MIME-Version: 1.0 Content-Type: multipart/related; boundary="----=_NextPart_01C697C6.8B9A93C0" Questo documento è una pagina Web in file unico, nota anche come archivio Web. La visualizzazione di questo messaggio indica che il browser o l'editor in uso non supporta gli archivi Web. Scaricare un browser che supporti gli archivi Web, come Microsoft Internet Explorer. ------=_NextPart_01C697C6.8B9A93C0 Content-Location: file:///C:/D8A64AC1/Larepressionereligiosa.htm Content-Transfer-Encoding: quoted-printable Content-Type: text/html; charset="us-ascii" La tortura in Tibet

La repressione religiosa

“In Tibet, la persecuzione religiosa è strettamente legata alla repressi= one del dissenso politico. La grande maggioranza dei prigionieri politici tibetani conosciuti da Amnesty International sono monache e monaci buddisti.”
Amnesty International

Essendo il buddismo uno degli aspetti più importanti dell’identità nazionale e culturale tibet= ana,
l’ostilità cinese nei confronti della religione è determinata, in Tibet, dal timore che attorno ad essa si cementi il sentime= nto di unità nazionale dei suoi abitanti. Il governo cinese reprime inol= tre la libertà di culto in quanto, conferendo la religione al Dalai Lama lo status di leader spirituale e temporale del popolo tibetano, i credenti obbediscono al Dalai Lama e alla sua politica che il governo di Pechino apertamente rifiuta.
Tutti questi fattori fanno del buddismo tibetano il simbolo del nazionalismo del popolo del Tibet e, di conseguenza, è= ; considerato dalle autorità cinesi “distruttivo e controverso”. Per le autorità di Pechino, il problema religioso è un problema politico e le sue istituzioni sono considerate centri = di ribellione che devono essere soppresse.

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= LA REPRESSIONE RELIGIOSA

La campagna di repressione religiosa iniziata dalla Repubblica Popolare Cinese nei confron= ti delle istituzioni religiose tibetane non accenn= a a diminuire malgrado la Cina continui a sostenere = di fronte alla comunità internazionale che i tibet= ani godono di libertà di religione.

Nel “Libro Bi= anco sui Diritti Umani in Tibet”, redatto nel 1998, la= Cina così asseriva:

la Costituzione = cinese stabilisce che la libertà di un credo religioso è uno dei dir= itti fondamentali dei cittadini. Il governo cinese rispetta e protegge il diritt= o di libertà di credo religioso dei suoi cittadini.&#= 8221;

La legge cinese stabilisce inoltre che i funzionari che privano i cittadini di questa libertà sono soggetti a due o più anni di reclusione. Ad oggi, tuttavia, nessun funzionario è stato accusato di questo crimine, malgrado le palesi violazioni della libertà di = culto.
Al contrario, lo stesso il governo cinese attua politic= he e programmi miranti alla soppressione del diritto dei tibetani a praticare la propria religione. Tra questi, ad esempio, la campagna chiam= ata “Colpisci Duro”, destinata a colpire severamente le istituzioni religiose.
Da quando l’Esercito di Liberazione del Popolo è entrato in Ti= bet, nel 1949, oltre 6000 tra istituzioni religiose e monumenti sono stati distr= utti nel tentativo di “riunire il Tibet alla madrepatr= ia”.
Sebbene
alcuni monasteri siano stati ricostruiti e a monaci e monache sia stato “permesso” di praticare il buddismo, il diritto alla libertà di credo è stato severamente limitato. Le istituzioni ricostruite con l’assistenza dei cinesi sono solitamente solo quelle accessibili ai turisti o quelle più conosciute. Per fare un esempio,= la facciata del monastero di Drepung, a Lhasa, &eg= rave; stata magnificamente ricostruita ma le strutture interne sono ancora in rovina.
Il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia cont= inua a documentare la diffusa repressione di libertà di religione in Tibet.=
Da quando la Cina lanciò, nell’apri= le del 1996, la campagna nazionale “Colpisci Duro” contro le istituzio= ni religiose tibetane, continua la sistematica rep= ressione della libertà di credo. Ai monaci e alle monache è completame= nte negata ogni libertà di espressione e a centinaia sono stati espulsi dai monasteri o arrestati per aver disubbidito agli ordini.

I diritti culturale e religiosi sono internazionalmente riconosciuti come diritti uma= ni. L’appartenenza di questi diritti alla legge internazionale sta a significare che il loro rispetto riguarda l’in= tera comunità mondiale. Il diritto di libertà di credo è contenuto nell’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e per questo è applicabile a tut= te le nazioni.

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LA CAMPAGNA DI “RI - EDUCAZIONE PATRIOTTICA”

Nel tentativo di sopprimere le “attività separatiste”, nell’aprile = del 1996 la Cina lanciò la campagna “Co= lpisci Duro”, un programma di “ri-educazione patriottica” applic= ato a tutte le istituzioni religiose in Tibet.
I “gruppi di lavoro”, composti principalmente da funzionari dell’Ufficio di Pubblica Sicurezza (PSB), svolgono minuziose sessioni= di ri-educazione. Il loro compito principale consiste nell’identificazio= ne, nell’espulsione o nell’arresto di monaci e monache considerati “non patriottici”, di coloro che esprimono<= /span> una qualsiasi opinione contraria alla politica del partito o che non sono d’accordo con i cinque punti che tutti i monaci e monache sono costre= tti a sottoscrivere.
Questi i cinque punti sono da rispettare:

· Dichiarare= la propria opposizione a ogni forma di separatismo<= br> · Accettare la versione cinese della storia del Tibet
· Riconoscere il Panchen Lama designato = da Pechino
· Negare lo status indipendente del Tibet
· Denunciare il Dalai Lama come “traditore della madrepatria”

Secondo alcuni test= imoni, per convincere i monaci e le monache della bontà delle loro idee, i “gruppi di lavoro”, durante le sessioni di ri-educazione, non esitano a ricorrere alla violenza. I dissensi aperti di solito portano all’arresto.

Dall’inizio d= ella campagna, più di 10.569 monaci sono stati espuls= i dai loro monasteri e, al giugno 1999, almeno 511 risultano essere stati arrestati. Tra gli espulsi ci sono almeno 3.073 giovani monaci e monache al di sotto dei 18 anni.

Le monache del mona= stero Rating Samtenling, nella Contea di Phenpo Lhu= ndrup, sono state sottoposte alla campagna di ri-educazione dal luglio del 1998. I funzionari del “gruppo di lavoro” setacciarono le abitazioni di tutte le monache e le costrinsero a firmare documenti di denuncia del Dalai Lama e ad accettare “l’unità= della madrepatria”.
A seguito del rifiuto delle monache a firmare questi atti, le sessioni ri-educative furono prolungate di due mesi. Alle mona= che fu limitato qualsiasi contatto con i propri famigliari e non fu loro consentit= o di andare in visita a casa.
Ottanta monache che si rifiutarono di conformarsi alle istruzioni ricevute furono soggette ad ulteriori restrizioni e fu= loro proibito di partecipare alle funzioni religiose. Quattordici monache furono espulse e solo centocinque furono lasciate nel monastero.
Precise istruzioni delle autorità cinesi sancirono la chiusura di tu= tti i centri religiosi coinvolti in agitazioni politiche. Per questa ragione fu= rono chiusi quindici monasteri.

Nel luglio del 1998= , un “gruppo di lavoro” composto da dieci funzionari visitò il mon= astero di Gonsar nella Contea di Lhundup (completamente demolito durante la Rivoluzione Culturale= e ricostruito nel 1991 con il contributo dei tibetani<= /span> locali) e diede inizio alla “ri-educazione patriottica” dei ven= ti monaci che vi risiedevano.
I monaci rifiutarono in modo deciso di ubbidire agli ordini affermando di essere dei religiosi e di non poter contravvenir= e alle regole della propria fede. Malgrado le obiezioni= , i funzionari cinesi insistettero nella loro opera di persuasione incontrando = la continua opposizione dei monaci.
Alla fine il “gruppo di lavoro” annunciò che il monastero sarebbe stato chiuso e che tutti i monaci avrebbero dovuto far ritorno alle rispettive abitazioni. Verso la fine dell’agosto 1998, i venti monaci fecero ritorno ai loro villaggi e il monastero fu chiuso. Ai religiosi fu inoltre impedito di entrare in altri monasteri o di praticare servizi di preghiera nelle loro case.

Il 20 marzo 1998, u= na trentina di funzionari del PSB visitarono il convento di Draylb, a Lhasa. Secondo quanto riferito da una ex monac= a, Tenzin Dolma, su un total= e di centocinquanta monache residenti, solo le piccole religiose di età n= on superiore ai cinque anni ebbero il permesso di restare. Tutte le altre furo= no espulse dopo che le monache, in pellegrinaggio a Lhasa per le festivit&agra= ve; dell’anno nuovo, si rifiutarono di tornare al convento e di rinnegare= il Dalai Lama.
I funzionari distrussero tutte le camere delle monache e rimossero i pilast= ri di legno e le intelaiature delle finestre.

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IL TOTALE CONTROLLO SULLE ATTIVITA’ RELIGIOSE

Dall’inizio d= ella campagna di “ri-educazione patriottica”, i funzionari cinesi dei “gruppi di lavoro” continuano a limitare le attività religiose dei monasteri e conventi. Scopo della campagna è di controllare la religione attraverso il controllo delle menti dei religiosi = tibetani.

Nel giugno 1994, il= Terzo Forum Nazionale del Lavoro in Tibet decise un maggior rigore nei confronti = delle istituzioni monastiche. A questo scopo furono istituiti all’interno <= span class=3DGramE>di ogni monastero dei “Comitati di Gestione Democratica”, destinati a sostituire l’autorità tradizio= nale degli abati e dei lama. Le autorità di stato affidarono a questi comitati l’incarico di decidere in merito all’ammissione nel monastero, al programma di studi e alla disciplina dei monaci e monache.
Oggi, i monasteri e i conventi sono sotto il controllo dei “gruppi di lavoro” cinesi, mandati per indagare sui dissensi e per portare avant= i le sessioni rieducative.
Centinaia di monaci e monache sono stati arresta= ti per attività politiche. E’ considerata “attività politica” anche il solo possesso di foto del Dal= ai Lama, loro leader spirituale.
Molti altri continuano ad essere espulsi dai propri monasteri e conventi. <= span class=3DSpellE>Tenpa Rabgyal,<= /strong> un monaco di 27 anni del monastero di Tash-Ge-Kunphel Ling, fu arrestato nel febbraio del 1998 per aver scritto delle preghiere auguranti lunga vita a sua Santità il Dalai Lama.<= /span>

Le sessioni di educazione politica sono lunghe e interferiscono pesantemente negli studi dei monaci e delle monache. Inoltre, è stata abolita la tradizionale lettura delle sacre scritture all’interno del= le case tibetane e deve essere richiesto uno speci= ale permesso per alcuni insegnamenti. Il governo controlla dove e come avvengon= o le cerimonie religiose. I ritratti del Dalai Lama, già banditi all’interno delle istituzioni religiose, sono ora vietati anche nelle case private.
Ai tibetani è stato proibito di celebrar= e il compleanno del Dalai Lama. Una settimana prima = del 64° compleanno di Sua Santità, le autorità cinesi hanno distribuito volantini che rendevano esplicito tale divieto. La celebrazione= del compleanno del Dalai Lama è considerata = un atto di propaganda separatista e un’istigazione delle masse ad oppors= i al governo cinese.
Molti monaci e molte monache sono stati allontan= ati dalle istituzioni religiose a causa del “tetto” numerico massimo introdotto dai membri dei “gruppi di lavoro”. Questa misura restrittiva fissa il numero di monaci/monache consentiti all’interno = di ogni monastero o convento. Inoltre, le autorit&agra= ve; cinesi hanno introdotto disposizioni riguardanti il limite massimo e minimo= di età dei religiosi decretando l’espulsi= one dei monaci di età inferiore ai 18 anni e superiore ai 50. L’allontanamento forzato dei religiosi al di sopr= a dei cinquant’anni minaccia la sopravvivenza d= ella tradizione del buddismo tibetano poiché = gli anziani hanno un ruolo fondamentale nella trasmissione degli insegnamenti.<= /span>

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LA PROIBIZIONE DEL DIRITTO DI PRATICARE LA RELIGIONE IN = CARCERE

L’arresto dei prigionieri politici non costituisce soltanto una punizione. Per le autorità cinesi è anche il mezzo per tentare di annullare il sentimento di identità tibetana. A questo fine, ai monaci detenuti è proibita la pratica della religi= one e spesso viene loro imposto l’obbligo di denunciare il Dalai Lama, loro leader politico e spirituale. Mentre i tibeta= ni, nella vita di tutti i giorni, subiscono forti limitazioni nella pratica del= la religione, nelle prigioni cinesi esiste il divieto assoluto di qualsiasi fo= rma di culto.
I monaci e le monache in prigione sono costretti a farsi crescere i capelli, non è loro permesso di prosternarsi n&eac= ute; di indossare gli abiti religiosi. Il semplice atto di pregare ad alta voce è proibito e le punizioni per aver rotto questa ‘regola del silenzio’
includono abusi fisici e verbali.
Gyaltsen Pelsang,<= /strong> una monaca arrestata all’età di 13anni, ha dichiarato: “= Se, in carcere, recitavamo mantra o altre preghiere, eravamo immediatamente picchiati”.
La religione è una delle più potenti espressioni della cultura del Tibet e la sua pratica è molto importante per i prigionieri tibetani dei quali molti sono mon= ache e monaci.

 

 

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