07/11/2002 200206066
Consiglio di Stato, sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6066
ATTO E PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO - MOTIVAZIONE
La funzione della motivazione del provvedimento amministrativo è
finalizzata a consentire al cittadino la ricostruzione dell’iter
logico-giuridico attraverso cui l’amministrazione si è determinata ad
adottare un dato provvedimento; controllando, quindi, il corretto esercizio
del potere ad essa conferito dalla legge e facendo valere, eventualmente
nelle opportune sedi, giustiziali o giurisdizionali, le proprie ragioni
(questa Sezione, 29 aprile 2002, n. 2281). E’ stato, inoltre, osservato
che la garanzia di adeguata tutela delle proprie ragioni non viene meno per
il fatto che nel provvedimento finale non risultino chiaramente e
compiutamente esplicitate le ragioni sottese alla scelta, allorché le
stesse possano essere agevolmente colte dalla lettura degli atti afferenti
alle varie fasi in cui si articola il procedimento (questa Sezione: 9
ottobre 2000, n. 5346; 22 dicembre 1998, n. 1866; 26 gennaio 1998, n. 66).
Ciò in omaggio ad una visione non meramente formale dell’obbligo di
motivazione, ma coerente con i principi di trasparenza e di lealtà
desumibili dall’art. 97 della Costituzione. Deve aggiungersi, anche, che
l’onere della motivazione, per la stessa funzione che è chiamato a
svolgere il provvedimento amministrativo (di ordinatore degli interessi
pubblici e di contemperamento tra questi e quelli privati), non può
rispondere ad uno standard fisso ed immutabile, ma varia necessariamente in
ragione degli effetti, ampliativi o restrittivi, che il provvedimento è
destinato a produrre nella sfera giuridica dei destinatari o della più o
meno elevata interferenza degli interessi privati con quello pubblico
perseguito (questa Sezione, 29 aprile 2002, n. 2281).
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04/11/2002 200206004
Consiglio di Stato, sez. VI, 4 novembre 2002, n. 6004
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE - OFFERTE
La regola generale della pubblicità della gara, segnatamente con riguardo
al momento dell’apertura delle buste, è dalla prevalente legislazione
speciale operante nei settori ex esclusi ai sensi del decreto legislativo 17
marzo 1957, n.158, di recepimento delle direttive 90/531 e 93/28 CEE. Giova
in particolare rimarcare che detta normativa, volta alla regolazione
complessiva di procedure attinenti a settori (acqua, energia elettrica, gas,
energia termica, trasporti, telecomunicazioni), non solo non sancisce
expressis verbis l’obbligo di pubblica apertura delle buste contenenti le
offerte e la documentazione ma esclude che, nel caso di procedure ristrette
e negoziate, si debba dare notizia della data, del luogo e dell’ora di
apertura delle buste. Tanto si ricava, in particolare, dall’analisi
comparativa delle schede A, B e C, dell’allegato XII del decreto
legislativo: mentre infatti la prima, relativa alle procedure aperte, al
punto 11, contempla l’indicazione, in senso al bando di gara, di data, ora
e luogo dell’apertura delle offerte in sede aperta al pubblico, la seconda
e la terza, rispettivamente concernenti le procedure ristrette e negoziate,
omette ogni riferimento alla fase dell’apertura ed alle formalità
relative. Se si considera, poi, che l’allegato in parola, al quale rinvia
il dettato dell’art.11, comma 1, dello stesso decreto, reca la puntuale e
completa indicazione del contenuto del bando di gara nelle esposte tipologie
di procedure risulta evidente che sia la normativa comunitaria sia la
legislazione nazionale, la quale ultima si è uniformata alle regole europee
senza dettare norme integrative in subiecta materia, hanno inteso sottrarre
le procedure diverse da quelle cd. "aperte" all’esplicazione del
principio generale di pubblicità della seduta dedicata all’apertura delle
offerte. La ratio di tale opzione normativa e, a valle, della condotta delle
stazioni appaltanti, può essere facilmente colta se solo si considera che
si è al cospetto di una procedura negoziata ex lettera c) dell’articolo
12 del citato decreto legislativo n. 158/1995, ossia di una procedura che,
pur divergendo in modo sensibile dal modello della tradizionale trattativa
privata integralmente deproceduralizzata, conserva margini di snellezza e di
elasticità che giustificano la sottrazione a regole formali operanti con
riferimento alle gare sottoposte ad un più intenso tasso di pubblicità e
di formalismo. La circostanza poi secondo cui il principio che impone la
pubblicità dell’atto di apertura delle offerte, desunto dalla normativa
contenuta nel regolamento generale di contabilità dello Stato (art.89,
comma 4, r.d. 23 maggio1924, n.827) avrebbe valore generale nelle procedure
ad evidenza pubblica, non incide poi sulla possibilità che a detta regola,
non dotata di sanzione costituzionale, possa derogarsi da parte del
legislatore nazionale con una disciplina che in modo ragionevole calibri il
regime di pubblicità in rapporto al tipo di procedura ed alle esigenze che
la caratterizzano. Si deve osservare d’altronde, a sostegno della
caratterizzazione non rigida del principio e della possibilità di apportavi
temperamenti modulati in funzione della specificità della procedura, che la
stessa giurisprudenza, con riferimento peraltro a procedure non interessate
da normative speciali, ha reputato che il principio di pubblicità della
gara può essere derogato, in relazione all’apertura dei plichi contenenti
la documentazione di gara e le offerte, nell’ambito delle procedure –
quale la presente- regolate dal criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, stante la necessità per la commissione giudicatrice di
procedere ad una specifica valutazione tecnica delle offerte (Cons. Stato,
sezione V, 14 aprile 2000. n.2235, la quale ha ritenuto che la deroga deve
ritenersi consentita anche rispetto alle offerte economiche, considerato che
la loro consistenza risulta da atti scritti ai quali, insieme ai verbali da
cui risulta la loro comparazione, la legge assicura l’accesso a chi vi
abbia interesse; Cons. Stato, sezione V, 23 agosto 2000. n.4577, ove si
sottolinea la possibilità di derogare al principio di pubblicità della
gara per quanto attiene all’apertura dei plichi contenenti la
documentazione richiesta dal bando di gara e dalla lettera di invito alla
licitazione privata, ferma restando la necessità del rispetto delle
inabdicabili garanzie di imparzialità, correttezza e trasparenza cui devono
essere improntate le pubbliche gare; CGA 28 gennaio 2002, n.58, ove
parimenti si ammette la deroga al principio di pubblicità quando la
Commissione debba procedere ad una specifica valutazione tecnica delle
offerte, il che si verifica nell’ipotesi dell’appalto concorso, ovvero
quando si debba procedere all’aggiudicazione secondo il principio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa e sia prevista anche la
possibilità di proporre varianti ed integrazioni).
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE -
AGGIUDICAZIONE
Secondo l’orientamento interpretativo, emerso sia in ambito nazionale che
in sede comunitaria, nelle procedure di evidenza pubblica va considerata
illegittima ed esclusa "qualsiasi negoziazione, anche in fase
successiva all’aggiudicazione, con il candidato risultato aggiudicatario
al fine di evitare l’introduzione di elementi distorsivi della
concorrenza, in violazione dei principi comunitari in materia. In effetti,
con parere motivato, reso il 23 marzo 1998 all'indirizzo della Repubblica
Italiana, ai sensi dell'art.169 del Trattato CE, la Commissione CE ha
sottoposto a censura il comportamento di un'amministrazione pubblica che,
all'esito di una licitazione privata, aveva proceduto a rinegoziare con
l'impresa risultata aggiudicataria i termini e i prezzi d’offerta
(procedura d’infrazione n.95/4646). Con parere reso dall'adunanza della
Commissione speciale il 12 ottobre 2001, n.1084/2000, il Consiglio di Stato
ha confermato l'indirizzo contrario alla rinegoziazione successiva
all’aggiudicazione, segnatamente con riguardo alla prassi seguita da
alcune amministrazione di chiedere sconti economici alle imprese
aggiudicatarie. A sostegno dell’assunto il Consiglio ha osservato che: la
rinegoziazione dell'offerta, dopo l'aggiudicazione, può indurre l'impresa
aggiudicataria a recuperare l'ulteriore sconto sul prezzo incidendo
negativamente sulla qualità del servizio o del prodotto fornito e ponendosi
in contrasto con la ratio della disciplina legislativa in materia di
controllo del fenomeno delle offerte basse in misura anomala; lo stesso
meccanismo proprio delle procedure "ad evidenza pubblica" è già
fisiologicamente diretto all'individuazione del miglior contraente
possibile, ossia di colui che ha formulato l'offerta marginalmente più
congrua, oltre la quale l'impresa potrebbe non avere più interesse ad
effettuare il servizio o la fornitura richiesti. Rinegoziando l’offerta
dopo l’aggiudicazione, si verrebbe a trasformare un'originaria procedura
aperta (ovvero ristretta) in una negoziata, passando così sostanzialmente
allo schema della trattativa privata; un’eventuale rinegoziazione si pone
in contrasto con la procedura originariamente individuata e sulla cui base
sono state specificamente formulate le offerte, ponendosi in contrasto con i
limiti posti dal legislatore europeo al fine di delimitare la possibilità
di ricorso alla procedura negoziata. Si introdurrebbe, in sostanza, un
elemento distorsivo della stessa funzione della gara, nella misura in cui i
concorrenti verrebbero indotti ad inglobare nelle offerte il rilievo
economico insito nel successivo meccanismo della rinegoziazione. L’avviso
del Consiglio di Stato risulta recepito dalla circolare 15 novembre 2001,
n.12727, della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le
politiche comunitarie, avente ad oggetto per l’appunto il "divieto di
rinegoziazione delle offerte nelle pubbliche gare dopo
l'aggiudicazione" (G.U. n.8 del 10 gennaio 2002).
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE - OFFERTE
Nel contesto di una procedura finalizzata alla scelta dell’offerta
economicamente più vantaggiosa in relazione a progetti caratterizzati da
significativi profili di complessità tecnica, le singole offerte sono
fisiologicamente destinate al confronto con le altre. La disamina
comparativa dei singoli elementi delle offerte appare allora, meglio
dell’analisi atomistica dei medesimi, capace di rispondere alla finalità
ultima di selezionare il progetto, sul versante tecnico-economico, più
rispondente agli interessi perseguiti dalle stazioni appaltanti.
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE - VERBALE
DI GARA
Secondo consolidata giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez.V, 19
marzo 2001, n.1642), il verbale di gara fa piena prova di quanto attestato
salva querela di falso.
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE -
COMMISSIONE DI GARA
Il giudizio della commissione giudicatrice, in sede di valutazione
comparativa delle offerte è caratterizzato dalla complessità delle
discipline specialistiche di riferimento e dall’opinabilità dell’esito
della valutazione, sfugge, in base a costante giurisprudenza, al sindacato
del giudice amministrativo in sede di legittimità laddove non vengano in
rilievo indici sintomatici del non corretto esercizio del potere, sub specie
di difetto di motivazione, di illogicità manifesta, di erroneità dei
presupposti di fatto e di incoerenza della procedura valutativa e dei
relativi esiti. Il potenziamento dei mezzi istruttori utilizzabili dal
giudice amministrativo ai fini del sindacato sulle valutazioni di stampo
tecnico-specialistico, sancito dall’innesto della consulenza tecnica ai
sensi dell’art.16 della legge 21 luglio 2000, n.205, consente certo il
pieno e diretto accertamento dei fatti presi in esame
dall’amministrazione, ma non la sostituzione del giudice amministrativo,
per il tramite del consulente tecnico, ai giudizi di tipo tecnico formulati
dall’amministrazione. Con espressione sintetica si può allora dire che il
controllo del g.a. sul giudizio tecnico dell’organo amministrativo, pur se
divenuto intrinseco - nel senso della possibilità di accertare direttamente
i fatti e di controllare la ragionevolezza delle relative analisi, se
necessario con l’applicazione delle regole specialistiche già utilizzate
dalla p.a. e l’ausilio della consulenza - è rimasto un controllo debole,
nel rammentato senso dell’inammissibilità di una logica sostitutiva che
consenta al giudice di sostituire la sua opinione all’opinione, non
condivisa ma non risultante erronea, della pubblica amministrazione (vedi da
ultimo, Cons. Stato, sez.VI, 23 aprile 2002. n.2199).
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