellini navali. Una vita dedicata all’importazione e al commercio era presente in molti oggetti che adornavano la stanza, da scatole egizie a vetreria di Tiro, arazzi che potevano provenire solo da Parto e bronzi dalla Grecia.

I due segretari erano in piedi all’entrata della camera da letto di Mario Servilio, discutendo in modo acceso tra di loro. Li spinsi da parte ed entrai nella zona notte. Vidi che mio marito giaceva sul letto e che il suo servitore, Fedro, lavorava fianco a fianco con una donna. Lo stavano svestendo.
- Che cosa è successo? Come sta mio marito? - chiesi affrettandomi verso di loro.

- E’ svenuto, padrona Giulia. Devo controllarlo e metterlo comodo.

La donna aveva parlato senza voltarsi e nel greco sibilante parlato dagli alessandrini. Eppure, i suoi lineamenti, i capelli neri intrecciati ed il vestito non potevano essere più egizi. Il suo nome era Merith, era sposata al medico residente di Mario Servilio ed era una ben nota ostetrica, una femina medica[1] molto richiesta. Molti anni prima, Andrea mi aveva detto che nell’Egitto tolemaico le donne potevano istruirsi nello stesso modo degli uomini e seguire carriere professionali. C’erano donne avvocato, medico, insegnanti e filosofe. Tuttavia i Romani avevano vinto la regina Cleopatra e posto fine all’istruzione e all’indipendenza femminili, condannando le donne egizie alle loro case, a tessere e a partorire figli, come già avevano fatto con le proprie donne decenni prima. Tuttavia c’erano in Egitto donne che ancora si istruivano, praticando le loro arti e la loro antica fede. Erano guaritrici, levatrici, donne sagge. Rispettate come sacerdotesse, venivano da lunghe discendenze femminili e ricevevano il loro addestramento dalle madri e dalle nonne. Merith era una di loro e suo marito ne aveva affinato l’addestramento al di là della professione di levatrice ed erborista fino a farla diventare una donna medico brava quanto lui. La coppia era giunta alla villa poco prima che io sposassi Mario Servilio. Qeusti aveva scoperto Sesostris, un egiziano romanizzato, mentre cercava invano una cura per la sua malattia. L’uomo aveva accennato al suo interesse su come veniva praticata la medicina nell’Urbe e mio marito lo aveva assunto e aveva dato un alloggio a lui e alla sua famiglia in una dipendenza secondaria della sua proprietà sul mare. Dato che Mario Servilio non aveva alcuna obiezione da fare sul fatto che Merith praticasse la sua professione di levatrice fuori della villa, presto ella fu molto richiesta, grazie alla fama che si era fatta trattando con molta attenzione alcune nascite difficili. Sesostris e Merith venivano invitati regolarmente ai ricevimenti di mio marito, ma la donna raramente partecipava, indaffarata com’era con la sua professione e con l’addestramento delle sue gemelle di dodici anni che avrebbero seguito le sue orme.

Rimasi ai piedi del letto, guardando intenta Mario Servilio, ma cercando di non interferire con Merith e Fedro. Era estremamente pallido, i suoi capelli d’argento sempre perfettamente pettinati ricadevano sulla fronte alta coprendo solo a metà un livido violaceo. Lavorando in fretta e con efficienza, gli tolsero la tunica e per la prima volta vidi il corpo svestito di mio marito. Ne fui molto scossa. Mario Servilio era un uomo alto, in forma per la sua età e abbronzato per le molte ore passate al porto e ai cantieri. Inoltre, lo avevo sempre considerato un bell’uomo. Ma le pieghe pesanti dei suoi vestiti e la mancanza di intimità tra di noi mi avevano nascosto il fatto che la sua malattia era progredita. Siccome non era mai stato male da quando ci eravamo sposati, mi ero dimenticata che aveva i giorni contati. Anzi, mi ero abituata alla cullante quotidianità e la servitù e la proprietà avevano tenuto la mia mente lontana dalla disturbante realtà. Ma adesso, mentre vedevo la sua cassa toracica penosamente delineata contro la pelle tirata del suo petto, la peluria argentea e le ombre profonde sotto le palpebre chiuse, non potei che sentirmi spaventata.

- Mio marito non c’è, padrona Giulia, - continuò Merith. - La settimana scorsa fece il controllo settimanale a padron Servilio e lo trovò bene. C’era da inviare un carico di rifornimenti sanitari all’accampamento pretoriano ai limiti della città e tuo marito pensava che a Sesostris sarebbe piaciuto dare un’occhiata al loro valetudinarium[2] e parlare con i chirurghi militari.

La parola latina sembrò incongruente in mezzo al greco e per un momento ebbi dificoltà a capire di che cosa stesse parlando Merith: i miei occhi erano fissi sui lividi sul fianco e sul petto di mio marito, che sembravano crescere e scurirsi sotto il mio sguardo affascinato. Merith vide quello che stavo guardando.
- Il suo sangue è troppo fluido, padrona Giulia. E’ una conseguenza della sua malattia. E’ svenuto e si è fatto male. I suoi vasi sanguigni sono molto fragili e sta sanguinando…

Ansimai. Merith mi guardò brevemente e decise che non stavo per svenire.
- Il sanguinamento sembra essere superficiale, ma è un serio allarme riguardo la sua condizione, - continuò la donna egizia mentre controllava il polso di Mario Servilio e gli sollevava le palpebre. - Quando Sesostris lo ha controlalto due giorni fa, sembrava più debole, come ci si era aspettati, ma in forma…

- G-guarirà? - chiesi e potei sentire la mano calda di Apollinario sulla mia spalla. Merith continuò a controllare Mario Servilio. Sospirò.

- E’ un combattente. Non si arrenderà facilmente… - Le sue dita piccole e scure esplorarono il collo e le ascelle di mio marito. - Ha delle ghiandole infiammate. Avrà la febbre. Devo farlo rinvenire, stabilizzarlo e prepararlo per la febbre.

Mentre parlava, Merith aprì una cassettina di legno ed estrasse dei vasetti. Chiese a Fedro dell’acqua e cominciò a mescolare alcune polveri. Mi osservò brevemente.
- Parlagli, padrona Giulia. Dobbiamo farlo rinvenire.

Obbedii con gambe molli come acqua. Non mi spavento facilmente. Nessuna donna che abbia ucciso a sangue freddo può essere facilmente spaventata, ma questo era diverso. Questo era sicurezza e certezza e cullante quotidianità che di nuovo mi venivano strappate.
- D-domine, - cominciai, poi mi fermai e presi nella mia la mano fredda e sudata di Mario Servilio. - D-domine, ti prego, svegliati! - Gli diedi dei colpetti sulla mano senza risultato. - Domine, - insistei. - Sono io! Ti prego, svegliati!

Le palpebre di Mario Servilio si aprirono, mosse la testa da un lato all’altro.
- Sabina? - gemette. - Sabina?

Il silenzio cadde nella stanza. Inghiottii ma rifiutai di guardare gli altri. Al contrario, mi sforzai di sorridere.
- Sì, domine, - dissi, - sono qui…

Mario Servilio sorrise debolmente. Fedro aiutò Merith a sollevarlo quanto bastava per portare una tazza alle sue pallide labbra, ma egli allontanò il viso. Gli strinsi la mano.
- Domine, ti prego, devi bere. Ti farà sentire meglio…

Egli gemette di nuovo, poi permise a Merith di dargli la medicina, tossendo due volte e ricadendo pesantemente sulla spalla di Fedro. La femina medica ordinò quindi al valletto di coprirlo con una coperta di lana malgrado il caldo.
- La febbre arriverà presto, - disse. - Padrona Giulia, faresti meglio ad occuparti di quegli uomini irritanti che tuo marito chiama suoi segretari e a lasciarmi con lui.

Annuii con aria assente. Apollinario mi prese per un braccio e gentilmente mi guidò verso la porta. Come lo fece, io vidi la statua che era stata nascosta alla mia vista dal corpo di Merith. Era su di un bel piedistallo vicino al letto di Mario Servilio, una piccola statua di marmo di una giovane donna romana, seduta su una sedia con in braccio un bambino stretto al seno. Una scultura piuttosto insolita, perché la donna non guardava l’orizzonte, dignitosa e distaccata, ma teneva la testa china sul bimbo e gli sorrideva mentre lui sollevava le manine paffute verso la madre. C’erano petali di rosa attorno alla statua.

Petali di rosa per una moglie morta da tempo e per un figlio morto da tempo.
- Mi occuperò di ogni cosa e tornerò, - dissi.

Mario Servilio aveva lodato le mie virtù, tuttavia ne avevo altre che lui non aveva ancora scoperto. Per esempio, sono brava in caso di crisi, come Massimo aveva imparato in Moesia. Perciò, una volta nella stanza esterna, congedai tutte le domande e senza esitazioni presi a distribuire ordini al segretario più anziano.
- Torna al porto e occupati di tutto quanto sia necessario! Se qualcuno chiede della salute di padron Servilio, di’ che ha avuto un colpo di sole e che ha bisogno di riposo! Non permettere a nessuno di sapere che è ammalato. Egli non vorrebbe che i suoi concorrenti sapessero che sta male di salute! Gli affari devono continuare come al solito. Tu… - Non riuscivo a ricordare i nomi dei segretari di mio marito.

- Scriboniano, - suggerì il più giovane.

- Scriboniano, vai con Apollinario e aiutalo ad occuparsi dei messaggi per gli ospiti che dovevano venire qui per il banchetto della prossima settimana. Di’ loro che è stato annullato… No, di’ loro che è stato rimandato. Apollinario penserà a qualche scusa plausibile. Non voglio che la notizia della salute di padron Servilio si sparga. E non voglio che venga disturbato! Se avete bisogno di direttive, chiedete ad Apollinario o a me…

 

Fu una lunga notte, la prima di molte che avrei condiviso con Merith e Fedro. Talvolta con Sesostris. Molte volte da sola. La febbre arrivò e Mario Servilio cadde in preda al delirio. Sudava, rabbrividiva, ruotava la testa sui guanciali, chiamava Sabina. Gli offrimmo tutto il conforto possibile: più coperte, acqua fresca, un panno bagnato sulla fronte, una stretta rassicurante della mano. Ogni poche ore, Merith mescolava con acqua una polvere che prendeva da un vasetto contrassegnato in modo inquietante e lo obbligava a berla. Non un compito facile.

- La cura di Ecate[3], - disse rispondendo ad una domanda inespressa. - Polvere di corteccia di salice. Estremamente amara, ma ottima per la febbre. Nell’arte dell’ostetricia e nelle malattie dei bambini può significare la differenza tra la vita e la morte…

Merith inumidì ancora una volta il viso febbricitante di Mario Servilio poi si sedette di nuovo vicino a me. Avevo già scoperto che rimanere alzati tutta la notte ad accudire un ammalato procura una strana, inquietante intimità.

- Padrona Giulia, - disse la donna all’improvviso. - Spero che non ti dispiaccia se mi prendo cura di tuo marito personalmente invece di chiamare un medico da Ostia. Ma, poiché mio marito tornerà presto e io conosco il caso di padron Servilio…

- Ti sono grata di essere qui, Merith. Sono certa che è in buone mani…

- Deduco che sapevi della sua malattia quando lo sposasti, - disse Merith. Per un istante pensai che mi stesse giudicando, vedendo l’ovvio: una giovane donna che per cupidigia sposa un ricco uomo malato. Ma i suoi liquidi occhi scuri erano dolci e gentili. Anuii. - E’ stato coraggioso da parte tua accettarlo, - soggiunse.

- Non è giusto, - dissi a voce bassa, guardando il volto pallido di Mario Servilio. Sembrava più vecchio dei suoi cinquantaquattro anni e fragile come non avrei mai immaginato che sarebbe stato.

- La malattia non è mai giusta, padrona Giulia. E la morte è anche peggio. Perché tanti bambini muoiono? Perché la morte reclama una madre e lascia indietro degli orfani? Perché gli uomini si uccidono l’un l’altro in battaglia? - Merith si strinse nelle spalle. - Non siamo altro che mortali, padrona Giulia. Ma la dea è saggia e sa.

Aggrottai la fronte. La dea. Non ero mai stata religiosa anche se per abitudine recitavo preghiere e invocavo gli dei quando le formule di cortesia lo richiedevano. Ma lo facevo meccanicamente così come Mario Servilio frequentava l’altare della sua casa e faceva benedire le sue navi prima di vararle. Mio marito credeva solo in se stesso e io non credevo in nessun altro che Massimo, tuttavia egli era lontanissimo da me.

La dea di Merith non poteva che essere Iside, la dea egizia il cui tempio avevo visto in Ostia. Per decadi i culti orientali si erano insinuati in Italia, radunando devoti tra coloro che erano delusi dal culto ufficiale.
- Sì, padrona Giulia, la Madre Iside. Ella non può offrire risposte alle nostre domande su cosa è giusto o ingiusto, sulla vita e la morte. Ma ella ha dato a me e ad altre come me la capacità di curare, così che alcune vite possano essere risparmiate ed altre possano essere portate in questo mondo…

Brevemente, sollevai gli occhi e guardai il viso di Pollia Sabina Marcia, il sorriso materno congelato per l’eternità. Merith seguì il mio sguardo.
- Noi donne siamo tutte figlie della dea…

Il gemito di Mario Servilio la interruppe. Ella andò da lui e controllò i suoi segni vitali ancora una volta. Poi si girò e sorrise.
- La Madre Iside sia benedetta, la febbre è passata. Guarirà.

 

 

Mario Servilio guarì, sì, e non appena Sesostris lo dichiarò in grado di lasciare il letto, egli chiese a Fedro di aiutarlo a vestirsi e scese nel suo studio, per curarsi degli affari. La vita riprese la normalità e due settimane dopo celebrammo il banchetto rinviato.

Ma entrambi sapevamo che era l’inizio della fine.

 

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[1]  Femina medica: in latino, una donna medico che assiste esclusivamente pazienti donne e che fa anche da “ostetrica” (levatrice) (N.d.A.).

[2]  Valetudinarium: In latino, l’infermeria di un accampamento militare romano (N.d.A).

[3] Ecate era la divinità greca che presiedeva durante la notte alle strade; la sua statua veniva posta in ogni incrocio, ed incuteva paura essendo essa la guida notturna dei morti; amava stare accanto al sangue versato; i Greci usavano in un giorno di fine mese lasciare, di notte, agli incroci delle strade, un piatto con del cibo per la dea. Era rappresentata con tre teste o anche con tre corpi (N.d.T.).