.Consiglio di Stato, sez. V, 6 settembre 2002, n. 4562
Se per le concessioni edilizie rilasciate in sanatoria a’ sensi degli articoli 31 e seguenti della legge 28 febbraio 1985, n. 47, i contributi di concessione vadano calcolati ai sensi dell’articolo 11 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (con riferimento, cioè, al momento del rilascio) ovvero con riguardo al tempo di presentazione della istanza. La materia è regolata dall’articolo 37 della legge n. 47 del 1985, che così recita: «Le regioni possono modificare, ai fini della sanatoria, le norme di attuazione degli articoli 5, 6 e 10, L. 28 gennaio 1977, n. 10. La misura del contributo di concessione, in relazione alla tipologia delle costruzioni, alla loro destinazione d'uso ed alla loro localizzazione in riferimento all'ampiezza e all'andamento demografico dei comuni, nonché alle loro caratteristiche geografiche, non può risultare inferiore al 50 per cento di quello determinato secondo le disposizioni vigenti all'entrata in vigore della presente legge.»Il precetto è di assoluta chiarezza: le leggi regionali non possono determinare una misura del contributo di concessione per immobili soggetti a sanatoria che risulti inferiore alla metà di quello determinabile giusta le disposizioni vigenti al momento di entrata in vigore della medesima legge n. 47 del 1985. Ne consegue che quest’ultimo computo costituisce il limite massimo di esposizione per la determinazione del contributo di concessione. La ratio della disposizione trova nell’impianto della legge (e nel principio di ragionevolezza) ulteriori motivi di sostegno. La legge n. 47 del 1985 ha la dichiarata finalità di ripristinare, in presenza di determinate condizioni, la legalità violata nel settore edilizio - urbanistico attraverso una procedura che, diversamente da quella di rilascio della concessione edilizia ex lege n. 10 del 1977, presuppone l’esistenza dell’immobile, in quanto edificato entro una determinata data. La procedura in questione è preordinata: alla prova dell’esistenza dell’immobile e della sua edificazione nei termini indicati dal legislatore (per assicurare un rapporto tra realtà effettuale e determinazioni amministrative); all’accertamento della conformità urbanistica o, quanto meno, dell’inesistenza di insuperabili vincoli di inedificabilità, dell’intervento ancorché non assistito da atti di assenso dell’Amministrazione (per legittimare il successivo atto di concessione in sanatoria). La concessione in sanatoria è così destinata a rivestire di legittimità un fatto al quale è intrinsecamente correlata: senza il fatto (cioè l’immobile abusivo) non si determinerebbe un esame ex post (e una tantum) della qualificazione giuridica (cioè della possibile sanabilità). Si intende cioè sottolineare come, diversamente che nella legge n. 10 del 1977, il fatto (la costruzione) precede e non segue il rilascio della concessione. Da questa osservazione scaturisce come proprio la prospettiva su dati di fatto non omogenei e disciplinati da diversi precetti giuridici (dalla quale il Giudice di prime cure ha fatto discendere l’applicazione del principio di specialità) impedisce l’ipotesi assimilativa, fatta propria dal Comune appellante. D’altro canto, la previsione del combinato disposto degli articoli 3 e 11 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 collega il rilascio della concessione edilizia alla corresponsione di contributi per un’attività futura di edificazione, nonché di predisposizione delle opere di urbanizzazione. Al momento del rilascio i contributi vanno a gravare su un immobile ancora non esistente: è pertanto ragionevole il collegamento tra momento del rilascio della concessione e tariffe comunali vigenti a quell’epoca in quanto l’effetto conformativo del territorio è già completamente prefigurato nei suoi aspetti ideali. E’ evidente che, nell’ambito della legislazione di sanatoria, tutte queste considerazioni vengono meno: l’effetto si è già verificato e non in ragione del titolo rilasciato dall’Amministrazione ma proprio in assenza di quest’ultimo. E’ perciò coerente con il principio di ragionevolezza individuare una data entro la quale scaturiscano gli effetti giuridici utili per la conformazione del fabbricato, data che non può essere in ogni caso del tutto svincolata da quella di ultimazione dell’opera (1° ottobre 1983). Diversamente opinando, si creerebbe un forte squilibrio tra momento idealmente risarcitorio del vulnus (atto di sanatoria) e situazione di fatto, con una divaricazione non solo temporale contraria ai principi: di uguaglianza nella soggezione alle prestazioni patrimoniali imposte (art. 3 e 23 Cost.), ben potendo due identiche violazioni urbanistico - edilizie, contemporaneamente ultimate, essere sanate con la corresponsione di oneri di diverso importo; di buon andamento della pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.), rimettendosi alle scelte discrezionali in sede organizzativa del Comune la facoltà di determinare la tariffa applicabile al caso; di affidamento del privato nel corretto esercizio delle attribuzioni da parte dei soggetti pubblici (artt. 3 , 24 e 97 Cost.), per quest’ultimo dovendosi intendere lo svolgimento nei termini prescritti (id est nei ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda) delle attività istruttorie necessarie per il completamento della pratica: nel caso di specie è, per contro, avvenuto che l’iter abbia richiesto ben nove anni.