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INTERVENTO DEL SEN. D’ALI - SOTTOSEGRETARIO AL MINISTERO INTERNO AL
CONVEGNO TENUTOSI A
PALERMO IL 24 FEBBRAIO 2003
Sono molto grato per l’invito, e al contempo, rammaricato per non
aver potuto ascoltare le precedenti relazioni.
Entro, come si suol dire “a freddo” nella discussione.
Quello che io voglio fare è portare il mio personale saluto e
pensiero, che dovrebbe anche riflettere il pensiero del Governo centrale e
soprattutto del Ministero dell’Interno, sulla tematica delle innovazioni
costituzionali e sull’inquadramento della figura del segretario
comunale.
Anzitutto debbo ribadire, come ha fatto il Ministro dell’Interno
pochi giorni fa all’inaugurazione dell’anno accademico della Scuola
della nostra Amministrazione, che la figura dell’ente comune rimane la
principale nell’assetto costituzionale del nuovo posizionamento delle
istituzioni sul territorio.
Il
dibattito, naturalmente, pone dei punti di domanda, punti di domanda che sono alimentati sia dalla riforma del
titolo V della Costituzione, approvata nel corso della precedente
legislatura, sia dalle iniziative avanzate nel corso di questa legislatura
di integrazione di quella riforma, la cosiddetta “devolution”,
sia ancora da alcune interpretazioni che vengono date alla riforma
titolo V della Costituzione.
Quest’ultima, come tutti sappiamo, ha lasciato parecchie zone
d’ombra, parecchie aree grigie sulle quali bisogna intervenire con varie
leggi di attuazione nonché con interpretazioni autentiche. Inoltre,
alcuni disegni di legge presentati in Parlamento all’inizio di questa
legislatura hanno aperto dei dubbi notevoli su quella che può essere la
figura del segretario comunale. Credo che questo sia oggetto specifico di
una tematica più vasta che è quella riguardante quali debbano essere i
rapporti tra amministrazione centrale e amministrazioni comunali intese
come primo interlocutore e del cittadino e della stessa amministrazione
centrale.
Come dicevo, il pericolo espressamente denunciato dal Ministro
dell’Interno, nel suo intervento di qualche giorno fa, e da me
pienamente condiviso, è quello del neo-centralismo regionale,
un pericolo concreto che noi avvertiamo.
Da siciliano mi viene più facile affrontare la tematica perché la
si può guardare con quell’occhio distaccato di chi, tutto sommato, non
è direttamente interessato al problema della riforma del titolo V,
anche se non è poi vero che la riforma del titolo V incide
solo sulle regioni a statuto ordinario poiché, a mio avviso, crea
invece le premesse per una rivisitazione anche dei rapporti tra lo Stato e
le Regioni a Statuto speciale.
Quello del neocentralismo è un pericolo esistente, come dimostrano
i fatti che stanno contraddicendo i presupposti di quella che è stata la
riforma del titolo V o quanto meno i principi che dovevano essere alla
base di quella riforma.
Dal momento che quella riforma conteneva in sé ampie zone grigie
lasciava la possibilità alle varie correnti di pensiero di potersi
accreditare in un senso piuttosto che in una altro;
ma se è vero che i pilastri della riforma del titolo V sono tre,
il principio di sussidiarietà, il principio di pari ordinazione
degli enti tra di loro, il
principio di leale collaborazione fra le autonomie,
allora è altrettanto vero che occorre fare di tutto per evitare
che poi di fatto si reintroduca una
forma di gerarchia fra gli enti (che è quello che sta succedendo).
Intanto la riforma, avendo dato alle Regioni potestà legislativa
mentre alle altre autonomie locali solamente potestà di normazione
amministrativa, ha creato di per sé un diverso livello gerarchico tra gli
enti; ma il problema nasce e si aggrava quando di fatto attraverso la
conferenza unificata, attraverso gli accordi istituzionali, attraverso
anche leggi ordinarie, le regioni continuano ad assumere presenza
preponderante, non tanto riguardo al loro aspetto dimensionale quanto ai
poteri che vengono loro man mano attribuiti.
Poteri che finiscono col sottrarre poteri allo Stato – e questo
nell’ottica dello Stato federalista è sicuramente un indirizzo coerente
– ma che finiscono per altro verso col pressare sulla competenza e sulla
autonomia degli enti locali.
E allora che cosa fare per cercare di controbilanciare questa che
è una tendenza di fatto ancor più reale di quanto non lo sia nella
dottrina?
Noi abbiamo ottenuto, come Ministero dell’Interno, uno strumento
importante, che è quello della riscrittura del Testo Unico sugli Enti
Locali; abbiamo chiesto, ottenendolo,
lo scorporo rispetto al disegno di legge di attuazione del Titolo V
– anche se, probabilmente, per motivi di opportunità e rapidità di
percorsi parlamentari decideremo in ultimo di aggregarci con un maxi
emendamento nel corso della discussione alla Camera dei Deputati sul
d.d.l. cosiddetto "La Loggia”.
Ci affiancheremo con la proposta di delega che deve individuare i
principi del nuovo Testo Unico degli Enti Locali. Lì, noi cercheremo di
inserire con l’ausilio del Parlamento, inteso nel senso del dibattito
parlamentare, alcuni punti riequilibratori di questa nuova gerarchia tra
gli enti che di fatto sta contraddicendo il principio di pari ordinazione
previsto dal titolo V della Costituzione.
Perché quello che dobbiamo assolutamente eliminare o far sì che
non accada è che nell’attuazione del principio di sussidiarietà si
inserisca un meccanismo di considerazione soltanto dimensionale degli
enti. Perché non è semplicisticamente vero affermare, come si dice per
semplificare, che quello che non può fare il Comune faccia la Provincia e
ciò che non può fare la Provincia lo faccia la Regione (e poi ci sono
anche le città metropolitane; e anche questo è un argomento che ancora
dobbiamo affrontare).
Questo meccanismo, nell’attuazione
del principio di sussidiarietà reintroduce di fatto ancora una volta un
principio di gerarchia tra gli enti, direi
peggiorando il quadro in quanto lo inserisce – come ho già detto
- in un meccanismo che ha riguardo solamente all’aspetto dimensionale
degli enti. Su questo, quindi, e sulla creazione di un apposito tavolo
delle autonomie che possa rappresentare il momento di compensazione di
tutte quelle che possono essere le inefficienze del sistema dei servizi al
cittadino, noi vorremmo, al più presto, aprire un dibattito.
L’introduzione di un tavolo delle autonomie è la sede dove le
autonomie possano sedersi con assoluta pari dignità, senza che ci siano
momenti di prevaricazione di un livello istituzionale rispetto ad un altro
e dove si possa discutere anche delle caratteristiche gestionali
di ogni ente, al fine di assolvere concretamente, pienamente al
principio di sussidiarietà anche attraverso
un’attenta analisi delle attrezzature e dei mezzi di cui ogni ente
dispone.
Io non dico di arrivare al modello americano in cui, come sappiamo,
c’è anche una competizione tra i servizi offerti delle istituzioni.
In America, ad esempio, ci sono dei Comuni che sono bravi ed
efficienti e che mettono nelle condizioni le contee e le regioni di non
contare completamente, perché tutti i servizi vengono svolti dal Comune
e viceversa ci sono delle situazioni in cui il ruolo della
contea è capovolto. Ma questo è un livello di competizione fra servizi
offerti dalle istituzioni che va molto al di là di quelli che sono i
nostri principi e di quella che è la nostra
attuale struttura. Vi dico però che non è detto che si debba
applicare meccanicamente e solamente per valutazioni dimensionali il
principio di sussidiarietà nel nostro Paese e che si debba applicare
solamente in senso verticale ascendente ma, secondo me, anche in senso
discendente.
Vi possono essere infatti dei comuni in condizione di sopperire
alle deficienze dell’ente regione, e allora queste situazioni debbono
essere evidenziate a questo tavolo delle autonomie e, senza volere
prevaricare nessuno, e sempre nell’interesse del cittadino che deve
avere reso il servizio, stabilire di comune accordo chi deve intervenire,
anche provvisoriamente, nelle more che un ente si attrezzi per quelli che
sono i suoi compiti.
Questo
è uno schema certamente complesso, ma più aderente alle necessità del
nostro Paese, delle nostre istituzioni, ove ancora, ricordiamolo, bisogna
ritagliare spazio per le città metropolitane.
Come sapete il Ministero dell’Interno sta incentivando al massimo
tutti i fenomeni di unione di comuni, di associazioni dei comuni nel rendere i
servizi. Quindi se non ci affrettiamo a costituire un tavolo dove si
discuta, si rischia di incappare in alcuni meccanicismi che creano
soltanto confusione e disservizi.
E’ chiaro che il Ministero dell’Interno, che vuole essere al
centro di questo tavolo delle autonomie, non può che intravedere la
funzione di cardine del Prefetto cioè del reggente l’Ufficio
territoriale del Governo, non dico come giudice imparziale, poiché è una
figura che non mi piace, ma come protagonista di un momento di
discussione, di dialogo, di cerniera tra le varie istituzioni perché è
in posizione terza rispetto a quello che può succedere sul territorio, e
che oggettivamente può offrire al Governo una panoramica più completa su
quello che accade.
Ritornando all’attuale dibattito parlamentare, all’evoluzione
della legislatura si ritrova un altro punto che il Parlamento deve
risolvere, e dico e sottolineo il Parlamento non perché il Governo si
vuole sottrarre alla responsabilità di esprimere una sua opinione, ma
perché non può che essere il Parlamento la sede legislativa dove si
fanno le riforme.
Scusate se apro una parentesi, ma dobbiamo evitare assolutamente
che la sede di definizione delle riforme sia la Corte Costituzionale.
Questo lo dobbiamo evitare noi come politici ma credo che lo debbano
evitare tutti gli operatori della pubblica amministrazione; corriamo
infatti l’ulteriore pericolo che la Corte Costituzionale diventi la sede
di definizione della riforma del titolo V della Costituzione perché le
zone d’ombra che essa ha lasciato stanno danno, come voi sapete, la
stura a tutta una serie di
ricorsi sia avverso leggi regionali sia avverso leggi dello Stato ma anche
a livello di rapporti tra le
varie istituzioni.
La Corte Costituzionale quindi, se noi non interveniamo rapidamente
con le norme di attuazione e secondo
me, con una ulteriore rivisitazione complessiva di tutta la riforma, sarà
la sede in cui a spizzichi e bocconi, quindi con tutte le
inefficienze che ne derivano si riscriverà una riforma che quindi
non potrà che essere incompleta perché
come sapete le sentenze saranno emesse su casi, su quesiti
specifici.
In Parlamento, dunque e per tornare al centro del nostro dibattito
che cosa dobbiamo decidere in maniera essenziale nell’ambito della
riscrittura dei principi di
delega sul Testo Unico degli Enti Locali? Dobbiamo
decidere innanzitutto chi scrive le funzioni fondamentali. Questo è il punto politico forte che non è un oggetto di discussione tra opposizione e maggioranza ma un punto che trasversalmente risente di quelle che sono le personali origini di ciascun parlamentare e soprattutto delle correnti dottrinarie cui tutti sono sottoposti, divisi settorialmente tra regionalismo e posizioni di Anci, Upi e di Uncem.
La volontà del Ministero dell’Interno è quella di affermare che
le funzioni fondamentali dei Comuni le scrive il Parlamento e le
riscriviamo noi attraverso la delega del T.U.E.L. Tutte, anche quelle che
ricadono dal punto di vista di legislazione secondaria residuale nelle
competenze della Regione e questa è anche la posizione forte dell’Anci.
C’è una corrente di pensiero che dice invece che le funzioni
fondamentali le scrive il nuovo Testo Unico sugli Enti Locali per quanto
riguarda le competenze
esclusive dello Stato, mentre per quanto
riguarda le competenze esclusive delle regioni e per quanto riguarda la
legislazione concorrente le scriveranno le regioni.
Pensate a quale tipo di confusione andremo incontro se ciò dovesse
essere affermato definitivamente. Venti testi sugli enti locali, uno per
ogni Regione e possibilmente con relative sostanziali differenze sulle
funzioni fondamentali dei comuni per alcune discipline. E’ un principio
pericolosissimo e, ripeto, la discussione in Parlamento su questo sarà
imminente e aperta. Penso che, alla Camera dei Deputati, questo argomento
andrà in discussione in aula al massimo tra un paio di mesi, essendo per
ora in piena discussione alla
prima commissione permanente.
Questo è un altro punto estremamente delicato ed importante.
Credo, ed in questo ho sollecitato anche l’Anci, che su questo
punto debba esserci un ampio dibattito nazionale; voi lo state facendo qui
e me ne compiaccio, ma lo si
deve fare a tutti i livelli, sia a livello di categorie, che a livello
anche di burocrazie interessate sia a livello di categorie, che di
istituzioni interessate.
D’altro canto, questi temi sui giornali non sono affrontati,
sembrano cose per gli addetti ai lavori, in realtà sono questioni che
incidono sulla vita quotidiana del cittadino e quindi questo dibattito
deve essere sollevato attraverso da una serie di confronti, attraverso una
serie di incontri per cui
alla fine lo stesso Parlamento venga messo nelle condizioni di ragionare
sull’importanza di quanto
poi accade. Alle volte, purtroppo, accade che il Parlamento non si
soffermi con la dovuta attenzione su questi fattori.
Voi capite meglio di me, perché siete addetti ai lavori,
quanto sia grande l’importanza che le funzioni degli enti locali
vengano iscritte in unico Testo Unico sugli Enti Locali piuttosto che in
un Testo Unico per alcune materie e di 20 testi unici per tutta un’altra
serie di materie. Non voglio radicalizzare il mio pensiero, ma mi sento di
dire che forse opportunamente queste riforme dovrebbero essere tutte
sospese e rimeditate attraverso magari anche una
nuova forma di Assemblea Costituente.
Qualcuno non ha capito che la riforma del titolo V della
Costituzione non è, come qualcuno l’ha voluta far passare, una riforma
secondaria, perché si trova nella seconda parte della Costituzione, perché
non tocca i principi, ma al
contrario l’organizzazione dello Stato sul territorio che è la prima
cosa, la più essenziale.
E tutto quello che viene appresso, nel dibattito, ivi compresa la
questione del presidenzialismo, è condizionato da come si intenda
riposizionare lo Stato sul territorio, le istituzioni sul
territorio, cioè gli interlocutori dei cittadini.
Voi potreste dire, ma proprio il Governo ci viene a dire queste
cose? Secondo me questo dibattito è patrimonio di tutti e tutti non
possiamo sfuggire a questo dibattito, e tutti abbiamo il diritto e il
dovere di esprimere la nostra personale opinione su questo dibattito. Perché
riscrivere il posizionamento delle istituzioni sul territorio significa
riscrivere la Costituzione. Noi abbiamo avuto per cento anni circa dal
1860 al 1948 uno Stato fortemente centralista. Nel ’48 è stato
immaginato uno Stato che poteva andare verso un decentramento, nel ’70
sono state istituite le regioni, ma sempre con una impostazione
centralista. Ora io non sono
contrario all’impostazione federalista, però dico che non possiamo
diventare 20 stati autonomi,
indipendenti e con un legame solamente formale; dobbiamo invece essere
tutti cittadini di questa Nazione, avendo
la possibilità di caricare
sulla nostra vita quelle che sono le caratteristiche dei territori
attraverso una serie di strumenti che diano la possibilità di tirarle
fuori queste caratteristiche in senso positivo, ma sempre senza creare
disparità tra i 60 milioni di abitanti.
In questo si inserisce l’importanza di questo dibattito, ma si
inserisce anche l’importanza dell’asse tra Governo Centrale e Comuni. Questo asse noi stiamo cercando di rafforzare, di valorizzare, perché il rapporto tra Ministero dell’Interno e Comuni, al di là della tradizione dei rapporti dal momento in cui è stata costituita l’unità d’Italia sino a d oggi, è importante in quanto consente al Governo di avere una visione molto più equilibrata del riposizionamento delle istituzioni sul territorio ed è importantissimo che ciò continui ad avvenire attraverso la figura del segretario comunale, figura, che per noi è figura di garanzia, di certezza di rispetto della legalità.
Su questo possiamo aprire anche un nuovo capitolo, l’approvazione
dell’art. 130 della Costituzione che ha decretato, a mio avviso non in
maniera definitiva, la fine dei controlli. Anche quello va ripensato perché
non è possibile immaginare degli enti che operano senza controlli di
carattere amministrativo, di legittimità amministrativa.
E’ pericoloso per tutti, è pericoloso per l’ente, è
pericoloso per i cittadini, è pericoloso per la politica, perché apre,
tra l’altro – e faccio in questo caso una considerazione puramente
politica - spazio a controlli
impropri, quali sono quelli della magistratura.
Il cittadino che si sente prevaricato nei suoi diritti, o la
minoranza che si sente prevaricata nel suo essere minoranza rispetto ad
una maggioranza arrogante, non avrà, infatti, più la possibilità del
ricorso ad organi diversi dalla magistratura amministrativa o ordinaria
che sia – e sia bene inteso io non ho nulla contro la magistratura –
ma questo non è il loro mestiere, è un’attività impropria, poiché la
fetta loro riservata dovrebbe essere residuale rispetto a tutto ciò che
potrebbe essere risolto in sede interna ed in via amministrativa.
Quindi l’abolizione dei controlli deve portare a un forte
ripensamento.
Su questo io ho insistito e insisto nelle sedi ufficiali, e
insisterò ancora pur nell’oggettiva limitatezza di strumenti
disponibili in fase di riscrittura del Testo Unico sugli Enti Locali al
fine di cercare di
reintrodurre non forme surrettizie di controllo, perché quelle sono state
abolite, ma alcuni meccanismi
alternativi; e proprio il tavolo delle autonomie di cui facevo cenno è un meccanismo di quel tipo, perché può portare ad un
dialogo forte con un rappresentante del Governo Centrale, può instaurare
alla fine dei nuovi meccanismi di controllo discusso, di controllo
concordato su quelle che sono alcune storture che e inevitabile che si
verifichino.
Io che sono un attore della politica, vi posso dire che la mancanza
di controllo, - anche al di là di quello che può essere il mio pensiero
ideale, - mi legittima ad essere un po’ più pesante quando devo
adottare una decisione e indebolisce la parte, diciamo così,
temporaneamente soccombente.
Queste sono cose molto pericolose sia nei rapporti tra ente e
cittadino, sia nei rapporti tra minoranze e maggioranze all’interno
delle istituzioni, ma soprattutto nei rapporti tra enti crea
quelle prospettive di contenzioso che vanno a finire sui tavoli
impropri. In questo periodo in cui i controlli sono stati di fatto aboliti, e in una prospettiva di ricostruzione di un quadro dei controlli che non potrà mai essere uguale a quello precedente, la figura del segretario comunale assume dunque maggiore rilevanza e maggiore importanza poiché esso costituisce di fatto l’ultimo argine, non dico all’illegalità ma all’illegittimità eventuale di un atto, alla superficialità di un’azione amministrativa. E quindi di questo siamo fortemente convinti, e cioè che la figura del segretario debba permanere e permanere rafforzata all’interno delle amministrazioni, perché essa è un presidio non soltanto per l’amministrazione centrale, ma un presidio soprattutto per i cittadini. Molte di queste superficialità possono essere infatti temperate nella valutazione preventiva che il segretario esprime. Così come mi pare assolutamente strumentale una contrapposizione tra figura segretario comunale e figura del direttore generale, tanto più che nel 68% dei casi le due figure si sovrappongono e coincidono, mentre per l’altra percentuale, che è destinata alle dimensioni più grandi le due figure si connotano in maniera assolutamente perfetta, ognuna con il suo ruolo, ognuna con il suo compito, che secondo me, addirittura anche in quella percentuale residua rafforza dal punto di vista della sua istituzione e del suo compito fondamentale, la figura del segretario comunale che si concentra su una professionalità assolutamente mirata.
Così come credo che sia necessario immaginare strade di ulteriore
utilizzo della figura dei segretari comunali, a partire da quelli in
disponibilità.
Vorrei dire, non dobbiamo confondere queste iniziative con una mera
possibilità di trovare una sistemazione a qualcuno. Assolutamente
no.
Noi dobbiamo partire dal presupposto che ci serve la professionalità
del segretario comunale temporaneamente non utilizzato per coprire nuovi
ruoli che nell’ambito della riforma della organizzazione delle
amministrazioni si rendono assolutamente fondamentali.
Quindi la Corte dei Conti per i suoi versi ma noi come Uffici
Territoriali del Governo dobbiamo accentuare la nostra già tradizionale
impostazione cosiddetta generalistica
del Prefetto. Per far ciò dobbiamo dire anche opportunisticamente
utilizzare il profilo dei segretari acquisendo la possibilità di fruire
della professionalità di coloro che hanno uno spettro di attività
complessivo diverso e forse più analitico in certi specifi settori
rispetto a quello che abbiamo, ad esempio, come carriera prefettizia. E
quindi questa integrazione appare necessaria. Ripeto non è una questione
di mera opportunità riconducibile all’esigenza di sistemare qualcuno,
ma è una questione di identità di vedute, e quindi identità di
interessi nell’attuare questa famosa riforma, ancora inattuata, degli
Uffici Territoriali del Governo.
Come sapete essa stenta a decollare proprio perché ancora, a
livello centrale, nei ministeri soprattutto, manca questa cultura del
nuovo posizionamento della struttura governativa sul territorio. Una
cultura che dovrà crescere rapidamente perché, diminuendo le competenze,
diminuendo le strutture, diminuendo tutta una serie di presenze dello
Stato in periferia, e abbandonando strutture che fanno poco, ciò porterà
sicuramente alla necessità di dovere concentrare su una importante
filosofia. Quella del nuovo Ufficio Territoriale del Governo, infatti
è una filosofia importante poiché rappresenta quel legame
residuale ma concentrato tra l’Amministrazione dello Stato e il
territorio. L’UTG dà la possibilità di una visione molto più completa
e in questo assolutamente abbiamo bisogno di acquisire professionalità da
chi già è abituato a coprire 360
gradi gli aspetti delle istituzioni nei contatti con il territorio e con
il cittadino.
Quindi, io sono assolutamente favorevole all’inserimento di chi
porta in sé la professionalità legata alla funzione di segretario
comunale e provinciale in quella che è la struttura degli Uffici
Territoriali del Governo e posso assicurarvi che anche all’interno del
Ministero la consapevolezza di questa opportunità sta crescendo in senso
positivo. Bisogna che tutti collaborino per cercare di trovare il migliore
assetto sul territorio. E’ da questo punto di vista credo che oltre alle
proposte che sono state già avanzate, e quelle che sono in stand-by, alla
fine troveremo una composizione complessiva nell’interesse
dell’Amministrazione, della sua efficienza nella operatività sul
territorio.
Quindi queste cose sentivo di dirvi,
poiché il dialogo che è importante in queste sedi,
è purtroppo episodico e deve continuare con le rappresentanze
ufficiali delle vostre associazioni di categoria.
E’ chiaro anche che dobbiamo realizzare
un’integrazione maggiore tra i nostri punti di formazione, le
nostre scuole. La Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno
è assolutamente aperta e disponibile a integrarsi con le vostre strutture
formative, prima fra tutte SSPAL, per
potere fare crescere insieme questa nuova cultura del posizionamento dello
Stato sul territorio e del legame fra Stato e Comuni, realizzando, ove
possibile, anche economie gestionali.
Non mi stancherò mai di dirlo,
e può darsi che alla fine la soluzione parlamentare non risponda
al 100% con la mia impostazione, ma
per quel che mi riguarda mi troverete sempre fermo e convinto sostenitore
del fatto che uno Stato funziona se l’ente comune che è la prima
interfaccia del cittadino e l’amministrazione centrale restino in
perfetta sintonia. Su questa filosofia sto portando avanti tutti i
progetti che mi sono stati affidati attraverso la mia delega, come, ad
esempio, quello della Carta
di Identità Elettronica e della connessa struttura
dell’INA - SAIA e in generale il potenziamento del rapporto forte
tra Amministrazione Centrale e Comuni.
Non ne faccio una questione di compito che mi è stato affidato,
poiché molto spesso infatti si tende a valorizzare le proprie
competenze rispetto a quelle di altri, ma ne faccio una questione di
profonda convinzione affinché questo nostro Stato, queste nostre
istituzioni potranno rappresentare maggiori certezze, potranno eliminare i
punti di confusione e cancellare ogni inefficienza. |
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