29/11/2002  200206521  Consiglio di Stato, sez. IV, 29 novembre 2002, n. 64521
DIPENDENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN GENERE
PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

Il nodo della controversia consiste nello stabilire se sia configurabile, nella fattispecie, la violazione dell'art. 120 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, che prevede l'estinzione del procedimento quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto. Il principio affermato nel citato art. 120 è quello di evitare che il procedimento disciplinare, una volta iniziato, duri troppo a lungo, con evidenti conseguenze sfavorevoli per gli incolpati. La legge vuole invece che esso si concluda in un arco di tempo ragionevole ed a tale scopo è stato previsto il termine di 90 giorni entro il quale occorre compiere ogni ulteriore atto. La questione sottoposta all'esame del Collegio riguarda appunto la decorrenza del predetto termine ai fini dell'estinzione del procedimento disciplinare. Come la Sezione ha già avuto modo di affermare (cfr. dec. n. 561/95; n. 1230/00), gli atti che, ai sensi dell'art. 120 DPR n. 3 del 1957, valgono ad interrompere il termine di 90 giorni, previsto per l'estinzione del procedimento disciplinare, sono quelli esplicitamente contemplati nella legge e che costituiscono le varie tappe dell'iter procedimentale. In realtà, l'estinzione del procedimento disciplinare per decorrenza di un termine non inferiore a 90 giorni fra un atto e l'altro, è automatica ed è indipendente dalle ragioni che hanno determinato la stasi del procedimento stesso, essendo volta, come già detto, alla finalità di evitare che il procedimento disciplinare possa protrarsi oltre un ragionevole limite di tempo (cfr. IV Sez., n. 561 e 1230 cit; n. 509/88). Va, poi, rilevato che è influente, nell'interruzione del procedimento, il momento in cui è stato emesso l'atto da cui devono farsi decorrere i 120 giorni, se da tale data esso comincia a produrre i suoi effetti (cfr. Cons. Stato, VI Sez., n. 206/84) e, nel caso de quo, ciò non sembra revocabile in dubbio, se si considera che la relazione del funzionario istruttore, rimessa dal medesimo all'Amministrazione in data 18/12/97, da tale data diviene definitiva nelle sue conclusioni, a nulla rilevando, in quanto non previsto dalla legge, il momento in cui essa perviene materialmente all'Amministrazione. L'accettare l'opposta tesi contrasterebbe con il summenzionato scopo della norma, che attraverso l'automaticità dell'estinzione del procedimento e l'indipendenza dalle ragioni che hanno determinato la stasi del procedimento stesso, è volta ad evitare che la eccessiva durata del procedimento si traduca in conseguenze negative per l'incolpato, salvo quando ricorrano circostanze obiettive ed esterne, nella specie non riscontrabili, che portino a giustificare il superamento del termine decadenziale perché impediscono il normale svolgimento della procedura nei modi e nei tempi prescritti, come tali non imputabili all'inerzia dell'Autorità procedente (cfr. Cons. Stato, IV Sez., n. 1230/00).

 


02/12/2002  200206624   Consiglio di Stato, sez. V, 2 dicembre 2002, n. 6624
ORDINANZE CONTINGIBILI E URGENTI

È vero che ritardi della P.A. nel portare a termine procedure concorsuali o altri fatti comunque imputabili a ritardi o disservizi della stessa Amministrazione non legittimano, di massima, la stessa a sopperire alle proprie manchevolezze con il ricorso ai provvedimenti contingibili ed urgenti. Non di meno, in materia di potere di ordinanza extra ordinem, esercitato dal Sindaco ai sensi dell’art. 12 del d.p.r. 10 settembre 1982, n. 915 (e, ora, dell’art. 13 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22), non appare necessario, al fine della configurazione del requisito dell’urgenza, il verificarsi di una situazione di danno per l’ambiente e la salute pubblica, essendo sufficiente che si verifichi una situazione di pericolo non fronteggiabile adeguatamente e tempestivamente con misure ordinarie (cfr. Sez. V, 3 febbraio 2000, n. 596); e, in tale situazione, è consentito il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti.

 


02/12/2002  200206620  Consiglio di Stato, sez. V, 2 dicembre 2002, n. 6620
SERVIZI PUBBLICI   CIMITERI

Non è sussumibile nell’ambito del servizio pubblico cimiteriale, per quanto tale nozione venga interpretata estensivamente allorché non si ha a che fare con il servizio di illuminazione elettrica votiva all’interno del cimitero comunale, per il quale in effetti non sono mancate da più parti adesioni alla configurabilità quale servizio pubblico locale ai sensi del previgente art. 22 l. 8 giugno 1990 n. 142 (come per la gestione cimiteriale in genere), bensì con la fornitura di lampade, portafiori ed in definitiva di tutta quella serie di arredi secondari da sempre rimessi alla scelta (ed al soggettivo senso di pietas) dei dolenti; beni dunque del tutto alieni, anche strumentalmente, alla gestione del servizio pubblico cimiteriale stricto sensu, e per i quali, fra l’altro, non si riesce ad avvertire efficacemente la necessità di garantire, anche per esigenze di decoro, l’assoluta uniformità nell’ambito di un cimitero. Diversamente opinando, l’apposizione di arredi votivi ed accessori similari (in verità la questione interesserebbe anche l’acquisto delle stesse lapidi, di spettanza dei privati, ai sensi del regolamento di polizia mortuaria di cui al DPR 285/90, salva la sola regolamentazione comunale) verrebbe trasferita a terzi in esclusiva, da un lato impedendo ai dolenti (concessionari della sepoltura privata) di rivolgersi ad imprese da essi liberamente scelte (seppur con oneri a loro carico), con preclusione della libera esplicazione dei loro sentimenti civili e religiosi, e dall’altro lato vulnerando il diritto delle stesse imprese del settore di operare liberamente secondo i principi della concorrenza, fatte salve le prescrizioni generali sancite dalla normativa sanitaria e di polizia mortuaria. In definitiva il servizio pubblico cimiteriale, per come del resto in via generale regolamentato, si esplica in maniera del tutto autonoma dal reperimento degli arredi votivi in questione, cosicché non è legittima estrinsecazione delle attribuzioni dell’Amministrazione comunale provvedere con gara pubblica al relativo approvvigionamento. Le norme regolamentari prevedono che il Comune, in materia, debba limitarsi alla chiusura del tumulo con muratura di mattoni pieni ed all’apposizione di cippo con targhetta, oltre ai compiti di generale regolazione nel perseguimento degli interessi pubblici alla cui tutela è preposto.

 


02/12/2002  200206606   Consiglio di Stato, sez. V, 2 dicembre 2002, n. 6606
DIPENDENTI COMUNALI E PROVINCIALI   CONCORSO

E’ vero che il bando di concorso a posti di pubblico impiego, quale lex specialis della procedura, può contenere prescrizioni discrezionalmente individuate dall’Amministrazione, ma queste, oltre a non essere contrarie a disposizioni normative, non devono essere intrinsecamente illogiche, anche sotto il profilo della superfluità, della inutilità e, occorre aggiungere, dell’esagerata gravosità (cfr., in tema, C.G.A.R.S. 3 novembre 1999, n. 590; Cons. Stato, V, 23 novembre 1993 n. 1203). Ogni prescrizione deve essere dunque concretamente valutata con riferimento alle specifiche mansioni da espletare; ne consegue che la posizione assunta tempo addietro dalla Sezione - in fattispecie dai connotati analoghi -, non va necessariamente, e meditatamente, rivista, siccome espressa con riferimento a posti di vigile urbano autista o motociclista (per i quali, dunque, è stata ritenuta legittima la norma del bando di concorso che richiedeva quale requisito fisico l'acutezza visiva naturale di 10/10 per ciascun occhio, attese le peculiari mansioni da svolgere e l’ampia potestà discrezionale che ha l’Amministrazione in ordine ai requisiti attitudinali da richiedere ai candidati: Cons. Stato, V, 30 marzo 1993, n. 422). Tanto premesso, non appare di certo rispondente ad un minimo di logica, e come tale è dunque aspetto sindacabile dal giudice adito, che un bando di concorso a posti di vigile urbano (nella loro genericità e pertanto non in relazione a specifiche mansioni operative) preveda requisiti di idoneità fisica, ed in particolare una vista perfetta da entrambi gli occhi senza utilizzare mezzi di correzione, ben più severi di quelli che le rispettive specifiche norme regolamentari riservano all’ammissione nell’Arma dei Carabinieri o nella Polizia di Stato (in quest’ultimo caso per la nomina ad allievo agente è richiesto un visus naturale non inferiore a 12/10 "complessivi" - qui è specificato - quale somma del visus dei due occhi, con non meno di 5/10 nell’occhio in cui si vede di meno), o in altri corpi assimilabili anche per grado di "operatività". La esagerata gravosità è insita, particolarmente, nella non tolleranza di mezzi di correzione, peraltro relativamente a mansioni che possono benissimo avere connotati impiegatizi e svolgersi in ambito di ufficio. In definitiva, può concludersi nel senso che se nei concorsi a posti di vigile urbano è legittimo richiedere quale requisito di ammissione un visus minimo per ogni singolo occhio senza correzione di lenti, attese le peculiari mansioni attribuite ai vigili e l’ampia discrezionalità dell'Amministrazione in ordine ai requisiti attitudinali da richiedere ai candidati, tale requisito non può essere esageratamente severo (vista perfetta senza correzioni) - particolarmente ove non sia espressamente correlato a peculiari mansioni o profili - e soprattutto affatto in linea con le categorie che possono essere prese a seppur parziale raffronto (Forze dell’ordine).