Storie de Il Gladiatore

Storie ispirate dal film Il Gladiatore (Gladiator, 2000)

 

 Tempus fugit

di Ilaria Dotti

 

176 DC.

CAPITOLO I

Era una bella giornata di primavera e la giovane donna, che aveva appena finito di interrare alcune piantine aromatiche nel piccolo orto vicino alla villa,  stava contemplando con occhio critico il proprio lavoro quando una voce rispettosa richiamò la sua attenzione.

"Domina, ci sono visite," le disse uno dei servi.

Selene si sollevò e, ripulitasi le mani con il grembiule, uscì dall'orto per guardare chi stesse arrivando. Riparandosi con una mano gli occhi dal riverbero del sole, scorse un gruppo di persone a cavallo che stavano percorrendo il lungo viale ricoperto di ghiaia che conduceva alla villa.

Il suo cuore cominciò a battere più forte quando scorse i rossi stendardi della Legione Felix ma lei rimase immobile al suo posto, combattuta tra la speranza che suo marito fosse finalmente tornato a casa e la paura che i nuovi arrivati fossero messaggeri venuti ad annunciarle la sua morte.

 

Massimo Decimo Meridio procedeva in testa ai suoi uomini, assaporando la vista dei suoi campi e dei suoi vigneti. Sono a casa! continuava a gridare la sua mente. Dopo quasi tre anni passati a combattere sul limes danubiano, sono finalmente a casa!

Il Generale sollevò lo sguardo verso la villa che si intravedeva in lontananza tra gli alti alberi e il respiro gli si mozzò in gola. Una figura solitaria si stagliava al limite del cortile, le vesti candide che svolazzavano al vento, i capelli neri sciolti sulle spalle, le mani strette al petto. Massimo si sentì pervadere dalla gioia e piantati i talloni nei fianchi del suo cavallo si lanciò al galoppo verso sua moglie.

 

Selene vide il cavaliere staccarsi dal resto del gruppo e prima ancora che questi potesse alzare un braccio in cenno di saluto, seppe che si trattava di suo marito. Lo avrebbe riconosciuto tra mille, nonostante l'armatura, l'elmo, e il mantello.

Alzò gli occhi al cielo recitando una preghiera di ringraziamento agli dei e poi, sollevato il bordo della tunica con entrambe le mani si mise a correre giù per la collina e lungo il viale.

 

Si incontrarono più o meno a metà strada.

 

Massimo tirò le redini energicamente e saltò giù di sella prima ancora che il cavallo si arrestasse del tutto.

Con una mossa veloce si tolse l'elmo gettandolo nell'erba e percorse di corsa gli ultimi metri che lo separavano da sua moglie.

Selene gli si buttò tra le braccia e lui la strinse a sé, sollevandola da terra e facendola volteggiare.

Poi lui la rimise giù e, il viso bagnato di lacrime di gioia, cominciò a ricoprirle la faccia di baci che lei ricambiò con ardore, stringendosi al suo corpo, incurante della dura armatura.

Massimo prese il viso di sua moglie tra le mani e guardandola negli occhi mormorò: "Amore, sei ancora più bella di come ti ricordavo."

Lei sorrise tra le lacrime e rispose: "E tu sei ancora più imponente."

Lui sorrise e la strinse nuovamente a sé mentre lei gli nascondeva il viso contro il collo, chiudendo gli occhi per assaporare meglio la sua vicinanza. Dei, quanto le era mancato!

Quando riaprì gli occhi Selene si accorse che i compagni di viaggio di suo marito erano giunti alle loro spalle e stavano osservando la scena con un sorriso divertito sulle labbra.

"Massimo," sussurrò urgentemente. "I tuoi uomini ci stanno guardando."

"E allora?" rispose lui tra un bacio e l'altro.

"E allora non ti stai comportando in un modo degno di un generale!"

"Tra le tue braccia non sono un generale, sono solo un uomo, tuo marito."

Lei si staccò da lui e gli lanciò un'occhiata severa. Massimo sorrise arrendendosi e disse: "E sia, mi comporterò bene." Si ricompose un attimo, la prese per mano e si voltò verso i suoi uomini. "Vieni che ti faccio conoscere i migliori amici che un uomo o un soldato possano desiderare."

I legionari scesero di sella e si tolsero rispettosamente l'elmo mentre Massimo li presentava. "Questo è Valerio, il comandante della fanteria. Questo invece è Cicero, il mio attendente a cui tocca il duro compito di sopportare i miei silenzi e le mie varie manie."

"Domina Selene," salutarono a turno i due uomini, chinando il capo. La donna sorrise ad entrambi, felice di poter conoscere gli uomini che condividevano con suo marito i pericoli e i disagi della vita da soldato.

Massimo le posò un braccio sulle spalle e disse ancora: "Valerio sarà nostro ospite per qualche giorno poi proseguirà verso la sua casa mentre Cicero rimarrà con noi." Selene annuì e, ricordandosi improvvisamente dei suoi doveri di padrona di casa, disse: "Venite, andiamo dentro. Qui fa molto caldo e sono certa che non vedete l'ora di togliervi quelle armature." Gli uomini annuirono grati e tutti insieme si diressero verso la villa.

 

CAPITOLO II

L'interno della casa era fresco e arioso e Massimo si lasciò scappare un sospiro di felicità. Aveva passato un po' di tempo gironzolando per le stanze, assicurandosi che i suoi compagni fossero comodamente sistemati e salutando tutti i suoi servi, venuti ad accorglierlo felici per il suo ritorno ed orgogliosi per le sue gesta di condottiero. Ora si trovava nella sua camera da letto in attesa di sua moglie e dell'altra persona più importante della sua vita.

Sentì dei passi leggeri e si voltò in tempo per vedere Selene entrare nella stanza con in braccio un bambino. Suo figlio. Marco.

La gola gli si strinse nel vedere il piccolo. "Come è cresciuto" mormorò con voce roca per l'emozione avvicinandosi. Il bambino lo guardava attento con i suoi grandi occhi scuri, così simili a quelli di sua madre e Massimo allungò una mano tremante per accarezzargli i capelli.

Il piccolo Marco scostò la testa di scatto, sottraendosi al tocco di suo padre, e si strinse spaventato al petto di sua madre.

La mano di Massimo si arrestò a mezz'aria mentre il sorriso scompariva dal suo volto.

Selene gli lanciò un'occhiata preoccupata e poi si rivolse a Marco. "Shhh tesoro, non c'è niente di cui aver paura. Questo è papà."

Massimo sorrise di nuovo ma era evidente che il bambino non era per niente a suo agio in sua presenza. Il Generale deglutì sonoramente e poi disse con difficoltà. "E' meglio non insistere. Non voglio peggiorare le cose, imponendogli la mia presenza. Riportalo nella sua stanza."

Selene annuì mestamente, conscia di quanto fosse costato a Massimo pronunciare quelle parole, e si allontanò con Marco.

 

Quando tornò indietro, dopo avere affidato il bambino alla balia, trovò suo marito seduto sul bordo del letto, il capo chino appoggiato sulle mani. Selene strinse le labbra e gli si sedette a fianco, posandogli un braccio sulle spalle.

"Mi dispiace," gli sussurrò accarezzandogli la schiena per confortarlo. "Non immaginavo che avrebbe reagito in questo modo."

Massimo annuì senza sollevare la testa.

"Vedrai che gli passerà e che smetterà di comportarsi così."

Massimo si voltò a guardarla e fece un sorriso triste. "Non è colpa sua. L'ultima volta che mi ha visto aveva poco più di un anno e ora ne ha quasi quattro... Come potrebbe ricordarsi di me?"

Selene annuì e gli si strinse più vicina. Massimo aveva ragione: da quando si erano sposati avevano passato più tempo separati che insieme, accontentandosi di scambiarsi lunghe lettere che non potevano in alcun modo lenire il dolore della lontananza. Oh, se solo Massimo non fosse un così grande e valoroso comandante! Se solo non fosse l'uomo più fidato dell'imperatore! Le cose sarebbero molto più semplici per tutti loro.

Rimasero in silenzio per parecchi minuti finché lei non decise di scacciare quell'atmosfera triste. Non sapeva ancora quanto sarebbe durato il soggiorno di suo marito - non aveva avuto il coraggio di chiederglielo e comunque qualunque periodo di tempo sarebbe stato sempre troppo breve - ma certo non voleva sprecare nemmeno un minuto della sua visita.

Con un sorriso malizioso gli sussurrò nell'orecchio. "Mio Generale, avresti voglia di mostrarmi come sai usare la tua spada?" e così dicendo gli posò una mano sulla coscia, non lasciandogli alcun dubbio su cosa intendesse per "spada". Massimo le prese la mano, se la portò alle labbra e la baciò. Poi sorrise, strinse sua moglie tra le braccia ed insieme si lasciarono cadere all'indietro sul letto. 

 

CAPITOLO III

Nei giorni che seguirono Massimo sentì sciogliersi come neve al sole la tensione accumulata negli ultimi anni. Gradualmente imparò di nuovo a non scattare al minimo rumore, a non dormire con un pugnale stretto tra le mani, a non scrutare tra gli alberi alla perenne ricerca di barbari nascosti tra i tronchi. Si riabituò a camminare a piedi scalzi tra i vigneti, a correre tra i campi di grano e ad appisolarsi all'ombra di un enorme pioppo, come aveva fatto tante volte da bambino e da ragazzo.

 

Quanto a sua moglie, Selene, il suo cuore traboccava d'amore per lei e non passava giorno che non ringraziasse gli Dei per avergli fatto trovare una donna come lei: dolce e amorevole ma allo stesso tempo forte e risoluta. Una donna che aveva imparato a mandare avanti la fattoria in modo impeccabile, nonostante fosse stata una ragazza di città. Erano andati a fare un giro a cavallo per la proprietà e lei gli aveva mostrato alcuni cambiamenti apportati alle coltivazioni, sorprendendolo con la sua competenza.

"Sei veramente in gamba," le aveva detto ammirato.

Lei aveva sorriso rispondendo semplicemente. "Ho avuto un buon maestro," e poi lo aveva preso per mano e lo aveva condotto in un tranquillo boschetto per mostrargli in quali altri campi lui avesse saputo essere un ottimo maestro...

 

Purtroppo però, c'era un'ombra a turbare la sua serenità: Marco. Suo figlio sembrava proprio non riuscire a fidarsi di lui, irrigidendosi ogniqualvolta lo vedeva avvicinarsi. Massimo aveva cercato di andare incontro al bambino, inginocchiandosi a terra per non mettergli paura con la sua altezza e si era anche tagliato la barba temendo che potesse essere causa di timore, visto che era l'unico uomo ad averla, ma niente: Marco gli si avvicinava solo se chiamato e sempre molto teso mentre Selene assisteva alla scena con gli occhi pieni di tristezza.

 

CAPITOLO IV

"Che cosa posso fare?" si domandò un pomeriggio Massimo, pensando al suo bambino mentre passeggiava per la fattoria. Le braccia gli dolevano per il desiderio di abbracciare suo figlio e di stringerselo forte al petto ma come poteva farlo se Marco riusciva a malapena a chiamarlo "papà" e non "signore", come faceva con Valerio e Cicero?

 

Il suo vagabondare lo portò vicino ad un recinto dove era rinchiuso un piccolo pony dal manto candido come la neve. Selene gli aveva detto che Marco sembrava avere ereditato da lui la passione per i cavalli e quel pony era destinato a diventare la sua cavalcatura non appena fosse cresciuto abbastanza.

Massimo si appoggiò allo steccato e rimase ad osservare l'animale che sbuffava, sgroppava e si lanciava in brevi galoppate per poi arrestarsi di botto e ripartire nella direzione opposta.

Dopo alcuni minuti avvertì un rumore alle sue spalle e voltandosi vide che si trattava del piccolo Marco che guardava il pony con occhi sgranati. Il bambino si avvicinò alla staccionata e si fermò a pochi metri da suo padre.

"E' tanto bello vero?" chiese Marco all'improvviso.

Massimo riuscì a stento a controllarsi: quella era la prima volta che suo figlio gli aveva rivolto la parola di sua spontanea volontà. "Sì," convenne. "E' bellissimo."

Il bambino rimase un po' in silenzio e poi disse: "Vorrei fargli una carezza ma non si avvicina mai. Mamma dice che ha paura."

Massimo lo guardò con tenerezza, mentre un'idea andava formandosi nella sua mente. "Ti piacerebbe se lo facessi avvicinare?"

Marcò lo fissò stupito. "Ma non puoi! Lui non si avvicina a nessuno!"

"Me lo hai detto, ma io credo di poterlo fare. Ti piacerebbe se ci riuscissi?"

Suo figlio annuì più volte con la testa.

"Va bene, allora io adesso entro dentro ma tu rimani qui fuori fermo e in silenzio. Hai capito?"

Il bambino annuì nuovamente e Massimo entrò nel recinto, deciso a conquistarsi la fiducia dell'animale... e quella di suo figlio.

 

Massimo aveva sempre nutrito un grande amore per i cavalli ed era consapevole di possedere una dote che gli permetteva di capire le menti di quelle bellissime creature e mai come in quel momento fu grato agli dei per quel dono. Da bambino aveva passato tantissimo tempo ad osservare come interagivano tra loro i cavalli bradi ed aveva imparato una sorta di linguaggio corporeo per comunicare con loro, che includeva regole semplici come il non fissare mai l'animale negli occhi o il non avvicinarglisi puntando direttamente verso la testa, ma sempre verso i fianchi e le spalle. Utilizzando queste nozioni, cominciò a muoversi lentamente nel recinto, avvicinandosi ed allontanandosi dall'animale, in una sorta di strana danza, finché il pony, vinto dalla curiosità per quello strano essere a due gambe, non prese a seguirlo. Massimo continuò ancora per alcuni minuti ed alla fine l'animale compì l'ultimo passo, avvicinandoglisi e annusandogli le mani. Massimo si chinò e gli alitò nelle narici e poi, emettendo mormorii rassicuranti con le labbra, iniziò ad accarezzarlo sul muso e sul collo.

Era fatta.

 

Il Generale si voltò verso lo steccato e vide che suo figlio lo stava guardando con la piccola bocca spalancata.

"Marco?" chiamò piano.

Il bambino si riscosse e disse: "Sì?"

"Vuoi venire a fargli una carezza?"

"Sì," ripeté Marco.

"Allora scavalca lo steccato e vieni qui, ma non correre. Va bene?"

Il bambino fece come gli aveva detto e il pony non si spaventò, rimanendo fermo. Massimo si chinò e prese in braccio Marco che, con sua enorme gioia non oppose resistenza, e poi osservò contento la piccola mano posarsi sul manto candido dell'animale. Dopo pochi minuti il bambino smise di accarezzare il pony e si girò a guardare il viso di suo padre. I suoi occhi scuri fissarono solenni quelli azzurri di Massimo e poi Marco sorrise. Il cuore di Massimo si mise a fare le capriole nel suo petto mentre suo figlio gli chiedeva: "Come hai fatto?"

"E' un trucco. Se vuoi, quando sarai più grande te lo insegnerò."

Il bimbo annuì entusiasta. "Mi insegnerai anche a cavalcare? Mamma dice che sei tanto bravo."

"Certo che ti insegnerò a cavalcare. Anzi, se vuoi, puoi farlo già adesso... Ci vuoi provare?"

"Uhm uhm," annuì entusiasta Marco.

Massimo sollevò il bambino al di sopra della propria testa e lo fece sedere sulle sue ampie spalle, sistemandosi le sue gambe ai lati del collo e disse: "Tieniti forte!"

Marco si aggrappò alla sua tunica e lanciò un gridolino eccitato mentre suo padre prese a muoversi, aprendo il cancello del recinto ed incamminandosi verso casa.

Avevano fatto appena pochi passi quando Massimo ebbe la certezza che fossero osservati. Alzati gli occhi scorse Selene che li guardava da poco lontano. Anche Marco la vide e gridò: "Guarda mamma, anch'io vado a cavallo! A cavallo di papà!"

La donna sorrise e raggiunse suo marito e suo figlio. Massimo le mise un braccio sulle spalle, notando i suoi occhi pieni di lacrime di gioia. "Bravo," gli sussurrò Selene e lui rispose con un bacio, attirandola a sé.

Con il viso di sua moglie premuto contro il collo e le mani di suo figlio posate tra i suoi capelli, Massimo Decimo Meridio chiuse lentamente gli occhi, assaporando con il cuore pieno di gioia quell'attimo di semplice, perfetta felicità.

 

Torna all’inizio

 

Continua con L’Ispanico

 

 

L’Ispanico

Le fiction di Ilaria Dotti
Altre storie

Storie de Il Gladiatore

Storia di Massimo

Diario di Giulia