13/11/2002  200206293  -  Consiglio di Stato, sez. V, 13 novembre 2002, n. 6293  - ACCESSO AI DOCUMENTI
Anche con riferimento alla richiesta di un consigliere comunale avanzata ex art. 31 comma 5 della legge 8 giugno 1990, n. 142, la richiesta di accesso ai documenti della pubblica amministrazione deve essere determinata e non generica, secondo quanto prescrive l'art. 3 comma 2 D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352 (Consiglio di Stato, sezione quinta, 8 settembre 1994, n. 976); inoltre sono necessarie per fondarne la legittimazione all'accesso l'esternazione di tale qualifica, insieme alla precisazione degli atti cui accedere (Consiglio di Stato, sezione quinta, 6 dicembre 1999, n. 2046).


13/11/2002  200206281  -  Consiglio di Stato, sez. V, 13 novembre 2002, n. 6281  - CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE  AGGIUDICAZIONE
Se sussista la possibilità per l’Amministrazione appaltante di rinegoziare con il soggetto prescelto come contraente alcune condizioni di esecuzione dei contratti aggiudicati in esito a procedure concorsuali. Si deve tenere presente che per gli Enti Pubblici la capacità di agire nei rapporti contrattuali non è rimessa alla libera scelta degli organi chiamati a manifestare la volontà dell’Ente ma, invece, è strettamente correlata allo svolgimento da parte degli organi competenti di procedure definite in modo compiuto dal legislatore siano esse concorsuali o, come accade in alcune ipotesi eccezionali individuate specificamente dall’ordinamento, non concorsuali. L’attuazione di tali procedure sostituisce il procedimento logico di formazione della volontà e di conseguente scelta del contraente riservato nei rapporti interprivati alla libera autonomia negoziale e che si concreta nelle singole manifestazioni di volontà dei soggetti privati. In altri termini nel nostro ordinamento giuridico la capacità giuridica e di agire degli Enti Pubblici è disciplinata dalle disposizioni di diritto positivo relative alle persone giuridiche ma, in relazione al principio della necessaria evidenza pubblica delle scelte effettuate da detti Enti , le persone giuridiche pubbliche possono assumere impegni solo nei limiti e nei modi stabiliti dalla legislazione che regola la loro attività per il perseguimento dei fini che sono loro assegnati( in tal senso cfr. tra le altre decisioni Cons.Stato Ad. Gen.n.2/2000 del 17 febbraio 2000). Da tale premessa, ormai consolidata, discende, per il carattere inderogabile delle disposizioni che prevedono tali procedure sicuramente ascrivibili al novero delle norme imperative, l’obbligo di seguire i procedimenti nei quali è, per così dire, cristallizzata la volontà dell’Ente , volontà che così come deve manifestarsi secondo tali procedure parimenti può essere modificata solo con il ricorso ai medesimi procedimenti e, di regola, con l’adozione di atti espressione del potere di autotutela ove sussistano i presupposti per il ricorso ai relativi istituti. Al di fuori dei limiti segnati dalle norme dell’ordinamento di settore che fissano le regole cui le Amministrazioni devono seguire nel contrattare non vi è, pertanto, capacità di agire di diritto privato, che possa essere utilmente esercitata dalla p.a.. Siamo, perciò, in presenza dell’illegittimo esercizio della funzione amministrativa, in palese contrasto con le norme in tema di procedure di evidenza pubblica. Le norme qui richiamate , e che prevedono le singole procedure di gara,corrispondono in primo luogo all’esigenza di consentire alle Amministrazioni di provvedere nel modo più economico e conveniente alla provvista di beni e servizi ed alla realizzazione di opere, ma assolvono anche alla essenziale funzione di consentire a tutti i soggetti dell’ordinamento di partecipare, a parità di condizioni. alla redistribuzione delle risorse pubbliche che attraverso il sistema degli affidamenti pubblici viene effettuata. Si tratta, con evidenza, di risorse dei bilanci degli Enti pubblici prevalentemente conseguite con il prelievo fiscale e con gli altri strumenti propri della finanza pubblica e per le quali è doveroso consentire , in linea con i principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 41 della Costituzione prima ancora che con i principi posti a garanzia della concorrenza nell’ordinamento interno e comunitario, la possibilità di un libero accesso a tutti gli operatori economici giudicati idonei tecnicamente per fornire i beni, prestare i servizi e realizzare le opere nei confronti di Enti pubblici. Appare utile differenziare la fattispecie in esame dai casi in cui si individuano singoli vizi del procedimento di formazione della volontà degli Enti pubblici e, quindi, delle procedure di affidamento, che determinano secondo indirizzi consolidati della Corte di Cassazione una incapacità relativa dell’Ente con la conseguenza che il disposto annullamento della aggiudicazione determina solo l’annullabilità del contratto stipulato sulla base della stessa e non la sua nullità ( da ultimo cfr. Cass. , sezione prima, 30 luglio 2002 n. 11247 ma l’orientamento risale alla decisione n. 1982 della medesima sezione del 20 luglio 1962).
Il regime dell’annullamento dell’atto amministrativo ha portata recessiva al di fuori dei casi in cui l’Amministrazione esercita la funzione amministrativa non mediante l’adozione di provvedimenti di natura autoritativa, bensì mediante atti di natura paritetica pur sempre ricadenti nell’ambito di suoi poteri pubblicistici (es. accordi). In questi casi, l’esercizio della funzione amministrativa in contrasto con norme imperative, non dà luogo alla semplice annullabilità del provvedimento, prevista espressamente dalla legge per i soli casi di atto e/o provvedimento di tipo autoritativo, bensì alla nullità dell’assetto di interessi posto in essere con l’assenso del privato interessato (art. 11 L. n. 241/90). E’ evidente, infatti, che, nelle ipotesi considerate, non sussistendo una capacità di diritto privato, liberamente esplicabile da parte della p.a., trattasi pur sempre di esercizio illegittimo della funzione amministrativa, che trasmoda in nullità del regolamento di interessi posto in essere al di fuori e senza la prescritta osservanza delle regole della evidenza pubblica [ V. al riguardo C.Stato Commissione speciale 12 ottobre 2001 secondo cui, in tal modo, si introduce un elemento distorsivo nella gara, così da trasformare illegittimamente una procedura aperta (ovvero ristretta) in una procedura negoziata]. L’inconfigurabilità in astratto di una capacità di diritto privato della stazione appaltante o, più in generale, dell’Amministrazione tenuta all’osservanza delle procedure di evidenza pubblica radica l’esame della controversia nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, secondo l’espressa previsione contenuta nell’art. 7 L. n. 205/2000 (lettera d), 2° comma), trattandosi in ogni caso di una funzione amministrativa spettante alla stessa p.a., ma esercitata in modo arbitrario e contra legem. Si è in presenza, in altri termini, di fattispecie di segno eguale e contrario a quelle che rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, allorchè non è in astratto configurabile un potere della p.a. di incidere legittimamente sulla situazione soggettiva del privato (c.d. carenza in astratto del potere). In questi casi invece esiste si il potere della p.a. di conformare le situazioni soggettive facenti capo ai privati, ma esso è illegittimamente esercitato mediante il ricorso a moduli convenzionali palesemente contra legem, attesa la espressa previsione legislativa di norme inderogabili che presiedono e precedimentalizzano il corretto esercizio del potere da parte della p.a.. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ha appunto ad oggetto le ipotesi, e solo le ipotesi, in cui il diritto soggettivo del privato è in astratto suscettibile di essere assoggettato, per ragioni di pubblica utilità, al potere conformativo della p.a., anche in relazione a singole facoltà che concorrono a determinare il relativo contenuto (artt. 41 e 42 Cost.); ragioni che spetta alla p.a. in concreto di valutare e al giudice amministrativo ex post di poter sottoporre al suo sinacato di legittimità, secondo le significative indicazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 355/2002. E’ sulla base di tali considerazioni che va negata la possibilità di modificare le condizioni contrattuali di affidamento di un servizio o di una fornitura o della realizzazione di un’opera , sia prima che dopo l’aggiudicazione, perché in ogni caso non vi è capacità di agire di diritto privato dell’Ente in tal senso ed, inoltre, vi è palese violazione delle regole di concorrenza e di parità di condizioni tra i partecipanti alle gare pubbliche. E’ evidente , infatti che la modifica del corrispettivo richiesto o di altri elementi significativi dell’offerta risultata aggiudicataria, sia in aumento che in diminuzione – come è avvenuto nel caso di specie – muta le condizioni di fatto su cui si è pervenuti alla conclusione del procedimento di aggiudicazione. Non si può , infatti , avendo riguardo al caso di specie, conoscere quali offerte sarebbero pervenute, in ipotesi anche da imprese che non hanno partecipato alla gara ritenendo inadeguato il corrispettivo a base di gara di circa quattrocento milioni , ove si fosse conosciuto l’importo reale di aggiudicazione superiore di circa duecento milioni a quanto previsto . Si tratta , è bene ricordarlo, di corrispettivi mensili per un contratto di durata pluriennale.
Se fosse ammissibile la rinegoziazione delle condizioni alle quali è intervenuta l’aggiudicazione dopo la stipula del contratto non vi sarebbe ostacolo ad una serie indeterminata di richieste di modifica delle condizioni stesse da parte degli aggiudicatari che sarebbero indotti a mantenere le offerte al minimo al momento della presentazione per conseguire l’aggiudicazione, per poi recuperare condizioni più favorevoli nel corso della esecuzione del contratto negoziando modifiche vantaggiose quanto al prezzo o al contenuto della prestazione ovvero alle modalità di esecuzione della prestazione stessa. Da altra angolazione una impostazione di questo tipo sarebbe esclusa per il divieto dello "Jus variandi " delle Amministrazioni nel corso della esecuzione dei contratti . E’ noto che la facoltà di modificare l’oggetto contrattuale è oggi ristretta fortemente dall’art. 25 della legge 109/1994 e successive modifiche e non è consentito ,al di fuori della casistica individuata in tale disposizione che opera solo per i lavori pubblici e non per i contratti di servizi o di fornitura, consentire modifiche non contemplate da disposizioni di deroga al principio stesso.


11/11/2002  200206204  -  Consiglio di Stato, sez. IV, 11 novembre 2002, n. 6204 ACCESSO AI DOCUMENTI
L'accesso agli atti amministrativi non può risolversi in uno strumento di controllo generalizzato sull'intero operato dell'Amministrazione, come se fosse un'azione popolare. Ciò che rileva per l'istante è il contenuto del documento richiesto non le modalità relative alla sua adozione o acquisizione da parte dalla P.A.
Il diritto di accesso ai documenti dell'Amministrazione, garantito dalla legge 7 agosto 1990, n.241, è finalizzato ad assicurare la trasparenza dell'azione amministrativa ed a favorirne lo svolgimento imparziale per la tutela di situazioni giuridiche rilevanti, cosi concorrendo alla "visibilità del potere pubblico", per cui esso è azionabile- in presenza delle condizioni legittimanti normativamente previste- sia allorquando si manifesta in sede partecipativa al procedimento amministrativo (accesso partecipativo), sia quando attenga alla conoscenza di atti che abbiano spiegato effetti diretti o indiretti nei confronti dell'istante (accesso informativo,che è quello rinvenibile nel caso di specie).


12/11/2002  200206255  -  Consiglio di Stato, sez. VI, 12 novembre 2002, n. 6255  -  CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE OFFERTE
Nell'aggiudicazione di un contratto pubblico, la preferenza data per il previsto accollo all’acquirente di oneri particolari è illegittima dovendosi ipotizzare che il concorrente diminuirà il prezzo per recuperare tale costo, onde il risparmio di spesa è del tutto fittizio.

In materia di procedura negoziata, ai sensi dell’art. 7 comma primo lettera c) del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157, per l’individuazione di un consulente finanziario (advisor) cui affidare incarico di assistenza per l’individuazione della migliore procedura di valorizzazione e privatizzazione, eventualmente anche tramite quotazione in borsa, di una società. La preferenza data in considerazione del previsto accollo all’acquirente del c.d. success fee è illegittima perché dovendosi ipotizzare che l’acquirente diminuirà il prezzo d’acquisto per recuperare tale costo, onde il risparmio di spesa è del tutto fittizio. Infatti, il previsto accollo del success fee non comporta alcun vantaggio economico per l'amministrazione e costituisce un elemento del tutto neutrale ai fini della valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, potendo al più rilevare in ipotesi di offerte uguali. La preferenza accordata dall'amministrazione ad una offerta percentualmente superiore, basata esclusivamente sull’accollo della commissione da parte dell'acquirente, condurrebbe all'irragionevole conclusione secondo cui l'accollo del c.d. success fee renderebbe più conveniente qualsiasi offerta anche di gran lunga superiore ad altra, in cui tale accollo non è previsto. Le precedenti considerazioni sono peraltro conformi ad un precedente giurisprudenziale del Consiglio di Stato, in cui è stato affermato che, anche se in relazione al diverso contratto di "brokeraggio", la mancata previsione di un corrispettivo contrattuale a carico dell'Amministrazione incaricante è priva di capacità qualificante in termini di gratuità, perché se la provvigione è formalmente posta a carico dell'assicuratore e non dell'assicurato, il primo procede tuttavia al recupero del relativo importo attraverso una corrispondente maggiorazione del premio dovuto dall'assicurato, appunto il " caricamento " (Cons. Stato, IV, n. 1019/2000).