07/11/2002  200206141   Consiglio di Stato, sez. V, 7 novembre 2002, n. 6141
PROCESSO AMMINISTRATIVO   -   INTERESSE A RICORRERE

Il soggetto che abbia ricevuto una pluralità di incarichi a termine, qualora intenda chiedere l’accertamento della sussistenza del rapporto di pubblico impiego, è tenuto ad impugnare i singoli atti di conferimento dell’incarico, pena l’impossibilità di accertamento per il periodo considerato dagli atti non impugnati (cfr., fra le pronunce più recenti, decisioni di questa Sez. n. 126 dell’11.1.2002, n. 287 del 17.1.2000 e della Sez. VI, n. 6272 del 18.12.2001).
DIPENDENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN GENERE     -  NULLITA’ DEL RAPPORTO

Il riconoscimento che la fattispecie possa essere regolata dall’art. 2126 c.c., pur comportando l’ammissibilità, in tale più limitata prospettiva, delle pretese a carattere retributivo e previdenziale, non implica, però, che possa essere attribuita una retribuzione, superiore a quella pattuita, commisurata a quella spettante ai dipendenti di ruolo che svolgono analoghe funzioni, il cui trattamento economico è determinato dal loro stato giuridico e dai conseguenti doveri d’ufficio (cfr. dec. di questa Sezione, nn. 1462 del 21.10.1995, e 517 del 5.5.1999 e del Cons. Giust. Amm. Re.Si. n. 4 del 15.1.2002).

 


 

07/11/2002  200206135   Consiglio di Stato, sez. V, 7 novembre 2002, n. 6135
DIPENDENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN GENERE   -   CONCORSO

L'operato della commissione esaminatrice, nella valutazione del curriculum formativo e professionale, ha la natura di attività tecnico discrezionale il cui merito è insindacabile in sede di legittimità, salvo che vengano in rilievo specifici vizi logici apprezzabili sotto il profilo dell'eccesso di potere. Peraltro, il vizio di eccesso di potere per illogicità e' ravvisabile solo ove detto profilo sia manifesto altrimenti si darebbe ingresso ad un sindacato di merito. Deve ritenersi, quindi, che non ricorre il vizio citato quando nella valutazione dei titoli di due o più candidati ad un concorso, non sia percepibile una ingiustificata sproporzione, rilevabile con immediata evidenza.

 


 

07/11/2002  200206111  Consiglio di Stato, sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6111

     07/11/2002  200206112  Consiglio di Stato, sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6112
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE   -   OFFERTE ANOMALE

Il comma 1 bis dell’art. 21 della legge 11.2.1994, n. 109 (nel testo introdotto dall'art. 7, L. 18 novembre 1998, n. 415), così recita: "Nei casi di aggiudicazione di lavori di importo pari o superiore a 5 milioni di ECU con il criterio del prezzo più basso di cui al comma 1, l'amministrazione interessata deve valutare l'anomalia delle offerte di cui all'articolo 30 della direttiva 93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, relativamente a tutte le offerte che presentino un ribasso pari o superiore alla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del dieci per cento, arrotondato all'unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e di quelle di minor ribasso, incrementata dello scarto medio aritmetico dei ribassi percentuali che superano la predetta media. A tal fine la pubblica amministrazione prende in considerazione entro il termine di sessanta giorni dalla data di presentazione delle offerte esclusivamente giustificazioni fondate sull'economicità del procedimento di costruzione o delle soluzioni tecniche adottate o sulle condizioni particolarmente favorevoli di cui gode l'offerente, con esclusione, comunque, di giustificazioni relativamente a tutti quegli elementi i cui valori minimi sono stabiliti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, ovvero i cui valori sono rilevabili da dati ufficiali. Le offerte debbono essere corredate, fin dalla loro presentazione, da giustificazioni relativamente alle voci di prezzo più significative, indicate nel bando di gara o nella lettera d'invito, che concorrono a formare un importo non inferiore al 75 per cento di quello posto a base d'asta.". Al riguardo, la sentenza della Corte di Giustizia C.E. – VI Sez., 27 novembre 2001 (cause C-285/99 e C-286/999) - resa nell’ambito di un procedimento promosso ai sensi dell’art. 234 Trattato C.E. da questa Sezione con ord.za 5 luglio 1999, n. 1173 - ha statuito, per quanto ora qui rileva, che l’art. 30, n. 4, della Direttiva del Consiglio C.E.E. 14 giugno 1993, n. 93/37, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, deve essere interpretato nel senso che esso si oppone alla normativa o alla prassi amministrativa di uno Stato membro che consentono all’Amministrazione aggiudicatrice di respingere come anormalmente basse le offerte che presentano un ribasso superiore alla soglia di anomalia, tenendo conto unicamente delle giustificazioni dei prezzi proposti, relativi ad almeno il 75% dell’importo posto a base d’asta menzionato nel bando di gara, che gli offerenti erano tenuti ad allegare alla loro offerta, senza concedere a quest’ultimi la possibilità di far valere il loro punto di vista, dopo l’apertura delle buste, sugli elementi di prezzo offerti che hanno dato luogo a sospetti. In sostanza, secondo la Corte, l’art. 30, n. 4, della Direttiva presuppone necessariamente l’applicazione di una procedura di verifica in contraddittorio delle offerte anormalmente basse, imponendo all’Amministrazione aggiudicatrice l’obbligo, dopo aver preso conoscenza di tutte le offerte, e prima di decidere a chi aggiudicare l’appalto, di chiedere anzitutto precisazioni sugli elementi dell’offerta sospettata di anomalia che abbiano concretamente dato luogo a dubbi da parte sua, e di valutare successivamente questa offerta in relazione alle giustificazioni fomite dall’offerente interessato in risposta a tale richiesta. Per pacifica giurisprudenza, le pronunce pregiudiziali della Corte di Giustizia della Comunità europea hanno efficacia ex tunc, tranne nei casi in cui la stessa Corte, per considerazioni attinenti alla certezza dei rapporti giuridici, si riconosca il diritto di limitare, per il passato, l'effetto delle proprie decisioni; ne consegue che, intervenuta in via pregiudiziale la decisione interpretativa della Corte, e configuratosi il contrasto tra la normativa italiana e quella comunitaria, siccome interpretata, la norma ritenuta incompatibile non può più essere applicata dal giudice nazionale al caso di specie, senza che tale mancata applicazione trovi un limite cronologico iniziale con riferimento al momento della pronuncia interpretativa. (fra le molte Cass., sez. lav., 22-12-1999, n. 14468 nonché, in fattispecie analoga a quella oggetto della presente controversia, C.G.A. 25.2.2002 n. 81). Da quanto sopra deriva chiaramente che il Collegio è vincolato ad interpretare l’art. 21, comma 1 bis, (e le relative clausole della legge di gara) nel senso indicato dalla Corte, dovendosi in conclusione reputare confliggente con l’ordinamento comunitario quella prassi ermeneutica che consentiva in sostanza alla Amministrazione di pervenire alla valutazione di anomalia senza la previa instaurazione del contraddittorio con l’impresa offerente: il che, come si vedrà, comporta l’accoglimento dell’appello per fondatezza del primo mezzo, con assorbimento delle ulteriori censure.

 


 

07/11/2002  200206073  Consiglio di Stato, sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6073
DIPENDENTI COMUNALI E PROVINCIALI    -   STATO GIURIDICO

La circostanza che gli insegnanti tecnico pratici dipendenti dalle amministrazioni provinciali vengano assimilati, per taluni aspetti di carattere funzionale, agli insegnanti tecnico pratici statali, non fa venire meno la loro qualità di dipendenti delle amministrazioni provinciali e, di conseguenza, le previsioni degli accordi per il comparto enti locali, per quel che concerne la disciplina del trattamento giuridico ed economico. I comparti di contrattazione sono, difatti, individuati con riferimento al rapporto di lavoro che lega il personale con le varie amministrazioni.


 

07/11/2002  200206071  Consiglio di Stato, sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6071
DIPENDENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN GENERE   -  CONCORSO

La legittimità del voto numerico è stata riconosciuta, con orientamento costante di questo Consiglio di Stato, anche dopo l’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241, sul rilievo che il tipo di motivazione previsto da tale ultima normativa postula necessariamente l’esistenza di attività provvedimentale e non di mero giudizio, quale è quella che riguarda la valutazione in tema di concorsi.
La norma di cui all’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 non implica la necessità di esplicitare quali siano in concreto gli elementi di fatto e di diritto che dalla valutazione dei documenti esaminati giustificano il giudizio da rendere in forma di voto.

 


 

07/11/2002  200206069  Consiglio di Stato, sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6069
COMUNE   -   DELIBERAZIONE

La giurisprudenza non ha mai richiesto formule sacramentali ai fini del rispetto dell'art. 282 del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, essendosi sempre ritenuto all'uopo sufficiente che nella nuova deliberazione risulti comunque chiara la volontà del Comune di revocare, annullare o, più genericamente, sostituire la precedente (Sez. IV, 27 maggio 1977, n. 533; Sez. V, 17 novembre 1970, n. 939; Sez. V, 5 dicembre 1969, n. 1495; Sez. V, 10 novembre 1967, n. 1527). Tale orientamento, è confortato anche dall’Adunanza plenaria (cfr. A. P. 9 marzo 1982, n. 3) e ribadito anche di recente (cfr. Sez. V, n. 1225 del 25 agosto 1995).

 


 

07/11/2002  200206066   Consiglio di Stato, sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6066
ATTO E PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO   -   MOTIVAZIONE

La funzione della motivazione del provvedimento amministrativo è finalizzata a consentire al cittadino la ricostruzione dell’iter logico-giuridico attraverso cui l’amministrazione si è determinata ad adottare un dato provvedimento; controllando, quindi, il corretto esercizio del potere ad essa conferito dalla legge e facendo valere, eventualmente nelle opportune sedi, giustiziali o giurisdizionali, le proprie ragioni (questa Sezione, 29 aprile 2002, n. 2281). E’ stato, inoltre, osservato che la garanzia di adeguata tutela delle proprie ragioni non viene meno per il fatto che nel provvedimento finale non risultino chiaramente e compiutamente esplicitate le ragioni sottese alla scelta, allorché le stesse possano essere agevolmente colte dalla lettura degli atti afferenti alle varie fasi in cui si articola il procedimento (questa Sezione: 9 ottobre 2000, n. 5346; 22 dicembre 1998, n. 1866; 26 gennaio 1998, n. 66). Ciò in omaggio ad una visione non meramente formale dell’obbligo di motivazione, ma coerente con i principi di trasparenza e di lealtà desumibili dall’art. 97 della Costituzione. Deve aggiungersi, anche, che l’onere della motivazione, per la stessa funzione che è chiamato a svolgere il provvedimento amministrativo (di ordinatore degli interessi pubblici e di contemperamento tra questi e quelli privati), non può rispondere ad uno standard fisso ed immutabile, ma varia necessariamente in ragione degli effetti, ampliativi o restrittivi, che il provvedimento è destinato a produrre nella sfera giuridica dei destinatari o della più o meno elevata interferenza degli interessi privati con quello pubblico perseguito (questa Sezione, 29 aprile 2002, n. 2281).

 


 

04/11/2002  200206004   Consiglio di Stato, sez. VI, 4 novembre 2002, n. 6004
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE   -   OFFERTE

La regola generale della pubblicità della gara, segnatamente con riguardo al momento dell’apertura delle buste, è dalla prevalente legislazione speciale operante nei settori ex esclusi ai sensi del decreto legislativo 17 marzo 1957, n.158, di recepimento delle direttive 90/531 e 93/28 CEE. Giova in particolare rimarcare che detta normativa, volta alla regolazione complessiva di procedure attinenti a settori (acqua, energia elettrica, gas, energia termica, trasporti, telecomunicazioni), non solo non sancisce expressis verbis l’obbligo di pubblica apertura delle buste contenenti le offerte e la documentazione ma esclude che, nel caso di procedure ristrette e negoziate, si debba dare notizia della data, del luogo e dell’ora di apertura delle buste. Tanto si ricava, in particolare, dall’analisi comparativa delle schede A, B e C, dell’allegato XII del decreto legislativo: mentre infatti la prima, relativa alle procedure aperte, al punto 11, contempla l’indicazione, in senso al bando di gara, di data, ora e luogo dell’apertura delle offerte in sede aperta al pubblico, la seconda e la terza, rispettivamente concernenti le procedure ristrette e negoziate, omette ogni riferimento alla fase dell’apertura ed alle formalità relative. Se si considera, poi, che l’allegato in parola, al quale rinvia il dettato dell’art.11, comma 1, dello stesso decreto, reca la puntuale e completa indicazione del contenuto del bando di gara nelle esposte tipologie di procedure risulta evidente che sia la normativa comunitaria sia la legislazione nazionale, la quale ultima si è uniformata alle regole europee senza dettare norme integrative in subiecta materia, hanno inteso sottrarre le procedure diverse da quelle cd. "aperte" all’esplicazione del principio generale di pubblicità della seduta dedicata all’apertura delle offerte. La ratio di tale opzione normativa e, a valle, della condotta delle stazioni appaltanti, può essere facilmente colta se solo si considera che si è al cospetto di una procedura negoziata ex lettera c) dell’articolo 12 del citato decreto legislativo n. 158/1995, ossia di una procedura che, pur divergendo in modo sensibile dal modello della tradizionale trattativa privata integralmente deproceduralizzata, conserva margini di snellezza e di elasticità che giustificano la sottrazione a regole formali operanti con riferimento alle gare sottoposte ad un più intenso tasso di pubblicità e di formalismo. La circostanza poi secondo cui il principio che impone la pubblicità dell’atto di apertura delle offerte, desunto dalla normativa contenuta nel regolamento generale di contabilità dello Stato (art.89, comma 4, r.d. 23 maggio1924, n.827) avrebbe valore generale nelle procedure ad evidenza pubblica, non incide poi sulla possibilità che a detta regola, non dotata di sanzione costituzionale, possa derogarsi da parte del legislatore nazionale con una disciplina che in modo ragionevole calibri il regime di pubblicità in rapporto al tipo di procedura ed alle esigenze che la caratterizzano. Si deve osservare d’altronde, a sostegno della caratterizzazione non rigida del principio e della possibilità di apportavi temperamenti modulati in funzione della specificità della procedura, che la stessa giurisprudenza, con riferimento peraltro a procedure non interessate da normative speciali, ha reputato che il principio di pubblicità della gara può essere derogato, in relazione all’apertura dei plichi contenenti la documentazione di gara e le offerte, nell’ambito delle procedure – quale la presente- regolate dal criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, stante la necessità per la commissione giudicatrice di procedere ad una specifica valutazione tecnica delle offerte (Cons. Stato, sezione V, 14 aprile 2000. n.2235, la quale ha ritenuto che la deroga deve ritenersi consentita anche rispetto alle offerte economiche, considerato che la loro consistenza risulta da atti scritti ai quali, insieme ai verbali da cui risulta la loro comparazione, la legge assicura l’accesso a chi vi abbia interesse; Cons. Stato, sezione V, 23 agosto 2000. n.4577, ove si sottolinea la possibilità di derogare al principio di pubblicità della gara per quanto attiene all’apertura dei plichi contenenti la documentazione richiesta dal bando di gara e dalla lettera di invito alla licitazione privata, ferma restando la necessità del rispetto delle inabdicabili garanzie di imparzialità, correttezza e trasparenza cui devono essere improntate le pubbliche gare; CGA 28 gennaio 2002, n.58, ove parimenti si ammette la deroga al principio di pubblicità quando la Commissione debba procedere ad una specifica valutazione tecnica delle offerte, il che si verifica nell’ipotesi dell’appalto concorso, ovvero quando si debba procedere all’aggiudicazione secondo il principio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e sia prevista anche la possibilità di proporre varianti ed integrazioni).
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE   -   AGGIUDICAZIONE

Secondo l’orientamento interpretativo, emerso sia in ambito nazionale che in sede comunitaria, nelle procedure di evidenza pubblica va considerata illegittima ed esclusa "qualsiasi negoziazione, anche in fase successiva all’aggiudicazione, con il candidato risultato aggiudicatario al fine di evitare l’introduzione di elementi distorsivi della concorrenza, in violazione dei principi comunitari in materia. In effetti, con parere motivato, reso il 23 marzo 1998 all'indirizzo della Repubblica Italiana, ai sensi dell'art.169 del Trattato CE, la Commissione CE ha sottoposto a censura il comportamento di un'amministrazione pubblica che, all'esito di una licitazione privata, aveva proceduto a rinegoziare con l'impresa risultata aggiudicataria i termini e i prezzi d’offerta (procedura d’infrazione n.95/4646). Con parere reso dall'adunanza della Commissione speciale il 12 ottobre 2001, n.1084/2000, il Consiglio di Stato ha confermato l'indirizzo contrario alla rinegoziazione successiva all’aggiudicazione, segnatamente con riguardo alla prassi seguita da alcune amministrazione di chiedere sconti economici alle imprese aggiudicatarie. A sostegno dell’assunto il Consiglio ha osservato che: la rinegoziazione dell'offerta, dopo l'aggiudicazione, può indurre l'impresa aggiudicataria a recuperare l'ulteriore sconto sul prezzo incidendo negativamente sulla qualità del servizio o del prodotto fornito e ponendosi in contrasto con la ratio della disciplina legislativa in materia di controllo del fenomeno delle offerte basse in misura anomala; lo stesso meccanismo proprio delle procedure "ad evidenza pubblica" è già fisiologicamente diretto all'individuazione del miglior contraente possibile, ossia di colui che ha formulato l'offerta marginalmente più congrua, oltre la quale l'impresa potrebbe non avere più interesse ad effettuare il servizio o la fornitura richiesti. Rinegoziando l’offerta dopo l’aggiudicazione, si verrebbe a trasformare un'originaria procedura aperta (ovvero ristretta) in una negoziata, passando così sostanzialmente allo schema della trattativa privata; un’eventuale rinegoziazione si pone in contrasto con la procedura originariamente individuata e sulla cui base sono state specificamente formulate le offerte, ponendosi in contrasto con i limiti posti dal legislatore europeo al fine di delimitare la possibilità di ricorso alla procedura negoziata. Si introdurrebbe, in sostanza, un elemento distorsivo della stessa funzione della gara, nella misura in cui i concorrenti verrebbero indotti ad inglobare nelle offerte il rilievo economico insito nel successivo meccanismo della rinegoziazione. L’avviso del Consiglio di Stato risulta recepito dalla circolare 15 novembre 2001, n.12727, della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie, avente ad oggetto per l’appunto il "divieto di rinegoziazione delle offerte nelle pubbliche gare dopo l'aggiudicazione" (G.U. n.8 del 10 gennaio 2002).
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE   -   OFFERTE

Nel contesto di una procedura finalizzata alla scelta dell’offerta economicamente più vantaggiosa in relazione a progetti caratterizzati da significativi profili di complessità tecnica, le singole offerte sono fisiologicamente destinate al confronto con le altre. La disamina comparativa dei singoli elementi delle offerte appare allora, meglio dell’analisi atomistica dei medesimi, capace di rispondere alla finalità ultima di selezionare il progetto, sul versante tecnico-economico, più rispondente agli interessi perseguiti dalle stazioni appaltanti.
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE   -   VERBALE DI GARA

Secondo consolidata giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez.V, 19 marzo 2001, n.1642), il verbale di gara fa piena prova di quanto attestato salva querela di falso.
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE   -   COMMISSIONE DI GARA

Il giudizio della commissione giudicatrice, in sede di valutazione comparativa delle offerte è caratterizzato dalla complessità delle discipline specialistiche di riferimento e dall’opinabilità dell’esito della valutazione, sfugge, in base a costante giurisprudenza, al sindacato del giudice amministrativo in sede di legittimità laddove non vengano in rilievo indici sintomatici del non corretto esercizio del potere, sub specie di difetto di motivazione, di illogicità manifesta, di erroneità dei presupposti di fatto e di incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti. Il potenziamento dei mezzi istruttori utilizzabili dal giudice amministrativo ai fini del sindacato sulle valutazioni di stampo tecnico-specialistico, sancito dall’innesto della consulenza tecnica ai sensi dell’art.16 della legge 21 luglio 2000, n.205, consente certo il pieno e diretto accertamento dei fatti presi in esame dall’amministrazione, ma non la sostituzione del giudice amministrativo, per il tramite del consulente tecnico, ai giudizi di tipo tecnico formulati dall’amministrazione. Con espressione sintetica si può allora dire che il controllo del g.a. sul giudizio tecnico dell’organo amministrativo, pur se divenuto intrinseco - nel senso della possibilità di accertare direttamente i fatti e di controllare la ragionevolezza delle relative analisi, se necessario con l’applicazione delle regole specialistiche già utilizzate dalla p.a. e l’ausilio della consulenza - è rimasto un controllo debole, nel rammentato senso dell’inammissibilità di una logica sostitutiva che consenta al giudice di sostituire la sua opinione all’opinione, non condivisa ma non risultante erronea, della pubblica amministrazione (vedi da ultimo, Cons. Stato, sez.VI, 23 aprile 2002. n.2199).

 


 

04/11/2002  200206000  Consiglio di Stato, sez. VI, 4 novembre 2002, n. 6000
CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMMINISTRAZIONE   -   OFFERTE ANOMALE

A fronte di giustificazioni ritenute non del tutto esaurienti al fine di verificare l'anomalia dell'offerta, la Commissione di gara deve attivare il contraddittorio con il concorrente richiedendo ulteriori elementi integrativi di giudizio. E ciò in coerenza con quanto disposto dalla Direttiva CEE 93/37 del 14.6.1993, così come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 27 novembre 2001, n.285/286. La Corte europea ha infatti ritenuto incompatibile con la direttiva in parola <<una normativa ed una prassi amministrativa che consenta all'Amministrazione aggiudicatrice di escludere come anormalmente bassa un'offerta, basandosi unicamente sulle giustificazioni relative alle voci di prezzo più significative presentate in allegato all'offerta stessa senza che l'amministrazione aggiudicataria abbia proceduto ad un qualsiasi esame in contraddittorio delle offerte sospette formulando richieste di chiarimento sui punti dubbi emersi nel corso di una prima verifica...>> (in linea con la pronuncia della Corte cfr. Cons. giust. amm. Reg. sic. 25 febbraio 2002, n.81).
RISARCIMENTO DEL DANNO

Condizione perché possa riconoscersi il diritto al risarcimento del danno è la positiva verifica di tutti i requisiti di legge: oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento (il "danno ingiusto"), è indispensabile che sia accertata anche la colpa (o dolo) dell'Amministrazione. Ciò posto, non può configurarsi colpa dell'Amministrazione ove la violazione delle regole da parte di questa sia l'effetto di un errore scusabile, e se alla stessa Amministrazione non possano essere mosse censure sul piano della diligenza e della perizia (in tal senso Cons. St. IV 14 giugno 2001, n.3269).