Storie de Il Gladiatore

Storie ispirate dal film Il Gladiatore (Gladiator, 2000)

 

 OGGI, IERI E DOMANI

di Ilaria Dotti

 Seconda parte
DOMANI

“Umh... Questo è veramente buono!”

Il commento entusiasta di Lucio, riferito ad un semplice pezzo di maiale arrosto, provocò le risate generali del gruppo seduto intorno al bivacco. Il ragazzo sollevò la testa dal piatto con un’espressione confusa come se si domandasse il perché di quelle risate. “Ma è vero!” esclamò.

“La libertà dà a ogni cosa un sapore migliore,” commentò sottovoce Massimo, quasi tra sé e sé, ma Lucilla lo udì lo stesso e si voltò a guardarlo, meravigliandosi ancora una volta che lui fosse davvero seduto accanto a lei, vivo e più bello che mai, malgrado il viso e il corpo mostrassero ancora i segni della sua sofferenza. Era magro e pallido, e aveva ombre scure sotto gli occhi, e Lucilla si chiese cosa potesse essergli capitato nei sei mesi precedenti. Quella domanda l’aveva tormentata negli ultimi due giorni e mezzo, ma fino a quel momento non c’era stato il tempo per parlarne, pressati com’erano dalla fretta di muoversi il più velocemente possibile, viaggiando anche di notte, con poche pause sufficienti appena a far riposare i cavalli e a mangiare. Quella era la prima sera in cui avevano potuto allestire un vero accampamento e Lucilla pensò che fosse giunto il momento di formulare qualche domanda, visto che non riusciva più a contenere la propria curiosità. Sapeva che gli uomini che l’avevano aiutata erano membri della legione Felix e voleva conoscere quale ruolo avessero avuto nella scomparsa di Massimo da Roma e nella sua guarigione. Aspettò quindi che tutti avessero finito di mangiare, poi chiese a Massimo: “Adesso non pensi che sia giunto il momento di raccontarmi quel che ti è capitato?”

Il silenzio cadde sul bivacco, e tutte le teste si voltarono a guardare in direzione del loro capo.

Massimo rimase assorto nei propri pensieri per lunghi istanti, quindi disse: “Hai ragione, è tempo che tu abbia qualche risposta. Ma credo che sarebbe meglio se fosse Valerio a raccontarti la prima parte della storia, perché io non ho molti ricordi di essa.”

Fece un debole sorriso, e batté la mano sulla spalla dell’uomo tarchiato e ricciuto al suo fianco.

“Agli ordini, generale.” Valerio si voltò a guardar Lucio e Lucilla, quindi cominciò a parlare. “Augusta, noi...”

“No, Valerio,” Lucilla alzò la mano. “Qui non c’è nessuna Augusta. Lei è morta, giace in fondo al mare. Qui c’è solo Lucilla, figlia di Marco. Per favore, non chiamarmi mai più così.”

Valerio chinò la testa. “Come desideri, domina.”

“Grazie. E adesso, ti prego, continua con il tuo racconto.”

“Era il giorno del duello nell’arena tra il Generale e Cesare. Tullio, Glauco ed io,” e indicò uno ad uno gli uomini seduti intorno al fuoco, che assentirono con la testa, “ci eravamo recati a Roma perché avevamo sentito voci secondo cui il Generale era vivo ed un gladiatore. Volevamo accertarci che questo fosse vero, prima che la notizia si spargesse tra le truppe. Cicero, l’attendente del generale era andato a Roma qualche giorno prima per la stessa ragione, ma non era più ritornato e cominciavamo ad essere impazienti. Così giungemmo in città e ci recammo al Colosseo. Non intendevamo assistere ai giochi, volevamo solo dare un’occhiata lì intorno, ma le guardie continuavano ad insistere che sarebbe successo qualcosa di speciale e così entrammo.” Valerio si fermò, sorseggiò un po’di vino quindi continuò. “Tu sai quel che accadde, domina. Il Generale vinse la sfida ma crollò sulla sabbia e fu portato via. Credemmo che fosse morto.” La voce del soldato tremò e Lucilla fu commossa dalla manifestazione dell’affetto che quell’uomo duro e cinico provava per il suo comandante. Anche Massimo ne fu colpito, poiché strinse il braccio del centurione in segno d’intesa. Valerio fece un respiro profondo e continuò. “Noi uscimmo dall’arena con gli altri spettatori, ma restammo nei paraggi in attesa che le guardie chiudessero i cancelli. Non volevamo tornare ad Ostia a raccontare agli uomini quel che era successo… non ancora. Poi uno di noi, non ricordo chi, fece la proposta di entrar nelle segrete del Colosseo per cercare il corpo del Generale e rendergli omaggio.”

“Volevate dirgli addio privatamente,” dedusse lei.

“Esatto. Immagina la nostra sorpresa quando finalmente scovammo il corpo e scoprimmo che il Generale era ancora vivo, anche se in gravi condizioni. Era incosciente e febbricitante, tuttavia vivo. Subito notammo che era stato ferito alla schiena e che il taglio...”

Lucilla lo interruppe per voltarsi verso Massimo e domandò con un sussurro. ”Chi?”

“Commodo,” replicò lui con voce altrettanto bassa. “Mi trafisse con uno stiletto alcuni minuti prima del duello. Voleva essere certo di vincere.” Massimo sorrise amaramente e Lucilla impallidì. Aveva sospettato qualcosa da subito, ma fu lo stesso terribile sentirlo dalla viva voce di lui. Pensò a quanto vicina fosse stata dal perderlo per sempre e ringraziò gli dei ancora una volta perché lui era ancora vivo.

Fu silenzio ancora per alcuni secondi, prima che Valerio riprendesse a raccontare. “Dopo alcune frenetiche consultazioni, decidemmo di portare il Generale da un dottore ma, spero tu voglia perdonarci, domina, non ci fidavamo del senato e della famiglia imperiale, non dopo quel che era appena accaduto. Così noleggiammo un carro e portammo il Generale ad Ostia dopo che Tullio, che ha qualche conoscenza medica, gli ebbe sistemato alla meglio la ferita.”

“L’avete portato all’accampamento della legione?”

“No, perché lì è difficile mantenere un segreto e noi volevamo che la presenza del Generale restasse sconosciuta, almeno finché fosse rimasto malato. Lo portammo a casa di un centurione veterano della legione Felix, la cui moglie è una guaritrice germanica. Essa salvò il Generale, ma lui ha rischiato di morire molte volte nelle settimane che seguirono a causa di diverse infezioni.”

“Oh,” esclamò Lucilla.

“Ma il nostro Generale è forte ed è sopravvissuto.”

“Sì, pensa all’ironia del destino,” commentò Massimo asciutto. “Essere salvato da una donna germanica dopo aver combattuto i Germani per anni!”

Vi furono parecchie risate, prima che Valerio concludesse la sua parte del racconto. “Quando il Generale si sentì meglio, lo portammo sui colli Albani per continuare la convalescenza in pace ed eravamo appena arrivati quando ci arrivò voce di come Pertinace avesse comprato la porpora dai pretoriani e ti avesse mandata in esilio. Per un certo periodo non dicemmo nulla al Generale, perché era ancora troppo debole, ma lui notò la nostra tensione. Come forse sai, alla legione Felix era stato dato l’incarico di sedare possibili ribellioni contro Pertinace ed eravamo preoccupati per i nostri compagni ancora in servizio. Ad ogni modo, il Generale notò che qualcosa non andava, cominciò a fare domande e quando minacciò di andare a Roma da solo, decidemmo che non potevamo tacere ancora e gli dicemmo la verità.”

Lucilla guardò Massimo, desiderando di leggere negli occhi di lui che cosa avesse provato quando aveva saputo del destino che il nuovo imperatore le aveva riservato, e l’ex gladiatore comprese che era giunto il momento di continuare il racconto. E lui lo fece, ma nascose così bene le proprie emozioni che Lucilla non riuscì a leggere nulla e ciò la confuse perché non sapeva cosa pensare di tale comportamento.

“Valerio ed io tornammo a Roma, dove chiedemmo del senatore Gracco e scoprimmo che era ancora vivo, anche se aveva quasi completamente perso il suo potere. Andammo a trovarlo e lui ci raccontò nel dettaglio quel che era accaduto a te e a Lucio. Ci confidò anche che temeva per la vostra vita e si chiese se ci fosse qualche possibilità di portarvi fuori da Caprae. Io gli dissi che l’avremmo fatto noi. Passammo alcuni giorni a studiare le mappe dell’isola e a organizzare la nostra spedizione. Molti dei legionari qui presenti,” Massimo li indicò con la mano, “hanno sacrificato le loro licenze per aiutarci, mentre altri hanno anticipato il loro congedo per essere con noi.”

Lucilla si voltò a guardar quegli uomini e chinò la testa davanti a loro. “Grazie di tutto. Non ho parole per dirvi quanto questo significhi per me.” Alcuni dei soldati s’inchinarono in risposta, altri agitarono la mano in segno di diniego, forse perché pensavano che non dovesse ringraziarli o forse perché, in realtà, se avevano messo a repentaglio le loro vite, non era per lei ma per il loro Generale.

“Ad ogni modo,” continuò l’Ispanico, “eravamo pronti quando giunse la notizia che Giuliano aveva preso il potere e dato l’ordine di giustiziarti. Ci recammo allora nell’Italia meridionale a fare quello che andava fatto,” concluse, come se la sua impresa fosse stata la cosa più semplice del mondo, “E già che ci siamo, qui c’è qualcosa che Gracco mi ha dato per te. E’ l’atto di proprietà di un podere vicino ad Eburacum[1] in Britannia.” Frugò nella borsa che portava appesa alla cintura e ne tirò fuori un papiro piegato. “Ha detto che lo avevi incaricato di acquistare una proprietà in qualche remota provincia e questo è il luogo dove intendo condurti.”

Lucilla prese il documento e lo guardò alla luce del fuoco, con Lucio che allungava il collo da dietro la sua spalla per leggere con lei.

“Andremo davvero in Britannia, madre?” domandò il bambino, affascinato dalla prospettiva di una grande avventura.

“Sì, andremo davvero lì.”

“E come sarà lì? Che cosa faremo? Vedremo gli uomini con le facce pitturate descritti da Giulio Cesare? Potrò avere un pony tutto per me, per cavalcare nella proprietà?” Il bambino era pieno di eccitazione e Lucilla sorrise. “Lo vedremo quando saremo lì, Lucio. Per il momento, è tempo di andare a dormire; se sarai fortunato, potrai sognare pony e uomini con la faccia dipinta di blu.”

“Io credo che sia tempo per tutti di coricarci,” disse Massimo alzandosi in piedi, subito imitato dai suoi uomini. Il gruppo si disperse rapidamente. Alcuni soldati andarono alle tende, altri si prepararono per il turno di guardia. Massimo andò a controllare i cavalli e Lucilla lo guardò allontanarsi con occhi ansiosi.

“Non lasciarti ingannare dal suo atteggiamento freddo, domina,” le sussurrò Valerio all’orecchio e lei quasi sobbalzò perché non l’aveva sentito avvicinarsi. “Era fuori di sé per la preoccupazione quando ha saputo dei pericolo che stavate correndo. Non l’ho mai visto in preda ad una simile angoscia. L’ho sentito ripetere più di una volta che non avrebbe permesso che succedesse di nuovo.”

“Che cosa?”

“Io credo che intendesse dire che non vuole perdere di nuovo qualcuno a cui vuole bene, come è accaduto con la sua famiglia.” Il centurione sospirò, prima di aggiungere: “Forse sto superando i miei limiti parlandotene, ma il Generale ha gridato il tuo nome quando stava delirando, insieme a quelli di sua moglie e di suo figlio. Lui ci tiene a te...  Ha solo paura di ammetterlo con se stesso.”

“Forse perché ha sofferto molto ed è ancora scosso.”

“Forse. Mia signora Lucilla, spero tu non pensi che io ami spifferare in giro le faccende altrui. Ho parlato con te perché ci tengo al mio Generale e voglio vederlo felice. Ha sofferto abbastanza e adesso ha bisogno di pace e serenità.” La fissò serio negli occhi.

“Lo so, Valerio. Lo so.” Lucilla strinse la grossa mano dell’altro. “Grazie di avermi detto questo e grazie per avergli salvato la vita. Ti prometto che farò il possibile perché non soffra più.”

“E’quel che speravo di sentire, signora.” Valerio sorrise e, dopo un ultimo inchino, le augurò la buona notte e se ne andò, lasciando Lucilla fuori a contemplare il cielo stellato, perduta nei propri pensieri.

*****

Durante i giorni successivi, la piccola carovana si spostò molto velocemente, viaggiando lungo piccole strade invece che in quelle più ampie, poiché esse erano meno trafficate delle strade consolari. Nei pressi di Ostia, il gruppo perse alcuni dei suoi membri, poiché otto soldati fecero ritorno al campo della legione Felix, dato che le loro licenze erano scadute, con la promessa di non rivelare a nessuno che Massimo, Lucio e Lucilla erano ancora vivi. Il resto della spedizione proseguì verso nord, percorrendo tutta l’Italia centrale e settentrionale. Attraversare le Alpi in pieno inverno non fu cosa di poco conto, ma ci riuscirono senza troppi problemi, aiutati dal bel tempo e dalla scarsità di neve. Una volta nel Norico, essi tornarono sulle strade più grandi, perché i rischi di essere intercettati dai pretoriani erano minori ed era meglio non vagabondare troppo nelle foreste infestate dai briganti.

Man mano che la distanza tra loro e Roma aumentava, Massimo si rilassò, cominciò a parlare più spesso, molto più simile all’uomo di cui Lucilla si era innamorata anni prima, che al comandante taciturno che aveva rivisto in Germania. Certo, era ancora triste e occasionalmente cadeva vittima di attacchi di malinconia durante i quali si isolava, ma tutto sommato era come se si fosse tolto un terribile peso dalle spalle. Aveva preso a trascorrere parte del suo tempo chiacchierando con Lucio, mostrandogli pazientemente su una mappa le strade che avrebbero percorso, spiegandogli perché dovevano prendere proprio quelle, e un giorno causò la reazione entusiastica del ragazzino quando gli propose una cavalcata in groppa al suo stallone, il quasi leggendario Scarto, che gli era stato restituito da Valerio e dagli altri soldati, mentre lui si riposava sul carro. Naturalmente l’ex generale non aveva bisogno di riposare, stava solo accontentando Lucio, ma questo fece sentire importante il bambino, a cui era stato affidato il prezioso cavallo del suo eroe. Lucilla era felice di veder lentamente consolidarsi l’affetto tra suo figlio e Massimo, ma qualche volta era un po’ gelosa di Lucio, per tutte le attenzioni che riceveva dall’Ispanico, il quale era sempre gentile e cortese con lei, ma anche distante. Era come se non si fidasse completamene di lei... o forse di se stesso, come Valerio aveva insinuato.

Lei non poteva dargli torto, ma desiderava disperatamente sapere che cosa lui provasse nei suoi riguardi. Se teneva ancora a lei come donna o se il suo tradimento aveva ucciso quella piccola fiamma di affetto che le aveva dimostrato nel Ludus Magnus ed egli stesse ora portandola in salvo solo per senso del dovere nei riguardi di suo padre. Avrebbe voluto sapere se c’erano ancora speranze di un futuro insieme, o se avrebbe fatto meglio a rassegnarsi, e questo le dava dolore. Lo amava, sognava ancora di dividere con lui la vita, e pregava ogni giorno con fervore che i suoi sogni diventassero realtà.

 

Rezia, 182 d.C., tardo inverno

Massimo respirò l’aria limpida, profumata di pino e sorrise. Era solo la metà di marzo, ma ovunque guardasse vedeva segni dell’imminente risveglio della natura dopo un inverno non troppo rigido, e la vista dell’erba tenera che cominciava a spuntare tra la neve lo riempì di meraviglia. Quanto gli era mancata quella pace della mente che faceva desiderare di fermarsi per goder di quelle semplici gioie!

Il piccolo gruppo formato da Massimo, Lucilla, Lucio e cinque ex centurioni della legione Felix, si stava adesso inoltrando nella provincia della Rezia. Circa quindici giorni di viaggio li separavano dal porto di Gesoriacum e dalla traversata dell’Oceanus Britannicus, oltre il quale avrebbero raggiunto la provincia più settentrionale dell’impero. Massimo ci si era già recato, diverso tempo prima poiché, in qualità di comandante dell’esercito del nord, era responsabile anche delle legioni d’istanza in Britannia e quindi era stato lì per un’ispezione. Gli era piaciuto quanto aveva visto a Londinium[2] e in altre città e lui pensava che la grande isola potesse essere un buon posto per cominciare una nuova vita. Il paesaggio era abbastanza diverso da non evocare ricordi di Tergillium e dell’Hispania, ma non così differente ed ostile come quello africano. Il senatore Gracco aveva dato all’Ispanico abbastanza denaro da comprare una casa e un po’di terreno ovunque volesse. All’inizio Massimo non aveva voluto accettare quei soldi, ma il vecchio politicante aveva insistito, dicendogli che quelli erano solo una piccola compensazione per ciò che aveva perduto e che per lui era un piacere poter aiutare l’ex generale in qualche modo. Il senatore non aveva figli e preferiva lasciare il suo denaro a qualcuno che considerava amico, piuttosto che vederlo finire nelle avide tasche di Giuliano. Massimo aveva sorriso alle parole di Gracco e aveva accettato le due borse piene di aurei, sapendo che erano una dimostrazione di amicizia e non un atto di carità.

Una cordiale risata lo riportò al presente e voltò la testa giusto in tempo per vedere Valerio e Glauco mollarsi delle gran pacche sulla schiena mentre i loro cavalli procedevano affiancati. Massimo si chiese quale fosse la causa della loro ilarità, ma decise di non indagare, rallegrandosi in silenzio della felicità dei propri amici. Egli sapeva da tanto tempo quanto quegli uomini gli fossero leali, glielo avevano dimostrato ampiamente sui campi di battaglia, ma era stato lo stesso stupito da come gli avessero salvato la vita, portandolo via dal Colosseo. Era rimasto toccato dalla gentilezza con cui si erano occupati di lui, assistendolo nel lungo periodo della sua malattia, dalla risolutezza con cui lo avevano protetto quando era convalescente e dall’abnegazione con cui lo avevano aiutato a liberare Lucilla e Lucio. Loro adesso meritavano una vita tranquilla, e lui sperava che riuscissero ad averla. Tre di loro si sarebbero fermati in Germania, dove l’impero li avevano compensati di 25 anni di servizio con alcuni acri di terreno e dove li attendevano le rispettive famiglie, mentre Valerio e Glauco avevano deciso di scortare lui, Lucilla e Lucio fino ad Eburacum per poi decidere il da farsi. Essi non avevano legami, l’esercito era sempre stato la loro unica famiglia.

La famiglia... I pensieri di Massimo tornarono a sua moglie e a suo figlio. Li aveva spesso sognati, nel delirio della febbre, dapprima desiderando di morire per raggiungerli, ma gradualmente aveva accettato il fatto che non fosse ancora la sua ora perché la nuova vita che i suoi uomini gli avevano donato era un regalo, prezioso e degno d’essere vissuto. Quindi il suo sguardo si posò su Lucilla; aveva spesso sognato di lei, vedendola morire uccisa dalle mani crudeli del fratello e quelle immagini lo avevano terrorizzato, restandogli impresse nella mente anche da sveglio.

Quindi aveva saputo del suo destino, e l’angoscia l’aveva attanagliato. Ma perché? Era solo dovere nei suoi riguardi? Perché lei era la figlia dell’uomo che aveva amato come un padre, o perché suo figlio era innocente e non doveva pagare per gli errori altrui? O c’erano altre ragioni? Ricordò il bacio che si erano scambiati nel Ludus Magnus e sentì il polso accelerargli. No, non erano solo dovere o compassione, ne era sicuro... Ma era pronto per qualcosa di più?

Massimo guardò verso il carro dove Lucilla stava viaggiando, seduta accanto a Tullio, mentre Lucio cavalcava davanti ad esso sul cavallo di Cassio e la guardò. Era bellissima, perfino più del solito, ora che non c’erano abiti sofisticati, acconciature elaborate e gioielli a profusione a distrarre l’occhio. I suoi lunghi capelli ricci brillavano come miele caldo sotto il sole invernale, le guance erano rosa e...

Massimo interruppe la serie dei suoi pensieri ed aggrottò la fronte: le guance della donna erano molto arrossate e lei continuava a sfiorarsi la fronte con una mano. L’Ispanico spronò il cavallo e si affiancò al carro, arrivando all’altezza del sedile del guidatore. Lei lo salutò con un sorriso.

“Ti senti bene?” le chiese notando che la pelle sugli zigomi era tesa e gli occhi troppo brillanti.

“Sì, ho solo un po’ di mal di testa e dei capogiri... Devo aver preso freddo l’altra notte.”

Massimo non ne era convinto. Allungò il braccio e le sfiorò la fronte con il palmo della mano prima di ritrarla mordendosi il labbro inferiore. “Ma tu scotti, Lucilla!” disse con voce preoccupata. “Vai nel carro e coricati. Ci fermeremo appena troveremo un posto decente dove accamparci.”

Lucilla annuì e fece quel che le era stato detto, infilandosi nel carro senza protestare e questo accrebbe ancora di più la preoccupazione di Massimo. Da quanto tempo non stava bene? Imprecò tra i denti. Stavano attraversando un’area quasi disabitata, l’ultimo villaggio che avevano visto distava almeno venti miglia e la possibilità di trovare un medico era minima. Poteva solo pregare gli dei che non fosse nulla di grave.

*****

Durante la notte le condizioni di Lucilla peggiorarono, e una brutta tosse si aggiunse alla febbre alta. Massimo era molto preoccupato, ma si sforzò di non dimostrarlo di fronte a Lucio, non volendo spaventare il bambino. Tuttavia non fu possibile negare la gravità delle condizioni di Lucilla quando il giorno dopo il gruppo non riprese il viaggio e Tullio tornò indietro verso l’ultimo villaggio che avevano oltrepassato strada facendo, alla ricerca di un guaritore o almeno di qualche erba medicamentosa. Lucio reagì male alle notizie e scappò via andando a nascondersi nella foresta che circondava il bivacco.

Massimo lo trovò poco dopo, seduto vicino a un albero, le braccia intorno alle ginocchia e la faccia rigata di lacrime. L’Ispanico gli si inginocchiò accanto e gli chiese, carezzandogli i capelli. “Che c’è, Lucio?”

“Temo che la mamma muoia e mi lasci solo,” singhiozzò il bambino.

“Tua madre non morirà; è forte e starà presto meglio. Ha una grande forza di volontà e molte ragioni per vivere: tu, la vostra nuova casa in Britannia, la vostra nuova vita lassù..

“E te.” Lucio smise di piangere e lo guardò con franchezza.

“Io?” domandò Massimo.

“Sì. A mia madre piaci parecchio. Era così triste quando ti credevamo morto, e adesso invece è felice. Vedo come sorride quando ti guarda mentre tu non te ne accorgi.”

Massimo sorrise alle ingenue osservazioni del ragazzino. “Anche a me lei piace molto. E anche tu mi piaci,” disse scompigliando i capelli di Lucio.

“Rimarrai con noi in Britannia?”

“Ne saresti contento?”

“Sì, mi piacerebbe molto.”

“Bene, Lucio. Ancora non so quello che farò, ma posso prometterti che starò con voi finché avrete bisogno di me.”

Il ragazzo considerò quelle parole e annuì. “Grazie.” Abbracciò quindi Massimo, nascondendo il viso bagnato nell’incavo del suo collo e l’Ispanico non poté che ricambiare il gesto, sentendo il cuore pieno di tenerezza e di affetto.

Lucio respirò rumorosamente e lui gli porse un pezzo di stoffa per asciugarsi gli occhi e pulirsi il naso. “Adesso è giunta l’ora di tornare dagli altri. Perché non mi aiuti a strigliare Scarto mentre aspettiamo il ritorno di Tullio?”

“Sì, signore!” esclamò il ragazzo scattando in piedi, gli occhi scintillanti d’eccitazione.

“Bene.” Massimo sorrise, mise un braccio intorno alle spalle di Lucio e gentilmente lo guidò verso l’accampamento, sentendosi molto protettivo nei riguardi di quel bambino così simile al suo piccolo Marco.

*****

Più tardi, quello stesso giorno la febbre di Lucilla raggiunse il culmine e Massimo passò la notte al fianco di lei, mentre Lucio dormiva nella sua tenda con Valerio, bagnandole la fronte infuocata con acqua ricavata facendo sciogliere la neve e bloccandole gli arti quando, in preda al delirio, si agitava troppo. Gli faceva pena vederla in quello stato; aveva visto diverse altre volte soldati febbricitanti delirare, ma la sua sofferenza e i suoi lamenti erano ben più intollerabili.

A un certo punto, durante la notte, Lucilla cominciò a chiamare suo padre e Massimo tentò di calmarla rispondendole, stringendole la mano e mormorandole: “Sono qui, Lucilla.” Gli occhi di lei erano aperti ma assenti e non lo riconobbe.

“Padre?” sussurrò. “Sei davvero qui?”

“Sì, sono qui.” Massimo le scostò dalla fronte i capelli sudati.

“E Annia? Dov’è Annia?” domandò lei.

“Annia?” ripetè l’Ispanico non riconoscendo il nome.

“Sì, Annia... Dov’é la mia piccina? Non la vedo.” E riprese ad agitarsi.

“Io... Lei dorme,” mormorò Massimo sperando che quella risposta servisse a calmarla. La cosa sembrò funzionare perché Lucilla si rilassò e un sorriso le comparve sulle labbra secche. “E’ bella, vero? Proprio come suo padre, proprio come Ma...” La sua voce si spense e lei si zittì, mentre gli occhi le si chiusero e la testa ricadde all’indietro. Per un secondo, Massimo temette il peggio, tanto repentino era stato il cambiamento, ma si tranquillizzò notando l’alzarsi e l’abbassarsi del suo petto.

Continuò a bagnarla tutta la notte e all’alba del nuovo giorno, le erbe che Tullio aveva procurato sembrarono iniziare a sortire i loro effetti e la febbre calò. Massimo aspettò un po’ per essere sicuro che il cambiamento fosse definitivo, quindi lasciò Valerio ad assisterla e si ritirò nella sua tenda per dormire un po’.

Il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi fu per la misteriosa Annia. Chi era costei? Era ovvio che fosse importante per Lucilla. Una figlia, forse? Ma se così era, perché Marco Aurelio non gli aveva mai detto niente nel corso delle loro lunghe chiacchierate sulle rispettive famiglie?

*****

Le condizioni di Lucilla migliorarono rapidamente, ma dopo la grande paura provata, Massimo insistette affinché lei passasse a letto i successivi tre giorni dopo la scomparsa della febbre. Lei ubbidì, ma il secondo giorno era già annoiata e smaniosa di muoversi. Per cercare di tenerla tranquilla almeno un altro giorno, Massimo si procurò una tavola quadrata di legno, ci incise sopra alcune linee e con l’aiuto di alcuni sassolini costruì una scacchiera per i latrunculi che le mostrò dicendo: “Ti andrebbe una partita?” Lucilla sorrise al suo capolavoro, commossa da quelle attenzioni.

Cominciarono a giocare subito, lei sdraiata sul letto, lui seduto sul pianale del carro coperto, la scacchiera posata sul comodino tra di loro, che si persero in silenzio nel ricordo dell’ultima volta che avevano giocato insieme. Dopo un po’, Massimo ruppe il silenzio. “Posso chiederti una cosa?”

“Certo,” rispose lei alzando gli occhi dalla scacchiera per guardarlo.

“Chi è Annia?”

Lucilla impallidì tanto repentinamente che lui temette stesse per svenire. “Come... Come fai a conoscere questo nome?”

“Lo hai gridato molte volte mentre deliravi.”

“Capisco.” Lucilla abbassò la testa per guardarsi le mani tremanti, quindi lo fissò di nuovo. “Annia era mia figlia, Massimo.”

“Oh.” L’Ispanico non fu sorpreso dal constatare che la sua tesi era giusta. “Tuo padre non mi ha mai parlato di lei.” Questo era strano, considerando quanto egli fosse orgoglioso di Lucio.

“Morì piccolissima, aveva solo cinque mesi.” Lucilla guardò fuori dalla finestra del carro, e inghiottì a fatica.

“Mi dispiace... Deve essere stato duro spiegare a Lucio che aveva perduto la sua sorellina. Ricordo quanto è stato difficile spiegare a Marco che il suo coniglietto se n’era andato per sempre...” mormorò Massimo, dicendo la prima cosa che gli venne in mente.

Lucilla sospirò profondamente. “Lucio non sa di aver avuto una sorella. Annia era di oltre un anno maggiore di lui.”

“Capisco.” Massimo rimase un attimo silenzioso mentre la sua mente rimuginava sull’ultimo dettaglio. C’era qualcosa di sbagliato in tutto quello. Lui sapeva che Lucio era nato grossomodo nello stesso periodo in cui era nato Marco, quindi Lucilla doveva aver messo al mondo Annia solo pochi mesi dopo le sue nozze con Lucio Vero... La testa dell’Ispanico scattò verso l’alto, mentre un pensiero gli attraversò rapido la mente. “Quando nacque Annia, esattamente?”

Il suo tono pratico pretendeva una risposta e, per quanto Lucilla desiderasse evitare la verità, sapeva che non poteva mentirgli ancora. “Nacque sette mesi dopo le mie nozze,” e inghiottì a fatica, “era tua figlia, Massimo.”

Lui impallidì, lo sguardo pieno di stupore, quindi strinse gli occhi e il suo viso si indurì.

“Mia figlia? Mia figlia?!” ringhiò con rabbia a stento repressa.

Lucilla annuì lentamente. “Sì”

“Perché non me l’hai mai detto? Non avevo il diritto di saperlo?” Era adirato, ma anche ferito, e la sua voce lo tradiva.

“Massimo, io volevo dirtelo ma non ho potuto. Tu sai che mio padre aveva recisamente proibito ogni comunicazione fra di noi... E anch’io volevo proteggerti.” Lei alzò la mano per toccargli il braccio, ma lui la respinse.

“Proteggermi? Proteggermi?! Tu stai mentendo! Come del resto hai fatto altre volte con me!” sbottò lui. “Io sono sempre stato il tuo giocattolo, qualcuno da tenere sotto controllo e da piegare ai tuoi desideri!” Come un animale ferito, egli menava zampate alla cieca, cercando di farle più male possibile. “Mi chiedo se hai mai provato un po’d’affetto per me o se hai sempre solo giocato con i miei sentimenti!”

“Non è vero!” gridò lei, “io ti ho amato e ti...”

“Lascia perdere, non voglio sentire altre bugie!” disse lui con sarcasmo, prima di alzarsi in piedi, gettando a terra la scacchiera, e lasciare il carrozzone incurante delle disperate suppliche di Lucilla che lo pregavano di fermarsi.

 *****

Massimo corse via dall’accampamento e si rifugiò nella foresta, come aveva fatto Lucio qualche giorno prima, camminando veloce ed evitando a fatica cespugli e rami bassi, finché trovò una piccola radura e si fermò. Respirò profondamente, cercando di calmarsi, sperando che il mormorio delle acque potesse raddolcire il suo cuore amareggiato. Aveva avuto una figlia e l’aveva perduta senza aver mai avuto la possibilità di conoscerla. Annia. Gustò tra le labbra il suo nome. Annia, la sua piccolina. Aveva desiderato a lungo una figlia, ma gli dei non avevano ritenuto opportuno che lui e Selene avessero altri figli oltre a Marco, nonostante lo avessero sperato tanto. Si domandò tante cose a proposito di Annia: a chi era assomigliata? Era stata bruna come lui? O aveva avuto i riccioli castano chiari di sua madre? Sua madre... Lucilla. Massimo chiuse gli occhi. L’aveva ferita, poco prima, perché non gli era sembrato giusto che fosse solo lui a soffrire in quel modo.

Ma non era del tutto colpa di Lucilla se lui non aveva mai saputo niente di sua figlia. Ricordò quanto duro e inflessibile fosse stato Marco Aurelio quel pomeriggio di quasi dodici anni prima, quando gli aveva ordinato di non cercar in alcun modo di contattare Lucilla e come l’imperatore gli aveva detto che avrebbe fatto le stesse raccomandazioni alla figlia. Ricordò che Marco gli aveva spiegato quali rischi avrebbero corso entrambi se la relazione fosse divenuta di pubblico dominio e come il suo amato Cesare, anni dopo, l’avesse informato con tristezza di dover far ricorso a codici cifrati anche nella corrispondenza privata, per paura che qualcuno potesse leggerla. Come avrebbe potuto Lucilla, in simili circostanze, comunicargli una notizia potenzialmente pericolosa come il fatto che lui fosse il vero padre di sua figlia? Che cosa sarebbe successo se la lettera fosse stata intercettata da Lucio Vero? O da Commodo? O da Faustina, la madre di Lucilla, la cui mancanza di moralità era nota anche nelle province? No, pensò Massimo, Lucilla aveva fatto bene a stare zitta, proteggendo tutti coloro che le erano vicini, evitando che suo marito potesse esporre la bambina, qualora avesse scoperto la verità. Inoltre l’Ispanico sapeva quanto sarebbe stato penoso per lui sapere di aver una figlia e non poterla mai vedere...

Trascorse ancora un po’di tempo nel bosco lasciando il suo luogo di riflessione solo quando il sole cominciò a calare.

Valerio gli diede un’occhiata confusa quando lui ricomparve all’accampamento e Massimo gli fece capire con un cenno della testa che andava tutto bene e che sarebbe potuto andare avanti con la preparazione della cena. L’ex centurione annuì ma guardò di sottecchi mentre Massimo entrava nel carro, per controllare le condizioni di Lucilla e scusarsi con lei della sfuriata di poco prima.

*****

Lucilla giaceva su di un fianco, e i suoi singhiozzi convulsi spezzarono il cuore di Massimo. Era così perduta nel proprio dolore che non si accorse di lui finché non si sedette sul letto e le sfiorò gentilmente le spalle, facendola sedere e stringendola tra le braccia.

Quando lei si rese conto di quel che stava accadendo, rispose al forte abbraccio di lui nascondendogli il viso nell’incavo del collo e mettendosi a pianger più forte di prima.

“Shh...” la calmò lui carezzandole piano la schiena, con lenti movimenti circolari. “Va tutto bene...”

Lucilla alzò il viso bagnato per guardarlo. “Non volevo farti del male,” sussurrò con voce tremante, “non avrei mai voluto. So che ho sbagliato a mentirti a proposito di Lucio Vero, ma l’ho fatto solo perché volevo stare con te... Non ho mai voluto prenderti in giro... Di certo, mai volontariamente.” Tirò su col naso e si fermò in attesa della sua reazione. Massimo l’abbracciò più forte per dimostrarle che la stava ascoltando e per invitarla a continuare. “Per quanto riguarda Annia, avrei voluto gridare al mondo intero che tu eri il vero padre della mia piccina, ma non potevo... Io non potevo.”

Lui non parlò, non fidandosi completamente delle sue emozioni, ma le sfiorò la guancia con l’indice, come aveva fatto quando si erano incontrati al Ludus Magnus e la tenerezza nel suo sguardo le fece scorrere nuove lacrime dagli occhi.

“Sembra che io riesca solo a farti del male,” continuò. “Ti ho causato solo dolore e per poco non ti ho fatto uccidere... Io non capisco come tu possa anche solo sopportare la mia vista.”

“Non dire così,” sussurrò lui, continuando a carezzarle col dito la guancia e la mascella.

“Ma io ti ho consegnato a Commodo! Gli ho rivelato i tuoi piani di fuga! Questo lo sai?” Lucilla quasi gridò.

“Sì, lo so,” disse lui calmo, prendendola per le spalle e guardandola negli occhi. “Ma ti ho perdonata tempo fa. Sono quasi sicuro che l’abbia fatto solo perché Commodo teneva Lucio in ostaggio.” La guardò con aria interrogativa e lei annuì. “Nella tua situazione, avrei probabilmente fatto lo stesso, per salvare mio figlio.”

Lucilla ne dubitò, ma vide che era serio nella sua affermazione di averla perdonata.

Io non merito la tua gentilezza, pensò, prima di sussurrare: “Grazie,” e nascondergli ancora il viso nell’incavo del collo.

Questa volta, le lacrime non nacquero dal dolore, ma dal sollievo. Nell’abbraccio sicuro di lui, lei dimenticò anni di sensi di colpa, paura e disperazione, grata di non doversi dimostrare ancora forte ma di poter contare sull’aiuto del grande cuore di Massimo. Un cuore che, giurò solennemente a se stessa e agli dei, lei non avrebbe mai più ferito, per il resto della sua vita.

*****

Sottili, pallidi raggi di sole, filtrando dentro il carro, disturbarono il sonno di Lucilla. Provò a girarsi dall’altra parte per bloccarli e dormire ancora un po’, ma un paio di forti braccia glielo impedirono. Apri gli occhi e fissò la faccia addormentata di Massimo che giaceva sul cuscino accanto alla propria. Il suo cuore iniziò a galoppare a quella visione; quanti anni erano passati dall’ultima volta che si era risvegliata tra le braccia di lui! E come era bello averlo ancora una volta nel suo letto! Adesso Lucilla sapeva perché aveva dormito così bene: sebbene fosse ancora convalescente e nonostante le violente emozioni del giorno prima, aveva goduto della notte più riposante degli ultimi anni. La presenza di Massimo la faceva sentire al sicuro anche quando stava nel regno di Morfeo. Osservò il viso di lui ancora addormentato, resistendo a fatica alla tentazione di carezzargli la guancia barbuta. Mentre dormiva, alcuni dei segni che aveva intorno agli occhi e alla bocca, causati da responsabilità, dispiaceri e sofferenze, sbiadivano o scomparivano, facendolo sembrare più giovane, quasi come quando si erano incontrati per la prima volta. Le causava dolore pensare di potere essere stata la causa di qualcuna delle rughe, ma il ricordo del suo perdono, la sera prima, la riempì di gioia.

Massimo era stato davvero sincero e lei aveva cominciato a chiedersi se potesse azzardarsi a sperare che ci fossero ancora possibilità di un futuro insieme. Dovevano ancora discutere quello che sarebbe accaduto una volta che avessero raggiunto la proprietà vicino a Eburacum, ma lei sperava che lui decidesse di fermarsi e di iniziare una nuova vita accanto a lei e a Lucio.

Lei lo amava ancora, a maggior ragione ora che aveva conosciuto il terribile dolore di averlo perduto, e sperava che, con il passare del tempo, quando le ferite provocate dalla morte dei suoi familiari fossero guarite, egli avrebbe potuto ricambiare il suo amore. Lasciando che fosse il cuore a guidarla, Lucilla lo baciò lievemente sulle labbra calde, quindi spostò la testa all’indietro per guardarlo svegliarsi. Le ciglia palpitarono, mentre apriva gli occhi, impiegando qualche attimo per focalizzare la sua visione. Massimo sembrò sorpreso, quindi imbarazzato di trovarla tra le sue braccia e provò a spostarsi, ma lei glielo impedì stringendolo più forte.

“Buon giorno,” gli sussurrò con un sorriso.

“Buon giorno,” replicò, con un’espressione dolcissima sul viso. “Come ti senti?”

“Molto meglio. Questa è stata la notte più riposante dopo tanti anni.”

Massimo annuì. “Io potrei dire altrettanto.”

“Davvero?”

“Sì.”

Si sorrisero l’un l’altra prima che lui provasse ancora a muoversi. Questa volta, lei lo lasciò andare, guadandolo sedersi e lisciarsi i corti capelli all’indietro. Le sarebbe piaciuto fare altrettanto, ma sentì che non era il momento.

“Allora,” domandò lui. “Che cosa vorresti per colazione?”

“Pane con miele e brodo sarebbe perfetto.”

“Quel che la signora desidera, la signora avrà,” commentò Massimo con una smorfia fanciullesca che le mozzò il respiro, e si preparò a uscire. Si era appena alzato in piedi, che Lucilla allungò la mano e gli prese il polso. Quando lui la guardò interrogativamente, lei alzò la testa e lo fissò negli occhi sussurrando: “Grazie, Massimo. Per esserci stato quando ho avuto bisogno di te.”

Lei lo guardò deglutire a fatica, quindi annuire seccamente, ma non gli uscì parola di bocca. Non era necessario, poiché i suoi espressivi occhi verdazzurro avevano detto tutto ciò che lei voleva sapere. C’era ancora speranza per loro due, e il cuore le palpitò di gioia quando lo vide lasciare il carro e prepararsi per la nuova giornata.

 *****

La malattia di Lucilla e la successiva convalescenza segnarono l’inizio di una nuova fase della relazione tra lei e Massimo. La loro discussione era servita a fare chiarezza, spazzando via anni di vecchi sentimenti, e adesso erano pronti a iniziare a ricostruire un’altra volta sulle fondamenta di un affetto che aveva rifiutato di spegnersi, malgrado tutto e tutti.

Iniziò piano, con lunghe e agguerrite partite di latrunculi giocate sotto gli occhi attenti di Lucio e dei soldati, con gli ex legionari che scommettevano tra di loro su chi sarebbe stato il vincitore, e continuò con ugualmente lunghe e fervide discussioni seduti intorno al fuoco o dentro il carro.

Agli inizi, le loro conversazioni furono esitanti e brancolanti, perché non era facile trovare argomenti sicuri. Così avevano iniziato a parlare delle strane cerimonie e tradizioni a cui avevano assistito o che avevano scoperto, Massimo vivendo per anni in Germania, Lucilla viaggiando in molte regioni dell’impero con suo padre e suo marito. Lucio, che fino a quel momento aveva avuto una vita molto tranquilla ed era ansioso di sapere se il mondo reale somigliasse a quello descritto nei libri, era molto felice di ascoltare quei racconti.

Ma gradualmente la loro affinità emotiva crebbe e i loro discorsi cominciarono a farsi più profondi e più intimi, non più adatti alle orecchie del bambino. Massimo le narrò del dolore che aveva provato al ritrovamento dei suoi familiari sterminati, del suo desiderio di morire, del suo istinto di sopravvivenza, che non lo aveva mai abbandonato, spingendolo a continuare a lottare, a sopravvivere alle dure condizioni di vita di gladiatore, e a trasformarsi nell’Ispanico. Lucilla gli parlò a sua volta degli anni passati accanto a Commodo, guardandolo trasformarsi dal fratellino strambo in un mostro perverso, ma sempre volendogli bene, finché le sue attenzioni non erano diventate incestuose. Parlarono anche delle loro vite matrimoniali e lamentarono la scomparsa dei loro cari: Selene, Marco, Annia.

Solo due argomenti furono accuratamente evitati: il loro passato amore e il futuro una volta giunti in Britannia, ma entrambi sapevano che era solo questione di tempo.

*****

Era tarda notte, ma Lucilla non riusciva a dormire, troppi erano i pensieri che le si affollavano in mente. Le succedeva sempre. Se era tesa o preoccupata, non riusciva a dormire e durante il periodo in cui Commodo era stato imperatore, avrebbe potuto contare sulla punta delle dita le notti in cui aveva potuto godere di più di poche ore di riposo decente. Fortunatamente, non viveva più in quelle condizioni stressanti, ma ancora la sua mente era ben lungi dal rilassarsi. Alla fine, rinunciò ad imporsi di dormire e accese la lampada. Si sedette sul letto e si guardò intorno nella camera, la prima vera stanza da letto che vedeva da quando aveva lasciato Caprae, circa tre mesi prima. Quanta strada aveva percorso, da quel giorno! In tutti i sensi, sorrise a se stessa.

Il piccolo gruppo era adesso a Gesoriacum, in attesa della nave che li avrebbe portati in Britannia. Essa era attesa tra due giorni ed avevano deciso di passare il loro tempo nel migliore albergo della città invece che accampati fuori dalle mura come avevano fatto fino a quel momento. “Penso che ne abbiamo il diritto,” aveva detto Massimo con un sorriso e il resto del gruppo si era trovato d’accordo con lui, specialmente dopo che il locandiere aveva detto loro, non senza un malcelato orgoglio, che l’edificio aveva un piccolo bagno privato a disposizione degli ospiti. Perfino Lucio, che come quasi tutti i bambini non amava molto i bagni, aveva saltato dalla gioia alla notizia e passato quasi un’ora sguazzando nella piscina. Era davvero una gran cosa che ci fossero solo pochi ospiti nell’albergo, perché il loro gruppo aveva finito con l’occupare il bagno per quasi tutto il pomeriggio. Lucilla pensò a quanto era stata piacevole la lunga immersione nella piscina, e decise che forse un altro bagno caldo l’avrebbe aiutata a rilassarsi. Senza perder tempo, si rivestì, prese un asciugamano e lasciò la stanza.

Alcuni minti dopo, era nuovamente nel calidarium, i capelli raccolti, la testa abbandonata sul bordo di marmo della vasca, con piccole nuvole di vapore che la circondavano salendo dall’acqua calda. Non era preoccupata del fatto che qualcuno potesse disturbarla, perché aveva pagato lo schiavo di guardia ai bagni affinché non lasciasse entrar nessuno, nell’ipotesi improbabile che qualcuno volesse fare il bagno a così tarda ora.

Con gli occhi chiusi, Lucilla ordinò al suo corpo di rilassarsi e lasciò vagare la mente. Ovviamente, i suoi pensieri andarono a Massimo e trasse la conclusione che era lui la causa della sua tensione. Non era qualcosa che lui aveva fatto. Era piuttosto qualcosa che lui, loro, non avevano fatto: dovevano ancora discutere che cosa avrebbero fatto una volta giunti a Eburacum. Si, era vero, c’era ancora del tempo prima che il viaggio finisse, ma sembrava che l’imminente traversata segnasse un punto di non ritorno per lei. Come se per lei in Britannia stesse per cominciare una nuova vita, e lei voleva disperatamente sapere se Massimo ne avrebbe fatto parte. Ma, allo stesso tempo, aveva paura di chiederglielo. Era una situazione senza via d’uscita… Gli occhi di Lucilla si spalancarono, non appena sentì un rumore di passi echeggiare nella parte più lontana della stanza da bagno. Chi c’era lì dentro? E perché lo schiavo non aveva bloccato l’intruso o quantomeno avvertito lei? Si guardò intorno alla frenetica ricerca della tunica e della biancheria e fu sul punto di mettersi a nuotare in quella direzione, quando i passi cessarono e lei udì un suono strozzato. Si girò coprendosi il seno con le braccia e gettò un’occhiata.

Era Massimo.

Se ne stava vicino alla vasca, vestito con una tunica rosso vino e aveva un asciugamano al braccio. La guardava con un’espressione di meraviglia sulla faccia attraente. Lucilla lo fissò di rimando, muta, finché non notò quanto difficile fosse per lui prevenire che i propri occhi si posassero sulla curva superiore del suo seno, a stento coperta dalle braccia incrociate. La constatazione le accelerò il battito del cuore e pensò che forse era giunto il momento di avere quelle risposte per cui tanto aveva pregato. Ma non parlò ancora e dopo alcuni momenti di silenzio, Massimo sbatté le palpebre e si schiarì la gola. “Io... mi dispiace, Lucilla. Credevo che non ci fosse nessuno. Me ne andrò subito. Buonanotte.” Si inchinò, quindi si voltò e fece per andarsene, ma prima che riuscisse a fare un solo passo, Lucilla gridò: “Massimo, fermati!”

E com’era successo diciotto mesi prima a Vindobona, l’Ispanico si fermò. Lucilla emerse dalla piscina, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, e quando Massimo si voltò, nessuna barriera gli impedì la visione di lei.

Era splendida, con l’acqua che le scorreva lungo il corpo, che era diverso, molto più pieno e sinuoso rispetto a come lui lo ricordava. Era il corpo di una donna, non di una ragazza. Gli occhi di Massimo non sapevano dove guardare ed egli sembrava volersi bere tutto di lei allo stesso momento. Lucilla rimase esposta al suo sguardo indagatore, senza vergogna o imbarazzo, ma il cuore le martellava in petto. E anche lei osservò Massimo, spiando le sue reazioni.

Non era indifferente, non lo era affatto. I suoi bellissimi occhi verdazzurro erano dilatati, le narici frementi, la mascella contratta, il respiro rapido, e un gonfiore inequivocabile gli era apparso sotto la tunica. Rimasero fermi per quella che sembrò un’eternità, quindi Massimo tese un braccio. Non disse una parola, aspettò semplicemente che lei uscisse dalla vasca, attraversasse la stanza e prendesse la sua mano. Quando gli fu di fronte, lui aprì il telo che aveva portato con sé e lo drappeggiò intorno a Lucilla, asciugandole il corpo con massaggi decisi ma gentili e gli occhi brucianti non lasciarono mai quelli di lei. Quando fu asciutta, lui annodò l’asciugamano attorno al suo busto, quindi si chinò, la prese tra le braccia ed insieme lasciarono la stanza. Lucilla era meravigliata dal comportamento, dalla intensità e dal silenzio di lui, e provò a romperne la calma, prendendogli la testa e baciandolo sulla bocca. La reazione di lui fu immediata: cessò di muoversi, aprì le labbra e la baciò con un’urgenza a stento contenuta, facendole capire che se non l’aveva fatto prima, era per paura che potesse perdere il controllo e la prendesse lì e subito, sul freddo pavimento di marmo. A lei non gliene sarebbe importato oltremodo, tanto grande era il suo bisogno, ma apprezzò il desiderio di riservatezza. Massimo lasciò le sue labbra e riprese a camminare a passi molto più veloci. Quando uscirono dalla stanza da bagno, Lucilla gettò un’occhiata allo schiavo addormentato, comprendendo come mai non avesse impedito all’Ispanico di entrare. Si sorrise, ringraziando in cuor suo il ragazzo per non averlo fatto.

 *****

Una volta giunti nella stanza di lei, Massimo chiuse la porta, sempre tenendo Lucilla tra le braccia, quindi avanzò verso il centro della camera e la mise giù. L’asciugamano cadde in un unico movimento svolazzante e la lasciò di nuovo nuda. Questa volta, Massimo non si limitò a guardare. Allungò entrambe le mani, facendole correre dalle guance, al collo, ai seni sodi e appuntiti in una lunga, languida carezza, come se fosse uno scultore intento a modellare un pezzo di creta. Lucilla le fermò quando cominciarono a scendere verso il ventre e parlò per la prima volta. “Anch’io voglio vederti, Massimo.”

Un angolo della bocca di lui si sollevò a quella richiesta, ma non esitò a soddisfarla. Lucilla lo osservò mentre, con inconsapevole sensualità, si tolse la cintura e la tunica, poi scalciò via i sandali. Quindi, con ipnotica lentezza, le mani andarono alla biancheria che non riusciva a nascondere la vigorosa erezione, ma lei lo fermò.

“Lascia fare a me,” sussurrò e al suo assenso, si portò dietro di lui e gli si strinse contro abbracciandolo, mentre le mani lo sfioravano accarezzandogli il torso, dai capezzoli all’addome, sfiorando e stuzzicando, finché arrivarono alla biancheria. La rimosse, sfasciando i suoi lombi come se fossero stati un regalo. E davvero lo erano, il regalo della dea dell’amore. Lucilla prese nella mano la durezza di lui, accarezzandola come lui le aveva insegnato anni prima. Fu gratificata dallo scoprire che non aveva perso il proprio tocco, quando lui rovesciò la testa all’indietro per posarla tra la spalla e il collo di lei, gemendo per il piacere e iniziando a dondolare i fianchi al ritmo del suo sfioramento. Lucilla non aveva dimenticato niente del linguaggio del corpo di Massimo e presto si rese conto che egli era sul punto di perdere il controllo. Così rallentò le carezze fino a fermarsi, perché voleva da lui molto di più. Non appena lui ebbe riguadagnato la regolarità del respiro, Lucilla cominciò a carezzargli la schiena, dal collo alle ampie spalle, giù fino alle natiche muscolose, godendosi il corpo di lui nella sua interezza. Era un magnifico modello di virilità, un maschio nel fiore degli anni, al meglio della forma e Lucilla era quasi intossicata dalla sua vicinanza e dalla sua potenza a stento controllata. Continuò ad accarezzarlo, ripercorrendo con le labbra e la lingua il sentiero tracciato prima con le mani, dedicando particolare attenzione alla crudele cicatrice sui suoi lombi, quella causata dallo stiletto di Commodo e che lo aveva quasi ucciso... All’improvviso Lucilla lo abbracciò con tutte le forze, facendolo grugnire per la sorpresa.

“Che cos’è questo?”domandò lui in un sussurrò e lei si affrettò a rassicurarlo con un “Niente”.

Lei diede un ultimo bacio alla cicatrice, gli girò intorno e riprese l’esplorazione della sua carne nella parte anteriore. Un rapido sguardo agli occhi dalle palpebre pesanti le fece comprendere che la resistenza di lui era quasi giunta al limite, ma continuò il gioco. Collo, clavicole, capezzoli e ventre ricevettero la loro parte di attenzioni dalle mani e dalle labbra della donna, ma quando lei tentò di leccargli il membro, Massimo grugnì forte e, afferrandola per le spalle, la costrinse ad alzarsi. “Adesso basta,” disse con un rauco sospiro, “non posso aspettare ancora.”

Lucilla sorrise in segno d’assenso e lui prese il controllo dei loro giochi d’amore, baciandola forte e profondamente. La sua lingua le penetrò nella bocca socchiusa e, senza interrompere il loro contatto, lui la fece indietreggiare fino al letto, cadendo con lei sui materassi in un allegro caos di gambe e braccia, e riprendendo il loro esplorarsi senza perdere un attimo. I baci e le carezze di Massimo aumentarono di intensità e urgenza, mentre premeva ritmicamente il suo membro contro i lombi di lei. La sensazione della sua dura e calda mascolinità provocò un disperato spasimo in Lucilla che gli afferrò le spalle inarcando la schiena per potersi stringere ancor più contro di lui. Massimo capì che il momento era arrivato e si mise in posizione; la sua mano le scivolò lungo il ventre e tra le cosce, per testare se era pronta. L’umidità che sentì e il gemito di piacere che le sfuggì dalle labbra mentre lui carezzava le sue parti più sensibili, confermarono a Massimo che era pronta ad accoglierlo e lui non perse tempo a penetrarla con un lungo colpo sicuro. Ma non iniziò a muoversi subito; infatti aspettò che Lucilla aprisse gli occhi verdi che lei aveva chiuso per godere meglio la sensazione di averlo nuovamente dentro di sé prima di sussurrarle con grande serietà: “Io ti amo, Lucilla. Adesso e sempre.”

L’improvvisa e inattesa dichiarazione le fece sgorgare le lacrime dagli occhi e lei gli strinse le braccia intorno alle spalle. “Anch’io ti amo, Massimo. Allora, adesso e per sempre.”

Lui sorrise con dolcezza e le baciò la punta del naso. Quindi la passione si impadronì nuovamente del suo corpo e prese a muoversi dentro di lei, mentre Lucilla gli allacciava le gambe intorno ai fianchi e si stringeva contro di lui per essere penetrata più a fondo.

Più duramente e più rapidamente egli entrò, i rantoli e i gemiti che si univano a quelli di lei, mentre entrambi si muovevano in perfetto accordo, fino a che la sensazione dei muscoli di lei che lo stringevano dall’interno non gli fece perdere il controllo e con un’ultima spinta egli si unì a lei nell’estasi.

Quando si furono ripresi, Massimo e Lucilla si rannicchiarono l’uno accanto all’altra, scambiando baci teneri e affettuosi, condividendo la loro felicità in silenzio. Non ci fu bisogno di parole per esprimere i loro sentimenti che trasparivano dagli occhi semichiusi, avevano già scambiato e sigillato le proprie promesse.

Quando il sonno li colse, Massimo e Lucilla sapevano che dopo tante sofferenze e patimenti erano finalmente insieme e che lo sarebbero stati per il resto della vita.

*****

Trascorsero il giorno successivo chiusi nella stanza, amandosi e parlando, con una breve pausa per rassicurare Lucio che stavano entrambi bene e per affidarlo alle cure di un Valerio felice e gongolante.

Quando finalmente uscirono dalla camera era quasi ora di cena e fu di fronte ad un proverbiale banchetto luculliano che, con le mani unite, Massimo e Lucilla annunciarono il loro proposito di sposarsi.

Lucio ricevette la bella notizia con un grido di giubilo e solo la presenza di lui e di sua madre impedirono a Valerio e a Glauco di dare libero sfogo alla felicità per il loro generale. Tuttavia, Massimo non aveva alcun dubbio che avrebbe ricevuto amichevoli ed espliciti ‘consigli’ sul suo ruolo futuro di marito, non appena Lucilla e il bambino li avessero lasciati soli. Non ne aveva bisogno, ma sarebbe stato certamente divertente sentirli! pensò con una risata.

 

EPILOGO

Eburacum, 187 d.C.

“Il pranzo è pronto, signora.” L’ancella annunciò a Lucilla. “Vuoi che avverta il padrone?”

“No, Delia, non è necessario. Controlla che il pranzo sia servito in tavola, poi vai a cercare tuo marito mentre io mi occupo del mio.”

“Non serve, Lucilla, Valerio sta già aspettando nel triclinio.” Le due donne si scambiarono uno sguardo di comprensione, quindi Delia ritornò in cucina a dare istruzioni ai servi.

Lucilla la guardò e sorrise, pensando alla piega favorevole che aveva preso la loro esistenza, sia per lei sia per la sua amica.

Quando aveva lasciato Delia a Caprae, aveva pensato che non si sarebbero mai più riviste. Invece, quasi un anno dopo, qualcuno aveva bussato alla porta della villa ed eccola lì, la sua amica d’infanzia e confidente. Aveva viaggiato da Roma, dopo aver saputo dal senatore Gracco il nuovo domicilio della sua padrona, con una carovana di mercanti ed era arrivata ad Eburacum appena in tempo per aiutare Lucilla a mettere al mondo il suo secondo figlio, Massimo Iunior. E poi, quando sembrava che le cose non potessero andare meglio, Delia si era innamorata, ricambiata, di Valerio, ora braccio destro di Massimo nella conduzione del podere e i due si erano sposati, con grande gioia della padrona e di suo marito.

Il sorriso di Lucilla si allargò mentre usciva in cortile per cercare Massimo e i bambini. Li trovò con facilità. Erano nel fienile, tutti seduti sulla paglia e Massimo stava mostrando a Iunior e alle gemelle Marcia e Galeria come manipolare e accarezzare alcuni gattini. Era una scena così tenera guardare i propri bimbi giocare con quelle creaturine (del resto, in fin dei conti, erano tutti quanti dei cuccioli) che quasi si commosse fino alle lacrime.

Massimo decise di voltare la testa proprio in quel momento e nel vederla si produsse in una smorfia da ragazzino che le fece tremare le ginocchia. Cinque anni insieme non avevano fatto che accrescere e rafforzare il loro amore reciproco, come mostrava la reazione del corpo di lei.

“Il pranzo è pronto,” disse avvicinandosi al fienile.

Lui annuì e quindi si voltò verso i bambini. “Avete sentito la mamma? Lasciate stare i gattini, anche loro devono mangiare.”

Massimo si alzò e aiutò Iunior, un ragazzino bruno dagli occhi azzurri di quattro anni, Marcia e Galeria, che sembravano piccole copie della madre, a fare altrettanto e spolverò il fieno via dai loro vestiti. I suoi gesti erano talmente teneri che sembrava impossibile associarli all’uomo che era stato il più grande generale e il più temuto gladiatore di Roma e Lucilla era felice che lui adesso avesse la possibilità di essere solo quel che voleva essere: marito, padre e contadino. Egli sollevò entrambe le gemelle in braccio mentre Lucilla prendeva per mano Massimo Iunior. Mentre attraversavano il cortile, videro avvicinarsi un cavallo su cui montava Lucio, di ritorno da qualche vagabondaggio in città. Il ragazzo saltò giù di sella e un inserviente si avvicinò a prendersi cura dell’animale.

“Appena in tempo per il pranzo,” commentò Lucilla con un sorriso affettuoso indirizzato al suo alto, forte, abbronzato ragazzo quindicenne.

“Lo sai, madre, che il mio stomaco non sbaglia mai quando deve avvisarmi che è ora di mangiare!” Lucio sghignazzò, quindi si avvicinò a Massimo che teneva sempre in braccio le agitatissime gemelle di due anni e chiese: “Posso?” prima di prendere Galeria tra le proprie braccia. Mentre cercava la posizione più confortevole, disse: “Mentre ero in città, ho incontrato i duumviri che mi hanno chiesto se ti piacerebbe diventare membro dell’assemblea cittadina.”

“E tu che cosa gli hai risposto?” domandò lui.

“Che te lo avrei fatto sapere e che ero sicuro che saresti stato onorato dell’offerta ma che sospetto tu non sia interessato.”

“Bella risposta. Andrò a trovarli la prossima volta che mi recherò in città. Grazie per avermelo detto.”

Lucio fece un cenno con la mano ai suoi ringraziamenti ed entrò in casa con la sorellina in braccio, mentre Delia e un’altra serva uscivano fuori.

“Il pranzo è pronto, padrone.”

“Grazie, Delia, saremo dentro tra pochi minuti. Nel frattempo, potresti occuparti del giovanotto e delle signorine qui presenti e portarli a lavarsi le mani?” Massimo sorrise.

“Certamente, domine.” Delia e l’altra donna si fecero avanti e presero i bambini tra le loro braccia, entrando poi nella villa, mentre Massimo e Lucilla rimasero fuori. Lui guardò la vasta estensione della loro fattoria quindi sorrise a sua moglie. “I duumviri dovrebbero chiedere a te di unirti all’assemblea. Tu sei l’unico vero politico tra di noi.”

“Lo ero. Adesso sono solo una moglie e una madre.”

Massimo voltò il viso verso di lei e mormorò: “A volte temo che questa vita non ti dia abbastanza, abituata come sei alla vita mondana e all’agone politico di Roma.”

“Non darti pena , amore mio,” e lei gli carezzò la guancia. “Questo è tutto ciò di cui ho bisogno adesso.” E con la mano indicò lui, la loro casa e i fertili campi che li circondavano. “Ne ho avuto abbastanza della vita frenetica di Roma per il resto della mia vita e qui ho talmente tante cose da fare che non mi resta tempo per annoiarmi.” Si fermò e un sorriso impertinente comparve sul suo viso ancora bellissimo. “E se per caso mi capita di avere del tempo libero, so bene come impiegarlo...” e la sua voce si spense in un rauco sussurro.

“E sarebbe?” chiese Massimo inarcando un sopracciglio.

“Mi piace inventare nuovi modi per divertirti la notte...”

“Oh, ma questo è proprio interessante.” Gli occhi si erano incupiti dal desiderio e la prese tra le braccia. “Potresti fornirmi qualche dettaglio in proposito?”

“No, dovrai aspettare fino a stanotte.” Lei gli passò la mano sui capelli corti e soffici, che erano ancora bruni tranne che per qualche filo d’argento sulle tempie.

“Capisco... Beh, vediamo se questo riesce a farti cambiare idea...”

Si baciarono appassionatamente per lunghi momenti, mentre Massimo dimostrava a sua moglie che lui non correva il rischio di annoiarsi con lei. Lucilla fu quasi sul punto di accontentare le sue richieste ed andare con lui nel fienile quando la voce di Lucio li chiamò da dentro casa.
“Massimo! Madre! Venite? I bambini hanno fame! Io ho fame!”

Lucilla e Massimo si separarono, sorridendosi l’un l’altra e con uno sguardo che prometteva “A stanotte” ed entrarono nella villa mano nella mano.

Fine

 

NOTE STORICHE:

LA CARRIERA DEGLI ONORI (cursus honorum): creata da Augusto, consisteva in una serie di incarichi che un uomo proveniente dalla classe senatoriale o da una famiglia equestre doveva svolgere durante la sua carriera politica. Senatori e cavalieri seguivano differenti percorsi e avevano accesso a cariche diverse, ma entrambe le carriere iniziavano con il tribunato militare, svolto quando il giovane aveva circa 20 anni. Dopo il tribunato il giovane uomo diventava un questore, un edile, un pretore e un console. Per diventare generale di una legione, l’uomo Romano doveva essere almeno un pretore, perché l’esercito di Roma non seguiva le stesse regole di promozione degli eserciti moderni, anche se ci furono eccezioni, soprattutto nella tarda antichità.

LA VERA LUCILLA E SUO FIGLIO LUCIO VERO tramarono contro Commodo nel 182 e furono esiliati a Capri prima di essere giustiziati.

 

 

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[1] York.

[2] Londra.