18/11/2002  200206393  Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6393
RISARCIMENTO DEL DANNO

Nel giudizio amministrativo, la declaratoria giurisdizionale della illegittimità di un atto amministrativo non costituisce un elemento sul quale la parte interessata può innestare una domanda di risarcimento del danno, senza dare puntuale e ragionevole dimostrazione del rapporto di causa ed effetto che si instaura tra atto illegittimo e danno , senza fornire una sua plausibile quantificazione. ( vedi: C.d S., V sez.n3863 dell’11 luglio 2001) e , quindi, senza cercare di ricostruire gli elementi che configurano un comportamento colpevole di tale gravità, tenuto anche conto del contesto in cui si sviluppa l’azione amministrativa, da rendere risarcibile il danno proprio in quanto sussiste la colpa dalla pubblica amministrazione, sul piano della violazione delle regole di normale diligenza e perizia amministrativa.( C d S. n.6281,VI sez, del 18 dicembre 2001). In sostanza non è possibile costruire uno schema di automatica equivalenza giuridica tra annullamento di un atto amministrativo, comportamento illegittimo della pubblica amministrazione e risarcibilità del danno ingiusto ricevuto dal soggetto destinatario degli effetti lesivi dell’atto annullato. Il risarcimento presuppone la ricostruzione: a) del nesso causale tra atto annullato e danno, b) la ragionevole quantificabilità del danno;c) l’enucleazione di un elemento di colpa che emerge in quanto l’errore commesso dall’apparato amministrativo non sia scusabile , tenuto anche conto del contesto in cui si è sviluppata l’azione amministrativa ( C.d S. n.3169,IV sez. 14 giugno 2001).


23/11/2002  200206459  Consiglio di Stato, sez. IV, 23 novembre 2002, n. 6459
REVOCAZIONE  ERRORE DI FATTO

In tema di revocazione l'errore di fatto, il quale può dar luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395 n. 4 Cod. proc. civ., consiste nell'erronea percezione degli atti di causa che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa oppure nella supposizione dell'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita. Peraltro l’errore revocatorio è deducibile solo se il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato e presuppone quindi il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l'altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall'altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti.
( cfr. Cass. civ. 28.10.2000 n. 14256). Infine, l’errore di fatto deve essere decisivo: in tal senso, come insegna la giurisprudenza, l'erronea affermazione dell'esistenza di un fatto la cui realtà, invece, debba ritenersi positivamente esclusa in base al tenore degli atti o documenti di causa può costituire motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395 n. 4 Cod. proc. civ., solo se sussiste un rapporto di causalità necessaria fra l'erronea supposizione e la pronuncia in concreto resa dal giudice di merito, dovendosi invece escludere che tale mezzo di impugnazione possa essere utilizzato in relazione ad errori incidenti su fatti che, non decisivi in se stessi, devono essere valutati in un più ampio contesto probatorio, anche quando, nell'ambito appunto della globale valutazione degli elementi di prova, l'elemento pretermesso avrebbe potuto in concreto assumere un rilievo decisivo. (Cass. civ. Sez. lav. 28.8.1997 n. 8118).
REVOCAZIONE  DOCUMENTI DECISIVI
Quanto al motivo di cui all’art. 395 n. 3 (ritrovamento del documento decisivo), la giurisprudenza è pacificamente orientata nel senso che il relativo vizio revocatorio è deducibile solo in relazione a documenti non prodotti in giudizio: l’errore di percezione rispetto agli atti di causa rileva invece nella diversa prospettiva del motivo di cui al n. 4 del citato articolo del codice di rito.
( ex multis Cass. Sez. I 9.11.1994 n. 9314 e Cons, Stato Sez. IV 2.6.2000 n. 3169 ).
REVOCAZIONE  ERRORE DI FATTO

L’art. 23 ultimo comma della legge 6.12.1971 n. 1034, come modificato dall’art. 1 della legge 21 luglio 2000 n. 205, nel prevedere che "Entro trenta giorni dalla data dell'iscrizione a ruolo del procedimento di appello avverso la sentenza la segreteria comunica al giudice di primo grado l'avvenuta interposizione di appello e richiede la trasmissione del fascicolo di primo grado", detta una regola procedurale ( finalizzata allo snellimento dell’attività propedeutica al giudizio di secondo gardo) la cui eventuale violazione di per sè non concreta l’errore di fatto e non è dunque rimediabile mediante revocazione per il motivo di cui all’art. 395 n. 4 del Codice di rito. Peraltro, va comunque osservato che nel contesto della disposizione ora trascritta, analoga a quella dettata dall’art. 347 cod. proc. civ. per i giudizio civili di appello, l’acquisizione del fascicolo relativo al giudizio che ha dato luogo alla sentenza impugnata non è comminata a pena di nullità (cfr. Cass., sez. III, 26-09-2000, n. 12756 ).


23/11/2002  200206435  Consiglio di Stato, sez. IV, 23 novembre 2002, n. 6435
ACCESSO AI DOCUMENTI

L’interesse che legittima la richiesta di accesso di atti e documenti amministrativi ex art. 22 della legge 7 agosto 1990 che nell’art. 2 del D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, dev’essere – secondo pacifica giurisprudenza - personale e concreto, nonchè ricollegabile alla persona che sia titolare di una situazione giuridicamente rilevante (Cons. St., VI, n. 5930 del 3.11.2000; Sez. V, n. 1248 del 1.10.1999; Sez. IV. n. 1577 del 13.10.1999). Più in particolare, la stessa giurisprudenza, anche se non limita in ambiti ristretti l’interesse posto a fondamento della richiesta di esibizione di documenti, esclude che il diritto di accesso possa trasformarsi in uno strumento di "ispezione popolare" volta alla verifica della legittimità e dell’efficienza dell’azione amministrativa (Cons. St., VI, n. 1122 del 2.3.2000).
L’istituto dell’accesso, così come disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, prima ancora che all’estrazione di eventuali copie, è diretto ad assicurare al privato la possibilità di prendere visione degli atti originali di cui il medesimo abbia interesse. A sostegno di tale assunto, oltre che ragioni di ordine logico, sovviene il testo letterale della disposizione, in cui è esplicitamente affermato che "il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla presente legge". E’ agevole verificare, peraltro, che né tale legge, né le disposizioni del D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, hanno mai parlato di alternatività tra le due forme di accesso.