PADRE PIO
SULLA SOGLIA DEL PARADISO
«Quando morirò, chiederò al Signore di farmi sostare sulla soglia del Paradiso e non entrerò fino a quando non
sarà entrato l'ultimo dei miei figli spirituali». In queste semplici, ma impegnative, parole è racchiusa la straordinaria promessa che Padre Pio fece in vita, nelle più diverse circostanze, a numerosi suoi devoti. Una assicurazione sull'eternità che è ancor più attuale dopo il definitivo sigillo della Chiesa sulla santità del cappuccino del Gargano, il primo sacerdote stimmatizzato della storia, faro di fede e di spiritualità per milioni di persone.Furono infatti molti i figli spirituali che, soprattutto quando ormai era evidente l'approssimarsi della sua morte, gli chiesero: «Padre, ora che te ne vai, come faremo senza dite?». E Padre Pio, con il consueto modo di fare, burbero e scherzoso nel medesimo tempo: «Pezzo di scemo, io sarò qui in mezzo a voi, più di prima. Venite sulla mia tomba. Prima, per parlarmi, mi dovevate aspettare. Adesso, lì, sono io che vi aspetto. Venite sulla mia tomba e riceverete più di prima!». Mentre, per quanti non potevano muoversi fino a San Giovanni Rotondo, una precisa alternativa la diede al confratello padre Tarcisio Zullo: «Andate innanzi al tabernacolo: in Gesù troverete anche me».
Che non fossero parole disperse nel vento lo documentano le testimonianze di quanti gli furono intimissimi, a cominciare dall'allora amministratore della Casa Sollievo della Sofferenza, Angelo Battisti, il quale ha raccontato di quando Padre Pio scherzando gli diceva: «Nella tomba sarò più vivo che mai!». E all'economo della stessa struttura, Enzo Bertani - che, confessandosi per l'ultima volta da Padre Pio, il 19 settembre 1968, gli disse: «Come regalo per il 50° delle stimmate vorrei morire prima di lei» - il cappuccino rispose serio e deciso:
«Tu hai famiglia e devi campare. Tanto non ti lascerò, perché avrò molto tempo libero per esserti vicino».
La certezza della costante compagnia di Padre Pio era qualcosa di materialmente percepibile da parte di quanti il frate aveva accolto fra i propri penitenti: «Quando il Signore mi affida un'anima, io me la pongo sulle spalle e non la mollo più», diceva con solennità. Anche in questo caso non si trattava di superbia, bensì di serena consapevolezza dei doni che il Signore gli aveva dato e della responsabilità che ne derivava, come ha ricordato don Nello Castello: «Una volta Cleonice Morcaldi affermò: "Sulle spalle di Padre Pio ci sta il mondo e la Chiesa". A me l'espressione sembrava esagerata. Alla sera mi incontrai con Padre Pio il quale, dopo aver raccontato a me e ad altri la storia di san Cristoforo (cui la tradizione attribuisce l'attraversamento di un fiume con Gesù Bambino sulle spalle), fissandomi profondamente mi disse: "Sulle mie spalle sta il mondo". E io non avevo detto nulla!».
Per Padre Pio le centinaia di persone che quotidianamente affollavano la chiesa di Santa Maria delle Grazie e facevano la fila al suo confessionale non erano una massa indifferenziata, ma volti e nomi ben precisi, ciascuno con le proprie ansie e i propri problemi. Un giorno, lo stesso Battisti lo stuzzicò su questo tema: «Come fa a ricordarsi di tutte le creature che a lei si rivolgono, quelle che vengono e quelle che da lontano la chiamano? Penso che farà una comune intenzione, tutto un "calderone"...». E lui: «Nel calderone ti ci butto dentro a te: io le ricordo e le chiamo una.per una e gli conto i capelli, e ce n'è d'avanzo».
Lo testimonia la lunga durata, nella sua celebrazione eucaristica, del Memento per i vivi e per i morti, che spesso andava avanti per decine di minuti, nei quali lo si vedeva con il volto rivolto verso l'alto e talvolta con le labbra in movimento, intento come a presentare singolarmente al Cielo quelle persone e quelle anime che in quel giorno erano ricorse a lui o che avevano particolari bisogni spirituali e materiali. Una stupenda sintesi di questo amorevole atteggiamento è la risposta al dottor Guglielmo Sanguinetti, fra i primissimi medici della Casa Sollievo, che gli domandava come facesse ad amare tutti e ad essere di tutti. Battendogli teneramente la mano sulla spalla, Padre Pio disse:
«Correggi: tutto di ognuno. Ognuno può dire: il Padre è tutto mio!».
Chiamato a essere vittima per il mondo
La vocazione di Padre Pio a essere compagno e guida spirituale dei vivi e dei morti veniva da lontano. L'aveva espressa lui stesso sin dal 29 novembre 1910 a padre Benedetto da San Marco in Lamis, chiedendogli per iscritto un permesso particolare:
«Da parecchio tempo sento in me un bisogno, cioè di offrirmi al Signore vittima per i poveri peccatori e per le anime purganti. Questo desiderio è andato crescendo sempre più nel mio cuore, tanto che ora è divenuto, sarei per dire, una forte passione. L'ho fatta, è vero, più volte questa offerta al Signore, scongiurandolo a voler versare sopra di me i castighi che sono preparati sopra dei peccatori e sulle anime purganti, anche centuplicandoli su di me, purché converta e salvi i peccatori ed ammetta presto in Paradiso le anime del Purgatorio, ma ora vorrei fargliela al Signore questa offerta colla sua obbedienza. A me pare che lo voglia proprio Gesù. Son sicuro che ella non troverà difficoltà alcuna nell'accordarmi questo permesso».
A stretto giro di posta, il primo dicembre, padre Benedetto mostrò di aver pienamente compreso la necessità di quell'offerta: «Fa' pure l'offerta di cui mi parli che sarà accettissima al Signore. Stendi pure tu le braccia sulla tua croce e, offrendo al Padre il sacrificio dite stesso in unione al tenerissimo Salvatore, patisci, gemi e prega per gl'iniqui della terra e i miseri dell'altra vita, sì degni della nostra compassione nelle loro pazienti e ineffabili angosce». Da allora Padre Pio, che da pochissime settimane aveva cominciato a sperimentare le stimmate invisibili, rinnovò costantemente la propria donazione: «No, voglio soffrire fino alla fine del mondo», fu la netta risposta alla signora Malvina Lureti, che un giorno si era permessa di suggerirgli un po' di riposo. Lo ha confermato il sacerdote Pierino Galeone, dal 1947 figlio spirituale di Padre Pio: «Mi disse più volte che l'amore perfetto e la sofferenza perfetta portano l'anima a diventare vittima perfetta, disposta a chiedere anche patimenti eccezionali sia per riparare la gloria di Dio, sia per ottenere grandi favori per i vivi e per i defunti. Padre Pio mi rivelò inoltre di avere chiesto a Gesù e di aver ottenuto non solo di essere vittima perfetta, ma anche vittima perenne, cioè di continuare a rimanere vittima nei suoi figli, allo scopo di prolungare la sua missione di corredentore con Cristo sino alla fine del mondo. Egli mi ha detto e confermato di aver avuto dal Signore la missione di essere vittima e padre di vittime sino all'ultimo giorno».
Infatti, ricevendo il 20 settembre 1918 il sigillo delle stimmate, Padre Pio ebbe anche la conferma definitiva della vita di immolazione che lo attendeva. Come ha sintetizzato, in un discorso commemorativo, il francescano padre Antonio Gallo, «fu una conferma tangibile dell'accettazione da parte di Dio di quel dono di sé che Padre Pio, già sacerdote da otto anni, aveva fatto dalla sua età più tenera. In una pubblicazione, un capitolo della sua biografia infantile reca per titolo: "Un fanciullo che cercava il dolore". E una realtà: egli cercava veramente il dolore e non fu mai defraudato nella ricerca di questo tesoro. I sintomi delle malattie più gravi, le sofferenze, le persecuzioni del demonio anche in forma concreta, la febbre spesso altissima erano soltanto segni esterni della macerazione interiore e del dolore da lui avidamente ricercato».
Una vita a contatto con l'invisibile
La certezza riguardo all'esistenza del Purgatorio e del Paradiso non era un puro atto di fede per il Padre, che ne aveva più volte avuto diretta visione. Una sera del 1958, mentre si trovava con alcuni figli spirituali nell'orto, dopo la funzione della benedizione con il Santissimo, il signor Mioni di Montegrotto gli si rivolse con una secca osservazione:
«Padre, a me non importa niente la durata del mio Purgatorio, tanto già so che poi finisce e sono sicuro del Paradiso». E il frate: «Tu non sai che cosa sia. Tu non sai quanto sia duro». Il Mioni ripeté la sua idea e Padre Pio replicò con ancor più forza: «Figlio mio, dici così perché non sai quanto sia terribile». Don Nello Castello, che era presente, ha testimoniato con commozione «di aver compreso in
quel momento che Padre Pio non parlava per sentito dire, ma per esperienza».
Si trattava in sostanza di quanto aveva efficacemente descritto santa Caterina da Genova, la «mistica del Purgatorio», nel suo Trattato: «Le anime purganti provano tali tormenti che lingua umana non può descrivere, né alcuna intelligenza comprendere, eccetto che Dio li faccia conoscere per grazia speciale». Tanto che Padre Pio suggeriva ai suoi seguaci, come ha rivelato Cleonice Morcaldi, una strada precisa: «Se non vuoi fare dopo la morte il Purgatorio, fallo prima di morire, accettando tutto dal Signore e offrendolo con amore a lui; anzi con rendimento di grazie per la possibilità che ti dà di farlo con poco il Purgatorio».
In ogni caso, il frate non perdeva occasione per intercedere in favore delle anime del Purgatorio, sia durante la Messa che in altri momenti. Per esempio, ogni volta che saliva per la scala interna del convento, si fermava sul pianerottolo dove erano appesi alla parete una cassettina di legno e un quadro sul quale erano stampate diverse intenzioni per suffragare le anime dei morti. Egli prendeva sempre dalla cassettina un dischetto, con il numero indicante la corrispondente intenzione, e recitava devotamente la preghiera dell'Eterno riposo.
E bisogna riconoscere che le anime purganti non erano indifferenti a tali orazioni, secondo quanto èstato raccontato dai due frati che, vedendo Padre Pio alzarsi da tavola mentre erano a pranzo, lo seguirono incuriositi fino al portone d'ingresso del convento. Qui giunto, il Padre si fermò e iniziò a parlare con qualcuno che ai confratelli risultava però invisibile. Sorpresi per quanto stava accadendo, costoro si avvicinarono, chiedendosi se non gli avesse dato di volta il cervello. Ma Padre Pio, con un sorriso, spiegò: «Oh, non vi preoccupate! Sto parlando con alcune anime che, nel loro cammino dal Purgatorio verso il Cielo, si son fermate qui per ringraziarmi, perché questa mattina le ho ricordate durante la santa Messa».
Non di rado, anzi, gli venivano chieste in prima persona le preghiere di suffragio, come accadde quando si trovava a Sant'Elia a Pianisi nel 1907. Così padre Marcellino Iasenzaniro ha riportato il racconto fatto dallo stesso Padre Pio: «Una notte dopo la preghiera del Mattutino, mentre gli altri scesero al fuoco comune per scaldarsi un po' prima di ritornare a letto, rimasi in coro. A un certo punto sentii dei rumori, come di candelieri toccati, provenienti dall'altare maggiore. Subito pensai che qualche confratello fosse passato dal coro in chiesa; ma, continuando quei rumori, mi affacciai dal parapetto e chiesi: "Chi è?". Rispose una voce: "Sono un novizio, che sconto il Purgatorio facendo la pulizia dell'altare maggiore che ho trascurato durante la mia vita. Pregate per me". Non riflettendo del tutto su quelle sue parole, dissi senza indugio: "Va bene, ma adesso vai a riposare". E non si sentì più nulla. Dopo qualche istante però mi resi conto di ciò che era realmente accaduto e fui preso da forte paura. Allora quasi fuggii dal coro, per raggiungere i confratelli e restare un po' in loro compagnia. Attraversai in fretta il corridoio, ma appena cominciai a scendere le scale per andare al fuoco comune mi trovai dinanzi un giovane frate sconosciuto. Sentii dentro di me che era il novizio che mi aveva parlato. Questi disse solo "Grazie", e sparì!».
I figli spirituali germogliano ancora
Sono centinaia di migliaia le testimonianze inviate al convento di San Giovanni Rotondo da quanti sono stati beneficati, in vita e anche dopo la
morte, da Padre Pio. E la maggior parte delle grazie che vengono raccontate in queste lettere sono di natura spirituale, più che materiale. E stato infatti il bene delle anime l'essenziale obiettivo della missione del cappuccino, che già sulla terra poté gioire, secondo quanto ha raccontato Cleonice Morcaldi, perché «Gesù gli aveva fatto vedere la mansione dei suoi figli spirituali in Paradiso».
Anzi, si potrebbe dire che Padre Pio già pregustava il momento della gioia celeste in compagnia dei suoi cari. A don Pierino Galeone, che un giorno si lamentò con lui perché era stato bloccato e rimproverato dal Superiore del convento mentre cercava di entrare nella zona della clausura riservata ai cappuccini, con affetto paterno disse: «Abbi pazienza, padre Agostino è buono, anche se burbero; in Cielo staremo insieme e là non ci sarà più nessuno a sgridare». E in che consistesse il Paradiso lo spiegò a una figlia spirituale che gli aveva chiesto:
«Padre, in Paradiso godremo subito, oppure alla fine del mondo?». Padre Pio così rispose: «Se non si godesse, non sarebbe Paradiso. Alla fine del mondo comincerà pure a godere il corpo risorto».
Alla serietà dell'impegno assunto da Padre Pio con i propri figli spirituali, doveva però corrispondere altrettanta tenacia da parte di questi ultimi, che non di rado si sentivano redarguiti così: «Ricordatevi che, se non vi comportate bene e non mi ascoltate, un giorno dinanzi a Dio non vi riconoscerò come miei figli. Sarò io il primo vostro accusatore!». E a una sua devota che lo implorava: «Padre, pregate per me», il frate subito rispose: «Io prego per te, ma tu pure devi pregare per te!». Quando però percepiva la buona volontà di chi gli si rivolgeva con fede, Padre Pio si lasciava andare e diventava il più tenero dei direttori spirituali. La piccola Anna Tortora, nel giorno della cresima, gli disse di desiderare un regalo. Egli chiese:
«Che cosa vuoi? Una figurina, un libretto?»; e la bambina rispose: «Voglio, Padre, che quando lei va in Paradiso assicuri un posto anche a me». «Sei sicura che ci vado?», ribatté Padre Pio; e Anna: «E se non ci va lei, Padre, chi ci va?». A quel punto Padre Pio cedette: «Va bene, ti prometto che, se ci andrò io, tirerò per il collo anche te».
Si potrebbe pensare, secondo gli schemi umani, che promesse così impegnative e personali fosse possibile strapparle a Padre Pio soltanto durante la sua esistenza. In effetti, dopo la morte del Padre, sembrerebbe terminata l'epoca della figliolanza spirituale, alla quale potrebbero al massimo richiamarsi quanti lo frequentarono e ne ricevettero direttamente gli insegnamenti. Ma la forza dello spirito ha aperto invece un nuovo varco nella misteriosa e straordinaria continuità di presenza del frate nel nostro tempo.
A rivelarne la modalità è fra Modestino da Pietrelcina, il compaesano di Padre Pio che viene considerato il suo erede spirituale e che già molti anni fa si era posto il problema: «Meditavo sui benefici che potevano lucrare coloro che venivano accettati dal Padre quali suoi figli spirituali. Poi pensavo con rammarico a tutti quelli che non potevano andare a San Giovanni Rotondo per chiedere a Padre Pio l'adozione spirituale e a quelli, ancor meno fortunati, che si sarebbero avvicinati al Padre dopo il suo transito terreno».
Un giorno, proprio durante una confessione con Padre Pio, l'ispirazione prese forma: «Padre, vorrei assumere, come suoi figli spirituali, tutti coloro che si impegneranno a recitare, ogni giorno, una corona del Rosario ed a far celebrare di tanto in tanto una santa Messa secondo le sue intenzioni. Posso farlo, oppure no?». Padre Pio, allargando le brac
cia, alzò gli occhi al cielo ed esclamò: «Ed io posso rinunziare a questo grande beneficio? Fa' ciò che mi chiedi ed io ti assisterò». E qualche tempo dopo, un nuovo incoraggiamento: «Figlio mio, allarga quanto più puoi il numero perché sono più beneficati loro davanti a Dio che io stesso. Riferisci che io do loro tutto il mio animo, purché siano perseveranti nella preghiera e nel bene».
Pochi giorni prima di morire, il 20 settembre 1968, Padre Pio chiamò fra Modestino accanto a sé, si tolse dal polso l'inseparabile corona e gliela depose fra le mani, dicendo: «Ecco, ti affido il santo Rosario. Divulgalo, diffondilo tra i figli miei». Era la ratifica definitiva di un mandato che, da allora, continua a essere fedelmente eseguito. Ogni sera, dalle 20.30 alle 21, l'immensa famiglia spirituale di Padre Pio si incontra idealmente nella cripta del convento di San Giovanni Rotondo, intorno alla tomba del Padre, per la recita del Rosario guidata anche da fra Modestino.
Chiunque lo vorrà, in qualsiasi momento, potrà diventare figlio spirituale di Padre Pio semplicemente unendosi con devozione a questa recita e facendo ogni tanto celebrare una santa Messa secondo le intenzioni del Padre. «Beneficeranno così della continua assistenza di Padre Pio e della mia povera preghiera presso la sua tomba», garantisce fra Modestino, sottolineando nel contempo l'altra indispensabile condizione: «Chi s'impegna a recitare la corona benedetta dovrà ovviamente ripudiare il peccato e seguire, per quanto gli sarà possibile, l'esempio di Padre Pio. Da questo si riconosceranno i suoi figli spirituali: saranno uniti dal vincolo della dolce catena che ci lega a Dio; ameranno, pregheranno e soffriranno come ha amato, pregato e sofferto Padre Pio, per il bene della propria anima e per la salvezza dei peccatori».
I
Angeli e demoni
Sotto le ali di san Michele
Il corpo di Padre Pio è stato un campo di battaglia sul quale angeli e demoni si sono affrontati con ogni mezzo, per la salvezza o la dannazione non soltanto del religioso, ma anche dei suoi figli spirituali. Una lotta senza esclusione di colpi, cominciata sin dai primi giorni di vita del cappuccino, secondo quanto ha testimoniato un'anima eletta, che ebbe una stupefacente visione durante un pellegrinaggio alla grotta di san Michele nel Gargano. Un luogo molto venerato da Padre Pio, che vi si recò il 1° luglio 1917, e nel quale anche san Francesco d'Assisi aveva fatto un'intera Quaresima di digiuno in preparazione alla festa dell'arcangelo, del quale era molto devoto.
A padre Mariano Paladino, che fu uno degli infermieri di Padre Pio, quella persona raccontò di aver visto il piccolo Francesco Forgione adagiato in una culla, quasi avvolto e protetto dalle ali dell'arcangelo. Pensando che potesse essersi trattato di un'allucinazione, Padre Mariano raccontò l'episodio al Padre e ne ricevette una risposta netta:
«Guai a me se non ci fosse stato san Michele: a quest'ora avreste visto Padre Pio sotto i piedi di lucifero».
Insieme con le apparizioni angeliche, dalle quali riceveva forza e incoraggiamento, Padre Pio fu perseguitato sin dall'infanzia dalle vessazioni diaboliche. Alla figlia spirituale Cleonice Morcaldi rivelò: «Ricordo che tanti mostri si mettevano attorno alla culla per spaventarmi, e io strillavo». A tali momenti è riconducibile l'episodio tramandato da padre Agostino da San Marco in Lamis: «Quando Francesco era ancora in fasce, piangeva continuamente da far quasi disperare i genitori. Una notte il papà non ne poteva più. Adirato prese il bambino tutto fasciato e lo gettò con furia sul letto esclamando: "Ma che mi fosse nato in casa un diavolo, invece di un cristiano?!...". Il bimbo, rotolando sul letto, andò a cascare in terra dall'altra sponda. La mamma, vedendo il figlio per terra e credendolo morto, si adirò col marito esclamando: "M'hai ammazzato il figlio!", e corse a prenderlo. Fortunatamente non soltanto era vivo, ma non aveva nessuna lesione».
Anche al suo direttore spirituale, padre Benedetto da San Marco in Lamis, Padre Pio descrisse le continue apparizioni del diavolo: «Mia madre spegneva il lume e tanti mostri mi si mettevano vicino e io piangevo; accendeva il lume e io tacevo perché i mostri sparivano. Di nuovo lo spegneva e di nuovo mi mettevo a piangere per i mostri». Ma pure di giorno, secondo la testimonianza del maestro don Nicola Caruso, il piccolo era perseguitato «da un uomo vestito da prete, che al ritorno da scuola lo aspettava sulla soglia di casa e non lo voleva far entrare. Allora Francesco si fermava; veniva un ragazzino scalzo, faceva un segno di croce, il prete spariva e il bambino, sereno, poteva finalmente rientrare».
Perfino dopo la partenza del cappuccino - come ha raccontato la nipote Pia Forgione - nella casa di Pietrelcina avvenivano fatti strani, rumori inspiegabili o rotture improvvise di oggetti, per cui i familiari temevano di andare in rovina a causa di tutti quei danni: «Allora mio padre si recò da mio zio e gli raccontò quel che avveniva nella casa nativa. E Padre Pio rispose: "Si vede che quel cosaccio è ancora là; chiamate un prete e fate benedire la casa". Così fu fatto e tornò la quiete!».
Intanto per Padre Pio nel 1903 era iniziato il tempo del noviziato, un periodo segnato finalmente da una tregua negli assalti diabolici. Ma il silenzio si interruppe bruscamente mentre si trovava nello studentato di Sant'Elia a Pianisi. Egli stesso raccontò quanto gli accadde nel settembre 1905: «Una notte sentii dei rumori, che mi sembravano provenire dalla cella vicina. "Che farà a quest'ora fra Anastasio?", mi dissi; e pensando che vegliasse in orazione, mi misi a recitare il Rosario. C'era infatti tra noi una sfida a chi pregasse di più, e io non volevo rimanere indietro. Continuando però questi rumori, anzi diventando sempre più insistenti, volli chiamare il confratello. Si sentiva intanto un forte odore di zolfo. Mi sporsi dalla finestra per chiamare: le nostre due finestre erano così ravvicinate che ci si poteva scambiare libri o altro sporgendo la mano. "Fra Anastasio, fra Anastasio", chiamai senza alzare troppo la voce. Non ottenendo risposta, mi ritirai. Ma quale non fu la mia sorpresa, quando dalla porta vidi entrare un grosso cane, dalla cui bocca usciva tanto fumo. Caddi riverso sul letto e udii che diceva: "E iss"' (è lui). Mentre ero in quella postura, vidi l'animalaccio spiccare un salto sul davanzale della finestra, da qui lanciarsi sul tetto di fronte, per poi sparire».
Le consolazioni dell'angelo custode
Dopo l'ordinazione sacerdotale di Padre Pio, avvenuta nel 1910, il demonio comprese di aver perso la prima battaglia e cominciò ad attuare una strategia più raffinata, trasformandosi in decine di fogge diverse per impaurire, ma anche nel tentativo di ingannare il giovane frate. Le enumera in un resoconto padre Agostino: «Da principio gli apparì sotto la forma di un gatto nero e brutto. La seconda volta sotto forma di giovanette ignude che lascivamente ballavano. La terza, senza apparire, gli sputavano in faccia. La quarta, anche senza apparirgli, lo straziavano con rumori assordanti. La quinta volta gli apparì in forma di carnefice che lo flagellò. La sesta in forma di Crocifisso. La settima sotto forma di un giovane, amico dei frati, che poco prima era stato a visitarlo. L'ottava sotto la forma del padre spirituale (cioè lo stesso padre Agostino). La nona sotto la figura del padre Provinciale. La decima sotto la forma di papa Pio X. Altre volte ancora sotto la forma del suo angelo custode, di san Francesco, di Maria santissima. E infine nelle sue vere fattezze, orribili, con un esercito di spiriti infernali».
In queste occasioni, Padre Pio smascherava l'inganno diabolico invitando la figura che aveva dinanzi a gridare con lui «Viva Gesù». Ma in qualche occasione si divertiva persino a svillaneggiare satana, come quando questi gli rivolse un lungo fervorino, suggerendogli di troncare ogni relazione con il direttore spirituale e di impiegare invece il tempo pregando per la propria salvezza. E Padre Pio rispose sarcasticamente: «Mi duole di non potervi assumere per mio direttore, poiché il padre mio esercita questa carica da molto tempo e le nostre relazioni sono giunte a tal punto che troncarle così di botto non mi riesce. Girate, girate, che troverete delle anime che vi assumeranno a direttore del loro spirito, essendo voi bravo in tale materia!».
Per reazione, i demoni cominciarono a minacciare le maniere forti, nel caso in cui non avesse ceduto alle loro intimazioni. La vivace discussione è descritta in una lettera dallo stesso cappuccino al padre spirituale: «Quei cosacci, ultimamente, nel ricevere la vostra lettera, prima di aprirla mi dissero di strapparla ovvero l'avessi buttata nel fuoco. Se ciò facevo si sarebbero ritirati per sempre, e non mi avrebbero più molestato. Io me ne stetti muto, senza dar loro risposta alcuna, pur disprezzandoli in cuor mio. Allora soggiunsero: "Noi questo lo vogliamo semplicemente come una condizione per la nostra ritirata. Tu nel far questo non lo fai come disprezzo a qualcuno". Risposi loro che nulla sarebbe valso a smuovermi dal mio proposito. Mi si scagliarono addosso come tante tigri affamate, maledicendomi e minacciandomi che me lo avrebbero fatto pagare. Padre mio, hanno mantenuto la parola! Da quel giorno mi hanno quotidianamente percosso».
E una di queste aggressioni diede anche a Padre Pio l'occasione per una scenata al proprio angelo custode: «Sabato mi sembrò che mi volessero proprio finire, non sapevo più a qual santo votarmi; mi rivolgo al mio angelo e, dopo d'essersi fatto aspettare per un pezzo, eccolo infine aleggiarmi intorno e con la sua angelica voce cantava inni alla divina maestà... Lo sgridai aspramente d'essersi fatto così lungamente aspettare, mentre io non avevo mancato di chiamarlo in mio soccorso; per castigarlo non volevo guardarlo in viso, volevo allontanarmi, volevo sfuggirlo; ma egli poverino mi raggiunge quasi piangendo, mi acciuffa, finché, sollevato lo sguardo, lo fissai in volto e lo trovai tutto spiacente».
Alle manifestazioni diaboliche, infatti, seguivano immancabilmente le consolazioni celesti. Proprio l'angelo custode un giorno gli spiegò che «Gesù permette al demonio questi assalti, perché la sua pietà ti rende a sé caro e vuole che tu lo rassomigli nelle angosce del deserto, dell'orto e della croce. Tu difenditi, allontana sempre e disprezza le maligne insinuazioni e dove le tue forze non potranno arrivare non ti affliggere, diletto del mio cuore, io sono vicino a te».
E anche nel Diario di padre Agostino è descritto un dialogo di Padre Pio con il suo angelo custode, cui il direttore spirituale ebbe la straordinaria ventura di poter assistere il 29 novembre 1911 nel convento di Venafro: «Angelo di Dio, angelo mio... non sei tu a mia custodia?... Dio ti ha dato a me! Sei creatura?... O sei creatura o sei creatore... Sei creatore? No. Dunque sei creatura e hai una legge e devi ubbidire... Devi stare accanto a me, o lo vuoi o non lo vuoi... per forza!».
I diavoli lo temono ancora
Oltre che «inseparabile compagno» e «messaggero celeste» - come affettuosamente lo definiva -per Padre Pio il suo angelo custode doveva anche incarnare il ruolo di multiforme collaboratore. Per esempio, narra padre Tarcisio Zullo, gli faceva da traduttore: «I pellegrini di ogni parte del mondo che arrivavano a San Giovanni Rotondo parlavano a Padre Pio nella propria lingua. E Padre Pio capiva sempre tutto. Una volta gli ho chiesto: "Padre, come fa a capire tante lingue e dialetti, tanti strani linguaggi?". Rispose: "L'angelo custode che ci sta a fare? E lui che mi traduce tutto!"». Oppure gli dava suggerimenti per contrastare il demonio che macchiava le lettere del padre spirituale: «La vostra lettera è stata letta. L'angiolino mi aveva suggerito che all'arrivo di una vostra lettera l'avessi aspersa coll'acqua benedetta prima d'aprirla».
Ma doveva persino fare da maggiordomo, come umoristicamente ha ricordato padre Alessio Parente: «Nel 1965 passavo la giornata e parte della notte a fianco di Padre Pio, quindi generalmente ero sempre stanco. Dopo averlo accompagnato all'altare o al confessionale, scappavo nella mia cella per schiacciare un pisolino. Purtroppo, molte volte non sentivo la sveglia e ogni volta sentivo bussare forte alla mia stanza. In pochi secondi ero all'altare e lo trovavo sempre al momento che stava impartendo l'ultima benedizione. Per le confessioni invece sentivo una voce che mi diceva: "Alessio, va' giù!", e anche qui trovavo sempre Padre Pio sul punto di lasciare il confessionale. Un giorno non mi svegliai né per la Messa, né per prenderlo al confessionale. Svegliato dai confratelli andai nella sua cella e mi scusai. Lui mi rispose: "Ma che ti credi, che continuerò a mandarti sempre il mio angelo custode a svegliarti? Comprati una sveglia nuova!"».
Padre Pio ricambiava con affetto e rispetto le attenzioni dell'angelo, invitando i suoi figli spirituali a comportarsi bene anche perché «siamo spettacolo all'angelo custode e non deve rattristarsi per noi», come disse alla signora Anna Benvenuto. «Qual sarà la consolazione», prospettava Padre Pio alla figlia spirituale Raffaelina Cerase, «quando, al momento della morte, l'anima vostra vedrà quest'angelo si buono che vi accompagnò lungo la vita, e che fu si largo di cure materne?». E a Cleonice Morcaldi, che gli chiedeva: «Padre, quando morirò, chi porterà l'anima in Cielo?», Padre Pio confermò: «Il tuo angelo custode!».
Se degli angeli Padre Pio non ha lasciato descrizioni, di satana ha invece tracciato un preciso identikit: quello di «un uomo sulla quarantina, occhi neri, capelli brizzolati, giacca nera, pantaloni rigati» che gli si presentò nel luglio 1949 al confessionale. Parlando di sé in terza persona, così Padre Pio raccontò l'episodio ai confratelli: «Il sacerdote lo invitò a mettersi in ginocchio, ma quello rispose:
"Non posso!". Credendo che fosse ammalato, gli chiese subito i peccati che aveva fatto. L'uomo disse tanti peccati da sembrare come se tutti i peccati di questo mondo li avesse commessi lui. Il sacerdote, dopo aver dato gli opportuni consigli, invitò ancora una volta quello strano penitente a piegare almeno il capo, perché stava per impartirgli l'assoluzione. Quegli rispose ancora: "Non posso". A questo punto il sacerdote disse: "Amico mio, al mattino quando ti infili i pantaloni, la testa te la pieghi un po' si o no?". L’uomo guardò con sdegno il sacerdote e rispose: "Io sono lucifero, nel mio regno non esiste piegatura"». Subito dopo, secondo quanto poté vedere con stupore anche l'amico don Pierino Galeone, sprofondò giù e scomparì nella terra.
Come al momento della nascita, anche alla morte di Padre Pio gli angeli furono presenti. Da padre Alessio Parente ci giunge il racconto della visione che un aderente ai Gruppi di preghiera, di nome Kelly, ebbe nella notte del 23 settembre 1968 a San Giovanni Rotondo: «Appena alzato aveva notato degli angeli nel cielo ed era corso da un suo amico per farglieli vedere. Anche questi li vide nitidamente: un angelo maestoso sull'ospedale e uno sulla chiesa, con attorno una miriade di angioletti. All'apparire delle prime luci scomparvero tutti».
I demoni, dal canto loro, continuano invece a temere la potenza della sua intercessione amorevole, secondo quanto documenta il noto esorcista Gabriele Amorth: «Dopo la sua morte, io ovviamente non ho più visto Padre Pio, ma molte volte è il demonio, attraverso la persona posseduta, che vede la sua presenza e grida: "Quel frate, no! Quel frate non lo voglio! Mandatelo via, quel frate!"».
Il
Breviario di spiritualità
Per amore della Chiesa
Le caratteristiche principali della spiritualità di Padre Pio sono state ben sintetizzate dal "teologo censore" che ha studiato e giudicato, all'inizio del processo di canonizzazione del cappuccino, tutti i suoi scritti: l'anelito costante all'unione con Dio e il fiducioso abbandono in lui; i trasporti di amore per Gesù Cristo, per la sua passione e morte e per la divina Eucaristia; la tenera e filiale devozione a Maria santissima e l'illimitata fiducia nella sua intercessione; la certezza della presenza e protezione dell'angelo custode.
Ma già lo stesso Padre Pio, nella lettera del 10 luglio 1915 al direttore spirituale padre Agostino da San Marco in Lamis, compendiava in poche frasi il proprio pensiero e la propria esperienza, esaltando «una vita tutta secondo il cuore di Dio, una vita tutta interiore e tutta nascosta in lui»; sollecitando «una mente sempre pura nei suoi pensieri, sempre retta nelle idee, sempre santa nelle sue intenzioni»; auspicando «sempre una volontà, la quale non cerchi altro che Dio e la sua gloria».
Infine, egli racchiudeva tutte le virtù nella pace:
«La pace è la semplicità dello spirito, la serenità della mente, la tranquillità dell'anima, il vincolo dell'amore. La pace è l'ordine, è l'armonia in tutti noi: ella è un continuato godimento, che nasce dal testimonio della buona coscienza; è l'allegrezza santa di un cuore, in cui vi regna Iddio».
Pur godendo di immensi doni spirituali, Padre Pio non fu comunque indenne da dubbi, da scrupoli, dalla sensazione di inadeguatezza alla chiamata di Dio. In numerosi periodi della vita sperimentò quella che tutti i mistici hanno definito la "notte oscura", e che lui stesso descrisse a padre Agostino nel gennaio 1916 in termini accorati: «L'anima mia da più tempo si trova immersa giorno e notte nell'alta notte dello spirito. Le tenebre spirituali mi durano delle lunghissime ore, dei lunghissimi giorni e spesso delle intiere settimane [...]. E un continuo deserto di tenebre, di abbattimento, d'insensibilità, è la terra natale della morte, la notte dell'abbandono, la caverna della desolazione; qui si trova la povera anima lontana dal suo Dio e solo con se stessa».
Ma il suo atteggiamento non fu mai arrendevole o rinunciatario. Anzi - oltre al costante ricorso ai direttori spirituali - approfittò delle circostanze più penose per andare alle fonti della spiritualità e della cultura cattolica, in modo da corroborare la propria mente e il proprio spirito. Per esempio, durante la segregazione del 1931-33, Padre Pio frequentò costantemente la biblioteca del convento e lesse diversi testi di mistica, ma anche i 35 volumi della Storia universale di Cesare Cantù, i 16 volumi della Storia dei Papi dalla fine del Medioevo di Ludwig von Pastor, i 16 volumi della Storia universale della Chiesa cattolica di René François Rohrbacher, i 7 volumi del Catechismo di perseveranza di Jean Joseph Gaume. Anche in seguito, ha testimoniato padre Pellegrino Funicelli, «raccoglieva con passione ogni frutto della cultura cattolica». E un giorno lo stesso padre Pellegrino gli lanciò una provocazione:
«Lei, Padre Spirituale, tra le cose da studiare e meditare sceglie soltanto quelle che le servono ad amare Gesù e la sua Chiesa...». Padre Pio rispose: «Io voglio vivere per Gesù e per la Chiesa. La scienza che serve a farmi vivere sempre più per il Signore e per la Chiesa è la cultura della mia vita e tutta la mia vita di cultura». E padre Pellegrino, di rincalzo: «Ma per amare Gesù e la Chiesa, secondo me, bastano quattro cognizioni». Padre Pio reagi alzando la voce: «E invece no. Ogni giorno, ogni ora, ogni istante io sento il bisogno di accrescere le mie conoscenze. E la Chiesa è una fonte inesauribile di vita e di cultura per me!».
Per di più, come hanno osservato e documentato numerosi confratelli, Padre Pio era certamente assistito da ispirazioni di carattere soprannaturale, che gli permettevano di esprimere valutazioni e pareri anche quando gli argomenti sembravano al di fuori della sua conoscenza teorica. Ha attestato fra gli altri padre Rosario da Aliminusa: «Quando si parla di questioni morali Padre Pio dà risposte di perfetta esattezza teologica».
Un solo pensiero per l'anima
Dalle oltre 1.100 lettere che Padre Pio scrisse ai direttori spirituali, alle figlie e ai figli spirituali e a molte altre persone, prorompe una messe di pensieri mediante i quali si delinea una ben definita dottrina mistica. Qui di seguito, un rapido florilegio in forma di vocabolario:
Armonia
L'armonia della vita sta nell'esatta osservanza della divina legge e dei doveri inerenti allo stato di ciascuno.
Beni celesti
Non miriamo quelle cose che si vedono, ma quelle che non si vedono. Ed è ben giusto che noi contempliamo i beni celesti, non curandoci dei terreni, poiché quelli sono eterni, questi son transitori.
Cielo
Rivolgiamo il pensiero di continuo al Cielo, la vera patria nostra, di cui la terra non è che una immagine, conservando la serenità e la calma in ogni evento lieto o triste.
Dio
Non ti scoraggiare nella via che stai percorrendo, perché il tutto è di gradimento a Dio: purché il tuo cuore gli vorrà sempre essere fedele, egli non ti aggraverà più di quello che puoi, e sopporterà con te il fardello allorché osserverà che di buon grado incurvi le tue spalle.
Eternità
Considera che sei già incamminata verso l'eternità, tu già ci hai posto un piede; purché ella sia per te felice, che importa che siano per te sventurati questi transitori momenti?
Fede
L'atto di fede più bello è quello che sgorga dalle labbra nel buio, nel sacrificio, nella pena, nello sforzo supremo di una volontà inflessibile di fare il bene.
Gaudio
Il gaudio è un rampollo della carità; ma per essere perfetto e vero questo gaudio si richiede che abbia per sua indivisibile compagna la pace, la quale allora si produce in noi quando il bene che possediamo è bene sommo e sicuro.
Imperfezione
L'anima, per assurgere alla divina contemplazione, deve essere purificata di tutte le imperfezioni non solo attuali, che si ottiene con la purga sensitiva, ma sibbene da tutte le imperfezioni abituali, che sono certe affezioni, certe abitudini imperfette che la purga del senso non è riuscita ad estirpare e che rimangono nell'anima come allo stato di radice.
Libertà
Cammineremo sempre cauti, ma con santa libertà. Sentiremo che il Signore, che a sé ci ha incatenati con l'amore, ci fa riguardare dal peccato come da un aspide velenoso.
Morte
Preferirei mille volte la morte, anziché determinarmi ad offendere un Dio si buono. Farei volentieri in una sola volta, se fosse in mia potestà, un fascio di tutte le mie cattive inclinazioni per porgerlo a Gesù, affinché si degnasse col fuoco del suo divino amore a consumarle tutte.
Noia
Le noie che sperimentate nel praticare la virtù, l'orazione, non vi devono impressionare e né farvi recedere dal praticare l'una e l'altra. Continuate lo stesso e non considerate una perdita quel tempo impiegato e speso nel fare l'ubbidienza.
Orazione
Nell'orazione ti metterai alla presenza di Dio per due principali ragioni: la prima, per rendere a Dio l'onore e l'ossequio che gli dobbiamo; la seconda, per parlargli e sentire la sua voce per mezzo delle sue ispirazioni ed illuminazioni interne.
Pensiero
Un solo pensiero è quello che deve occupare tutto l'animo tuo: amare Dio e praticare e predicare il bene.
Quiete
Nella quiete e nel silenzio cammina l'anima devota.
Rassegnazione
Pratichiamo bene la santa rassegnazione ed il puro amore di Dio, il quale non si pratica mai così intieramente come fra le contrarietà e afflizioni. Perché amare Dio nello zucchero, anche i fanciulli lo saprebbero fare; l'amarlo nell'assenzio è il contrassegno della nostra amorosa fedeltà.
Santità
Santità vuol dire essere superiori a noi stessi; vuol dire vittoria perfetta di tutte le nostre passioni; vuol dire disprezzare veramente e costantemente noi stessi e le cose del mondo fino a preferire la povertà alle ricchezze, l'umiliazione alla gloria, il dolore al piacere.
Tentazione
Il segno certo e infallibile per l'elezione a salute di un'anima è la tentazione, cui la poverina sarà posta qual segno di contraddizione in mezzo a tanta tempesta. Ci rianimi il pensiero a sopportarne la prova la vita di tutti i santi che non vennero esentati da questa prova.
Uomo
Stùdiati dunque di far morire in te i residui dell'uomo vecchio, che sempre cerca di voler rivivere, e per riuscire meglio nel disegno sii sempre più umile, più fiduciosa in Dio, più abbandonata in lui, meno amante delle tue comodità e della tua vana stima; più generosa con Dio e più compassionevole con i fratelli di esilio.
Volontà
Ecco le condizioni con le quali dobbiamo darci a Dio: che da qui in avanti egli faccia la sua volontà su di noi e che distrugga la nostra a suo piacere. Oh quanto sono felici coloro che Dio maneggia a seconda dei suoi voleri, e che esercita, o con la tribolazione o con la consolazione.
III
Carità e opere
Amico di Dio e dell'uomo
Pur convinto, secondo quanto leggiamo nella lettera del 3 giugno 1919 inviata a padre Benedetto da San Marco in Lamis, che «la maggior carità è quella di strappare anime avvinte da satana per guadagnarle a Cristo», Padre Pio non lesinava alcuna energia anche quando si trattava di venire incontro ai bisognosi di aiuto materiale. Come aveva confidato, sempre a padre Benedetto, il 26 marzo 1914, «la grandissima compassione che sente l'anima alla vista di un povero le fa nascere nel suo proprio centro un veementissimo desiderio di soccorrerlo, e se guardassi alla mia volontà mi spingerebbe a spogliarmi perfino dei panni per rivestirlo».
Di fatto, ha sottolineato padre Gerardo Di Flumeri, soprattutto dal momento della stimmatizzazione, «il cuore del venerato Padre si trova fra due desideri o amori, che egli chiama forze: "Quella di voler vivere per giovare ai fratelli di esilio e quella di voler morire per unirsi allo Sposo". Egli si è posto così in un progetto di esistenza divisa fra le due fondamentali istanze di una creatura di Dio: l'amore per il prossimo e l'amore di Dio. Si è posto cioè nel progetto fondamentale per ogni vita umana:
quello dei due "comandamenti nuovi": Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente e amerai il prossimo tuo come te stesso». È da tale profonda consapevolezza che scaturisce ogni forma di carità, sia spirituale sia materiale, attuata da Padre Pio durante l'intera esistenza. Lo testimonia con estrema chiarezza il comportamento da lui tenuto verso l'arcivescovo Pasquale Gagliardi, che negli anni Venti era stato il suo grande accusatore. Dopo la rinuncia alla diocesi di Manfredonia, nel 1929, Gagliardi si trovò in ristrettezze economiche e si rivolse anche ai cappuccini di San Giovanni Rotondo per avere qualche aiuto. Padre Pio non lesinò sollecitazioni al Superiore affinché facesse giungere all'arcivescovo intenzioni di sante Messe con relative offerte. E quando poi seppe che era morto, il Padre disse soltanto: «Domani celebrerò in suo suffragio».
Il sacrificio eucaristico e la preghiera erano infatti le forme di carità più utilizzate dal Padre. All'assistente padre Onorato Marcucci disse una mattina: «Questa notte sono stato male e non ti ho fatto dormire. Mi chiedevo come ricompensarti. Ho pensato a tua madre e ho preso l'indulgenza plenaria per mandarla in Paradiso». Padre Innocenzo Cinicola Santoro ha invece testimoniato: «Il confratello padre Ruggero ogni sera verso mezzanotte, l'ora in cui abitualmente Padre Pio tornava dal coro in cella, si recava a fare le sue richieste al Padre, il quale lo ascoltava pazientemente, sebbene fosse molto stanco. In seguito Padre Pio mi confidò che, dopo la morte del confratello, per un certo tempo, alla medesima ora, recitava un Rosario di cinque poste in suo suffragio».
Sotto il versante più materiale, spiegò una volta a padre Carmelo Durante che «prima di fare la carità, non bisogna fare il processo al povero». Padre Carmelo ha esemplificato con il caso di una famiglia composta di nove figli, dove soltanto il padre lavorava: «Padre Pio mi raccomandò di trovare un benefattore che provvedesse una macchina per maglieria in modo che potessero lavorare e guadagnare qualcosa». Di fronte all'esitazione del confratello, Pàdre Pio sbottò: «Quando i genitori vengono a confessarsi gli diciamo: "Fate figli, osservate le leggi di Dio". Quando poi li hanno avuti, allora diciamo: "Pensateci voi a mantenerli"!».
A fianco della carità, il Padre voleva che ci fosse sempre la giustizia. Lo stesso padre Carmelo, all'epoca in cui era il Guardiano del convento, si senfi chiedere se ai cuochi laici venivano versati i contributi per la pensione: «Io risposi: "Non so, devo chiedere al padre Economo". Ed egli aggiunse: "Come, tu sei il Superiore e non lo sai?". E continuò: "Preti, frati e suore non capiamo niente della giustizia!". Io rettificai: "Della carità". Ed egli rispose: "No, è giustizia pagare i contributi!"». Nel contempo, i dipendenti che non si davano da fare nel lavoro li chiamava «lazzaroni», perché «mangiano il pane della carità a tradimento». E, quando perseveravano in questo atteggiamento di pigrizia, voleva che fossero licenziati.
Un'opera che sfiderà i secoli
Padre Pio, ha sottolineato padre Mariano Paladino, aveva una grande fiducia in Dio e diceva: «La Provvidenza non bisogna precederla, ma affiancarla». Fu questa la radice dalla quale trassero linfa, in varie riprese, le numerose opere sociali da lui ispirate, che mirarono innanzitutto a rispondere ai bisogni della gente di San Giovanni Rotondo, ma che poi si allargarono a una miriade di persone.
La prima realizzazione nella quale il cappuccino si impegnò direttamente, con l'aiuto della locale Congrega di carità, fu la trasformazione dell'ex convento delle Clarisse nell'ospedale di San Francesco. L'inaugurazione fu fatta da Padre Pio nel
gennaio del 1925, ma il terremoto del 1938 provocò gravi danni ai locali e la struttura dovette chiudere.
Il desiderio del Padre ~i rispondere ai bisogni sanitari della popolazione del Gargano non era però venuto meno, e i suoi più stretti collaboratori e figli spirituali lo sapevano. Si sviluppò così l'idea di un altro ospedale, di dimensioni più ampie del precedente. Nella cella di Padre Pio, la sera del 9 gennaio 1940, il medico Guglielmo Sanguinetti, il farmacista Carlo Kisvarday e il veterinario Mario Sanvico raccontarono al Padre che avevano creato un comitato per la fondazione della nuova clinica.
Come ha narrato lo stesso Sanvico nel Diario di quei giorni, Padre Pio li ascoltò con attenzione e poi disse: «Da questa sera ha inizio la mia grande opera terrena. Benedico voi e tutti coloro che doneranno alla mia opera, che sarà sempre più bella e più grande». Quindi, frugando nella tonaca, ne estrasse una moneta d'oro, che gli era stata donata per la sua carità, ed esclamò: «Anch'io voglio offrire il mio obolo».
La seconda guerra mondiale costrinse a rimandare l'avvio dei lavori, nonostante fosse già disponibile l'area per la costruzione, un terreno del demanio concesso alla signorina Maria Basilio per un'opera di beneficenza, situato a pochi passi dal convento cappuccino. Lo stesso luogo, quasi come una singolare profezia, dove Camillo de' Lellis - che fonderà l'ordine religioso ospedaliero dei Camilliani e sarà poi proclamato santo - si era convertito il 2 febbraio 1575.
Finalmente, il 16 maggio 1947, veniva benedetta e posata la prima pietra e, tre giorni dopo, alcuni operai davano i primi colpi di piccone. Ma, se gli eventi militari e la crisi economica avevano fatto perdere sette anni di tempo, proprio gli aiuti postbellici fecero decollare l'opera. Provvidenziale tra-mite fu la giornalista britannica Barbara Ward che, giunta per curiosità a San Giovanni Rotondo, restò colpita da don Giuseppe Orlando, il sacerdote amico di Padre Pio che dirigeva i primi lavori di sterro e che ha lasciato scritto nelle proprie memorie:
«Do mandò proprio a me: "Che cosa fate?". E io risposi: "Una grande clinica". "E che denaro vi occorre?". Sparai allora una bomba: "400 milioni". "E chi paga?". "Chi passa paga". E la signorina passò e andò dal Padre».
Al cappuccino la donna chiese di pregare per la conversione del fidanzato, il comandante Jackson, dal protestantesimo al cattolicesimo. Il dialogo le sembrò, al momento, troppo generico: «Se il Signore vuole si convertirà», disse Padre Pio; e alla domanda: «Ma quando?», si sentì rispondere: «Se il Signore vuole, anche adesso». Quale fu la sua sorpresa quando, tornata a Londra, il fidanzato le raccontò che si era fatto battezzare, praticamente in contemporanea con il suo viaggio a San Giovanni Rotondo.
Dopo che la Ward gli raccontò quel che le aveva detto don Orlando, Jackson, che era consigliere dell'Unrra (un organismo assistenziale delle Nazioni Unite), riuscì a far deliberare un consistente stanziamento. Fra diversi alti e bassi, la mattina del 26 luglio 1954 venne aperto il poliambulatorio, dotato di pronto soccorso, medicina generale, pediatria, otorinolaringoiatria, odontoiatria e laboratorio di analisi cliniche, mentre il 10 maggio 1956 entrò in clinica il primo ammalato.
Pochi giorni prima, il 5 maggio, il Padre aveva così descritto, nel discorso d'inaugurazione, la Casa Sollievo della Sofferenza: «Città ospedaliera tecnicamente adeguata alle più ardite esigenze cliniche e insieme ordine ascetico di francescanesimo militante. Luogo di preghiera e di scienza, dove il genere umano si ritrovi in Cristo crocifisso come un solo gregge con un sol pastore». A chi gli osservava che era troppo lussuosa, Padre Pio replicava:
«Se fosse possibile, la Casa la farei d'oro, perché il malato è Gesù e tutto è poco quello che si fa per il Signore!».
L'Ordine cappuccino preferì non entrare nella gestione della Casa Sollievo, temendo di non essere in grado di sostenerla economicamente dopo la morte del Padre. Così Padre Pio nominò la Santa Sede, con un testamento firmato l'lì maggio 1964, «erede universale di tutti i beni mobili e immobili». Al cardinale Domenico Tardini, che gli fece chiedere dal commendator Angelo Battisti che cosa sarebbe accaduto dopo la sua scomparsa, Padre Pio rispose: «L'opera sfiderà i secoli».
Nel frattempo, su sollecitazione di Padre Pio, varie altre opere sociali erano state realizzate negli anni Cinquanta: la cooperativa di consumo «San Francesco d'Assisi» (1955), il centro assistenziale «Santa Maria delle Grazie» (1956), le scuole materne francescane «Santa Maria delle Grazie», «San Francesco d'Assisi» e «Pace e Bene» (1956-1958), il centro di addestramento professionale «San Giuseppe Artigiano» (1958). E nel contempo, il 1~ luglio 1959, venne consacrata anche la nuova chiesa di Santa Maria delle Grazie, che integrò l'antica chiesina conventuale, edificata nel 1629. Mentre èormai prossima l'inaugurazione del santuario progettato dall'architetto Renzo Piano, proprio alle spalle del convento cappuccino.
IV
Dio, Gesù e Spirito Santo
I volti della Trinità
«Dio è uno nella natura, trino nelle persone. Padre, Figlio e Spirito Santo so~o tre persone uguali e distinte e un solo Dio, perché unica e identica è la natura divina». Quando Padre Pio diede questa spiegazione alla signorina Giovanna Rizzani, comparendole in bilocazione nella basilica di San Pietro, apparentemente non fece altro che ripetere quanto è attestato dalla dottrina cristiana. Una differenza sostanziale caratterizzava però il cappuccino da qualsiasi altro sacerdote e teologo: per lui una tale affermazione non era semplicemente un dogma di fede, ma scaturiva dall'esperienza diretta che in diverse occasioni egli comunicò ai suoi intimi.
Al figlio spirituale Adolfo Affatato, che gli domandò se avesse mai visto il volto di Dio, rispose senza giri di parole: «Dio non ha volto, è luce; più l'anima è candida e più si avvicina a questa luce». Del rapporto con lo Spirito Santo scrisse invece a padre Agostino da San Marco in Lamis il 12 maggio 1914, ricordando «quel che mi fece sentire il santissimo Spirito Paraclito in quel giorno in cui ricevei il sacramento della cresima... Quante dolci mozioni mi fece sentire in quel giorno questo Spirito consolatore».
Con Gesù Cristo, poi, la frequentazione era continua, come testimonia un dialogo con padre Eusebio Notte, che scherzava sul suo modo goffo di fare le genuflessioni, anche a causa delle ginocchia enormemente gonfie. Padre Pio gli rispose: «Sapessi la fatica che faccio. Che sforzi devo fare per arrivare alla consacrazione. Magari dopo la consacrazione...»; «E già - ribatté padre Eusebio - dopo la consacrazione il Padrone ce l'ha più vicino, vero?»; «Sicuro!», replicò il Padre.
Se per Padre Pio il peccato era in generale qualche cosa di incomprensibile, l'offesa al nome di Dio gli risultava ancor più dolorosa. Con padre Rosario da Aliminusa sbottò un giorno: «Come si può bestemmiare? Ma si capisce che la bestemmia è come se si volesse buttare Dio a terra e calpestarlo con i propri piedi? Ma si pensa che Dio è nostro padre?». Quasi a compensazione, dalla sua bocca - ricorda padre Emanuele da San Marco La Catola - scaturivano spesso espressioni di adorazione del nome di Dio, con esclamazioni quali «il Signore» e, anche più spesso, «nostro Signore».
Quanto fosse intenso l'amore di Padre Pio nei riguardi di Dio lo documenta un commovente episodio tramandato da padre Carmelo da San Giovanni in Galdo. Era la sera del 22 gennaio 1965 e il Padre si trovava a letto nella propria camera, circondato dal padre Guardiano e dai confratelli: «All'improvviso invocò ai presenti una preghiera che lo aiutasse a chiedere perdono per la sua ingratitudine verso il Signore. Poiché noi cercavamo di confortarlo, egli si commosse fortemente fino alle lacrime e volle fare pubblica confessione del suo grande peccato, dicendo: "Fratelli miei, l'ho fatta grossa davvero! Nacqui il 25 maggio 1887, alle ore 18.15 [in realtà l'orario esatto era le 17, nda.); ebbi la grazia di ricevere il battesimo dopo quattordici ore, e cioè alle 8 del giorno successivo 26 maggio. Fino al giorno della mia vestizione religiosa - 22 gennaio 1903 - per sedici anni non ho mai ringraziato il Signore del dono del battesimo e della grazia ricevuta così presto, dopo quattordici ore. L'ho fatta grossa, l'ho fatta grossa!...". E continuò a versare lacrime a dirotto».
Che Dio fosse "il tutto" nella vita di Padre Pio emerge con nitidezza anche dal sùggerimento offerto costantemente ai devoti che gli chiedevano conforto spirituale: «Rassègnati alla volontà divina». A tale proposito, Padre Rosario da Aliminusa ebbe varie occasioni per ascoltare dallo stesso Padre Pio il racconto di quella che lui stesso considerava una grossa gaffe. Un uomo lo pregava insistentemente che lo guarisse e all' assicurazione che avrebbe pregato per lui tornava a ripetere: «No, Padre, se volete, voi potete guarirmi». Infine Padre Pio in tono risoluto gli disse: «Senti, fratello mio, se io fossi Dio, guarirei non solo te, ma tutti gli ammalati». Ma si corresse subito: «No, se fossi Dio, farei proprio come fa lui!».
Un "altro Cristo" come san Francesco
A Cleonice Morcaldi, che gli domandava: «Che cosa devo chiedere a Dio per voi?», Padre Pio rispose: «Ch'io sia un altro Gesù, tutto e sempre Gesù». La tensione spirituale nella quale il cappuccino era costantemente immerso aveva infatti come termine di paragone san Francesco d'Assisi, che i contemporanei del Trecento definivano alter Christus, un altro Cristo.
Per Padre Pio il richiamarsi a Gesù non era mancanza d'umiltà, bensì serena consapevolezza del proprio stato e della missione affidatagli dal Signore. Lo sapevano bene anche i suoi figli spirituali, tanto che al professor Gerardo De Caro non parve strano quanto gli accadde un giorno nel quale il frate era a letto ammalato: «Il professor Attilio Massa ed io entrammo nella sua cella solo per salutarlo. Nel commiato gli dissi con l'amico: "Il Signore sia con voi . Ed egli rispose: "E io con voi Allora pensai che Padre Pio parlasse davvero come alter Christus».
«Viva Gesù! Questa è la parola interiore sotto cui dobbiamo vivere e morire», scriveva nel 1917 il Padre, poco dopo aver iniziato il definitivo ministero che si sarebbe protratto per cinquant'anni a San Giovanni Rotondo. Ed era così elevato il suo amore a Cristo, da farlo prorompere - secondo la testimonianza del dottor Francesco Di Raimondo, che narra un episodio avvenuto il 7 settembre del 1956 - in un frammento di vera poesia teologica: «E valsa la pena che l'uomo portasse le conseguenze del peccato originale, dal momento che questo ha provocato l'incarnazione di Cristo». Per questo non appare come una semplice osservazione scherzosa quanto si legge sulla sua cartella clinica del maggio 1959, alla voce professione: «Portatore di anime a Cristo»!
Uno degli studiosi dei suoi scritti, padre Melchiorre da Pobladura, ha sintetizzato in sei aspetti la spiritualità cristocentrica di Padre Pio: Gesù ideale di vita cristiana; Gesù modello nel quale tutti devono rispecchiarsi; Gesù vivo nei suoi misteri; Gesù sempre con noi; il Cuore divino di Gesù; Gesù nell'Eucaristia. Proprio Gesù Sacramentato era al centro della sua devozione, come testimonia la preghiera di comunione spirituale, composta da sant'Alfonso Maria de' Liguori, che Padre Pio recitava ogni sera: «Gesù mio, credo che voi siete nel santissimo Sacramento. Vi amo sopra ogni cosa e vi desidero nell'anima mia. Poiché ora non posso ricevervi sacramentalmente, venite almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io vi abbraccio e tutto mi unisco a voi; non permettete che io mi abbia mai a separare da voi». «Guardate Gesù, e non me», era l'ordine che rivolgeva ai devoti che si voltavano verso di lui mentre pregava. E se quando lui usciva dal confessionale era in corso la celebrazione eucaristica in qualche altare laterale, racconta padre Marcellino lasenzaniro, alla gente che faceva ala al suo passaggio tentando di toccarlo o chiedendogli la benedizione si rivolgeva con fermezza dicendo: «Si sta celebrando la Messa: state voltando le spalle a Gesù Sacramentato».
Era così grande l'amore di Padre Pio per l'Eucaristia, che a padre Alberto D'Apolito, quando nel 1922 si vociferava del trasferimento da San Giovanni Rotondo, confidò di sentirsi estremamente tranquillo, perché «dovunque andrò troverò Gesù Sacramentato, un pane da mangiare, un panno per coprirmi». E a suor Maria Francesca Consolata -che si lamentava per alcuni problemi in ospedale, dicendogli: «Me ne scapperei davvero da Casa Sollievo, se non fosse per Gesù e per voi» - Padre Pio rispose con dolcezza: «E quello che dico sempre anch'io, figlia mia... Credi tu che starei qui se non fosse per Gesù?».
La sua identificazione con Cristo raggiungeva talvolta livelli impensabili, come attesta una straordinaria esperienza di don Pierino Galeone mentre stava per ricevere la comunione: «Padre Pio si mise davanti a me e, prendendo fra le dita la particola, la guardava con tanta intensità da tenerla per un bel po' ferma. Con mia sorpresa, vidi chiaramente cambiare le sue sembianze in quelle di Gesù. Era di statura normale, in abiti sacerdotali, occhi sereni, volto dolce, labbra con cenno di sorriso. Aveva una trentina d'anni, capelli biondi e lunghi, barba discreta e ben ordinata, occhi azzurri, volto ovale e bello. Vidi muovere quella mano, dapprima immobile, che teneva fra le dita la particola, avvicinarsi lentamente alla mia bocca e dire "Questo è il mio corpo". Aprii la bocca e presi la particola: ancora le sue sembianze erano quelle di Gesù. Poi abbassai il capo, chiudendo gli occhi in raccoglimento. Quando li riaprii, vidi Padre Pio riprendere le sue sembianze con semplicità e passare oltre con disinvolta naturalezza».
L'invito a vivere nella gioia di Gesù Cristo faceva il pari con la sollecitazione che Padre Pio rivolgeva ai figli spirituali «a non dare mai luogo nel vostro cuore alla tristezza... poiché essa impedisce la libera operazione dello Spirito Santo». Che cosa intendesse dire, lo spiegò alla nobildonna Raffaelina Ce-rase: «Lasciate che lo Spirito Santo operi in voi, abbandonandovi a tutti i suoi trasporti, e non temete. Egli è tanto sapiente, soave e discreto da non causare che il bene. Quale bontà di questo Spirito Paraclito per tutti, ma quale per voi massimamente che lo cercate».
Di fatto, per Padre Pio la consapevolezza che l'anima è il tempio dello Spirito Santo aveva come immediata e logica conseguenza la necessità per ogni cristiano di «non dar luogo al nemico di farsi strada per entrare nel nostro spirito e far contaminare questo tempio». Come concreto aiuto in tal senso, un semplice ed efficace suggerimento: la preghiera allo Spirito Paraclito affinché illumini «intorno a tre grandi verità specialmente: che ci faccia conoscere l'eccellenza della nostra vocazione cristiana; che ci illumini intorno all'immensità dell'eterna eredità a cui la bontà del celeste Padre ci ha destinati; che ci faccia penetrare il mistero della nostra giustificazione, che da miseri peccatori ci trasse a salute».
V
Espiazione e sofferenza
Il mistero della croce
Nel 1913 Padre Pio scriveva al direttore spirituale: «Gesù mi fa vedere, come in uno specchio, tutta la mia vita futura non essere altro che un martirio». In questa sintetica frase scorrono come in un film i successivi 55 anni del cappuccino, trascorsi nella continua sofferenza espiatrice per esprimere il proprio amore verso Dio e verso il prossimo. E un fotogramma è tuttora visibile nella quinta stazione della Via Crucis di San Giovanni Rotondo, dove lo scultore Francesco Messina ha raffigurato il frate come il Cireneo che sostiene la croce di Cristo lungo la salita del Calvario.
Padre Pio considerava il dolore come un «dono di Dio». Una volta tossiva da far pena, tanto che il confratello padre Lino da Prata gli disse: «Padre, passi a me la sua tosse». E lui rispose sorpreso: «E che, i doni si regalano?». Il professor Nicola Bellantuono, al termine di una confessione, gli chiese invece se le stimmate fossero dolorose e Padre Pio reagì: «Credi che il Signore me le abbia date per bellezza?». Allora il professore si offrì: «Padre, date qualche cosa anche a me». E il frate, quasi irritato:
«I monili del Signore non si regalano!».
La prediletta figlia spirituale Cleonice Morcaldi ha documentato che queste parole non erano soltanto un modo di dire: «Il demonio mi voleva persuadere che il Padre era tutto piagato, ma soltanto misticamente. Il Signore sfatò il bugiardo.
Mi suggerì di mandare nei giorni di gran caldo una camicia di tela bianca al Padre. Ero convinta che la rifiutasse. La tenne. Me la rimandò dopo tre giorni tutta insanguinata, anche le maniche lunghe e larghe».
Don Pierino Galeone ricevette direttamente da Padre Pio la dettagliata spiegazione di quale dovesse essere per il cristiano l'itinerario della sofferenza: «Anzitutto si accetta il dolore da Dio per riparare il passato, purificare l'anima e vincere ogni ripugnanza; poi si abbracciano i patimenti con ardore e risolutezza, con la gioia di percorrere con Cristo la via dolorosa, dal Presepio al Calvario. Si ammira, si loda, si ama ogni stato doloroso di Gesù: della povertà e dell'esilio, degli oscuri lavori della vita nascosta, dei faticosi travagli della vita pubblica e dei patimenti fisici e morali della lunga e dolorosa Passione».
Continuò il cappuccino: «Allora l'anima si sente più coraggiosa di fronte al dolore e alla tristezza, si stende amorosamente sulla nuda croce accanto a Gesù, posa compassionevolmente lo sguardo su di lui e ode dal suo labbro: "Beati quelli che soffrono per amore della giustizia". La speranza di partecipare sempre di più alla gloria con Cristo rende meglio sopportabile la crocifissione con lui, fino a rallegrarsi delle miserie e delle tribolazioni. Soffrire con Cristo è amarlo e consolarlo perfettamente. Diventano sempre più grandi il desiderio e l'amore alla sofferenza, quanto maggiori sono l'amore a Gesù e alle anime».
Per Padre Pio la sofferenza era una condizione indispensabile all'adempimento della propria missione. Sono in molti a poter testimoniare quanto tutta la sua vita e la sua opera fossero ispirate al fine di soffrire con Cristo per la salvezza delle anime. Una volta il signor Enzo Bertani gli disse: «Mi dia un po' della sua sofferenza», e il Padre rispose senza esitazione: «Io soffro quando non soffro». Che il dolore fosse il suo pane quotidiano lo con-fermò, appena una decina di giorni prima di morire, a padre Paolo Covino, il quale gli suggeriva di pregare il Signore affinché gli alleggerisse un po' di sofferenze: «Figlio mio, se ciò avvenisse morirei di dolore».
Quello che però lo faceva davvero patire nell'anima era la scarsa comprensione del mistero del dolore da parte di quella folla di pellegrini che ogni giorno invocavano aiuto, guarigione, conforto per le loro sofferenze fisiche e morali: «Tutti vengono qua per farsi togliere la croce, nessuno per imparare a portarla», mormorava rattristato. Lo confermò al dottor Mario Frisotti: «Se gli uomini conoscessero la proficuità spirituale del dolore vorrebbero essere messi tutti in croce».
A don Pierino Galeone, che gli chiedeva: «Padre, come fate voi a soffrire tanto e ad avere il volto sempre sereno e gioioso, mentre io soffro pochissimo e non so nascondere la pena sul mio volto?», suggerì: «Figlio mio, comincia ad accogliere con dolce rassegnazione le contrarietà e le afflizioni, e il Signore non mancherà di metterti nel cuore la serenità, la pace, la gioia e, quindi, la beatitudine nel patire. Così ho fatto io, così fa' anche tu».
Ne è testimonianza autobiografica il pensiero che Padre Pio scrisse il 22 gennaio 1953, in occasione del cinquantesimo anniversario della propria vestizione: «Cinquant'anni di vita religiosa, cinquant'anni confitto sulla croce, cinquant'anni di fuoco divoratore per Te, Signore, per i tuoi redenti. Che altro desidera l'animo mio se non condurre tutti a Te, o Signore, e attendere pazientemente che bruci tutte le mie viscere nel cu pio dissolvi per essere completamente in Te?».
Vittima al posto dei fratelli
In ogni caso, quello di Padre Pio non era un atteggiamento masochistico: «Non credere che io ami la sofferenza per se stessa», rivelò a Cleonice Morcaldi, «L'amo e la chiedo a Gesù per i frutti che produce: dà gloria a Dio, salva le anime, libera quelle del Purgatorio. E che posso volere di più?». Questa voluttà incontenibile lo spingeva a dire:
«Signore, da' a me tutte le tristezze e i dolori dei miei fratelli con un timore puro: quello di essere egoista riserbando per me la parte migliore, il dolore...».
Le testimonianze dei confratelli che vissero accanto a Padre Pio compongono un mosaico dinanzi al quale occorre chinare il capo e decidere se accettare o meno la sfida perenne che l'esistenza del cappuccino rappresenta tuttora per ogni cristiano. Padre Francesco Napolitano: «Padre Pio si addossava le sofferenze degli altri soffrendole in prima persona. Intendeva lenire le sofferenze sapendo che era impossibile eliminarle completamente»; padre Onorato Marcucci: «Egli soffriva intensamente ed era cosciente che la sofferenza era inevitabile; profondamente sensibile di fronte alle sofferenze altrui si mostrava compassionevole e cercava con la sua opera di sollevare gli ammalati»; padre Alberto D'Apolito: «Più volte l'ho sentito esclamare: "O Signore quante miserie, quanto dolore! Da' a me le sofferenze di questi poveretti"».
Padre Pio lo aveva deciso in tempi lontani, di offrirsi vittima al posto dei fratelli di fede. Una lettera a padre Benedetto da San Marco in Lamis, datata 26 marzo 1914, documenta: «Se so poi che una persona è afflitta sia nell'anima che nel corpo, che non farei presso il Signore per vederla libera dai suoi mali? Volentieri mi addosserei, pur di vederla andar salva, tutte le sue afflizioni, cedendo in suo favore i frutti ditali sofferenze, se il Signore me lo permette».
Gli episodi che tramandano questa volontà espiatrice sono innumerevoli. Un giorno padre Eusebio Notte consegnò a Padre Pio ùna lettera nella quale gli si chiedeva che offrisse le sue sofferenze per il buon comportamento di un sacerdote, e il Padre accolse questa sollecitazione. Quando, al mattino seguente, padre Eusebio andò a prelevarlo nella cella, Padre Pio gli disse di avere un dolore tremendo al fianco. Padre Eusebio allora sbottò: «Padre, ha dimenticato che ieri ha promesso preghiere e sacrifici per quel sacerdote?»; ed egli rispose soltanto: «Già!».
Don Attilio Negrisolo ricorda di aver incontrato a San Giovanni Rotondo, durante la Quaresima del 1956, un giovane proveniente da Cattolica che aveva un evidente tumore alla tempia: «Io chiesi: "Che cosa ti ha detto Padre Pio?". E il giovane: "Mi ha detto: soffriamo insieme". Il Venerdì santo incontrai Padre Pio nel corridoio. Eravamo soli. Gli dissi:
"Padre, le faccio gli auguri oggi, poiché domani ci sarà molta gente". Padre Pio rispose: "Per me i giorni sono tutti uguali. Oggi poi mi sembra di avere un trapano qui che mi penetra nella testa", e indicò la tempia. Aggiunsi: "Per forza, Padre, vi prendete il male di tutti!". Ed egli, girandosi verso la piazza donde si sentiva il vociare della gente:
"Magari fosse vero che potessi prendermi il male di tutti per vedere tutti contenti!". Seppi che il giovane in seguito guarì».
Tenerissimo l'episodio che ebbe per protagonista il suo confessore, padre Agostino da San Marco in Lamis, che un giorno si lamentò per un dolore che l'affliggeva al ginocchio. Padre Pio lo consolò dicendo: «Coraggio, vedrà che le passerà». Poco dopo, padre Eusebio Notte si accorse che il Padre zoppicava vistosamente, mentre poco prima camminava spedito.
Ricorda padre Eusebio: «Arrivati in cella, lo dovetti prendere quasi di peso per aiutarlo a sedere in poltrona. Ma, mentre facevo questa operazione, mi venne un'idea: che il Padre non si fosse addossato il male al ginocchio di padre Agostino? Corro da quest'ultimo e gli chiedo: "Come si sente?". Ed egli, sorridendo: "Ma lo sai che mi sento bene e il dolore è sparito?". Aggiungo io: "Si capisce, se l'è preso Padre Pio!"».
Il suo intervento era anche "a distanza", come afferma padre Carmelo da San Giovanni in Galdo:
«Per qualche caso speciale, specie di malattia o grave infermità, gli chiedevamo un particolare interessamento; egli allora ci diceva di rispondere all'ammalato: "Fate sapere che io non mi risparmio per lui". E con questa frase voleva significare che, oltre alla preghiera, accettava di soffrire per la persona interessata».
Quanto pressanti e numerose fossero le richieste di intervento, lo attesta drammaticamente una delle più toccanti testimonianze al processo di canonizzazione. Un giorno il confratello padre Eduardo si presentò a Padre Pio e gli chiese una preghiera per il suo esaurimento. Il Padre, dispiaciuto, se ne uscì con questa espressione: «Figlio mio, mi trovi in un momento nel quale non ho neppure una parte del mio corpo da offrire al Signore per te, ma la prima che si libera la offrirò».
VI
Figli spirituali e Gruppi di preghiera
Una famiglia attorno al Padre
«In mezzo a voi sono fratello, sull'altare vittima, in confessionale giudice, maestro e padre». Fu Padre Pio in persona a definire con queste parole il multiforme ruolo che egli assumeva nei riguardi dei figli spirituali, una volta che li aveva accettati nella propria sempre più vasta famiglia: migliaia e migliaia di persone che il Signore gli aveva anticipatamente fatto conoscere in visione nella notte precedente l'ordinazione sacerdotale e durante la prima Messa solenne.
Per essere accolti in tale schiera, ha testimoniato il signor Angelo Battisti, «c'era una sola condizione: "Non farmi scomparire [= fare brutta figura, nda.] dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini", il che voleva significare osservanza della legge di Dio e dei precetti della Chiesa, fermezza nei propositi, essere di buon esempio agli altri».
Padre Pio non era indulgente con chi aveva comportamenti non consoni a queste indicazioni. Un amico fiorentino di Battisti, venuto meno a una precisa promessa fatta al cappuccino, gli raccontò di essersi sentito prendere a calci così forte da fargli fare delle capriole: «Egli comprese subito la provenienza di quell'assalto e mi scrisse perché gli implorassi da Padre Pio il perdono. Il Padre rispose:
"Digli che, se non si mette a posto, sarà il Signore a prenderlo a zampate; e non si facesse vedere da me senza aver riparato..."». Se invece venivano rispettati gli impegni assunti, Padre Pio era un tenerissimo compagno di strada, sia sul versante spirituale sia su quello materiale. Il dottor Michele Costa ricorda di essere stato spesso latore di messaggi e di richieste di preghiere: «Personalmente ritenevo quasi importuno scomodarlo per motivazioni concrete (comprare la casa, matrimoni da fare, investimenti...). Però con somma meraviglia notavo che il Padre partecipava a queste necessità del prossimo e dava il consiglio adatto».
Ai figli spirituali che gli chiedevano che cosa fare quando avevano bisogno del suo aiuto e non potevano recarsi a San Giovanni Rotondo, Padre Pio rispondeva: «Mandami il tuo angelo custode». Padre Alessio Parente, suo assistente personale, ha testimoniato che Padre Pio ogni sera, durante il Rosario, interrompeva spesso la recita delle Ave Maria con frasi come: «Dille che pregherò per lei», «Dille che tempesterò il Cielo di preghiere per la sua salvezza», «Digli che busserò al Cuore di Gesù per impetrare questa grazia», «Dille che la Vergine non le rifiuterà questa grazia».
Tutto per salvare le anime
La famiglia spirituale di Padre Pio aveva cominciato a formarsi subito dopo il suo arrivo a San Giovanni Rotondo. Una delle prime figlie fu Nina Campanile, che ha ricordato così quel periodo: «Il Padre cominciò a tenerci conferenze il giovedì e la domenica. Ci spiegò dapprima i principali mezzi di perfezione cristiana, e cioè: la scelta di un santo e dotto direttore, la frequenza dei santi sacramenti, la meditazione, la lettura spirituale. Spiegava l'argomento e l'avvalorava sempre con esempi tratti dalla Sacra Scrittura, dalla vita dei santi. Conferenze speciali le tenne sulla mortificazione.
E infine ci spiegò molte parabole evangeliche».
Dopo qualche tempo, Padre Pio sentenziò: «Il materiale è pronto, ora incominciate a costruire», e sciolse le adunanze, cominciando la guida personale. Alle lamentele e alle critiche, Padre Pio rispose: «So io come devo guidare le anime; c'è chi deve venire ogni otto giorni, chi ogni quattro o tre e chi ogni giorno». Che tale decisione avesse addolorato molte devote lo conferma la signora Francesca Fini: «Seguendo Padre Pio si soffriva fortemente: le sue prove, le sue sgridate, il trattamento diverso delle anime...».
Proprio il rancore di una delle prime figlie spirituali, Elvira Serritelli, fu all'origine delle accuse contro Padre Pio a riguardo della sua castità, che in seguito ebbero ripercussioni notevoli sulla Visita apostolica del 1960. Secondo il biografo padre Alessandro da Ripabottoni, «la "stella" di Elvira cominciò ad eclissarsi intorno al 1930 ed ella passò in secondo piano rispetto a Cleonice Morcaldi. Esplosero allora l'ira e la gelosia e la sua reazione si espletò in una duplice direzione».
L'analisi di padre Alessandro va nel dettaglio:
«In primo luogo ella doveva dimostrare che, almeno nel periodo 1922-30, Padre Pio era stato "tutto suo". Affermò perciò che in quegli anni ella aveva avuto rapporti intimi con lui. In secondo luogo, Elvira doveva distruggere l'avversaria. Con una lunga serie di lettere anonime cercò di ingenerare nell'animo del Superiore del convento il sospetto che Padre Pio se la intendesse con una donna. Per impedire i presunti incontri notturni, da una parte legava il cancelletto antistante la casa di Cleonice, affinché questa non potesse uscire, e dall'altra metteva del brecciolino nella serratura della porta della chiesa, perché Padre Pio non potesse aprire».
Per calmare il risentimento di Elvira, il Superiore del convento di San Giovanni Rotondo, padre Carmelo Durante, le affidò il compito di provvedere ai fiori della chiesetta. In quel tempo, padre Alberto D'Apolito la vide spesso «guardare morbosamente Padre Pio che pregava nel coro della chiesetta mentre lei era in chiesa per preparare i fiori dell'altare. Vedendosi non corrisposta nello sguardo, dava in escandescenze». Anche per questi motivi, nell'ottobre 1959 il nuovo Superiore, padre Emilio da Matrice, la sollevò dall’incarico.
Pochi mesi dopo, dapprima con monsignor Terenzi, incaricato dal Sant'Offizio di un sopralluogo a San Giovanni Rotondo, e successivamente con il visitatore apostolico monsignor Maccari, la donna rilanciò le sue accuse. Padre Pio ne era a conoscenza e la sua reazione fu come sempre intonata in chiave soprannaturale, come ha testimoniato la signorina Maria Grazia Massa che gliene parlò in confessione: «Figlia mia, so tutto! Ma che cosa importa a me se hanno buttato fango sulla mia povera persona in vita e, conseguentemente, dopo la mia morte? A me basta salvare le anime e certe anime».
Il rigoglioso albero della preghiera
Nel 1942 papa Pio XII, angosciato dalla tragedia della guerra in corso, rivolse ai cattolici una pressante richiesta: «Nell'ardua lotta fra il bene e il male, fra Dio e satana, abbiamo bisogno di forti e serrate falangi di uomini e di giovani che preghino». Queste parole si stamparono nel cuore di Padre Pio, che immediatamente riunì alcuni figli spirituali dicendo:
«Diamoci da fare, rimbocchiamoci le maniche, rispondiamo noi per primi». Nacquero così i primi virgulti di quelli che, a partire dal 1950, si chiameranno Gruppi di preghiera.
All'inizio i Gruppi si diffusero spontaneamente, per iniziativa di qualche devoto del Padre. Nell'agosto 1950 ne venne sollecitata la costituzione dovunque fosse possibile e si definì anche la loro identità: «Gruppi di fedeli che periodicamente si riuniscono con l'assistenza del sacerdote in una chiesa, per pregare in comunione, seguendo gli orientamenti impartiti dal Sommo Pontefice. Tali riunioni hanno la finalità di elevare la formazione spirituale dei partecipanti e di rinnovare la vita cristiana nei fratelli, mediante la preghiera collettiva e liturgica».
Il 5 maggio 1956, in coincidenza con l'inaugurazione della Casa Sollievo della Sofferenza, si tenne a San Giovanni Rotondo il primo convegno internazionale dei Gruppi di preghiera. Venne presentata la bozza del regolamento (il 4 maggio 1986 è entrato in vigore il definitivo statuto, approvato dalla Santa Sede), dove si indicavano i quattro obiettivi degli incontri in parrocchia: «Elevare preghiere impetratorie alla Divina Misericordia; partecipare al sacrificio della Messa, durante il quale Gesù trasmette i misteri del suo amore sull'umanità; adorare il santissimo Sacramento e recitare il santo Rosario; vivere sempre in grazia di Dio, cioè essere veri cristiani».
In generale, i vescovi apprezzavano la presenza dei Gruppi di preghiera nelle proprie diocesi e si adoperavano per favorirne la costituzione. Un'eccezione fu il vescovo di Padova, il cappuccino Girolamo Bortignon, che nel 1959 negò l'autorizzazione «per il motivo che in questo movimento, come è attuato in diocesi, si riscontrano degli atteggiamenti equivoci, delle manifestazioni esagerate e delle affermazioni strane». A pagarne le conseguenze furono in particolare i sacerdoti Nello Castello e Attilio Negrisolo, che vennero sospesi a divinis per la loro fedeltà a Padre Pio e che dovettero attendere una decina d'anni prima di essere reintegrati nel ministero dalla Santa Sede.
Il 31luglio 1968 la Congregazione dei Religiosi e degli Istituti secolari affidò il coordinamento generale dei Gruppi di preghiera al padre Guardiano del convento di San Giovanni Rotondo. Comunicando tale notizia a Padre Pio, il padre Provinciale precisò che «la decisione del Sacro Dicastero vale per me come un riconoscimento pontificio alla provvida iniziativa della paternità vostra in favore della preghiera comunitaria». Poche settimane più tardi, dal 19 al 22 settembre, il secondo convegno internazionale si trasformò nell'incontro d'addio con il fondatore, un toccante momento nel quale Padre Pio stesso poté verificare che il seme da lui piantato era divenuto un rigoglioso albero.
VII
Giovinezza e noviziato
Al bivio fra due strade
Una modesta stanzetta con il pavimento in pietra e il soffitto di tavole affumicate, un materasso di foglie di granturco, la fioca luce di un lume a petrolio e di una lucerna di terracotta colma di olio d'oliva. Quello che oggi è famoso in tutto il mondo come il santo Padre Pio nacque a Pietrelcina (Benevento), in questa cornice di dignitosa povertà, alle 5 di pomeriggio del 25 maggio 1887, anche se sul Registro parrocchiale è scritto «alle ore 22», seguendo l'usanza popolare di iniziare il conteggio delle ore della giornata dal tramonto del sole.
Il neonato era il quarto dei sette figli di Grazio Maria Forgione (1860-1946) e di Maria Giuseppa De Nunzio (1859-1929), che si erano sposati nel 1881. Alla mattina del giorno successivo fu battezzato con il nome di Francesco dal curato don Nicolantonio Orlando. In precedenza erano nati Michele (1882-1967), Francesco (1884, morto dopo soli 20 giorni) e Amalia (1885-1887). Dopo di lui vennero Felicita (1889-1918), Pellegrina (1892-1944) e Grazia, divenuta religiosa nel 1917 con il nome di suor Pia (1894-1969).
La famiglia Forgione viveva della coltivazione di un appezzamento di terra nella zona di Piana Romana, a mezz'ora di cammino a piedi dal paese, e dell'allevamento di qualche pecora, che anche il piccolo Francesco, intorno ai sei-sette anni d'età, portava al pascolo, in compagnia del coetaneo Bal
dino Vecchiarino. Da costui Lucia ladanza, una delle prime figlie spirituali di Padre Pio, raccolse un ricordo: «Mentre pascolava le pecorelle, Francesco formava delle croci, le piantava sul nudo terreno, vi si inginocchiava davanti e devotamente pregava. Per merenda aveva sempre un tozzo di pane in un bel salviettino bianco: lo stendeva sul terreno, vi tracciava il segno della croce e incominciava a mangiare. Dopo che aveva terminato si segnava la fronte, piegava il salviettino e ringraziava il Signore».
In quel tempo Francesco cominciò anche a frequentare la scuola, per imparare a leggere, scrivere e far di conto. E proprio due compagni e una compagna di classe si misero d'accordo per fargli un tiro birbone, nascondendogli in tasca un biglietto appassionato scritto dalla ragazzina. Attirata l'attenzione del maestro Angelo Càccavo, gli dissero:
«Signòr maestro, Francesco fa all'amore!». «Non èvero», replicò Francesco, ignaro del tranello. Il maestro trovò il biglietto e, offeso e adirato, percosse il ragazzo, ma il giorno seguente la scolara, pentita dell'accaduto e dispiaciuta per le botte che Francesco aveva ricevuto, confessò la verità.
Padre Carmelo Durante ascoltò Padre Pio raccontare che, quando in casa fratelli e sorelle litigavano, il padre li picchiava e la madre «si avventava come una iena» contro il marito per scusare la vivacità dei figli. Quando invece era la madre che picchiava per gli stessi motivi, il padre incitava la moglie. Francesco però non fu mai percosso dai genitori, perché in generale si comportava da bravo ragazzo. Al massimo, qualche volta la mamma gli diceva: «Vieni qua, svergognatello». «Perché?», gli fu domandato. «Piccole cose con le sorelle», rispose Padre Pio, come quando, mentre la sorella Felicita stava lavandosi, le spingeva la testa sott'acqua.
Intanto, come ha scritto nel suo quaderno di cronache padre Benedetto da San Marco in Lamis, Francesco «a cinque anni circa sentì la necessità di darsi tutto a Dio. A cinque o sei anni, all'altare maggiore apparve il Cuore di Gesù, che fece segno di accostarsi all'altare e gli mise la mano in testa, attestante di gradire e confermare l'offerta di sé a lui e consacrarsi al suo amore».
Il parroco, don Salvatore Pannullo, ha raccontato che da fanciullo Padre Pio era particolarmente portato alla preghiera davanti a Gesù Sacramentato, rinunciando al gioco e al riposo. Qualche volta si mise perfino d'accordo con il sacrestano per rimanere chiuso nella chiesa durante tutta la notte. Spesso assisteva alla Messa insieme con la nonna materna, Giovanna Maria Gagliardi, facendo a gara con altri ragazzi per servire all'altare come chierichetto. Nel 1899, a undici anni d'età, ricevette sia la prima comunione sia la cresima.
Erano questi gli anni, come racconterà Padre Pio in uno scritto autobiografico inviato al direttore spirituale, nei quali sentiva crescere dentro di sé il dubbio su quale fosse la sua vera strada: «La vocazione da una parte che si faceva sentire forte in quest'anima ed il dolce ma falso diletto di questo mondo incominciano potentemente a lottare fra loro, nel cuore di questa poverina, e forse e senza forse il senso coll'andare del tempo avrebbe di certo trionfato sullo spirito e soffocato il buon seme della divina chiamata».
«Nessuno è nato monaco fatto»
All'improvviso, mentre a fine dicembre 1902 meditava sulla decisione di consacrarsi, Francesco ebbe la visione di un uomo maestoso e splendente come il sole che lo condusse in una spaziosissima
campagna e lo incitò a battersi contro uno spaventoso essere, dicendogli: «Fatti animo: entra fiducioso nella lotta, avanzati coraggiosamente che io ti starò d'appresso; io ti aiuterò e non permetterò che egli t'abbatta».
Che tutta la sua futura esistenza sarebbe stata una continua lotta contro satana, secondo quanto mostrato in questa visione, gli venne confermato da un'altra illuminazione puramente intellettuale, il 1~ gennaio 1903. La sua anima comprese «che la di lei entrata in religione per dedicarsi al servizio del celeste Monarca altro non era che di esporsi alla lotta con quel misterioso uomo d'inferno» e che «sebbene i demoni sarebbero stati presenti ai di lei combattimenti per ridersi delle di lei sconfitte, dall'altro lato non vi era da temere perché ai di lei combattimenti avrebbero assistito gli angioli suoi per applaudire alle sconfitte di satana».
La notte precedente alla partenza per il noviziato, un'ultima visione confortatrice: «Vide Gesù e la madre sua che in tutta la loro maestà presero ad incoraggiarla e ad assicurarla della loro predilezione. Gesù, infine, le posò una mano sulla testa, e tanto bastò per renderla forte nella parte superiore dell'anima, da non farle versare neppure una lacrima nel doloroso distacco, nonostante il doloroso martirio che la straziava nell'anima e nel corpo».
All'alba del 6 gennaio, Francesco si recò in chiesa a pregare. Tornato a casa si avvicinò alla mamma per abbracciarla, ma ella svenne. Appena tornò in sé, gli disse: «Figlio mio, perdonami. Mi sento squarciare il cuore, però san Francesco ti chiama e tu devi andare». Nel dire così prese dalla tasca del grembiule una corona del Rosario e gliela consegnò dicendo: «Questa ti farà compagnia al posto di mamma». Subito dopo, accompagnato dal maestro Càccavo, il quindicenne Francesco si recò al noviziato di Morcone, distante una trentina di chilometri da Pietrelcina.
1122 gennaio indossò i panni di probazione e ricevette come nome quello di Pio, forse in memoria di un martire dei primi secoli venerato a Pietrelcina (ma il Padre da allora festeggiò l'onomastico il 5 maggio, festa del santo papa Pio VI. Molti anni dopo, nell'anniversario della vestizione, gli regalarono un saio in cachemire, che padre Pellegrino Funicelli era incaricato di fargli indossare durante la notte. Padre Pio, avendo saputo che era di gran valore, ridendo raccontò al confratello: «Se questi matti sapessero che abito ho indossato, quel 22 gennaio della mia vestizione! E che camicia! Mi raspava tutto».
Nel noviziato la giornata era scandita dal silenzio, dalla preghiera e dal costante sacrificio, con l'obiettivo di verificare quanto la vocazione degli aspiranti fosse solida. Poco tempo dopo l'ingresso, il compagno Giovannino gli propose di andarsene insieme, perché era una vita troppo dura. Ma Francesco rispose: «Che dici? Abbiamo fatto tanto per venire qui e ora dobbiamo andar via? E che diranno i nostri genitori e tutti quelli che ci hanno indirizzati qui? Ah, non sia mai! Pian piano, con l'aiuto della Madonna e di san Francesco, ci abitueremo anche noi come hanno fatto gli altri. E che forse tutti questi che sono in convento e altri ancora non erano come noi? Nessuno è nato monaco fatto». L'esortazione di Padre Pio fece effetto, tanto che Giovannino resistette e qualche anno più tardi divenne padre Anastasio da Roio.
Considerato dal padre Maestro, Tommaso da Monte Sant'Angelo, «esemplare, puntuale nell'osservanza ed esatto in tutto, da non dare il minimo motivo di essere ripreso», al termine dell'anno di noviziato Fra Pio - dopo le necessarie tre votazioni favorevoli della comunità cappuccina - venne ammesso alla professione dei voti semplici, che si tenne il 22 gennaio 1904, alla presenza anche di mamma Giuseppa, la quale alla fine gli disse: «Figlio mio, ora si che sei figlio tutto di san Francesco; e che ti possa benedire».
Tre giorni dopo, il 25 gennaio, partì da Morcone verso Sant'Elia a Pianisi, prima tappa del corso di preparazione al sacerdozio, che lo vide successivamente nei centri di studio di San Marco la Catola, Serracapriola, Montefusco e Gesualdo. Dopo la professione dei voti solenni, il 27 gennaio 1907, fu ritenuto degno di proseguire verso l'ordinazione sacerdotale e ricevette via via gli ordini minori (19 dicembre 1908), il suddiaconato (21 dicembre 1908) e il diaconato (18 luglio 1909).
Intanto, nella primavera del 1909, avevano cominciato a manifestarsi i primi sintomi dell'oscura malattia che lo costrinse a restare per lunghi periodi, fino al 17 febbraio 1916, a Pietrelcina, «perché i medici dicevano che c'era bisogno dell'aria nativa», si legge nel Diario di padre Agostino da San Marco in Lamis. Ogni volta che lasciava il convento, ha lasciato scritto padre Guglielmo da San Giovanni Rotondo, «si avvertiva spontaneo, per la sua assenza, un gran vuoto e si viveva di speranze e di aspettative, che c'infondevano conforto e quasi certezza che l'amabile presenza di Fra Pio fosse sempre con noi (...). Facendo ritorno, avevamo l'impressione che egli avesse dimorato sempre con noi, tanto era fermo e continuo il ricordo che avevamo di lui».
VIII
Humour e facezie
Un cappuccino “da due soldi”
L'atteggiamento burbero e scontroso di Padre Pio era soltanto una maschera che gli serviva per incalzare i penitenti e per difendersi dalla passione dei suoi devoti. Ma in realtà, come racconta uno dei suoi biografi, padre Alberto d'Apolito, «ben volentieri Padre Pio, dopo il pranzo, partecipava alla ricreazione coi confratelli per qualche quarto d'ora». E anche quando Padre Pio, all'orario di cena, era autorizzato a restare nel coro a pregare - ricorda padre Gerardo Di Flumeri - «dopo cena, però, si faceva trovare immancabilmente sul terrazzo, dove passava con i confratelli il tempo prescritto per la ricreazione in fraterna allegria».
Soprattutto i frati più giovani non mostravano soggezione nei suoi riguardi, prendendolo benevolmente in giro. «Padre Spirituale», gli diceva un giorno padre Eusebio Notte, riferendosi al vocione di Padre Pio, «lei mi può insegnare a recitare qualche Ave Maria, ma mi stia a sentire: se in Paradiso si canta, sarà bene che venga un po' a scuola da me...». E Padre Pio: «Proprio tu parli, con questa vocina che non si sente!». Un altro giorno, padre Vincenzo da Montemarano cercava Padre Pio, che stava in un'altra stanza. Quando lo trovò, Padre Pio gli chiese: «Ma come hai fatto a sapere che ero qui?». E padre Vincenzo: «Ho fatto come i cani, mi sono affidato al fiuto», alludendo al ben noto profumo che spesso emanava dal frate.
Come testimonia padre Rosario da Aliminusa, Padre Pio era dotato anche di notevole autoironia. Una volta, nel chiedere scusa al Provinciale, padre Torquato da Lecore, perché non poteva più intrattenersi, disse: «Un povero uomo una volta, entrando in una sala, rimase sbalordito al vedere sul pavimento un animaluccio con tanti piedi e si mise a contarli: uno, due, tre, cento, cinquecento, mille. '~O Signore mio - esclamò - siete tanto sapiente. E come mai a un animaluccio così piccolo avete dato mille piedi e a me così grande ne avete dati appena due, che poi non mi servono?"» (per lui, infatti, lo stare in piedi era un'impresa difficile e penosa, a causa delle stimmate). E al Superiore padre Bernardo, che gli imponeva di non farsi baciare le mani dopo la confessione, rispose: «Debbo prenderli a ceffoni? Se avessi avuto almeno le mani buone, forse l'avrei anche fatto!».
In un'altra occasione Padre Pio si trovò dinanzi un pittore di Perugia, che gli aveva eseguito un ritratto nel quale appariva con il volto molto severo. Richiesto di benedire il quadro e di scriverci sopra un messaggio, il Padre lo fissò con uno sguardo arguto e poi incise: «Niente paura, sono io!». E quando udiva da una finestra del convento un venditore ambulante che in piazza, con voce stentorea, offriva in vendita le sue fotografie, non mancava mai di osservare con chi gli stava accanto: «Ma guarda, sono costato tanto a mia madre e adesso questo mi vende per due soldi...».
Anche a riguardo delle proprie vicende mistiche, Padre Pio sdrammatizzava ogni volta che poteva. A una persona che, vedendolo curvo e dolorante, gli disse: «Padre, voi soffrite tanto perché avete avuto la divina imprudenza di offrirvi vittima non solo per la Chiesa e per l'Italia, ma per tutta l'umanità», prontamente replicò: «Eh beh, uno scemo ci voleva pure!». E a monsignor Giuseppe Del Ton, che gli chiedeva in che cosa consistesse il «farsi santo», sintetizzò: «Fare del bene e ricevere bastonate!». Un giorno l'attore Carlo Campanini gli raccontò che un amico, avendo chiesto a un primario di Firenze che cosa pensasse delle stimmate del cappuccino, si era sentito rispondere: «E frutto di isterismo: a furia di pensare al Cristo crocifisso, a Padre Pio son venute le stimmate». La reazione del Padre fu immediata: «Quando vedrai quel professore, digli che pensi intensamente di essere un bue. Vedremo se gli spuntano le corna!...».
Fra le tantissime lettere che giungevano al convento, molte erano di gratitudine per le grazie ricevute in seguito alle preghiere di Padre Pio. Commentandole con i confratelli, il Padre osservava umilmente: «Se il Signore dovesse badare ai meriti miei, dovrebbe fare tutto il contrario di quanto chiedo, come con quel tal prete». E subito dopo spiegava: «C'era un prete che, richiesto da un contadino di dire la Messa per la guarigione di una vacca, al Memento, alzando la voce, disse: "Signore fa' morire la vacca a quel buon uomo". Alla fine della Messa il contadino entrò in sacrestia per fare le sue rimostranze, ma il prete lo precedette: "So quel che mi vuoi dire, ma non ti preoccupare, perché in realtà ho pregato per la tua vacca: siccome io sono un peccatore, il Signore fa sempre tutto il contrario di quel che chiedo
Un'altra barzelletta che gli piaceva tanto raccontare con la sua spassosa mimica era quella in cui il Signore vede girare in Paradiso molti brutti ceffi e, stupito, chiama San Pietro: «Che succede? Sembra che il carcere mandamentale l'abbiano trasferito qui». E Pietro: «Signore, entrano, ma non so da che parte». Nonostante l'ordine di stare più attento, la situazione non cambia, cosicché il Signore chiede a Pietro di restituirgli le chiavi, perché non lo considera più in grado di fare il suo mestiere. E allora l'apostolo: «Signore, dal momento che lo volete sapere, ve lo dico. Appena mi volto un momento, c'è vostra Madre che apre e fa entrare tutti quanti. Io non ne posso più. Che devo fare?». E il Signore: «Fa' finta di non accorgertene...».
I miracoli dell'umorismo
Padre Pio non risparmiava nemmeno i suoi superiori, secondo il racconto di padre Pellegrino Funicelli: «Nel 1952 ci fu la visita del Procuratore generale padre Agatangelo da Langasco e noi di San Giovanni Rotondo avevamo saputo una frase che egli avrebbe pronunziato a nostro riguardo: "Vado laggiù e metto a posto io quella famiglia di quattro stupidi". Prima che arrivasse, noi frati ci chiedevamo come accoglierlo. Allora Padre Pio suggerì ridendo: "Ha detto che siamo una famiglia di stupidi? E noi lo accoglieremo come uno di famiglia!"».
Qualche tempo prima, quando il convento di San Giovanni Rotondo era un romitorio abitato da pochi religiosi, ma la fama di Padre Pio già si diffondeva all'intorno, un contadino suonò la campanella e Padre Pio si presentò ad aprire. «Sta qua il monaco che sa tutto?», chiese il buon uomo. Padre Pio, senza scomporsi, rispose di si e invitò il visitatore a seguirlo. Attraversato il corridoio del chiostro, i due salirono le scale e si fermarono alla prima cella, quella di padre Paolino da Casacalenda. «Padre Guardiano - disse Padre Pio - qui c e un signore che vuol parlare col monaco che sa tutto. Accontentatelo». E lesto andò in fondo al corridoio per godersi lo spettacolo.
Anche gli eventi prodigiosi di cui era protagonista assumevano talvolta aspetti umoristici. Un giorno fra Modestino da Pietrelcina acquistò alcuni ricordini religiosi da regalare agli amici, oltre a una bottiglia di vino per sé. Tornato in convento, si recò da Padre Pio per fargli benedire quegli oggetti e gli chiese di fare lo stesso anche con la bottiglia. Il Padre lo accontentò e poi, con aria sorniona, aggiunse: «Beh, ho fatto il primo miracolo stamattina». Fra Modestino gli chiese di spiegarsi, e Padre Pio: «Ho fatto diventare vino il contenuto di questa bottiglia». All'affermazione che quello era già vino, il Padre gli rivolse uno sguardo di commiserazione. Soltanto in seguito fra Modestino scoprì che quel vinaio produceva il vino non con l'uva, ma con le cosiddette "cartelle", e anche di scarsa qualità!
In un'altra circostanza, l'impiegato della Casa Sollievo che ogni giorno portava a Padre Pio la corrispondenza da benedire prima della spedizione compilò una schedina del totocalcio e, chiusala in una busta, la mise insieme alle altre. «Padre», gli disse, «le benedica tutte», ma Padre Pio, con lo sguardo di chi sapeva, rispose: «Sì, tutte, meno una». Il generale Tarcisio Quarti assistette invece, nel luglio 1943, a un episodio che ebbe come protagonista il signor Tonelli di Bologna, il quale voleva spedire da San Giovanni Rotondo alcune cartoline a persone delle quali non conosceva l'indirizzo preciso. Chiese a Padre Pio: «Dove abita la signora X?». E il Padre diede la via, il numero e la località. Poi continuò: «E il signor tale?». E il Padre diede l'indirizzo. La terza volta il Padre rispose: «Credo... via tale e numero tale». Alla quarta cartolina il Padre si ribellò bonariamente: «Ma tu mi hai preso per la guida telefonica?».
Il commercialista Adolfo Affatato ha invece raccontato che, quando viveva a Napoli per studiare, appena poteva si recava a San Giovanni Rotondo.
Una volta Padre Pio gli disse: «Figlio mio, non devi preoccuparti di venire se non puoi. Basta che entri in una chiesa dove c’è il santissimo Sacramento e mi mandi l'angelo custode». Il giorno in cui doveva sostenere l'esame di Diritto Privato, il giovane aveva molta paura e così, recandosi all'università, entrò in tutte le chiese che incontrava lungo il cammino. L'esame andò benissimo. Tornando a San Giovanni Rotondo per ringraziare il Padre, questi gli disse: «Ti avevo detto che nei momenti di necessità potevi mandarmi l'angelo custode: però basta una volta sola!».
E, con l'aiuto degli angeli suoi amici, Padre Pio si levava anche d'impiccio con divertimento. Una volta, nonostante stesse poco bene, il cappuccino si trattenne comunque a confessare fino alle 11.30. A un certo punto don Pierino Galeone lo vide in piedi, sulla predella del confessionale, e poi a due metri d'altezza, mentre veniva avvolto da una nuvola, fino a scomparire del tutto. Al pomeriggio, in giardino, i confratelli gli chiesero: «Padre, dove siete andato a finire questa mattina?». E lui, ridendo:
«Appena ho finito di confessare e mi sono alzato, ho avuto forti sbandamenti di testa, tanto che temevo di cadere per terra. Ho pregato gentilmente gli angeli di togliermi dall'imbarazzo e mi hanno sostenuto, lasciandomi camminare sulla testa della gente. Come erano dure quelle teste... Altro che mattoni!».
IX
Ispirazione francescana e sacerdozio
Il monaco con la barba
«Dove meglio potrò servirti, o Signore, se non nel chiostro e sotto la bandiera del Poverello di Assisi?». Nella lettera del 26 novembre 1922 alla figlia spirituale Nina Campanile, che rappresenta un'eccezionale testimonianza autobiografica, Padre Pio indica queste come le parole che rivolse direttamente a Gesù mentre si interrogava sulla propria vocazione: «Ed egli», prosegue il cappuccino, «vedendo il mio imbarazzo, sorrideva, sorrideva a lungo».
La scelta di entrare fra i seguaci di san Francesco era maturata in giovanissima età, quando era stato Lolpito dalla figura del frate "cercatore" Camillo da Sant'Elia a Pianisi, che periodicamente andava questuando fra i paesi e le campagne. Un giorno, a Piana Romana, mamma Giuseppa lo interpellò:
«Fra Camillo, questo ragazzo dobbiamo farlo munaciello!». E il frate: «Che san Francesco lo benedica e lo aiuti a diventare un bravo cappuccino». Perciò fu grande la gioia di ambedue quando il giovane Francesco si vide accogliere in convento proprio dal portinaio fra Camillo: «Franci', bravo, bravo. Sei stato fedele alla promessa e alla chiamata di san Francesco».
Qualche sollecitazione da parte dei familiari infatti c'era stata, affinché scegliesse famiglie religiose più "benestanti", come i Frati minori di Benevento, i Redentoristi di Sant'Angelo a Cupolo o i
Benedettini di Montevergine. Ma il ragazzo, secondo quanto ha tramandato l'aneddotica familiare, aveva le idee chiare: «Voglio fa' lu monaco di Messa, monaco cu' la barba». Per pagargli gli studi e per mantenere la numerosa famiglia, papà Grazio emigrò per due volte oltre oceano: negli Stati Uniti dal 1898 al 1903 e in Argentina dal 1910 al 1917.
Padre Livio Dimatteo, utilizzando le risposte date da Padre Pio ai compiti scritti sulla Regola francescana, ha disegnato la sua figura ideale di cappuccino: «Il frate deve essere prima di tutto ubbidiente al Superiore; deve amare e rispettare le leggi ecclesiastiche, la Regola, le Costituzioni e gli Ordinamenti». Padre Pio voleva poi che il frate fosse «povero a imitazione di Gesù crocifisso e distaccato da ogni ricchezza; responsabile di tutti i gesti che compie nella propria vita, sopportandone le conseguenze a volte anche penose; di buon esempio agli altri e pieno di carità verso i confratelli».
L'abito francescano era per Padre Pio il simbolo di tutto ciò. Ogni anno ricordava e festeggiava nel suo intimo l'anniversario della vestizione religiosa e ne ringraziava sinceramente il Signore. Grande fu la sua gioia quando, il 4 ottobre 1957, giunse nel convento di San Giovanni Rotondo la reliquia del saio di san Francesco. Nel marzo del 1965 il Guardiano, padre Carmelo da San Giovanni in Galdo, gli diede il permesso di dormire senz'abito, dato che di notte sudava abbondantemente. Ma Padre Pio scoppiò in un pianto dirotto e tra i singhiozzi ripeteva: «Sono 62 anni e non ho mai lasciato l'abito religioso...».
Una sua ardente speranza era che tutti i figli spirituali appartenessero alla Famiglia francescana, in modo da farlo sentire «vero padre e fratello». A Giovanna Rizzani disse: «Desidero tanto che tu entri a fare parte del Terz'Ordine. Qui potrai attingere e vivere lo spirito evangelico del Serafico Padre». E alla signorina Graziella Pannullo, nella lettera del 30 dicembre 1921, prefigurava «il giorno in cui voi godrete una gioia di paradiso, portandovi in Assisi, monumento parlante del, grande amore e dell'infinita carità del nostro Padre san Francesco».
Una dispensa per la malattia
A padre Tarcisio Zullo accadde di sentirsi dire da Padre Pio: «Se tornassi a nascere, mi farei nuovamente cappuccino, ma sacerdote no». E alla reazione: «Padre Spirituale, ma il sacerdote è un altro Cristo», egli soggiunse: «Per questo non mi farei sacerdote. Ti pare poco la responsabilità che un sacerdote assume, di essere un altro Cristo per le anime?».
Fu proprio questo l'impegno preso da Padre Pio il 10 agosto 1910, quando venne ordinato sacerdote dall'arcivescovo Paolo Schinosi, nella cattedrale di Benevento. Sull'immaginetta-ricordo, Padre Pio scrisse di suo pugno: «Gesù / mio sospiro mia vita / oggi che trepidante / ti elevo / in un mistero di amore I con te io sia pel mondo / via verità vita / e per te sacerdote santo / vittima perfetta».
In quel tempo la legge canonica richiedeva l'età di 24 anni compiuti per l'ordinazione sacerdotale. Ma, sin dal 22 gennaio 1910, Fra Pio aveva scritto al Provinciale, padre Benedetto da San Marco in Lamis, pregandolo di chiedere alla Sacra Congregazione dei Religiosi la dispensa, che venne concessa il 1° luglio 1910. Che i Superiori cappuccini ritenessero imminente la morte del confratello lo documenta la dedica inviatagli da padre Benedetto nella circostanza dell'ordinazione: «Nel giorno fausto della Messa novella, augurando che Dio lo possieda in Cielo come egli lo possiede fra le sue mani in terra, pregando che sia memore di chi ha diritto ai suoi affetti».
1114 agosto fu festa grande a Pietrelcina. Tutti gli abitanti andarono ad accoglierlo all'ingresso del paese e lo accompagnarono in processione con la banda fino alla chiesa, dove Padre Pio celebrò la prima Messa solenne. Cominciarono così i quasi sei anni di ministero sacerdotale fra i suoi compaesani, che lo apprezzarono al punto da sperare che non andasse più via. Ma all'arciprete Salvatore Pannullo, che lo sollecitava a restare in parrocchia lasciando l'Ordine cappuccino, Padre Pio rispose:
«Quando uno ha dato la parola a san Francesco non può ritirarla».
Gli "anni nascosti" di Pietrelcina
In contemporanea con la sollecitazione di Fra Pio per la dispensa, padre Benedetto si era momentaneamente arreso alla necessità di lasciarlo nel suo paese nativo, dopo diversi tentativi infruttuosi di ricondurlo in convento. Il 2 gennaio 1910 gli scriveva: «Quali siano i divini disegni nel volervi quasi giocoforza in famiglia l'ignoro; ma li adoro pure, sperando quasi con fiducia che la crisi si risolverà. Gesù e Maria siano con voi, vi consolino e vi diano grazia di portare la croce in modo da essere coronato di merito».
Un altro tentativo venne compiuto nell'autunno 1911 a Venafro, dove però Padre Pio stette malissimo. Fra le estasi che ebbe, ci fu anche un dialogo con san Francesco d'Assisi, del quale padre Agostino da San Marco in Lamis annotò alcune battute:
«O serafico Padre mio, tu mi scacci dal tuo Ordine?... Non sono più figlio tuo?... La prima volta che mi appari, Padre san Francesco, mi dici di andare a quella terra di esilio?... Ah, Padre mio, è volontà di
Dio?... Ebbene, fiat!...». In seguito, sempre a padre Agostino, dirà che non gli poteva rivelare la ragione per cui il Signore l'aveva trattenuto a Pietrelcina, altrimenti «mancherei di carità».
Per tre anni si continuò sempre nell'identico modo, tanto da spingere il Ministro generale a chiedere per lui alla Santa Sede il permesso di restare fuori dal convento, consentendogli comunque di conservare l'abito cappuccino. L'esclaustrazione fu concessa il 25 febbraio 1915 e Padre Pio, quando ne venne a conoscenza, scrisse a padre Benedetto:
«Giacché Gesù non ha permesso che io consacrassi alla mia diletta madre provincia tutta la mia persona, mi sono offerto al Signore, quale vittima per i bisogni tutti spirituali di lei».
Pochi mesi più tardi, il 24 maggio 1915, l'Italia entrò in guerra contro l'Austria e anche Padre Pio ricevette la cartolina che lo chiamava alle armi. Il 6 novembre si presentò al distretto militare di Benevento e, un mese dopo, fu assegnato alla ba Compagnia di sanità di Napoli. Ma già il 18 dicembre veniva inviato in licenza di convalescenza per un anno. Nuovi rientri nel Corpo militare ci furono il 18 dicembre 1916, il 19 agosto 1917 e il 5 marzo 1918: ogni volta, dopo pochi giorni, venne rispedito in licenza di convalescenza, sino al definitivo congedo del 16 marzo 1918.
Il 17 febbraio 1916, intanto, Padre Pio era partito da Pietrelcina verso Foggia, su richiesta di padre Agostino, che lo invitava ad assistere l'anima della nobildonna Raffaelina Cerase, con la quale il Padre aveva avuto un fitto scambio epistolare. La Cerase, sentendosi prossima alla morte (che difatti avvenne il 25 marzo 1916), desiderava parlare con Padre Pio almeno una volta. Qualche settimana prima, lei stessa aveva suggerito a padre Agostino: «Fatelo tornare in convento e fatelo confessare, ché farà molto bene».
Giunto al convento di Sant'Anna a Foggia, Padre Pio vi trovò padre Benedetto, il quale gli ordinò perentoriamente di restare lì «vivo o morto», e il Padre obbedì senza alcuna obiezione. Il 28 luglio sali per la prima volta a San Giovanni Rotondo, accompagnato da padre Paolino da Casacalenda, per cercare un po' di sollievo dal caldo soffocante della pianura. Qualche giorno dopo rientrò a Foggia, ma il 4 settembre 1916 venne definitivamente trasferito nel convento di San Giovanni Rotondo, dove resterà per i successivi 52 anni di vita.
Padre Pio aveva allora quasi trent'anni (che qualcuno ha comparato agli "anni nascosti" di Gesù a Nazaret, prima di iniziare l'attività pubblica). E tutta la sua vita, precedente e successiva, si è svolta fra il Beneventano e la zona del Gargano:
esattamente il territorio dove - come un felice presagio - san Francesco apparve in spirito al vescovo di Assisi, nella notte della propria morte (3 ottobre 1226), per dirgli che lasciava il mondo e andava in Cielo da Cristo.
Secondo la Legenda ma jor di Bonaventura, il vescovo era ancora in pellegrinaggio nel santuario di San Michele arcangelo; mentre la Vita di Tommaso da Celano lo segnala di ritorno nei pressi di Benevento. Ma già lo stesso san Francesco era stato proprio a San Giovanni Rotondo nel 1216, scendendo da Monte Sant'Angelo, e vi aveva auspicato la costruzione di un convento, i cui ruderi furono visibili fino al Settecento nella zona detta delle «case nuove».
X
Liturgia eucaristica
Come un Ostensorio vivente
A descrivere la Messa di Padre Pio ci hanno provato in tanti, «ma nessuno è riuscito a tratteggiare, in tutta la sua misteriosa realtà, ciò che per cinque decenni è avvenuto ogni mattina sull'altare, a San Giovanni Rotondo». Se ad affermarlo è fra Modestino da Pietrelcina, che in tante occasioni fece da "chierichetto" al Padre e che ne è stato forse il figlio prediletto, bisogna credergli. Non resta allora che affidarsi al suo ricordo appassionato di una liturgia che poteva durare anche due-tre ore, fino a quando non venne ridotta a una mezz'oretta per disposizione del Sant'Offizio.
Innanzitutto la preparazione: «Appena giunto in sacrestia per indossare i paramenti sacri, avevo l'impressione che già non s'accorgesse più di ciò che avveniva intorno a lui. Il suo viso, apparentemente normale nel colorito, diventava paurosamente cereo nel momento in cui indossava l'amitto. Da quell'istante non dava più retta a nessuno. Indossati i sacri paramenti, si avviava all'altare. Nel breve tragitto il suo passo diventava più strisciante, il volto dolorante. Giunto all'altare, lo baciava teneramente ed il suo viso cereo s'incendiava».
Al confiteor, prosegue fra Modestino, «come se si accusasse di tutti i peggiori peccati commessi dagli uomini, si batteva il petto con sordi e forti colpi». Al Vangelo «le sue labbra, annunciando la parola di Dio, sembrava che di quella parola si cibassero, gustandone l'infinita dolcezza. Subito dopo iniziava l'intimo colloquio con l'Eterno. Padre Pio, che aveva ricevuto dal Signore il dono della contemplazione, entrava negli abissi del mistero della redenzione».
In quei momenti il Padre viveva realmente nella propria carne la passione di Cristo: «All'elevazione il suo dolore raggiungeva i] culmine. Nei suoi occhi leggevo l'espressione di una madre che assiste all'agonia del figlio sul patibolo, che lo vede spirare e che, strozzata dal dolore, muta, ne accoglie il corpo esangue tra le braccia. Vedendo il suo pianto, i suoi singhiozzi, temevo che il cuore gli scoppiasse, che stesse per venir meno da un momento all'altro».
Giunto alla comunione, finalmente si rasserenava. Racconta ancora fra Modestino: «Trasfigurato, in un appassionato, estatico abbandono, si cibava della carne e del sangue di Gesù. Padre Pio rimaneva come stordito a gustare le divine dolcezze che solo Gesù eucaristico sa dare. Al termine della Messa, il Padre bruciava di un fuoco divino appiccato da Cristo alla sua anima, per attrazione». E allora «un'altra ansia lo divorava: quella di andare in coro per restare raccolto col suo Gesù nell'intima, silenziosa lode di ringraziamento».
In questi momenti Padre Pio confidava ai più intimi: «Se fosse in mio potere non scenderei mai dall'altare». Una sua convinzione costantemente espressa era infatti che «il mondo potrebbe stare anche senza sole, ma non senza la santa Messa!». E in una lettera del 1917 al direttore spirituale padre Agostino da San Marco in Lamis, scritta mentre era ricoverato in ospedale a Napoli per verificare l'idoneità al servizio militare, rivelò: «Sono estremamente sconfortato per l'unica ragione che qui non si può celebrare, perché manca la cappella e fuori non ci è permesso uscire. Che desolazione!».
Ai sacerdoti, come ricorda don Nello Castello, «insegnava a dividere la giornata in due parti: fino a mezzogiorno offrire le singole ~zioni in ringraziamento della Messa celebrata e dopo mezzogiorno in preparazione alla Messa del giorno dopo». Questo suggerimento, del resto, non era altro che quanto lo stesso Padre Pio praticava, secondo la testimonianza dell'assistente personale che lo affiancò negli ultimi anni di vita, padre Onorato Marcucci: «Andavo ad alzarlo alle ore 1.30 e, dopo un po' di pulizia, lo accomodavo sulla poltrona. Cpn una luce fioca stava così fino alle 4, ora in cui lo accompagnavo in sacrestia. Parecchie volte gli domandavo: "Perché si alza così presto? E che cosa fa?". "Mi preparo per la santa Messa", rispondeva. "Ma non le sembra esagerato che per prepararsi alla Messa deve alzarsi dal letto 3 ore prima?". E lui replicava:
"Ma che sono 3 ore! Ce ne vorrebbero 12 per prepararsi a celebrare il Sacrificio!"».
La Messa di Padre Pio era la quotidiana prova della verità di quanto egli diceva a padre Innocenzo Cinicola Santoro e ad altri confratelli, in occasione degli anniversari di ordinazione sacerdotale:
«Per celebrare bene bisogna essere un altro Gesù». E grande era la sua gioia a ogni ricorrenza della propria ordinazione, come è ad esempio testimoniato dalla lettera del 9 agosto 1912 a padre Agostino: «Mentre io scrivo dove vola il mio pensiero! Al bel giorno della mia ordinazione. Domani, festa di San Lorenzo, è pure il giorno della mia festa. (...) Vado paragonando la pace del cuore, che sentii in quel giorno, con la pace del cuore che incomincio a provare fin dalla vigilia, e non ci trovo nulla di diverso. Il giorno di San Lorenzo fu il giorno in cui trovai il mio cuore più acceso di amore per Gesù».
La Messa, memoria del Calvario
Di ciò che Padre Pio sperimentava durante la liturgia eucaristica abbiamo uno straordinario documento, le spontanee e sincere risposte ai quesiti della figlia spirituale Cleonice Morcaldi: «Padre, che cos'è la vostra Messa? - Un completamento sacro con la Passione di Gesù». «E che cosa debbo leggere nella vostra santa Messa? - Tutto il Calvario». «Padre, ditemi tutto quello che soffrite nella santa Messa. - Tutto quello che ha sofferto Gesù nella sua Passione, inadeguatamente, lo soffro anche io, per quanto a umana creatura è possibile. E ciò contro ogni mio demerito e per sola sua bontà». «Nella celebrazione della Messa, qual è il momento in cui soffrite di più? - Dalla consacrazione alla comunione».
Ancor più sconvolgente è la spiegazione riguardante l'Eucaristia e i suoi effetti in Padre Pio: «La comunione è una incorporazione? - E una fusione: come due ceri si fondono insieme e più non si distinguono». «Mi avete fatto comprendere che le Sacre Specie in voi non si consumano; che nelle vostre vene scorre il Sangue di Gesù. Siete dunque un Ostensorio vivente?
- Tu lo dici!». Una conferma ancor più diretta gliela chiese padre Tarcisio Zullo: «Padre, ditemi la verità, la santissima Eucaristia nel vostro cuore si conserva incorrotta da un giorno all'altro?»; e Padre Pio rispose senza giri di parole: «Si, figlio mio».
D'altronde anche per Padre Pio, come è successo ad altri grandi mistici, l'ostia consacrata rappresentava un vero e proprio cibo. Padre Agostino ha documentato nel Diario di ottobre e novembre 1911 che Padre Pio, ospite nel convento di Venafro, era molto ammalato e non riusciva a mangiare nulla, ma «si sostentò con la sola Eucaristia, tanto quando poteva celebrare, come quando riceveva la comunione non potendo dire Messa».
Molti anni più tardi, a padre Carmelo da San Giovanni in Galdo capitò di trovarsi nella camera di Padre Pio con alcuni confratelli: «Si parlava della santa comunione, che i sacristi ogni mattina portavano a domicilio agli ammalati che abitavano nelle vicinanze del convento, e si riferivano anche alcune lamentele per qualche volta in cui i sacristi, a causa di altri impegni, avevano mancato di portarla. Il Padre intervenne nella conversazione e con una certa severità rimproverò una tale mancanza; poi aggiunse: "Se dovesse capitare a me di stare un giorno senza comunione, io morirei"».
Ed era così grande la sua tenerezza verso Gesù Sacramentato da aver lasciata impressa nell'insegnante Giuseppe Pompilio l'immagine di quando prendeva la pisside, l'ostensorio e l'ostia «con estrema delicatezza e rispetto, come una mamma verso il suo bambino». Il 25 agosto 1965, padre Marcellino Iasenzaniro notò che mancava l'energia elettrica, cosicché Padre Pio non poteva usare l'ascensore per andare come di consueto sul matroneo della chiesa. Per evitargli la dura rampa di scale che conduceva al posto dove si soffermava solitamente, gli disse: «Padre, perché non va a pregare nella cappellina?». E lui rispose commosso, indicando la chiesa: «Ma lì ci sta Gesù».
Padre Pio desiderava che il suo amore verso la liturgia eucaristica fosse condiviso anche dai suoi figli spirituali, ai quali spiegava che «assistiamo alla santa Messa perché è il Calvario stesso in cui Gesù compì la redenzione nostra dinanzi al Padre suo, né scendiamo da questo monte, cioè quando è finita la Messa, quasi spensierati, come se avessimo assistito a uno spettacolo qualsiasi... Imitiamo le pie donne, com'è scritto nel Vangelo, che, dopo spirato Gesù, scendevano dal monte percuotendosi il petto. Ma sia questa una vera compunzione di spirito, di dolore per i nostri peccati e, nel tempo stesso, di confidenza della divina giustizia, placata dal Figlio suo».
Su questa traccia padre Alessandro da Ripabottoni, curatore dell'Epistolario di Padre Pio, ha delineato la "regola" che il frate suggeriva alle sue figlie spirituali riguardo alle cose da praticare in chiesa e nell'uscire da essa:
1. Entra in chiesa in silenzio e con gran rispetto, tenendoti e reputandoti indegna di comparire davanti alla maestà del Signore.
2. Prendi poi l'acqua benedetta e fa' bene e con lentezza il segno della nostra redenzione.
3. Trovato il posto, inginocchiati e rendi a Gesù Sacramentato il tributo della tua preghiera e della tua adorazione.
4. Assistendo alla santa Messa e alle sacre funzioni, compi ogni atto religioso con la più grande devozione.
5. Se preghi in comune, pronunzia distintamente le parole della preghiera; fa' bene le pause e non affrettarti mai.
6. Nell'uscire di chiesa abbi un contegno raccolto e calmo. Saluta per primo Gesù Sacramentato, domandagli perdono delle mancanze commesse alla sua presenza e non partire da lui se prima non gli hai chiesto e da lui non hai ottenuto la paterna benedizione.
7. Uscita che sei di chiesa, mostrati quale ogni seguace del Nazareno dovrebbe essere; soprattutto serba una gran modestia in ogni cosa, perché la modestia è la virtù che meglio di ogni altra palesa le affezioni del cuore.
XI
Miracoli ed eventi soprannaturali
«E tu che santo sei?!»
Fra i documenti per il processo di canonizzazione, la Postulazione cappuccina ha inserito anche 129 testimonianze relative a grazie attribuite all'intercessione di Padre Pio. Si tratta in realtà di una scelta davvero minima fra le decine di migliaia di segnalazioni difatti prodigiosi, giunte nel convento di San Giovanni Rotondo sin dai primi giorni successivi alla morte del Padre.
D'altra parte, centinaia di testimoni hanno documentato che durante l'intero arco della sua esistenza Padre Pio fu protagonista di moltissimi miracoli ed eventi soprannaturali, a cominciare da quello avvenuto intorno al 1896 e che viene da molti considerato come il primo atto della sua vita di intercessore.
In compagnia del padre, il giovanissimo Francesco si era recato al santuario del martire san Pellegrino, venerato ad Altavilla Irpina (Avellino), dove fra i tanti devoti c'era una mamma che pregava il santo affinché guarisse il bambino deforme che teneva in braccio. Francesco, commosso nel vedere la fede di quella donna e le sue lacrime, si unì alla preghiera della mamma, che però a un certo punto sbottò con il santo: «Dal momento che non mi ascolti, pigliatelo», e lo gettò sull'altare. Ma il bimbo, non appena toccò terra, guarì, lasciando stupefatti ed esultanti tutti i presenti.
Quando poi si sparse la voce delle stimmate e dei doni di cui era dotato, Padre Pio venne subissa to, di persona e per iscritto, da richieste di ogni tipo, provenienti dal mondo intero. E il suo atteggiamento fu sempre quello esemplificato da padre Agostino da San Marco in Lamis nel proprio Diario: «A una persona che gli chiedeva una grazia, Padre Pio rispose: "Io potrò pregare e pregherò; ma la grazia la fa il Signore". Nella sua ingenuità, la persona richiedente soggiunse: "E tu che santo sei?!". Il Padre sorrise e riprese a dire: "Pregherò, e prega anche tu"».
Ciò che dovevano ispirare questi eventi straordinari era infatti innanzitutto la conversione sia del protagonista sia di quanti venivano a conoscenza dell'accaduto. E fu così soprattutto per i numerosi casi nei quali il Padre preannunciò eventi luttuosi, di uno dei quali fu testimone don Pierino Galeone:
«Un giorno, dopo la Messa e il ringraziamento, Padre Pio si guardò attorno e chiamò un uomo. Tutti, mossi dalla curiosità e dalla santa invidia, guardammo meravigliati quel fortunato, ma dopo una buona mezz'ora lo vedemmo scendere pallido e mesto. Dietro mia richiesta, mi raccontò che Padre Pio, con voce commossa, gli aveva annunciato:
"Amico mio, fra una settimana lascerai questo mondo. Non temere! Preparati con umiltà. Ti starò continuamente vicino, e io stesso ti accompagnerò in Cielo". La settimana seguente chiesi notizie ai suoi amici che erano tornati a San Giovanni Rotondo, e loro mi raccontarono: "Dopo un paio di giorni si è improvvisamente ammalato e, come gli aveva predetto il Padre, è morto. Se si è avverata la morte, certamente si è anche avverato che è in Paradiso. Beato lui!"».
Fra i prodigi che fecero più clamore ci fu quello accaduto a Gemma Di Giorgi, una bambina di sette anni giunta a San Giovanni Rotondo nel giugno 1947, pochissimi giorni dopo l'avvio dei lavori per la Casa Sollievo della Sofferenza. La nonna l'aveva condotta dalla Sicilia per chiedere a Padre Pio di intercedere per la sua guarigione, essendo nata senza pupille. Il cappuccino confessò la bambina e quindi le tracciò un segno di croce sulle palpebre. Nel pomeriggio le diede la comunione e subito dopo Gemma cominciò a vedere. La straordinarietà dell'evento fu confermata dal fatto che l'oculista della bambina e diversi altri specialisti verificarono che i suoi occhi continuavano a essere privi di pupille, mentre ella riusciva a vedere normalmente.
Più giocoso è il prodigio tuttora visibile a San Giovanni Rotondo, all'esterno dell'asilo delle Suore dell'Immacolata, in via San Luigi Gonzaga. Era il 3 gennaio 1993 quando le religiose, di ritorno dalla Messa, si resero conto che nessuna aveva portato con sé le chiavi di casa. Chiamato il vetraio, questi spiegò che era necessario rompere il doppio vetro di una finestra al piano terra, in modo da poter entrare e aprire il portoncino. Le suore gli dissero di procedere, e loro intanto si misero a recitare qualche preghiera a Padre Pio. Al termine dell'operazione, le suore si recarono in cucina per preparare un caffè e l'operaio tornò nella dispensa per riparare la finestra ma, con suo grande stupore, soltanto uno dei due vetri risultava rotto, mentre l'altro era integro. Accurate analisi, compiute dall'Istituto ricerche della Breda di Milano e nella Stazione sperimentale del vetro di Murano, hanno dimostrato che la composizione dei due vetri era identica e che non c'era alcuna spiegazione scientifica per la vicenda.
Il profumo della protezione
A poco più di 7 anni, mentre era studente nel convento di Sant'Elia a Pianisi, Fra Pio visse la prima esperienza di bilocazione, che lui stesso raccontò: «Mi ritrovai lontano in una casa signorile, dove il padre moriva mentre una bimba nasceva. Mi apparve allora Maria santissima che mi disse: "Affido a te questa creatura; è una pietra preziosa allo stato grezzo, lavorala, levigala, rendila il più lucente possibile, perché un giorno voglio adornarmene". (...) Soggiunse: "Non dubitare, sarà lei che verrà da te, ma prima la incontrerai in San Pietro, a Roma"». Quanto preannunciato dalla Madonna ovviamente si avverò: Giovanna Rizzani, questo il nome della donna, da studentessa si recò nella Basilica vaticana e si confessò con il cappuccino (anche lì in bilocazione), che poi riconobbe quando giunse a San Giovanni Rotondo, divenendone una delle più devote figlie spirituali.
Era talmente di ordinaria amministrazione la bilocazione per Padre Pio che l'amministratore di Casa Sollievo, il commendator Angelo Battisti, quando lo lasciava la sera augurandogli la buona notte si sentiva rispondere: «Buona e santa notte a te, figlio mio, perché per me comincia un'altra giornata...». «Ma, Padre, allora quando dorme?», domandò una volta Battisti. E lui: «Se dormo cinque-sei ore all'anno è già tanto!». E a padre Paolino da Casacalenda, che si chiedeva come avvenisse la bilocazione e se il protagonista ne fosse consapevole, Padre Pio rispose quasi soprappensiero: «Sa ciò che vuole, sa dove va, ma non sa se è soltanto con la mente, o con il corpo e con l'anima».
Fra i più eclatanti episodi di cui si è venuti a conoscenza, ci sono le due apparizioni al generale Luigi Cadorna, il comandante dell'esercito italiano nella prima guerra mondiale, e al cardinale Jozsef Mindszenty, l'arcivescovo di Budapest condannato nel 1949 all'ergastolo dal regime comunista. Il primo, dopo la disfatta di Caporetto nel 1917, stava meditando il suicidio, quando vide nella tenda un frate che gli parlava in nome di Dio e l'invitava a deporre la pistola. Anni dopo, avendo visto una foto di Padre Pio su un giornale, si precipitò a San Giovanni Rotondo e si senti dire dal Padre: «Generale, l'avete scampata bella quella notte!». Il secondo, mentre era imprigionato, ricevette in cella una visita di Padre Pio, che gli aveva portato tutto l'occorrente per la celebrazione della Messa e gli fece da chierichetto.
Segno della presenza e della vicinanza spirituale di Padre Pio era il suo famoso profumo, che tuttora ad alcuni devoti accade di percepire. Il dottor Ernesto Paita, che ne ebbe esperienza in diverse occasioni, descrisse profumi «dei più svariati fiori, molti sconosciuti, e di aromi di erbe e piante di campagna e di montagna, di resina e di essenze di ogni tipo, sempre assai fini e delicati, ora tenui, ora forti, talora talmente intensi da togliere quasi il fiato». A padre Giambattista Colavita, che gli chiedeva una spiegazione, Padre Pio disse che tale profumo «e sempre una protezione e Iddio assiste chi l'avverte».
Quando Padre Pio passava tra la folla, veniva bersagliato da richieste di consigli riguardo a pressanti interrogativi. Padre Eusebio Notte ha osservato che le sue risposte «dalle quali spesso dipendeva una vita, l'avvenire, il destino di una persona, arrivavano prontamente e con la massima spontaneità. Quasi sempre erano accompagnate da un'esortazione, un incoraggiamento, un rimprovero, un incitamento a cambiar vita. Frequenti erano i casi in cui medesime situazioni ricevevano risposte diverse. Per esempio: "Padre, mi posso sposare?". Risposta: "E chi aspetti?"; oppure: "Sì, se sei disposta a fare l'infermiera per tutta la vita!". In casi analoghi: "Padre, mi posso operare?". E Padre Pio:
"Rimettiti al medico"; oppure: "Se vuoi farti uccidere...". Quando però Padre Pio non era "illuminato", aveva l'onestà e l'umiltà di farlo capire; nel qual caso prometteva preghiere e, rivolto all'interessato, diceva: "Speriamo, preghiamo, facciamo pressione sul Cuore di Dio!"».
Nei primi tempi della vita, Padre Pio considerava gli eventi soprannaturali come una cosa ordinaria, che credeva fossero percepiti da tutte le anime. Padre Agostino da San Marco in Lamis, nel suo Diario, racconta che un giorno Padre Pio gli disse «E lei non vede la Madonna?»; e alla sua risposta negativa soggiunse: «Lei lo dice per santa umiltà». In particolare, durante la permanenza di Padre Pio nel convento di Venafro, proprio a padre Agostino capitò di assistere a numerose estasi del Padre, durante le quali egli parlava con Gesù, la Madonna, san Francesco e altri santi.
Ma la visione più commovente era per lui quella di Gesù Bambino, di cui almeno due persone furono testimoni privilegiati. Nella notte dal 19 al 20 settembre 1919, padre Raffaele da Sant'Elia a Pianisi, che si trovava in visita nel convento di San Giovanni Rotondo, non riusciva a prendere sonno:
«Verso mezzanotte mi levo dal letto, quasi spaventato. Il corridoio era nell'oscurità, rotta solo dalla luce incerta di un lumicino a petrolio, ed ecco che passa Padre Pio, che tornava dal coro ove era stato in preghiera, tutto luminoso, con Gesù Bambino sulle braccia». Uguale esperienza accadde nella serata del 24 dicembre 1922 alla figlia spirituale Lucia Iadanza, che vide il Padre fermo vicino a una finestra: «A un tratto, in un alone di luce, apparve Gesù Bambino e si fermò tra le braccia di Padre Pio, il cui volto divenne tutto raggiante»
I prodigi della santità
1110 dicembre 1981 l'arcivescovo Paolo Carta fu ricevuto in udienza privata da Giovanni Paolo Il e gli disse: «Santità, per sette anni sono stato vescovo a Foggia, vicinissimo a Padre Pio.' Perciò sono un testimone della sua santità. Le raccomando la causa della sua beatificazione». E il Papa rispose: «In Padre Pio c'è da ammirare la vita eroica, il ministero delle confessioni e la sofferenza delle stimmate. Una volta sono stato a trovarlo e mi sono confessato da lui. Ricordo anche una persona ammalata di cancro, che ebbe la guarigione per l'intervento di Padre Pio [era l'amica Wanda Poltawska, per la cui salvezza lo stesso arcivescovo Wojtyla aveva scritto nel novembre 1962 al cappuccino, nda.. Ma per la beatificazione ci vogliono miracoli!». Poi, sorridendo dolcemente, aggiunse: «Padre Pio ha fatto miracoli in vita. Ne faccia anche dopo morto!».
In effetti, Giovanni Paolo Il si era già personalmente interessato - accogliendo la sollecitazione fattagli per iscritto il 23 aprile 1979 dal postulatore padre Bernardino da Siena - affinché la Congregazione per la Dottrina della fede e la Congregazione per le Cause dei santi concedessero il nulla-osta per aprire la fase diocesana del processo di canonizzazione (precedentemente rifiutato il 16 febbraio 1972, il 6 luglio 1974 e il 28 maggio 1976). Finalmente, il 29 novembre 1982, giunse il sospirato "via libera" e l'arcivescovo di Manfredonia poté inaugurare il processo diocesano, che durò dal 20 marzo 1983 al 21 gennaio 1990, con la partecipazione di 69 testimoni processuali e 10 extraprocessuali. Dopo il parere favorevole della Consulta teologica, il 18 dicembre 1997 Papa Wojtyla firmò il decreto sulle virtù eroiche di Padre Pio, dichiarandolo venerabile.
Il miracolo ratificato per la beatificazione fu quello avvenuto alla signora salernitana Consiglia De Martino, che il 31 ottobre 1995 era stata ricoverata in ospedale per un versamento di liquido linfatico che richiedeva l'operazione chirurgica. La donna si affidò subito all'intercessione di Padre Pio, del quale era devota, e nel pomeriggio del 1° novembre, dopo aver percepito un intenso profumo di fiori, cominciò a stare meglio. Il 4 novembre gli esami all'addome e al torace documentavano l'inspiegabile scomparsa del liquido linfatico e il 6 novembre la paziente veniva dimessa completamente guarita.
Il 2 maggio 1999, in piazza San Pietro, Giovanni Paolo Il presiedette la cerimonia di beatificazione e stabilì che la festa liturgica di Padre Pio fosse collocata in calendario il 23 settembre. Papa Wojtyla sottolineò fra l'altro che «la testimonianza di Padre Pio costituisce un potente richiamo alla dimensione soprannaturale, da non confondere col miracolismo, deviazione da cui egli sempre rifuggì con fermezza».
Per la canonizzazione è invece stata scelta la guarigione miracolosa del bambino Matteo Pio Colella, ricoverato nella Casa Sollievo della Sofferenza il 20 gennaio 1999 per una meningite fulminante. Anche in questo caso vennero subito elevate preghiere per l'intercessione di Padre Pio. La situazione era di imminente pericolo di vita, poiché risultavano ben nove organi contemporaneamente insufficienti, mentre la letteratura clinica internazionale considera irrecuperabili già i malati con cinque organi compromessi. Ma il piccolo - dopo aver visto in sogno il Padre che gli diceva che lo avrebbe guarito - recuperò la salute e il 12 febbraio venne dimesso dal reparto di rianimazione, anche in questo caso senza che ci fossero spiegazioni scientifiche per giustificarne la guarigione.
XII
Novene e devozioni
Un povero frate che prega
Un biografo dell'epoca scrisse che san Francesco d'Assisi, più che un uomo di preghiera, era la «preghiera personificata». Per molti confratelli che hanno vissuto nel convento di San Giovanni Rotondo, oltre che per tanti altri che hanno avuto la possibilità di frequentarlo, Padre Pio ha rappresentato la replica vivente del fondatore della Famiglia francescana. D'altronde, con la massima umiltà, egli stesso diceva: «Ma che vuole da me tutta questa gente? Io sono soltanto un povero frate che prega».
Padre Pellegrino Funicelli, che fu anche assistente personale di Padre Pio, ha raccontato di averlo a lungo "spiato" di giorno e di notte, un po' dappertutto, sino alla sua morte: «Ebbene, non l'ho mai sorpreso a oziare: non soltanto pregava sempre, ma quando credeva di essere solo pregava con una concentrazione tale che sembrava in contatto diretto con la Divinità. In pubblico, invece, per non distinguersi, si uniformava allo stile e al ritmo della comunità».
E quanto ritenesse vitale la preghiera anche per i suoi figli spirituali lo documenta una testimonianza della signorina Clementina Belloni: «In una confessione, Padre Pio mi accusò di aver rubato. Sorpresa, negai. Il Padre continuò: "Hai rubato il tempo a nostro Signore". E infatti il giorno precedente avevo mancato al dovere della preghiera». Con padre Giacomo Piccirillo, che indugiava a fotografarlo da diverse angolazioni, sbottò: «Stai con questo "mastrillo" [riferendosi alla macchina fotografica, nda.1 in mano da più di un' ora e non hai detto neanche un'Ave Maria!».
Nulla poteva distogliere Padre Pio da un costante atteggiamento di orazione. «Non appena mi pongo a pregare», rivela egli stesso in una lettera del 1913, «subito sento che l'anima incomincia a raccogliersi in una pace e tranquillità da non potersi esprimere con le parole. I sensi restano sospesi, ad eccezione dell'udito, il quale alcune volte non viene sospeso, però ordinariamente questo senso non mi dà fastidio e debbo confessare che, anche se a me intorno si facesse del grandissimo rumore, non per questo riesce a molestarmi menomamente».
La sua era realmente una preghiera perenne, un'immersione totale nel mistero di Dio. L'arcivescovo di Manfredonia, Andrea Cesarano, ebbe occasione di verificarlo personalmente durante una settimana di esercizi spirituali trascorsa nel convento di San Giovanni Rotondo. Per otto notti di seguito egli si alzò nelle ore più diverse e andò a guardare in cappella: in qualsiasi momento vi trovò sempre Padre Pio in preghiera e non riuscì a scoprire in quale ora dormisse un poco.
Ma già ai tempi del noviziato, quando ancora non si erano manifestati i suoi particolari doni spirituali, i condiscepoli ne osservavano ammirati il comportamento. Padre Leone da San Giovanni Rotondo ha testimoniato che «a scuola sapeva sempre la lezione, quantunque avessimo la persuasione che studiasse poco. Infatti io, bidello dello studio, ora con una scusa, ora con un'altra, entravo spesso in cella sua e lo trovavo, quasi sempre, a pregare, in ginocchio e cogli occhi arrossati dal pianto. Potrei dire che egli era uno studente di continua orazione, fatta di lacrime, perché bastava guardargli gli occhi per capire che le lacrime erano cosa ordinaria».
Tre richieste alla Madonna
Nelle pagine di Diario del luglio 1929, Padre Pio elencò le devozioni particolari che quotidianamente si era impegnato a praticare: «Non meno di quattro ore di meditazione, e queste d'ordinario su la vita di nostro Signore: nascita, passione e morte. Novene: alla Madonna di Pompei, a san Giuseppe, a san Michele Arcangelo, a sant'Antonio, al padre san Francesco, al sacratissimo Cuore di Gesù, a santa Rita, a santa Teresa di Gesù».
Fino a quando le forze glielo permisero, i Superiori avevano riservato a lui la funzione serale della Visita a Gesù Sacramentato e della benedizione eucaristica. Era un momento caro ai suoi figli spirituali, che Padre Pio proponeva anche ad altri penitenti con questa esortazione: «Gesù prigioniero nella Custodia ti attende... va' a trovarlo e fagli compagnia». Inoltre il venerdì sera, mentre gli altri frati andavano a cena, egli si recava in chiesa e svolgeva il pio esercizio della Via Crucis.
A Pompei, dove si venera la Vergine del Rosario a lui tanto cara, Padre Pio si recò tre volte: nel 1901, con alcuni compagni di scuola; nel novembre 1911, in compagnia di padre Evangelista, Superiore nel convento di Venafro; il 3 gennaio 1917, in una licenza dal servizio militare. EA mediante le novene alla Madonna di Pompei, Padre Pio invocò le grazie cui teneva maggiormente, comprese tre personali, soltanto due delle quali vennero esaudite.
Innanzitutto il ritorno in convento, durante la lunga malattia a Pietrelcina: «Iddio e la carissima Madre mia di Pompei, a cui le novene si sono succedute alle novene, oramai sono oltre tre anni, sanno che cosa ho fatto per essere esaudito da una sì dura prova. Essi soli comprendono e sono testimoni del dolore che mi stringe e che mi opprime il cuore», scrisse il 24 gennaio 1915 a padre Benedetto. Poi l'esonero dal servizio militare, per il quale sollecitò la collaborazione di padre Agostino:
«Vengo a chiedervi, o padre, un favore: questo sarebbe mi usaste la carità di incominciare al più presto le tre novene alla Vergine di Pompei con la recita giornaliera, durante questo periodo, dell'intiero Rosario».
Non ricevette invece ascolto la richiesta di morire in giovane età, come confidò a un confratello nel 1960: «Ho recitato per 35 anni la novena alla Madonna di Pompei, chiedendole la grazia che mi portasse con sé in Paradiso. Ma poi ho smesso». E al confratello che esprimeva stupore per il fatto che avesse smesso di pregarla, proprio lui che amava così tanto la Vergine, replicò: «Figlio mio, ho chiesto alla Madonna la grazia di farmi morire, ma non mi ha ascoltato. E quando è una mamma che non ti ascolta non c e più niente da fare».
Un'altra devozione mariana che ogni sera praticava era la recita della Visita a Maria Santissima, composta da sant'Alfonso Maria de' Liguori: «Santissima Vergine Immacolata e Madre mia Maria, a voi che siete la Madre del mio Signore, la Regina del mondo, l'Avvocata, la Speranza, il Rifugio dei peccatori, ricorro oggi io, che sono il più miserabile di tutti. Vi venero, o gran Regina, e vi ringrazio di quante grazie mi avete fatto finora, specialmente di avermi liberato dall'Inferno, da me tante volte meritato». A queste ultime parole la sua voce si incrinava sempre fino alle lacrime, spingendo alla commozione anche i fedeli presenti in chiesa.
Contemplando Maria, Padre Pio volgeva imme
diatamente il pensiero al suo sposo, san Giuseppe, che egli venerava teneramente per la sua dolce presenza accanto a Gesù Bambino. I confratelli lo vedevano spesso rimanere estatico dinanzi al quadro raffigurante il santo, che era appeso nella veranda del primo piano. Una volta, richiamato da padre Onorato ad affrettarsi a scendere in chiesa, gli rispose: «Quanto è bello san Giuseppe, lasciatemi stare qui ancora un poco...».
Tutti i figli spirituali venivano catechizzati a compiere bene le loro devozioni, che scandivano l'intero anno. Un quadro completo ce l'offre la testimonianza della signorina Rachelina Russo:
«Una delle devozioni che ci inculcava era quella all'angelo custode, perché è il nostro compagno indivisibile, colui che ci è sempre vicino dalla nascita alla morte. Un'altra delle devozioni maggiormente raccomandate era quella del mese di san Giuseppe, che tutti gli anni, sia in chiesa che in privato a casa, non mancavamo mai di praticare. E poi il mese di maggio, con novena e supplica alla Vergine di Pompei; il mese di giugno, con la coroncina al Sacro Cuore tutti i giorni; la devozione alla Madonna del Carmine, a sant'Anna, all'Assunta, la Quaresima di san Michele che comincia la vigilia dell'Assunta e finisce il 28 settembre; il mese di ottobre dedicato alla Vergine del Rosario e agli angeli custodi; il mese dei morti, e infine tutte le devozioni del mese di dicembre, dall'Immacolata sino al Natale e all'Epifania, con la recita delle 40 Ave Maria che cominciano il giorno di santa Caterina».
Anche l'amore alla Chiesa era intenso in Padre Pio e si incarnava nella devozione al Vicario di Cristo, in favore del quale elevava ogni mattina la sua prima preghiera. Durante la notte voleva che nella sua stanza fosse sempre illuminata - insieme con il quadro della Madonna della Libera, patrona di Pietrelcina, e la foto dei genitori - l'immagine del Papa.
Padre Tarcisio Zullo, durante l'Anno Mariano del 1954, disse scherzando: «Padre Spirituale, se a piazza San Pietro ci foste lei e il Papa, sarei curioso di vedere se la gente - vedendovi prendere due vie diverse - correrebbe più dietro al Papa o a Padre Pio...». Egli rispose: «Andrebbero tutti dietro al Papa, perché il primo a correre dietro al Vicario di Cristo sarebbe Padre Pio». E, quando il Pontefice era in viaggio, lui che normalmente non si interessava delle notizie chiedeva a padre Pellegrino Funicelli se avesse ascoltato il giornale radio, perché temeva qualche pericolo per il Papa, che considerava come una persona di famiglia.
In particolare, il Pontefice da lui più amato fu Pio XII, il quale del resto non nascondeva la propria opinione: «Padre Pio è un santo, ma noi non possiamo dirlo, se no lo canonizziamo da vivo», confidò al giornalista Giovanni Gigliozzi. In occasione della grave malattia di inizio 1954, la sorella di Papa Pacelli chiese a Padre Pio, tramite i Superiori cappuccini, «di formulare una preghiera per il Supremo Pastore della Chiesa e per la Chiesa stessa».
Padre Pio rispose immediatamente all'appello:
«Di lei che è sorella del Santo Padre comprendiamo lo strazio; ma lo strazio dei figli non si creda inferiore a quello della sorella. Ho offerto al Signore tutto me stesso e la mia offerta continua... Preghiamo, immoliamoci e confidiamo». Neanche a dirlo, come rivelò sulla stampa del tempo padre Virginio Rotondi, la miracolosa guarigione avvenne immediatamente!
XIII
Obbedienza e umiltà
Nelle mani del Guardiano
Quando, nella lettera del 15 agosto 1916 a padre Agostino da San Marco in Lamis, Padre Pio scrisse la celebre frase: «Sono un mistero a me stesso», immediatamente dopo aggiunse - utilizzando una citazione dalla lettera inviatagli dal direttore spirituale padre Benedetto l'8 agosto precedente - di reggersi soltanto perché «il buon Dio ha riservato l'ultima e più sicura parola all'autorità su questa terra e non vi è norma più fedele del volere e del desiderio del Superiore».
Rispettando in pieno il voto religioso di obbedienza, Padre Pio accolse ed eseguì per tutta la vita ogni indicazione che gli giungeva dalle autorità ecclesiastiche. E il suo spirito di sottomissione gioiosa era ben espresso, come ha documentato il signor Lazzaro Cassano, da una preghiera che egli recitava frequentemente: «Fa', o mio Gesù, che io mi sottometta all'obbedienza e segua sempre la tua volontà. O Gesù, fosti obbediente nel morire in croce, voglio con l'obbedienza dolorosa fino alla morte dare prova d'amore al mio Dio».
Fra le tante dimostrazioni di obbedienza, forse la più faticosa per lui fu la prima di cui ci è giunta notizia. Pochi mesi dopo la comparsa delle stimmate, padre Placido da San Marco in Lamis, compagno di Padre Pio nel noviziato e nello studentato, chiese al padre Provinciale l'autorizzazione per scattare una fotografia di Padre Pio con le mani nude.
Recatosi a San Giovanni Rotondo, gli ordinò ditogliersi i guanti e di incrociare le mani sul petto. Dinanzi alla strana richiesta, Padre Pio reagì e rispose: «Placido, scherzi o ti sei impazzito? Se vuoi fotografarmi, eccomi pronto, ma non mi tolgo i guanti dalle mani». E padre Placido: «Sono venuto con l'ordine del Provinciale e devi obbedire. Se non obbedisci, offendi Dio». A tale intimazione Padre Pio, con l’amarezza nell'animo, chinò il capo, si tolse i guanti e incrociò le braccia sul petto. Sulla fotografia, di cui sono state diffuse migliaia di copie, si vedono nitide e distinte le piaghe al centro delle mani e si nota sul volto la tristezza della contrarietà a quell'ordine, cui comunque obbedì.
A tutti i Superiori cappuccini Padre Pio esprimeva profondo rispetto perché vedeva in loro la persona stessa di san Francesco. Ma il Superiore verso cui manifestava obbedienza in modo particolare era il Guardiano del convento. Si può affermare che tutta la vita e la giornata di Padre Pio erano nelle mani del Superiore, da quando si alzava al momento in cui, prima di andare a letto, chiedeva al padre Guardiano la benedizione per la notte.
Il suo assistente personale padre Eusebio Notte ha testimoniato che a volte, insieme con la benedizione, arrivava qualche disposizione poco piacevole, come ad esempio di iniziare più tardi la Messa delle 5: «Padre Pio faceva umilmente presente il disagio della gente che ogni mattina aspettava per ore all'esterno della chiesa. Se però il Superiore era irremovibile, il Padre accettava e ringraziava con il saluto francescano "Sia per l'amor di Dio"».
Identica docilità la suggeriva anche ai confratelli più giovani, quando andavano da lui per un consiglio. A padre Odorico D'Addario era stato proposto un nuovo incarico e lui, prima di accettare, consultò Padre Pio, che gli diede il proprio parere e gli
forni anche qualche spunto per il discorso da pronunciare. Ma la frase conclusiva, gli disse, doveva essere una sola: «Mio paradiso è fare la volontà dei Superiori».
Nessuna eccezione nemmeno per le questioni più personali. Lo verificò la nipote Pia Forgione, quando giunse a San Giovanni Rotondo con i familiari che desideravano salutare il congiunto al tempo della segregazione (1931-33): «Entrammo nella chiesetta e facemmo appena in tempo a salutare il Santissimo, quando sentimmo una voce che proveniva dal coro ed era la voce di zio Pio che ordinava di tornare subito a Pietrelcina. "Chi vi ha dato il permesso di venire? Ripartite subito perché non mi vedrete", si sentì tuonare dall'alto. E così ripartimmo tutti all'istante».
Fra le innumerevoli persone che incontrarono Padre Pio, ce ne fu una che - se avesse accolto il suo suggerimento - avrebbe certamente avuto un ruolo diverso nella storia della Chiesa: monsignor Marcel Lefebvre, il futuro protagonista dello "scisma anticonciliare". Il professor Bruno Rabajotti assistette all'incontro fra i due, nel quale il cappuccino disse esplicitamente all'arcivescovo: «Non portare mai discordia tra i fratelli e pratica sempre la regola dell'obbedienza, soprattutto quando maggiori ti sembrano gli errori di chi comanda. Non c'è altra via che quella dell'obbedienza, per noi che pronunciamo questo voto». Monsignor Lefebvre gli assicurò che se ne sarebbe ricordato, ma Padre Pio profetizzò con dolore: «No, tu lo dimenticherai. E lacererai la comunione dei fedeli, ti opporrai alla volontà dei tuoi Superiori, alle stesse disposizioni del Papa. Avrai dimenticato la promessa fatta qui oggi, e molto male ne verrà per la Chiesa».
Il fondamento dell'edificio spirituale
Nonostante gli straordinari doni soprannaturali che aveva ricevuto dal Signore, Padre Pio mantenne sempre un atteggiamento di profonda umiltà, se non addirittura di disistima, nei riguardi di se stesso. Lo documenta l'episodio di cui fu testimone il Guardiano del convento di San Giovanni Rotondo, padre Paolino da Casacalenda, un giorno nel quale i fedeli acclamavano invano Padre Pio per farlo affacciare alla finestra e riceverne la benedizione. Temendo che gli fosse accaduto qualcosa, padre Paolino entrò nella cella e trovò Padre Pio in lacrime. Gliene chiese il motivo e si sentì rispondere fra i singhiozzi: «Fratello mio, ma non vedi che questa gente, invece di andare dal Padrone, viene dal garzone...».
A padre Atanasio Lonardo, che all'inizio degli anni Cinquanta si occupava della posta diretta al Padre, accadde una volta di maneggiare una lettera dal singolare indirizzo: «A Padre Pio, re dei peccatori». Incuriosito, l'aprì e la lesse ai tre confratelli con cui lavorava. Si trattava di alcuni fogli pieni di spregevoli insulti e di epiteti offensivi nei riguardi di Padre Pio: ipocrita, crapulone, mistificatore... I quattro si consultarono se passarla o meno al Padre. Per delicatezza, decisero di consegnargli soltanto la busta. Quando, secondo il solito, Padre Pio giunse in ufficio per benedire la corrispondenza in partenza, padre Atanasio gli disse: «Oggi c'è una lettera davvero importantissima». Egli lesse l'indirizzo e poggiò la busta sul tavolo. Subito dopo la riprese in mano e, con volto serio, approvando con un movimento della testa, esclamò: «Padre Pio re dei peccatori! Finalmente, fratelli miei, c'è stato uno che mi ha conosciuto. Sì, Padre Pio re dei peccatori, ecco chi sono».
Profondamente convinto delle proprie colpe, Padre Pio desiderava ogni settimana confessarsi con il direttore spirituale. E l'atteggiamento che egli aveva quando si accostava al sacramento della riconciliazione veniva additato come esempio luminoso dai confratelli, i quali vedevano nel suo sguardo soprattutto la fiducia nella divina misericordia. In particolare padre Mariano Paladino e fra Celestino Di Muro, testimoniando nel processo di canonizzazione, hanno ricordato il commovente particolare di Padre Pio che, pur in tarda età e con i suoi malanni, faceva la sua confessione in ginocchio e mettendosi sul collo il cordone del saio, in segno di penitenza come gli era stato insegnato in noviziato.
Al pari dell'obbedienza verso i Superiori diretti in Padre Pio coesisteva la venerazione verso chi aveva responsabilità nell'Ordine cappuccino, a prescindere da età e capacità personali. Nel giugno 1965 padre Giacinto da Sant'Elia a Pianisi si recò da lui per pregarlo di assisterlo spiritualmente, essendo divenuto Provinciale. Appena lo vide, Padre Pio si alzò dalla poltrona; ma padre Giacinto cercò di bloccarlo dicendo: «Padre Spirituale, quando io vengo nella sua stanza non deve scomodarsi, perché lei mi ha fatto da padre e da mamma, sin da quando ero fanciullo: debbo essere io ad ossequiarla». E il Padre, senza esitazione: «Adesso rappresenti san Francesco ed io debbo riverirti».
Don Pierino Galeone ha potuto affermare che «l'umiltà di Padre Pio era tale da unire con semplicità la convinta consapevolezza del suo nulla e della sua grandezza». A conferma, ha portato l'esempio di quando Padre Pio, di ritorno dalle confessioni, si fermò dinanzi alla cella di padre Agostino e gli disse scherzando: «Che fai a letto? Alzati!». Padre Agostino, infuriato, gridò: «Padre Pio, smettila! Non hai pietà di un povero ammalato?». Il Padre, pallido, rimase muto, con gli occhi bassi. Poi:
«Fratello mio, come ti senti?», e dopo un po' se ne andò a capo chino nella propria cella.
Ai figli spirituali, Padre Pio indicava l'umiltà come la virtù da far primeggiare, in quanto «fondamento dell'edificio spirituale». Per indicarne il valore utilizzava un gustoso apologo: «Un ricco signore, per trasportare il proprio oro da una villa all'altra, si servi di un asino vecchio e malandato. L'asino, nel vedersi tanto ricco e onorato, si mise a ragliare per la gioia. Passando per i campi ove incontrava altri animali, ragliava più forte, credendosi superiore a tutti. Quando il padrone gli tolse il prezioso carico, il povero asino si avvide che non era quello che si credeva: restava il misero asino di sempre, al quale nessun animale dava importanza». Poi spiegava che la stessa cosa sarebbe accaduta a quanti non si fossero mantenuti nell'umiltà, perché ciò che di buono c'è nell'uomo è opera di Dio, mentre alla creatura appartiene soltanto una sconfinata miseria.
E con ancor più durezza concluse una riflessione proprio sull'umiltà, mentre si trovava con alcuni intimi nell'orto del convento. «Sapete come si chiama il diavolo?», domandò. «Belzebù... satana... demonio... lucifero», provarono a rispondere i presenti. Ma lui sempre a scuotere la testa: «No... no... no...». «Padre, allora ce lo dica lei». E Padre Pio:
«Quando diciamo: io faccio, io posso, io riesco. Io, io, io, ecco, questo è il diavolo!».
XIV
Personalità umana
Fra misticismo e praticità
Un metro e sessantasei centimetri di altezza, ottantadue centimetri di torace, capelli e occhi castani, colorito roseo e dentatura sana. Era questo l'identikit del soldato Francesco Forgione, ovvero Padre Pio da Pietrelcina, secondo il foglio matricolare che venne compilato nel 1915 durante la visita medica per l'arruolamento.
Qualche anno più tardi, il cappuccino Roberto da Nove, di ritorno da una visita a Padre Pio, così lo descrisse: «Fisicamente Padre Pio ha un viso regolare, un aspetto florido, lo sguardo vivace e, lo si capisce subito, pieno di buone intenzioni; la pelle èbianca sotto il rosa della faccia piena, le mani sono pure bianchissime, mentre il corpo di media statura trasmette l'impressione di una sofferenza incessante». Nella sintesi del dottor Michele Capuano, tra i suoi medici curanti per un cinquantennio, queste caratteristiche indicavano nella persona di Padre Pio «insieme misticismo e praticità».
Il dottor Giorgio Festa - che poté osservarlo a lungo dall'inizio degli anni Venti - affermò che «dal punto di vista neuropsichico, Padre Pio aveva sempre avuto una costante e serena coerenza in tutti i suoi atti, e un perfetto e completo equilibrio tra le funzioni del sistema nervoso e le facoltà della mente e dello spirito».
In effetti, per chi non ne conosceva le fattezze, non era facile individuare Padre Pio tra gli altri confratelli. Lo ha testimoniato lo scrittore Piero Bargellini: «Quel cappuccino, per esempio, dall'alta fronte spaziosa e dalla grande barba, composto e solenne, poteva essere lui; oppure quell'altro, col volto emaciato, dal quale la barba scaturiva argentea, come l'acqua sgorga dalla roccia; oppure un altro ancora, scavato, affilato, patito quasi uno scheletro ricoperto dalla tonaca, come avevo veduto in certe macabre chiese del Seicento».
L’amico che l'aveva accompagnato a San Giovanni Rotondo gli chiese se lo vedesse, e Bargellini rispose che pensava di sì. Prosegue il suo scritto: «Invece era di no. Padre Pio non aveva né occhi estatici, né barba fluente. Padre Pio era colui che io avrei definito il meno mistico. Invece di provarne delusione, ne fui soddisfatto. Temevo, infatti, di trovare una copia di maniera, e invece scoprivo una figura originale. Temevo d'incontrare, non dico un simulatore, ma per lo meno un imitatore di santità, e invece ero di fronte, se mai, a un ostentatore di naturalezze, o meglio a un rivelatore di sincerità».
D'altra parte, anche i suoi stessi maestri cappuccini, come per esempio padre Bernardino da San Giovanni Rotondo, hanno tramandato che Padre Pio «non si distingueva per ingegno, che era un ingegno comune, ma si distingueva sul portamento. Fra i condiscepoli allegri e chiassosi, egli era quieto e calmo, anche durante la ricreazione, sempre umile, mite, obbediente».
Una scrittura che esprime bontà
Nella copiosa documentazione per il processo di canonizzazione fu presentato anche un esame grafologico realizzato nel 1984 dal professor Giuseppe Ziveri su alcuni scritti di Padre Pio redatti in un arco di tempo dal 1905 al 1950.
L'analisi ha evidenziato innanzitutto nel Padre «il segno sostanziale dell'altruismo in un effondersi continuo a bene degli altri» e lo ha descritto «ricco di immaginazione, delicato nel comportamento, amabile, fortemente intuitivo, di intelligenza qualitativamente superiore e acuta». Fra le doti attribuite al Padre, le principali erano «il senso di osservazione, di concentrazione e di intuito psicologico così intensi da riuscire a "penetrare" nella verità, scrutando in profondità nell'animo delle persone». Proseguiva la relazione del professor Ziveri: «Le lettere armoniche, gli spazi uguali, l'ordine e la regolarità presenti negli scritti giovanili stanno ad indicare una ricca vita interiore, equilibrio e delicatezza dei sentimenti, ottima apertura mentale e generosità. La continuità grafica rivela grande senso del dovere verso il prossimo e forte equilibrio interiore: una persona di parola con coscienza retta».
Le pulsioni grafomotorie lo fanno risultare «fortemente emotivo» e «paziente, mite e silenzioso, con notevole spirito di adattamento». Anche la gradazione dell'inclinazione destrorsa «convalida Padre Pio come un generoso che si lascia guidare spesso dal cuore, bisognoso di tanta tenerezza e amore; un amore che lui stesso profonde in maniera forte per tutto e per tutti».
Con l'avanzare dell'età, la grafia «rivela un graduale indebolimento fisico e un calo dell'energia psichica, che lo portano a visioni talvolta pessimistiche unite a senso di colpa. Questo, in antitesi con la velocità di scrittura che, aumentando con il passare degli anni, sta ad indicare vitalità, spontaneità, prontezza di riflessi e decisione». Sempre nella maturità, la grafia acquista tratti più marcati e impazienti, «rivelando un velo di diffidenza. Portato alla meditazione e alla commozione per amore, appaiono ora frequenti sbalzi di umore nel continuo dibattersi tra una forza ottimistica e momenti di tristezza profonda».
Alcuni anni più tardi un'altra analisi grafologica è stata preparata dalla dottoressa Daniela Torbidoni De Rosa, su incarico del professor Francesco Di Raimondo, il quale, nel volume L'esperienza di tin collaboratore medico, ne ha sintetizzato i risultati:
«L'analisi evidenzia, sin dall'età evolutiva, una personalità a due componenti. L'una è rivolta all'utilizzo delle proprie energie vitali per affrontare, anche in modo forte, i problemi esistenziali; l'altra è caratterizzata dall'oblatività come fattore primario di socializzazione, un'attenzione particolarmente sensibile all'animo umano che si manifesta con atti di conciliazione, di consiglio e di conforto».
Andando avanti nella vita di consacrato, «la sua grafia rivela un ridimensionamento delle pretese dell'Io, con prevalenza crescente dell'istanza a una vita spirituale elaborata e sostenuta con forza ed energia dal suo carattere. In particolare emerge la volitività con cui Padre Pio, con grande sofferenza, riesce a dominare la sua naturale impulsività, garantendo a se stesso la linearità di un comportamento di fedeltà e obbedienza ai principi etici e religiosi abbracciati».
Il temperamento di un santo
L’impeto del proprio temperamento era noto allo stesso Padre Pio, che di sé un giorno disse al giornalista Giovanni Gigliozzi: «O mi facevo frate, o diventavo un brigante». Anche secondo il gesuita Vittorio Marcozzi, che ne ha studiato il carattere, «la sua ricchezza affettiva era superiore alla normale: lo dimostrava sia nell'esteriorizzazione dei
sentimenti amorevoli, sia, nonostante il freno che impiegava alle volte, nelle manifestazioni aggressive e scostanti»; inoltre, «all'iperemotività Padre Pio congiungeva un sistema nervoso molto sensibile e notevolmente delicato».
I curatori del suo Epistolario, i 'padri Alessandro da Ripabottoni e Melchiorre da Pobladura, hanno sottolineato cinque aspetti che caratterizzavano il profilo umano di Padre Pio. L'amicizia, innanzitutto: «Da vero amico, godeva e soffriva con le persone amate e partecipava intensamente alle ore liete come alle tristi. Amava tutti cordialmente e desiderava corrispondenza al suo amore: sentimento, questo, molto umano ch'egli però sapeva purificare e sublimare sempre. L'altrui indifferenza, la mancanza di corrispondenza alle sue premure, o, peggio ancora, la reale o apparente antipatia, lo colpivano profondamente».
Poi la compassione per i fratelli: «Dinanzi ai poveri ed agli afflitti, Padre Pio si sentiva commosso ed a tutto avrebbe rinunciato volentieri, pur di soccorrerli e consolarli. L'impossibilità di conquistarli tutti a Dio e di essere presente a tutti per andar incontro ai loro desideri, per lui era una sofferenza che lacerava il cuore». E la gratitudine: «Sensibile al bene ricevuto, lo ricambiava con bontà e si dispiaceva di non poterlo dimostrare coi fatti, come sarebbe stato suo desiderio».
Ancora, la sincerità: «Il suo carattere franco e sincero Padre Pio lo manifestava non soltanto nel difendere i suoi punti di vista, ma alle volte anche disapprovando l'atteggiamento dei direttori a suo riguardo. Con tutta la venerazione, il rispetto e la sottomissione ai direttori, non accettava passivamente e ad occhi chiusi i rimproveri, le insinuazioni e le interpretazioni da loro date a fatti personali o ad avvenimenti della comunità, se egli credeva non conformi alla verità; e per amore della stessa verità e della giustizia e della carità si permetteva di dissentire e di precisare meglio le cose».
Infine l'affabilità: «L'amabilità e la dolcezza non furono certo per Padre Pio un dono di natura, ma una faticosa conquista della volontà aiutata dalla grazia. Egli ammetteva e conosceva per esperienza l'importanza della dolcezza per trattare fruttuosamente le anime e si rammaricava ogni volta che, nonostante i persistenti sforzi, non riusciva a controllarsi. Erano scatti non colpevoli, che non riuscivano ad oscurargli la serenità e la tranquillità interiori, causati spesso, se non sempre, da motivi soprannaturali».
Con le parole di un altro studioso, padre Livio Dimatteo, potremmo concludere che Padre Pio èstato «l'uomo prudente e saggio che, evitando abilmente gli scogli dell'estremismo, ha saputo presentare una giusta via di mezzo percorribile da tutti; l'uomo paziente, clemente e misericordioso; il prodigo dispensatore delle grazie di Cristo; il sacerdote che sa scendere a osservare nelle pieghe Fiù recondite del cuore dell'uomo, scoprire il suo intimo e consigliarlo per il suo bene; l'amico fidato che non dice mai una parola di disprezzo o di deprezzamento».
XV
Quaresime e penitenze
Una robusta "disciplina"
Per Padre Pio le Quaresime erano cinque all'anno, sull'esempio di san Francesco: la Quaresima della «benedetta», dall'Epifania al 14 febbraio; quella prima di Pasqua; quella dell'Assunta, che terminava il 15 agosto; quella di san Michele Arcangelo, che terminava il 29 settembre; quella dell'Avvento, che terminava a Natale. In tutti questi periodi, e dunque complessivamente per oltre la metà dell'anno, il suo già scarso vitto veniva ancor più ridotto perché, come ha raccontato il suo assistente padre Eusebio Notte, «egli temeva di superare il quantitativo permesso!».
Rispetto al clima di penitenza che già normalmente caratterizzava la vita del Padre, queste ulteriori mortificazioni non avevano altro scopo se non quello di consentirgli un immersione ancor più intensa nel mistero di Cristo, vittima per la redenzione dell'umanità.
Sin da quando aveva soltanto dieci anni d'età, aveva voluto sperimentare sulla propria carne cio che per Gesù era stata la Passione. Mamma Giuseppa lo scopri un giorno mentre si percuoteva a spalle nude con una catena di ferro. Allibita gli chiese: «Che fai? Sei ammattito?». E il bambino:
«Mi devo battere come i giudei hanno battuto Gesù e gli hanno fatto uscire il sangue. Anch'io voglio avere le spalle insanguinate come le ebbe Gesù».
Durante il periodo di preparazione al sacerdozio, Fra Pio e gli altri novizi si autoflagellavano tre volte la settimana, al buio nel salone comune. La consuetudine, definita "disciplina" nel linguaggio dei frati, gli appartenne per tutta la vita, ogni lunedì, mercoledì e venerdì. E i confratelli hanno testimoniato che lui la praticava sul serio, tanto che gli incaricati delle pulizie rinvenivano spesso i suoi indumenti intimi intrisi di sangue.
In particolare padre Raffaele da Sant'Elia a Pianisi ha raccontato di essersi più volte fermato dietro la porta del coro, nel corridoio, e di aver sentito Padre Pio nella sua stanza disciplinarsi a sangue, dicendo il Miserere a mezza voce: «Una sera, mentre eravamo a cena, all'improvviso si presenta a refettorio, mi chiama e andiamo in cella. Si era flagellato e si era impressionato, perché il sangue colava e non si arrestava. Gli applicai la medicina per arrestare l'emorragia e poi lo lasciai solo. Mi accorsi che soffriva immensamente, avendo dovuto umiliarsi a tanto».
Anche padre Andrea da Castelgandolfo, che tornando da Roma desiderava salutare il Padre, si fermò dinanzi alla sua cella e udì che all'interno Padre Pio stava battendosi con violenza. Il cappuccino non si accontentava infatti delle cordicelle utilizzate da altri frati. Ricorda don Nello Castello:
«Cleonice Morcaldi e la contessa Telfner mi parlavano della "disciplina" di Padre Pio, che egli desiderava fatta di catenelle e robusta, tanto che una volta ne scartò una perché troppo debole».
Una penitenza fatta di malattie
Se Padre Pio fosse stato trasferito, come qualcuno ipotizzava all'inizio degli anni Sessanta, dal convento di Santa Maria delle Grazie alla Casa Sollievo della Sofferenza, la difficoltà sarebbe stata quella di scegliere dove alloggiarlo, poiché poteva
essere considerato "di casa" in qualsiasi reparto, a motivo delle molteplici malattie che lo afflissero. Ma anche questi malanni devono essere letti alla luce della sua perenne volontà di penitenza, inserendosi nel mistero dei disegni divini.
Nel corso degli 81 anni di vità, Padre Pio fu infatti costantemente accompagnato da decine di disturbi e dai relativi patimenti, che il dottor Michele Capuano - per cinque decenni fra i suoi me-dici curanti - ha descritto con sconvolgente realismo: «Dal dolore bruciante della cistite emorragica a quello conquassante delle coliche renali, dal dolore contusivo delle caviglie e dei polsi a quello corrosivo dell'epitelioma auricolare, dalle fitte laceranti dell'ernia irriducibile a quelle lancinanti delle emorroidi trombizzate, dalle algie fredde dell'artrosi generalizzata a quelle brusche e pungenti della polmonite, dal dolore gravativo della sinusite frontale a quelli terebranti della pleurite essudativa, dal dolore pruriginoso della pediculosi ai dolori pulsanti degli ascessi passeggeri, alle manifestazioni corrodenti dell'ulcera gastrica e ai dolori tensivi delle emicranie».
Si trattò sempre di malattie reali e clinicamente verificate dalle visite specialistiche, dagli esami radiografici e strumentali e dalle analisi di laboratorio, né ebbero mai un decorso irregolare rispetto alla norma. Lo stesso dottor Capuano si interrogò sul significato ditale strana forma di continua penitenza, e la sua risposta fu che Padre Pio «amava il dolore, lo sopportava con rassegnazione, anzi con gioia, minimizzandolo quasi sempre senza dargli importanza, pur di sfuggire, come diceva, alla cecità dell'anima. Il dolore non lo condizionava, né gli faceva paura, perché era un dono della vita, come l'amore e la felicità».
La prima diagnosi che ci è pervenuta risale all'ottobre 1909 e segnala una broncoalveolite al primo stadio, che gli provocava tosse secca, dolori al petto e alla schiena e una continua febbre. All'inizio del 1910 si aggiunse un vomito persistente e violento, che continuò di fatto per tutta la vita, con la contemporanea insorgenza dell'ulcera gastrica. A fine ottobre 1911 si recò con il Provinciale, padre Benedetto, a Napoli dal professor Antonio Cardarelli, che decretò la sua fine entro un mese, tanto che padre Benedetto si fermò da un fotografo per fargli fare una foto ricordo.
Per tutto il 1912 e il 1913 i dolori di petto e di testa lo perseguitarono. A gennaio 1914 cominciarono anche i dolori reumatici e, l'11 novembre successivo, subì una tremenda colica renale. Fra il 1945 e il 1960 ebbe altre sei coliche al rene sinistro, con espulsione di calcoli e di renella, dovuti alla dieta quasi esclusiva di verdure e legumi (ricchi di calcio e fosforo), all'utilizzo di bicarbonato e magnesia per i disturbi di stomaco e all'ingestione di acqua ricca di sali di calcio e magnesio.
Il 22 ottobre 1915 si fece visitare a Napoli dal dottor Cicconardi, che individuò una infiltrazione al lobo superiore del polmone destro, riconosciuta il 17 dicembre successivo anche dalla commissione medica militare. Il 23 ottobre 1916 andò dal dottor Bruschini, che riscontrò la diffusione dell'infiltrazione ad ambedue gli apici polmonari. Il 30 dicembre la diagnosi venne confermata nuovamente dai medici militari. Nel 1917 l'infiltrazione polmonare fu ribadita in altre otto circostanze, tanto da farlo dichiarare, il 17 settembre, inabile a qualunque servizio di guerra.
Probabilmente a causa della bronchite, che gli provocava attacchi parossistici di tosse con ripercussioni a livello della tensione addominale, Padre Pio ebbe anche un'ernia inguinale, che nell'autunno del 1925 fu sul punto di strozzarsi e rese necessario l'intervento chirurgico eseguito dal professor Festa il 5 ottobre.
Padre Pio non volle essere anestetizzato, per impedire ai medici di vedergli le stimmate, e accettò soltanto qualche iniezione locale di novocaina. Ma il dolore, nelle quasi due ore di operazione, fu così intenso da farlo più volte svenire e da provocargli alla fine un pauroso collasso. Un altro intervento chirurgico della durata di mezz'ora e ancora una volta senza anestesia, sempre per opera di Festa, avvenne nel settembre 1927 per l'asportazione di una voluminosa cisti sebacea sulla parte destra del collo.
Il regalo della Madonna
Il 25 aprile 1959 Padre Pio si ammalò improvvisamente di broncopolmonite, che in breve tempo si aggravò e divenne una pleurite. Nel Diario di padre Agostino da San Marco in Lamis, che descrisse con toni accorati quel periodo, si legge che i medici «in tre volte gli estrassero mille e più grammi di siero». Per tre mesi sarà costretto a lunghi periodi di degenza nel letto e potrà celebrare soltanto in rare occasioni, mantenendo un contatto con i suoi figli spirituali tramite la recita dell'Angelus e alcune brevi riflessioni spirituali pronunciate per microfono.
Il 6 agosto giunse a San Giovanni Rotondo la statua della Madonna di Fatima, partita in quello stesso 25 aprile da Napoli per un viaggio attraverso i capoluoghi di provincia italiani, che si sarebbe concluso il 13 settembre a Catania. Nella cittadina pugliese non sarebbe dovuta arrivare, ma padre Gabriele Amorth, segretario del Comitato organizzativo della Peregrinatio Mariae, guardando il calendario delle tappe aveva notato che - mentre per gli altri capoluoghi era previsto un solo giorno di permanenza - per Benevento ce n'erano due, il 6 e 7 agosto. In accordo con il cardinale Giacomo Lercaro, presidente del Comitato, e con l'arcivescovo beneventano, il giorno in più venne regalato a San Giovanni Rotondo.
Nella mattinata del 7 agosto Padre Pio scese in chiesa per venerare la Madonna, donandole una corona del Rosario. Intorno alle ore 14 la statua ripartì dalla terrazza della Casa Sollievo e l'elicottero compì tre giri attorno al convento dal quale Padre Pio guardava commosso. In quel momento il cappuccino, per la prima e unica volta nella vita, chiese una grazia per la propria guarigione.
Ecco l'eccezionale racconto che fece a padre Bonaventura da Pavullo: «Ero affacciato al davanzale della finestra del coro, mentre l'elicottero volteggiava nell'aria prima di andarsene. In un impeto di fede, esclamai con le lacrime agli occhi: "Mamma bella, te ne vai e lasci me qui solo e ammalato!..." Subito mi sentii correre per tutta la persona come una corrente elettrica e un nuovo vigore m'invase. Mi sentii guarito! Più col pianto che col labbro esclamai "Grazie, o Maria!" e da allora stetti bene. Se questo non si vuole chiamare miracolo, lo si chiami come si vuole, ma io da quel momento mi sentii guarito». E dal giorno successivo riprese a celebrare la Messa come se nulla fosse accaduto.
XVI
Rosario e Madonna
L'”arma” della salvezza
«Giornalmente non meno di cinque Rosari per intiero», è l'impegno che leggiamo nel Diario scritto da Padre Pio nel 1929. Ma in realtà furono davvero rare le giornate nelle quali il cappuccino si limitò a tale numero. Padre Mariano Paladino una volta gli chiese quanti Rosari dicesse: «Quasi trenta, qualcuno in più, e non in meno». «Come fate?», si stupì il confratello. E Padre Pio candidamente rispose: «E la notte che ci sta a fare?». In un'altra circostanza il Padre soggiunse: «Io riesco a fare tre cose contemporaneamente: pregare, confessare e andare in giro per il mondo».
Uno dei suoi assistenti personali, padre Marcellino Iasenzaniro, ha testimoniato che al mattino occorreva lavargli le mani una per volta, perché Padre Pio non voleva posare mai la corona, che amava definire «l'arma della difesa e della salvezza, donata dalla Madonna per usarla contro le astuzie del nemico infernale». E spiegava a quanti gli stavano accanto: «Se l'Immacolata a Lourdes e ancora più il Cuore Immacolato a Fatima hanno raccomandato con insistenza la preghiera del Rosario, non significa forse che questa preghiera ha un valore eccezionale per noi e per i nostri tempi?».
Un giorno il confratello padre Alessio Parente gli chiese perché recitasse sempre il Rosario e non altre preghiere, e la sua risposta fu: «Perché la Madonna non mi ha mai rifiutato una grazia attraverso la recita del Rosario». Per se stesso, come rivelò a padre Pellegrino Funicelli, aveva una precisa richiesta: «Figlio mio, io ho un brutto temperamento. Spesso, quando non condivido le disposizioni del Superiore, glielo dico chiaro e tondo, anche se poi rispetto scrupolosamente le sue disposizioni. Chiedo ogni giorno alla Madonna la grazia di avere un po' della sua dolcezza e tenerezza nell'obbedire al Superiore e alla Chiesa. Ne chiedo poi una seconda: quella cioè di non avere occhi se non per vedere Gesù e la sua Chiesa su questa terra».
La potenza di questa preghiera era personalmente sperimentata dal cappuccino, che fra l'altro, come ha riportato don Nello Castello, insegnava a valorizzare le corone del Rosario indulgenziate di monsignor Cuccarollo (al quale Pio X, nominandolo vescovo, aveva concesso le indulgenze di cui disponeva, togliendosi di mano l'anello papale e ponendoglielo al dito amichevolmente). Diceva Padre Pio: «Con questa corona svuotiamo un angolo del Purgatorio».
Ogni sera, soprattutto negli ultimi anni della vita, Padre Pio desiderava che nella sua camera il Superiore o un altro dei confratelli cominciasse l'Ave Maria, che lui e i presenti poi terminavano di recitare, concludendo con l'invocazione «Mater divinae gratiae, ora pro nobis». Padre Carmelo da San Giovanni in Galdo ha dipinto poeticamente la scena come «la chiusura della sua laboriosa giornata e l'invocazione di aiuto per la notte che avanzava:
egli fissava la grande immagine della Madonna, che pendeva dal muro ai piedi del suo letto, proprio come un bambino che aspetta il bacio e il saluto della mamma».
Il suo sentimento filiale verso Maria aveva un 'intensità straordinaria, anche se per umiltà Padre Pio non considerava mai sufficienti le proprie manifestazioni d'affetto. Durante una confessione, suor Maria Francesca Consolata si confidò: «Padre, ho tanta amarezza nell'anima, perché non so amare la Madonna come l'amate voi». E lui, con un sospiro, rispose visibilmente commosso: «Figlia mia, anch'io soffro perché vorrei amarla 'tanto... e non so amarla. Preghiamo insieme, per ottenere una si grande grazia».
Il 14 agosto 1958, alla vigilia della festa dell'Assunta, il padre Guardiano del convento gli chiese un pensierino spirituale. Padre Pio abbassò il capo, incominciò a singhiozzare e, a tratti, prese a dire:
«La Madonna...». Il singhiozzo diventò pianto; poi con sforzo riprese: «La Madonna...». Forti tremiti lo fecero sussultare in tutto il corpo. «La Madonna», ripeté per la terza volta, «è la Mamma nostra!». Poi un pianto dirotto e irrefrenabile scosse il Padre il quale, a stento, riuscì a prendere il fazzoletto per asciugarsi le lacrime che, ormai, gli avevano bagnato tutto il viso. Non ebbe nemmeno il tempo e la forza di asciugarsi, tanto le lacrime erano incalzanti e continue. Allora abbandonò le mani sulle ginocchia e, piangendo, continuò a gridare:
«La Madonna è la Mamma nostra, la Madonna è la Mamma nostra».
Padre Eusebio Notte ha raccontato invece della sera in cui una folla di gente, terminata la recita del Rosario, intonò in onore della Madonna la canzoncina «Dell'aurora tu sorgi più bella». Mentre cantavano il ritornello «Bella tu sei qual sole, bianca come la luna», Padre Pio ebbe uno scatto improvviso:
«Eh, se fosse così rinunzierei ad andare in Paradiso!». Padre Eusebio, meravigliato di questa affermazione che gli sembrava esagerata, obiettò: «Padre, e che c'è di più bello del sole e della luna?». Ed egli, quasi commiserandolo: «Eh... hai voglia tu!». E il confratello, di rincalzo: «Ma allora, lei l'ha vista quanto aveva visto in sogno, l'altro lo aveva rassicurato che Lourdes era proprio come lui glielo descriveva. Dopo un certo tempo, padre Rosario ricordò a Padre Pio che egli, dormendo, aveva sognato Lourdes: «Ma no che non dormivo, ero sveglio», rispose lui.
Una sera del mese di luglio 1968, in procinto di partire per un pellegrinaggio a Lourdes, padre Onorato Marcucci gli chiese la sua benedizione e, quasi celiando, gli disse: «Vuol venire a visitare la Madonna insieme a me? Ormai è vecchio e non è andato da alcuna parte». «Ci sono stato tante volte...», rispose. Ribatté padre Onorato: «Ma che dice? Lei non è mai uscito dal convento. Ora mi sta dicendo bugie». E Padre Pio: «No, no. A Lourdes non si va solo col treno o con l'automobile: si va pure in altri modi!».
Padre Pio aveva confidato a varie persone, fra cui padre Gabriele Amorth, «quando mi presenterò davanti al Signore, spero di essere accompagnato da due mamme: Maria santissima e la mia mamma». Guardando di fronte a sé il quadro con la foto di sua madre, disse al frate che l'assisteva, poche ore prima di morire: «Vedo due mamme». E, all'obiezione del confratello che quella era soltanto la fotografia di sua madre, insisté: «Ci vedo benissimo: vedo due mamme!».
XVII
Stimmate e piaghe
I sei segni della Passione
Nella storia della Chiesa cattolica si incontrano circa 400 persone che hanno ricevuto le stimmate visibili della Passione di Cristo, ossia le ferite sulle mani e sui piedi, provocate dai chiodi della croce, e quella sul costato, causata dal colpo di lancia di un soldato. Di esse, un'9ttantina sono state dichiarate sante - e fra loro c'è adesso anche Padre Pio - dopo processi canonici che non hanno lasciato dubbi sulla bontà e sincerità dei soggetti esaminati.
Nel Padre, come egli stesso rivelò a Cleonice Morcaldi, il fenomeno cominciò a verificarsi l'8 settembre 1910, festa della Natività della Madonna, mentre si trovava nella campagna di Piana Romana, dove aveva costruito una capanna di paglia per isolarsi in preghiera. Un giorno mamma Giuseppa andò a chiamarlo per il pranzo e lo trovò che scuoteva le mani: «Figlio mio, che cosa fai? Adesso hai imparato a suonare anche la chitarra?». E Padre Pio: «Altro che chitarra, mamma, se sapessi...», ma non le spiegò nulla.
Soltanto un anno dopo, nella lettera dell'8 settembre 1911 a padre Benedetto da San Marco in Lamis, iniziò a confidarsi: «Ieri sera poi mi è successa una cosa che io non so né spiegare e né comprendere. In mezzo alla palma delle mani è apparso un po' di rosso quasi quanto la forma di un centesimo, accompagnato anche da un forte ed acuto dolore in mezzo a quel po' di rosso. Questo dolore era più
sensibile in mezzo alla mano sinistra, tanto che dura ancora. Anche sotto i piedi avverto un po' di dolore. Questo fenomeno è quasi da un anno che si va ripetendo, però adesso era da un pezzo che più non si ripeteva».
Dal racconto fatto il 10 ottobre 1915 a padre Agostino da San Marco in Lamis comprendiamo qualcosa in più: «La prima volta di quando Gesù volle degnarla di questo suo favore, [le stimmate) furono visibili, specie in una mano, e poiché quest'anima a tal fenomeno rimase assai esterrefatta, pregò il Signore che avesse ritirato un tal fenomeno visibile. D'allora non apparsero più; però, scomparse le trafitture, non per questo scomparve il dolore acutissimo che si fa sentire, specie in qualche circostanza ed in determinati giorni».
Ogni martedì e dal giovedì sera fino al sabato, secondo quanto dettagliò lo stesso Padre Pio, il cuore, le mani e i piedi gli sembravano trapassati da una spada. Nel contempo, tutte le settimane provava sulla carne anche la coronazione di spine e la flagellazione subite da Gesù. Il 16 aprile 1912 aveva inoltre sperimentato il fenomeno mistico della "fusione dei cuori" con Gesù. L'assenza di manifestazioni esterne faceva comunque si che tutto restasse nel segreto.
La sera del 5 agosto 1918, mentre era nel confessionale, vide all'improvviso un personaggio celeste che teneva in mano una lunghissima lamina di ferro, con una punta bene affilata dalla quale usciva una fiamma. «Vedere tutto questo ed osservare detto personaggio scagliare con tutta violenza il suddetto arnese nell'anima, fu tutto una cosa sola», scrisse il 21 agosto successivo a padre Benedetto e a padre Agostino, descrivendo il fenomeno della trasverberazione.
Dopo pochi giorni, la mattina del 20 settembre
1918, Padre Pio si trovava assorto in preghiera nel coro della chiesetta. Su pressione di padre Benedetto, il 22 ottobre mise per iscritto l'accaduto: «Mi vidi dinanzi un misterioso personaggio, simile a quello visto la sera del 5 agosto, che differenziava in questo solamente che aveva le mani ed i piedi ed il costato che grondava sangue [...]. La vista del personaggio si ritira ed io mi avvidi che mani, piedi e costato erano traforati e grondavano sangue».
Durante un interrogatorio, ordinato dai Superiori cappuccini e svoltosi il 29 marzo 1966, preciserà a padre Raffaele da Sant'Elia a Pianisi che il celeste personaggio era Gesù: «In un momento di assopimento e profonda contemplazione sul Cristo crocifisso, ebbi le stimmate alle mani e ai piedi da lance o frecce luminose che si partirono dal Crocifisso, trasformato in un grande personaggio».
Le stimmate sulle mani, che moltissimi hanno potuto vedere quando Padre Pio toglieva i mezzi guanti al momento della consacrazione eucaristica, e quelle sui piedi, osservate molto più raramente soltanto da alcuni confratelli e qualche medico, erano di forma circolare, con un diametro di due centimetri. Si trattava, come ha documentato il dottor Giuseppe Sala, di «ferite pulite, con tessuti di colore vivo dermico, gementi sangue rosso rutilante, circondato da raggrumazioni stratificate irregolarmente. Nessun segno di infiammazione circoscritta o di secrezione puruloide era presente ed i margini delle ferite erano netti».
Padre Eusebio Notte, uno dei pochissimi che videro la ferita sul costato, situata in corrispondenza del cuore, l'ha descritta in forma «quasi di una croce, con l'asta verticale più lunga, la punta inferiore della quale, a sghimbescio, era diretta verso l'esterno del lato sinistro di Padre Pio. Le misure, pressappoco, potevano essere 6-7 centimetri la parte verticale e 3-4 centimetri la parte orizzontale». Soltanto dopo la sua morte, fra Modestino da
Pietrelcina scoprì l'ultimo segreto, mettendo a posto le magliette di lana utilizzate da Padre Pio. Sul lato destro, all'altezza della clavicola, appariva una macchia di sangue di circa dieci centimetri di diametro: era la sesta piaga che Cristo aveva patito portando sulla spalla la pesante croce. Alcuni fazzoletti, punteggiati di rosso, gli mostrarono invece che, come Gesù nell'orto degli ulivi, il Padre aveva anche sudato e pianto sangue.
Nessuna traccia di cicatrici
Per alcuni mesi si era riusciti a mantenere la riservatezza, ma il 9 maggio 1919, sul Giornale d'Italia, apparve il primo articolo che parlava del "frate con le stimmate" e la notizia cominciò a fare il giro del mondo. Preoccupati per l'evolversi della situazione, i Superiori cappuccini chiesero a un medico di fiducia - il professor Luigi Romanelli, primario dell'ospedale civile di Barletta - di fare una ricognizione, che venne svolta fra il 15 e il 16 maggio.
Nella relazione si legge: «Applicando il pollice nella palma e l'indice nel dorso e facendo pressione, che riesce oltremodo dolorosa, si ha la percezione esatta del vuoto esistente fra le due dita, soltanto divise dalle due membrane e da tessuto sottile e molle (...). E da escludersi che la eziologia delle lesioni di Padre Pio sia di origine naturale, ma l'agente produttore debba ricercarsi senza tema di errare nel soprannaturale e che il tutto costituisce per se stesso un fenomeno non spiegabile con la sola scienza umana».
Il 26 luglio il professor Amico Bignami, ordinario di patologia medica nell'università di Roma, diede invece una valutazione molto critica: «Possiamo pensare che le lesioni siano cominciate come prodotti patologici e siano state forse inconsciamente e per un fenomeno di suggestione completate nella loro simmetria e mantenute artificialmente con un mezzo chimico, per esempio con la tintura di iodio». Per dimostrare la propria tesi, fece coprire le mani con delle bende, che venivano sigillate e cambiate ogni giorno sotto il controllo di testimoni:
ma, dopo una settimana, lo stato delle piaghe era identico a prima.
Infine il professor Giorgio Festa, su incarico del Ministro generale dell'Ordine cappuccino, giunse a San Giovanni Rotondo il 9 ottobre 1919 nell'intento di smascherare l'inganno, ma dovette invece concludere che le lesioni «non sono il prodotto di un traumatismo di origine esterna e neppure son dovute all'applicazione di sostanze chimiche potentemente irritanti».
Anni dopo, durante l'esame radiografico cui Padre Pio fu sottoposto nella Casa Sollievo della Sofferenza il 13 ottobre 1954, il radiologo Alberto Caserta riscontrò che «su mani e piedi, in particolare a livello dei metacarpi e dei metatarsi, non si notava assolutamente nulla di particolare». Pure le visite cardiologiche hanno mostrato che il suo cuore era normale, con pulsazioni dalle 70 alle 90 al minuto (anche quando la temperatura corporea oltrepassava i 42 gradi) e pressione arteriosa oscillante fra 95 e 105.
Il dottor Michele Capuano ha sottolineato tale dato perché «smentisce l'ipotesi di coloro i quali, per giustificare "scientificamente" la persistenza dell'emorragia attraverso le stimmate, avevano pensato a un'ipertensione di grado notevole, o peggio a speciali qualità del suo sangue circolante». Le analisi di laboratorio invece hanno sempre evidenziato parametri assolutamente nella norma, tranne le caratteristiche "giovani" del suo sangue, «dovute al fatto che la costante perdita faceva da stimolo continuo sul midollo osseo, che per reintegrare i vari elementi corpuscolati del sangue era costretto a mettere in circolo delle forme immature».
L'eccezionale persistenza delle stimmate di Padre Pio fu superata in straordinarietà, sul finire della sua esistenza, dalla scomparsa di ogni ferita, senza che rimanesse alcuna cicatrice. Le prime a rimarginarsi furono quelle dei piedi (ma il dolore continuò come in precedenza), verso il 1966. Nel 1967 la piaga del costato smise definitivamente di sanguinare e andò sempre più sbiancando. Dalla Pasqua del 1968 il dorso delle mani cominciò a tornare normale e verso luglio-agosto non c'erano più segni. Nell'ultimo mese di vita si restrinsero gradualmente anche le ferite sul palmo delle mani. Subito dopo la morte del Padre si riscontrò che la cute dell'intero corpo era perfettamente integra, come mostrano le fotografie scattate dal confratello Giacomo Piccirillo alle ore 2.40 del 23 settembre.
Una spiegazione teologica è stata offerta da padre Carmelo da San Giovanni in Galdo: «Padre Pio aveva ricevuto dal Signore le stimmate non per mostrarle agli altri, ma per se stesso, nel senso che erano un fatto personale ed una partecipazione viva e cruenta alla sofferenza e alla Passione del Crocifisso. Unendosi al Cristo sofferente, Padre Pio si offriva per la salvezza di molte anime. Con la morte, tale funzione veniva ad esaurirsi: la vittima in cinquant'anni si era consumata e non aveva più una goccia di sangue da versare».
XVIII
Temperanza e povertà
Sazio di grazia di Dio
Per le anime elette, spiegava Padre Pio in una lettera del 23 febbraio 1915 alla figlia spirituale Raffaella Cerase, è una sofferenza «dover soddisfare ai bisogni più necessari della vita, quali sono il mangiare, il bere, il dormire». Anzi, «è tale il tormento che esperimentano nel fare un atto solo di simil fatta, di cui non possono esse esentarsi, che io, senza tema di mentire, non saprei trovare un po' di assimilazione se non in ciò che dovettero esperimentare quei martiri che furono bruciati vivi».
Il paragone è certamente forte, ma aiuta a comprendere che cosa provasse Padre Pio quando doveva scendere in refettorio. Padre Alberto D'Apolito - il quale è stato, dal 1920 al 1968, uno dei confratelli che più costantemente lo hanno frequentato - ha documentato nel processo di canonizzazione che Padre Pio mangiò pochissimo in ogni epoca della vita: «Negli anni Venti veniva a pranzo con noi fratini e ci distribuiva il suo cibo, un giorno ad alcuni, un giorno ad altri».
Per cercare di risolvere la questione, ha ricordato padre D'Apolito, «i superiori succedutisi attraverso gli anni, vedendo che non si cibava sufficientemente, diedero disposizioni al cuoco, chiunque' fosse, di preparargli qualche pietanza particolare, che consisteva in un piatto di minestrina o di spaghetti al pomodoro, di verdura o di broccoli conditi con olio crudo, di pesciolini o di calamaretti lessati o fritti. Nonostante la specialità dei cibi, il più delle volte Padre Pio non toccava nulla o, se prendeva qualche cosa, si limitava a una cucchiaiata di minestra, a una o due forchettine di spaghetti, a due o tre forchettate di broccoli o di verdura, a pochi pesciolini e a qualche calamaretto».
Con le lacrime agli occhi, un giorno del 1945 disse a fra Modestino da Pietrelcina: «Figlio mio, prega per me!... Mio Dio, ho il ventre gonfio, che mi fa male... e questo proprio oggi che ho mangiato soltanto trenta grammi di cibo... Il più grande favore che potrebbe farmi il Superiore sarebbe quello di dispensarmi dal mangiare». Un'altra volta padre Onorato Marcucci, suo assistente, lo forzava per fargli mangiare qualcosa: «Padre Pio ne prese quanto un chicco di grano e disse: "Fate la carità di non sforzarmi. Ho fatto l'ubbidienza di mangiare e ho mangiato!"».
Per non mettere in soggezione i confratelli, quando si tratteneva in refettorio Padre Pio fingeva di mangiare rosicchiando ceci abbrustoliti e pezzetti molto duri di formaggio caciocavallo, che teneva appositamente conservati nel cassetto. Prima di alzarsi da tavola, come ebbe modo di osservare fra Modestino, compiva sempre «un atto delicato e gentile; proprio dei poveri: raccoglieva le briciole di pane che erano davanti a lui sulla mensa e, con l'indice della mano destra, se le portava alla bocca. Sembrava che stesse purificando la patena sull'altare!».
Il suo assistente personale padre Eusebio Notte ha confermato che Padre Pio per il vitto era contrario a ogni raffinatezza cosicché, quando gli veniva preparata qualche pietanza speciale, ne risultava l'effetto contrario perché il Padre, appena assaggiato il cibo, esclamava: «Com'è buono!», e lo dava agli altri. Anche padre Mariano Paladino assistette a un episodio di tal genere, quando un industriale di Palermo portò a Padre Pio una squisita pietanza di pesce. Il Padre, vedendo il piatto, disse: «E se facessimo una bella mortificazione? Tu l'hai preparato e tu lo mangi».
Quella di Padre Pio non era infatti una semplice nausea da cibo, o una forma di anoressia, ma un atteggiamento originato da un profondo spirito di mortificazione, che per grazia del Signore non gli causava però problemi di denutrizione. Come infatti rilevò con padre Carmelo Durante il professore londinese Ewans, partecipando a un convegno in Casa Sollievo della Sofferenza: «Per noi medici, Padre Pio è biologicamente morto! Umanamente non è possibile che un uomo in tale situazione esistenziale possa sopravvivere, e tanto meno operare come lui opera senza interruzione, tutti i giorni, con uno stress che abbatterebbe in breve tempo qualsiasi fisico, anche il più robusto».
La più spontanea spiegazione della temperanza di Padre Pio a riguardo del cibo fu data da fra Masseo Cannito: «Il Padre mangiava poco perché era sazio di grazia di Dio». Ed egli stesso, ricorda padre Marcellino Iasenzaniro, a chi gli faceva osservare che non aveva mangiato quasi nulla disse:
«Già! Ora ci andrebbe l'espressione di Gesù, mentre era con la Samaritana: io ho un altro cibo». Del resto, al termine del periodo dell'autunno 1911 a Venafro in cui Padre Pio si era cibato soltanto dell'ostia consacrata, padre Paolino da Casacalenda scoprì con stupore che lui, mangiando normalmente, pesava sempre uguale, mentre Padre Pio era aumentato di cinque chili.
Per quasi tutta la vita, Padre Pio mangiò qualche cibo unicamente all'ora di pranzo. Dal 1959, dopo la grave malattia che lo aveva ridotto in fin di vita,
i medici gli ordinarono di bere, dopo la Messa, una tazzina di caffè, in cui venivano sciolte delle vitamine. Negli ultimi anni, alla sera prendeva mezza pesca sciroppata e un cucchiaio di ricotta, mentre per pranzo le suore di Casa Sollievo gli preparavano un budino con vitamine, del quale prendeva due o tre pezzetti unicamente se padre Onorato alzava la voce e lo imboccava.
Anche per quanto riguarda le bevande, nonostante la sete provocata dalla continua perdita di liquidi a causa delle ferite sanguinanti, egli assumeva soltanto mezzo bicchiere di birra o di vino bianco in refettorio. Un pomeriggio d'agosto don Pierino Galeone penso di averlo scoperto venir meno alla sua consueta temperanza: «Lo trovai in veranda mentre beveva una bottiglietta d'aranciata e pensai: "Come la sta gustando!". Senza scomporsi, mise il vuoto nella cassetta, mi guardò e disse: "Bevi!". Io presi una bottiglietta e l'aprii: era disgustosa, calda e imbevibile. "Com'è brutta!", dissi con candida schiettezza. "Bevi e statti zitto!", ripeté lui. La cassetta d'aranciata era in veranda sotto i raggi del sole sin dal mattino!».
La toppa sul vestito
Compagna della temperanza fu per tutta la sua esistenza "sorella povertà". A coloro che gli offrivano qualcosa che potesse rendergli più comoda la vita, Padre Pio rispondeva: «E san Francesco che dirà?». Quando proprio non poteva fare a meno di accettare regali personali, portava immediatamente al padre Guardiano gli indumenti e i soldi ricevuti.
Dai Superiori dipendeva anche per le piccole cose: per esempio, padre Tarcisio Zullo lo vide chiedere all'economo con tutta umiltà qualche franco-
bollo da dare ai poverelli. Come pure conservava l'uso del noviziato di chiedere al Superiore il permesso di farsi la tonsura. Dal canto proprio, ricorda don Nello Castello, egli era sempre attento a non sprecare nulla: «L'ho visto più volte spegnere la luce che qualche confratello aveva lasciata accesa. Ai ricchi raccomandava di fare molta carità, ma lui non chiedeva mai direttamente e l'ho sentito dire: "Sfido chiunque a trovarmi uno a cui abbia chiesto dieci lire"».
A vari confratelli, Padre Pio raccontò un episodio della giovinezza che lo aveva colpito al cuore:
«Una vecchietta, nel corridoio del convento, mi offrì una carta da poche lire, precisando: "Queste le ho risparmiate andando ad accendere il fuoco da una vicina di casa, e così ho risparmiato i soldi per i fiammiferi!". Era l'obolo della vedova del santo Vangelo. Nel vedere la miseria di quella vecchietta, le dissi: "Non l'accetto! Tenetevela per voi: siete più povera di me!". A queste parole la donna reagì in modo inaspettato, dicendo delusa: "Voi non le accettate perché sono poche!". A questo punto allungai la mano verso quella della vecchietta ed esclamai: "Se pensate così, datemele qua! Le voglio!". E afferrai quella carta ed eccola, la porto sempre con me». Dicendo queste parole, il Padre metteva la mano nel taschino dell'abito e cacciava fuori la vecchia banconota ormai tutta sgualcita. Mostrandola all'interlocutore, si commuoveva e commentava: «Vedi i sacrifici della povera gente!».
Anche la cella dove viveva era lo specchio del suo clima di povertà, come si può tuttora vedere visitando il convento di San Giovanni Rotondo. Fino al 1935, ha testimoniato padre Torquato Cavaterri, Padre Pio aveva un saccone di paglia che di quando in quando assestava con un bastone. Più tardi ebbe un materasso di crine, perché così deci
sero i Superiori. Soltanto negli ultimi anni gli fu messo un materasso più moderno e la sua cella venne dotata di un lavandino.
La numero 5 era una delle celle più fredde d'inverno e più afose d'estate. Perciò i Superiori decisero a un certo punto di attrezzarla dapprima con un termosifone e poi con un condizionatore d'aria, donato da un figlio spirituale di Roma. Egli però fece sempre obiezioni a utilizzarli, e in particolare a padre Mariano Paladino diceva: «Come posso presentarmi davanti a san Francesco con questi aggeggi? San Francesco non sarà contento di me...».
Ogni aspetto della quotidianità di Padre Pio "sapeva di povertà". Mentre gli camminava a fianco, don Pierino Galeone notò sull'abito del Padre, al lato destro del petto, una larga toppa, mal rammendata. L'amico sacerdote restò colpito e chiese:
«Padre, chi vi ha fatto quel rammendo? Come sembrate male...». «Io stesso», rispose, «e ho fatto del mio meglio!». Don Galeone tacque, ancor più stupito e ammirato, mentre Padre Pio, sereno e indifferente, continuò a camminare pregando. Senza alcuna vanità, ma per rispetto alla Regola francescana, Padre Pio, ha confermato il signor Giovanni Scarparo, «nel vestito era sempre pulito e in ordine».
La delicatezza del Padre nel non dar fastidio ai confratelli, anche questo un segno di profondo spirito di povertà, ha potuto testimoniarla ancor più eloquentemente padre Innocenzo Cinicola Santoro, al quale nel luglio del 1945 capitò, mentre stava lavando la propria biancheria, di sentirsi dire da Padre Pio: «Beato te che puoi fare da te le cose tue. Io non posso...», e si guardava le mani doloranti.
XIX
Ultimi tempi e morte
Il permesso per il Paradiso
Dal 29 marzo 1968 Padre Pio cominciò a utilizzare spesso la sedia a rotelle per gli spostamenti, dato che - come si legge nella Cronistoria del convento - «muove con grande difficoltà le gambe: non gli fanno male, ma dice di non sentirsele». Era così divenuta realtà una ipotesi accennata a padre Agostino da San Marco in Lamis sin dal 12 novembre 1954:
«Preferisco essere portato al confessionale sopra una sedia, anziché non poter più confessare».
Il 7 luglio ebbe un grave collasso e da allora cominciò a desiderare di rimanere più a lungo da solo, per pregare e prepararsi «al grande passaggio», come diceva ai confratelli. Ricorda padre Alberto D'Apolito: «Padre Pio era cosciente della fine imminente e a chi gli augurava "Cent'anni di vita" rispondeva: "Voi mi volete male, voglio andar subito in Paradiso"».
Ma perfino la morte egli l'attendeva in un atteggiamento di obbedienza. Disse un giorno a padre Innocenzo Cinicola Santoro: «Quanto vorrei che diventassi tu Guardiano!». Padre Innocenzo gliene chiese la ragione e Padre Pio aggiunse: «Per avere l'obbedienza di morire!». E al Guardiano padre Carmelo Durante, che scherzosamente gli aveva ordinato di non morire senza la sua autorizzazione, spesso diceva con serietà: «Quando mi date il permesso per andare in Paradiso?».
Il 12 settembre Padre Pio inviò a papa Paolo VI una lettera nella quale esprimeva «tutta la mia devozione verso la vostra augusta persona, nell'atto di fede, amore ed obbedienza alla dignità di colui che rappresenta sulla terra». Erano i tempi della contestazione all'enciclica Humanae vitae, che fra l'altro affrontava il tema della contraccezione, e Padre Pio prese una netta posizione, offrendo «la mia preghiera, e sofferenza quotidiana, quale piccolo mio sincero pensiero dell'ultimo dei vostri figli, affinché il Signore vi conforti con la sua Grazia per continuare il diritto e faticoso cammino, nella difesa dell'eterna verità, che mai si cambia col mutar dei tempi».
Mancavano soltanto pochissimi giorni al 20 settembre, cinquantesimo anniversario della stimmatizzazione visibile. Fra Modestino da Pietrelcina, citando l'affermazione di Padre Pio «Ho versato tutto il mio sangue!», ha attestato che negli ultimi mesi prima della morte effettivamente sembrava che il Padre non avesse più sangue. Mettendo in ordine tutti i pezzi di tessuto con i quali Padre Pio asciugava le piaghe, fra Modestino poté infatti constatare che i pannolini usati in quegli ultimi mesi erano molto meno macchiati degli altri, e talvolta non lo erano affatto.
Diversi confratelli e figli spirituali ebbero la precisa sensazione che Padre Pio conoscesse la data della propria morte. Per esempio, padre Eusebio Notte si era recato da lui a chiedere la benedizione perché agli inizi di agosto doveva recarsi in Irlanda per motivi di studio e il Padre fu particolarmente aspro nei suoi confronti, contrariamente al solito. Domandatogli il motivo di questa sua durezza, Padre Pio volle sapere da padre Eusebio quando sarebbe rientrato e, avuta l'assicurazione che il ritorno sarebbe avvenuto verso la metà di settembre, lo guardò fisso negli occhi e disse: «Se è così, allora va bene».
Dal 19 settembre cominciò a infittirsi sempre piu la schiera di figli spirituali che giungevano da tutto il mondo a San Giovanni Rotondo per il convegno internazionale dei Gruppi di preghiera e, alle 5 del 20 settembre, una folla di devoti gremì ogni spazio della chiesa e si accalcò anche all'esterno, per la consueta Messa di Padre Pio. L'unico aspetto esteriore che segnalava l'eccezionalità dell'evento era la quantità di rose rosse che adornavano l'altare maggiore e il crocifisso del coro. In serata una fiaccolata si mosse dal paese, con in testa il sindaco e l'amministrazione comunale, per rendere omaggio all'illustre compaesano. Ma Padre Pio era già nella sua cella e non pensò minimamente che applausi, cori e fuochi pirotecnici fossero in suo onore, tanto che la mattina dopo chiese ai confratelli: «Che cos'erano tutti quei rumori, ieri sera?».
Il 21 Padre Pio non fu in condizione di celebrare la Messa, a causa di un fortissimo attacco d'asma che per mezz'ora gli aveva causato gravi difficoltà respiratorie. In refettorio, il padre Guardiano lo esortò a farsi coraggio: «Lei deve star bene: è venuta tanta gente per la festa di domani». Ma Padre Pio rispose con un velo di tristezza: «Altro che festa. Dovrei fuggire e sparire per la confusione che provo». Nel pomeriggio, rimessosi un po' in forze, riuscì comunque ad assistere alla funzione vespertina e a benedire i fedeli presenti.
Gesù e Maria furono le ultime parole
Scendendo in chiesa, all'alba del 22 settembre, Padre Pio voleva celebrare la Messa leggendola come tutte le mattine, ma il Superiore lo incoraggiò a celebrarla cantata e il Padre come sempre obbedì, anche se con molta fatica. Lo sforzo gli costò però un collasso, proprio al termine della liturgia. Ada-giato sulla sedia a rotelle, tornando in sacrestia benediceva tutti e ripeteva affannosamente: «Figli miei, figli miei!».
Dopo il ringraziamento, provò persino a recarsi a confessare le donne, ma a metà strada la spossatezza fisica lo costrinse a far ritorno in camera. Verso le 10.30 si affacciò alla finestra del coro e, agitando un fazzoletto bianco, salutò e benedisse la folla. Un'altra benedizione la diede in serata, al termine della Messa vespertina cui aveva assistito dal matroneo, e successivamente si affacciò ancora dalla finestra della cella agitando il fazzoletto in segno di saluto.
L'assistente padre Pellegrino Funicelli lo mise a letto come al solito e si recò quindi nella propria cella, dove c'era un citofono intercomunicante. Padre Pio lo chiamò cinque o sei volte, sempre per chiedergli che ora fosse, finché a mezzanotte lo supplicò: «Resta con me, figlio mio».
Volle quindi confessarsi e al termine gli disse:
«Se oggi il Signore mi chiama, chiedi perdono per me ai confratelli di tutti i fastidi che ho dato; e chiedi ai confratelli ed ai figli spirituali una preghiera per l'anima mia». Padre Pellegrino rispose: «Padre Spirituale, io sono sicuro che il Signore la farà vivere ancora a lungo, ma se dovesse avere ragione lei, posso chiederle un'ultima benedizione per i confratelli, per i figli spirituali e per i suoi ammalati?». E Padre Pio: «Si che li benedico tutti! Chiedi anzi al Superiore che dia lui per me questa ultima benedizione». Subito dopo ripeté il patto che aveva stipulato con san Francesco d'Assisi il 22 gennaio 1904, emettendo la professione dei voti semplici, e ribadì la propria volontà di consacrazione a Dio e di perseveranza nei voti religiosi.
Verso l'una chiese di essere aiutato ad alzarsi dal letto, per respirare meglio. Ha raccontato padre Pellegrino: «Notai con mia grande meraviglia che camminava diritto e spedito come un giovane, tanto che non vi era bisogno di sostenerlo. Giunto sull'uscio della sua cella disse: "Andiamo un po' sul terrazzino". Lo seguii tenendogli la mano sotto il braccio; egli stesso accese la luce e, arrivato vicino alla poltrona, si sedette e guardò in giro per il terrazzino curiosando; sembrava che con gli occhi cercasse qualcosa». Era come uno sguardo di congedo affettuoso dal luogo dove tanto aveva sofferto e pregato.
Dopo cinque minuti volle tornare in camera, perché le forze lo avevano abbandonato nuovamente. Adagiato in poltrona, nella sua cella, cominciò a impallidire: era l'una e trenta del 23 settembre e la situazione cominciava a precipitare. Padre Pellegrino svegliò il confratello Giuseppe Pio Martin dicendogli: «Padre Pio sta male, va' in cella mentre io vado a telefonare ai medici». Nonostante i tentativi di rianimazione immediatamente praticati dal medico personale Giuseppe Sala e dai dottori Giuseppe Gusso e Giovanni Scarale, Padre Pio morì alle ore 2.30, dopo aver ricevuto l'unzione degli infermi, pronunciando i nomi di Gesù e di Maria.
La salma venne composta in una bara di legno e alle 8.30 fu esposta in chiesa, nella quale si riversò immediatamente una folla innumerevole. Il mesto pellegrinaggio continuò senza interruzioni fino a notte fonda, quando l'accesso fu interdetto per qualche ora, in modo da consentire lo spostamento del corpo in una bara di acciaio, in preparazione alla sepoltura.
Alle 2.45 del 24 settembre, l'ufficiale sanitario di San Giovanni Rotondo, Giovanni Grifa, provvide all'inoculazione di un litro di soluzione di formalina al 30 per cento nella cavità toracica e in quella addominale della salma di Padre Pio, al fine di evitare fenomeni putrefattivi. Nel certificato scrisse:
«Successivamente il sottoscritto ha effettuato quotidiane ricognizioni della salma, per rilevare eventuali segni di putrefazione, che non sono apparsi fino al momento della tumulazione, contrariamente a quanto il sottoscritto ha avuto modo di constatare in altre salme trattate con la stessa soluzione conservativa».
Il pellegrinaggio dei devoti proseguì fino alle 12 del 26 settembre. Alle 15.30 partì dal convento il corteo funebre, che percorse tutto il paese. Alle 19 fu celebrata la Messa funebre, con una vastissima partecipazione di persone di ogni ceto e provenienza, tanto che qualcuno, sui manifesti di lutto, aggiunse a mano alla scritta «lutto cittadino»: «e mondiale». Si calcolò che a San Giovanni Rotondo erano quel giorno presenti oltre centomila persone.
La sepoltura nella cripta della chiesa di Santa Maria delle Grazie avvenne alle ore 22 dello stesso giorno. Si compiva così il desiderio espresso sin dal 12 agosto 1923: «Ricorderò sempre questo popolo generoso nelle mie preghiere implorando per esso pace e prosperità. E quale segno della mia predilezione, null'altro potendo fare, esprimo il desiderio che, ove il miei Superiori non si oppongano, le mie ossa siano composte in un tranquillo cantuccio di questa terra».
La bara attualmente è in un loculo, a un metro circa dal livello del pavimento, sovrastato da un blocco monolitico di granito di circa 30 quintali. Dalla primavera del 2003 sarà spostata nel nuovo santuario progettato da Renzo Piano, che si sta ultimando alle spalle del vecchio convento.
XX
Visitatori e "persecutori"
Il controllo del Sant'Offizio
Furono circa una settantina i visitatori apostolici, gli ispettori cappuccini e gli inviati ufficiosi della Santa Sede che giunsero a San Giovanni Rotondo fra gli anni Venti e gli anni Sessanta. Di tutti questi sopralluoghi fanno memoria i faldoni conservati nella Curia generale dei Frati cappuccini e gli oltre tremila documenti custoditi in ventitré cartelle nell'Archivio segreto del Sant'Offizio (oggi Congregazione per la Dottrina della fede).
In ogni circostanza, come ha testimoniato l'allora sindaco del paese Francesco Morcaldi, Padre Pio «continuava nella sua vita di raccoglimento, di preghiera e di apostolato, senza alcun apparente turbamento». E a quanti gli manifestavano preoccupazioni e timori, suggeriva: «Abbiamo fiducia nella Provvidenza!». Per Padre Pio tutte le prove cui era sottoposto facevano infatti parte del piano provvidenziale che il Signore aveva su di lui e sulla sua opera: «La Chiesa è madre nostra; anche quando ci bastona ci vuole bene», era la considerazione che gli senti fare il confratello Onorato Marcucci.
La "data fatidica" alla quale si può far risalire gran parte dei problemi vissuti da Padre Pio fu il 18 aprile 1920, quando giunse in convento padre Agostino Gemelli (il fondatore dell'Università cattolica del Sacro Cuore). La sua intenzione era di vedere le stimmate. Non essendo però stato autorizzato dai Superiori cappuccini, Padre Pio non glielo permise. Dopo pochi minuti, Gemelli andò via,
inaugurando il registro dei visitatori con una frase che pareva manifestare amicizia: «Ogni giorno constatiamo che l'albero francescano dà nuovi frutti e questo è il conforto più grande a chi trae alimento e vita da questo meraviglioso albero».
In realtà, offeso da quella risposta negativa, il giorno dopo padre Gemelli inviò al Sant'Offizio una relazione nella quale asseriva invece di aver visto le stimmate, dandone un giudizio fortemente critico. La presa di posizione di padre Gemelli servì a dare corpo alle accuse che erano intanto state inviate in Vaticano dall'arcivescovo di Manfredonia, monsignor Pasquale Gagliardi, sobillato da sacerdoti di San Giovanni Rotondo che erano gelosi perché le fedeli del luogo andavano a confessarsi dal cappuccino. Del resto, la vigilanza del Sant'Offizio si era inaugurata già nel 1919, quando in Vaticano erano cominciate a giungere lettere che descrivevano i miracoli operati da Padre Pio.
In seguito a tali vicende, la Santa Sede inviò il primo visitatore ufficiale, il vescovo Raffaele Rossi, che fra il 1921 e il 1922 si recò diverse volte a San Giovanni Rotondo. Nella relazione riferì di aver ricevuto una buona impressione da Padre Pio, criticando invece le cosiddette "fedelissime" e riscontrando in padre Benedetto da San Marco in Lamis scarse capacità di direzione spirituale.
Il 2 giugno 1922 giunse così al Ministro generale dei cappuccini il primo provvedimento del Sant'Offizio, nel quale si ordinava che venisse interrotta ogni comunicazione fra Padre Pio e padre Benedetto. Occorreva inoltre allontanare al più presto Padre Pio in un convento lontano, in modo da impedire il fanatismo di taluni suoi devoti. Ma la notizia del trasferimento si diffuse immediatamente e la popolazione insorse, riuscendo a farlo sospendere.
Nel luglio del 1922, nuove notizie diffamatorie contro Padre Pio e i confratelli convinsero il Ministro generale dei Cappuccini a inviare a San Giovanni Rotondo un collaboratore di estrema fiducia, padre Celestino da Desio, per una rigorosa visita canonica. Il risultato fu di completa assoluzione:
«Dalle indagini da me fatte coscienziosamente è risultato che i detti padri sono puramente vittime dell'invidia di alcuni malintenzionati, i quali vedono di mal occhio il molto bene che compiono quei religiosi, e per paralizzarlo si divertono ad inventare cose totalmente false».
Intanto il Sant'Offizio proseguì nella propria azione. Il 31 maggio 1923 dichiarò «non constargli la sovrannaturalità di quei fatti» attribuiti a Padre Pio ed esortò «i fedeli a conformare i propri atti a questa dichiarazione». Il 17 giugno successivo inviò al padre Guardiano del convento due secchi ordini da comunicare a Padre Pio: non celebrare più in pubblico e ad ora fissa, né rispondere più alle lettere che gli venivano indirizzate da persone devote. Immediatamente ci fu una sollevazione spontanea dei fedeli che fece revocare l'imposizione. Il 30 luglio giunse un nuovo ordine di trasferimento del Padre, ma un'altra protesta popolare, che minacciava di diventare una sommossa, riuscì a far differire anche questo ordine.
Una rivoltella puntata sul petto
A dimostrazione del clima che si viveva in quei mesi, al termine della benedizione eucaristica del 10 agosto 1923, mentre Padre Pio stava per rientrare in sacrestia, gli si parò dinanzi un giovane il quale, puntandogli la rivoltella sul petto, gridò:
«Meglio morto per noi che vivo per gli altri». Fortunatamente i fedeli presenti riuscirono a disarmarlo.
Dal 1924 al 1931, si manifestò un'escalation di provvedimenti del Sant'Offizio. Il 24 luglio 1924 ammonì «con più gravi parole i fedeli di astenersi dal mantenere qualunque relazione, sia pure epistolare, a scopo di devozione con Padre Pio». 1115 luglio 1925 ordinò che ogni bimestre il padre Provinciale di Foggia inviasse una relazione su Padre Pio. L'11 luglio 1926 rinnovò ai fedeli il dovere «di astenersi dall'andare a visitarlo, o mantenere con lui relazioni anche semplicemente epistolari».
Fra il 1927 e il 1928 vennero finalmente svolte due visite apostoliche nella diocesi di Manfredonia, a cura dei monsignori Felice Bevilacqua e Giuseppe Bruno, per appurare la verità sul comportamento dell' arcivescovo Gagliardi, dell'arciprete Giuseppe Prencipe e dei canonici Domenico Palla-dino e Michele De Nittis, anch'essi oggetto di accuse da parte di confratelli della zona. In seguito alle due inchieste, monsignor Gagliardi venne costretto alle dimissioni e don Palladino fu allontanato dal paese.
Ciò nonostante, la situazione per Padre Pio non migliorò di molto, tanto che il successore in diocesi, il vescovo Alessandro Macchi, sollecitò nuovamente al Sant'Offizio il trasferimento del Padre.
Il 23 maggio 1931 il Sant'Offizio decise che Padre Pio avrebbe dovuto celebrare da solo, nella cappella interna del convento. La disposizione, che comprendeva anche l'impedimento a confessare, venne attuata dall'li giugno. Ha testimoniato padre Raffaele da Sant'Elia a Pianisi: «Quando gli comunicai la notizia, Padre Pio alzò gli occhi al cielo e disse: "Sia fatta la volontà di Dio". Poi si copri gli occhi con le mani, chinò il capo e più non fiatò».
Cominciò allora una nascosta e spietata lotta fra i nemici di Padre Pio, che desideravano seppellirlo nel silenzio, e i suoi sostenitori, fra i quali spiccava Emanuele Brunatto, che giunse anche al ricatto -minacciando la pubblicazione di un libro nel quale venivano denunciati scandali ed episodi poco edificanti di alcune personalità ecclesiastiche - se il Sant'Offizio non avesse rivisto le proprie posizioni. Nel frattempo era divenuto arcivescovo di Manfredonia monsignor Alfredo Cesarano, il quale cercò, pur fra alterne vicissitudini, di appianare il contrasto.
Il 16 luglio 1933 Padre Pio tornò a celebrare la Messa in pubblico, ma dovettero passare diversi mesi prima che potesse riprendere a confessare gli uomini, il 25 marzo 1934, e le donne, il 12 maggio successivo. Alla figlia spirituale Lucia Iadanza che gli diceva: «Quanto è stato brutto questo periodo»; Padre Pio rispose: «Per voi? E per me?! Gesù mi ha mandato per la salvezza delle anime: che cosa ho fatto in questi tre anni? Ho pregato, ma la preghiera non è sufficiente al compito che mi è stato affidato. Aiutatemi: ho bisogno del vostro aiuto. Chiediamo a Gesù che questo non avvenga più. Gesù ha bisogno di anime. Gesù ha bisogno di salvare anime».
Un registratore in convento
Fino al 1960, anche se continuavano le visite di ricognizione a San Giovanni Rotondo di inviati romani, Padre Pio fu lasciato libero di esercitare il ministero sacerdotale e di portare avanti le proprie iniziative. Nella primavera di quell'anno cominciarono i tempi della persecuzione più dura, con l'ingresso in campo di monsignor Umberto Terenzi, parroco del santuario mariano del Divino Amore a Roma.
C'è tuttora il dubbio sulla reale motivazione dell'operato di monsignor Terenzi: la convinzione che Padre Pio tenesse comportamenti scorretti con le figlie spirituali, il rancore per non aver ottenuto da lui un prestito per i lavori in corso presso il suo santuario, il desiderio di fare bella figura con i Superiori vaticani ed essere così nominato vescovo. O forse un intreccio fra tutto ciò.
Fatto sta che, con l'autorizzazione ufficiosa del cardinale Alfredo Ottaviani, responsabile del Sant'Offizio, monsignor Terenzi e alcuni frati registrarono numerose conversazioni di Padre Pio, e in particolare quelle con l'amministratore della Casa Sollievo, Angelo Battisti, e con le cosiddette "pie donne": le figlie spirituali Cleonice Morcaldi, Caterina Giostrelli Telfner e Clementina Belloni. A suo parere, dalle registrazioni emergeva che con il primo Padre Pio trattava discutibili affari della clinica e con le altre il Padre scambiava illecite effusioni.
Una Commissione pontificia esaminerà in seguito quei nastri magnetici (almeno 25, secondo un testimone diretto): come confidò uno dei membri a padre Carmelo Durante, «dall'esame attento e ripetuto delle registrazioni operate non risultò nulla d'incriminabile per Padre Pio». Intanto, però, alle insinuazioni di Terenzi avevano dato credito sia il cardinale Ottaviani che il suo vice, monsignor Pietro Parente, i quali ne parlarono con Giovanni XXIII, chiedendogli di poter inviare un ulteriore visitatore apostolico a San Giovanni Rotondo.
Pure il Ministro generale dei cappuccini, padre Clemente da Milwaukee (anch'egli a conoscenza della vicenda dei registratori), aveva nel frattempo sollecitato un'ispezione della Santa Sede per verificare la correttezza nella gestione amministrativa della Casa Sollievo e per controllare l'equa ripartizione delle offerte fra il convento e la clinica. A tali vicende non era poi estraneo il fallimento del finanziere Giuffrè, in cui la Provincia cappuccina di Foggia aveva perso cifre notevoli, a copertura delle quali era stato chiesto un prestito proprio alla Casa Sollievo.
1130 luglio 1960 giunse a San Giovanni Rotondo il visitatore apostolico monsignor Carlo Maccari, con l'incarico di «regolare alcuni aspetti del funzionamento del convento dei Frati minori cappuccini di Santa Maria delle Grazie in San Giovanni Rotondo e della Casa Sollievo della Sofferenza, nonché di tutte le associazioni e opere dipendenti dai due enti soprannominati».
Durante la cinquantina di giorni della sua presenza nel paese, incontrò nove volte Padre Pio e dieci volte Angelo Battisti, oltre a numerosi cappuccini e a diverse altre persone, fra cui le tre figlie spirituali "incriminate". 115 novembre consegnò al cardinale Ottaviani la relazione di 208 pagine, più due cartelle di documenti. Alcuni anni dopo, per incarico dello stesso Sant'Offizio, monsignor Mario Crovini rilesse e sintetizzò il testo, e il suo commento fu: «La stesura del lavoro è tendenziosa, in quanto procede più come una tesi da dimostrare che come un fatto su cui indagare».
Evidentemente però in quei tempestosi giorni i pareri del Sant'Offizio erano orientati in diverso senso, tanto che, il 31 gennaio 1961, il cardinale Ottaviani firmò la lettera che indicava i sei provvedimenti da eseguire d'urgenza: ricondurre Padre Pio, con la carità voluta dalle sue condizioni di età e di salute, alla regolare osservanza conventuale; interdire ai sacerdoti e ai vescovi di servire la Messa del Padre; variare per quanto possibile l'orario della sua Messa; far rispettare la distanza fra il confessionale di Padre Pio e i fedeli in attesa per la confessione; evitare l'assiduità eccessiva dei devoti, e specialmente delle devote, di San Giovanni Rotondo al confessionale del Padre; inibire al Padre di ricevere donne da solo nel parlatorio del convento o altrove.
Poche settimane dopo, con una lettera del 24 aprile 1961 firmata questa volta dall'assessore monsignor Parente, il Sant'Offizio tornava sull'argomento, ribadendo le precedenti disposizioni e ordinando che «Padre Pio celebri la Messa in mezz'ora o al massimo in quaranta minuti e venga invitato ad ottemperare a questa regola in virtù dell'ubbidienza religiosa e, nel caso di una deprecabile inadempienza, non si escluda l'uso delle pene canoniche».
Soltanto nel 1963, dopo la morte di Giovanni XXIII (3 giugno), cominciò la definitiva riabilitazione di Padre Pio, con la lettera del 20 luglio nella quale il cardinale Ottaviani faceva giungere al Guardiano di San Giovanni Rotondo, padre Rosario d'Aliminusa, l'invito a «essere largo il più possibile» con la gente che andava a vedere Padre Pio. Il 30 gennaio 1964, lo stesso cardinale convocò il Provinciale di Foggia, padre Clemente da Santa Maria in Punta, per comunicargli, su mandato di Paolo VI, che Padre Pio veniva autorizzato a svolgere il proprio ministero in piena libertà.
Ha testimoniato nel processo canonico padre Carmelo Durante: «In un colloquio privato di fine dicembre 19630 inizio 1964, Paolo VI, al termine di una rievocazione degli avvenimenti di San Giovanni Rotondo del 1960, così si espresse: "L'essenziale in tutta questa vicenda è di restituire, immacolata, alla Chiesa la figura di Padre Pio. Tutto il resto è marginale"». Con l'elevazione di Padre Pio all'onore degli altari, l'auspicio di Papa Montini ha finalmente trovato compimento.
Lo vuoi capire che io sono responsabile delle anime che il Signore mi manda e debbo far loro del bene e non del male?». Conferma Giovanni Binda:
«Era capace di rimproverare qualche suo figlio per un piccolo difetto e di abbracciare un grosso peccatore. Il risultato però era che il peccatore si convertiva e il buono cercava di diventare perfetto».
Dalle risposte che Padre Pio diede in gioventù ai "casi di morale" si individua quella che per lui era la figura ideale di confessore: un sacerdote «serio, attento, retto, accorto, molto prudente, fermo, deciso, sicuro, amoroso, paterno, comprensivo, paziente, caritatevole, esperto», che deve «formarsi alla capacità di accoglienza; possedere la capacità di ascolto; esortare a vivere il Vangelo e a rispettare gli insegnamenti della Chiesa; spogliarsi delle proprie idee e presentare la genuina morale cattolica; essere sempre aggiornato per conoscere e quindi tradurre nella pratica le norme morali; avere il coraggio di rettificare le idee e gli atteggiamenti sbagliati dei suoi penitenti esercitando con competenza l'ufficio di maestro».
Quando Padre Pio aveva una fila di molte confessioni, per sbrigarne il più possibile era lui che diceva al penitente: «Tu rispondi sì o no», e gli diceva tutti i peccati che aveva commessi. Il preside Antonio Bianchi una volta reagì: «La formulazione della domanda dimostra che lei già conosce quanto chiede. Senza perder tempo: lei ha chiesto, lei risponda». E il Padre: «Anche il medico nel vedere il malato non dubita della bontà della sua diagnosi. Tuttavia fa parlare il malato per verificare l'esattezza della sua intuizione. Quindi a te, rispondi».
Diversamente dal medico, ha commentato Bianchi, «Padre Pio non domandava per verificare la sua idea: la gioia di ascoltare una risposta aperta e piena di fiducia gli accendeva un ineffabile sorriso e gli illuminava lo sguardo». Se invece i penjtenti gli resistevano, ne soffriva profondamente: «E perché constato la mancanza di disposizioni che sono così accasciato e mi sento tanto male», confidò una sera a padre Rosario da Aliminusa.
Il senso della direzione spirituale
Ore e ore di presenza quotidiana nel confessionale. La Messa mattutina e altre celebrazioni nel corso della giornata (dal 22 aprile 1940 al 23 aprile 1966 benedisse le nozze di 389 coppie; dal 29 dicembre 1939 al 28 agosto 1966 amministrò 820 battesimi>. Incontri di direzione spirituale e per guidare la realizzazione delle varie opere, come la Casa Sollievo o i Gruppi di preghiera... Padre Eusebio Notte, che gli fu accanto per diversi anni, testimonia che «il ritmo normale delle giornate di Padre Pio era così assillante, che noi assistenti ci stancavamo al punto da aver bisogno spesso di un avvicendamento».
Padre Pio invece proseguiva imperterrito nel suo zelo apostolico e non conosceva riposi né svaghi. In pratica il suo tragitto quotidiano si snodava unicamente sull'asse fra la cella e la chiesa, con qualche rapidissima puntata in refettorio. Ha raccontato padre Rosario: «Padre Pio non si portò mai al secondo piano del convento, costruito dopo la seconda guerra mondiale. Non visitò mai la nuova chiesa per vedere come era fatta. Una sera, affacciandosi alla finestra del coro della chiesetta, rimase stupito nel vedere la piazza illuminata: "Sono già tanti anni che lo è!", esclamò padre Leone da San Giovanni Rotondo».
Ma tutto questo non gli risultava un sacrificio, perché Padre Pio viveva il sacerdozio come un gravissimo impegno di servizio per la salvezza delle anime. Talvolta però i suoi confratelli scherzavano con lui, chiedendogli se valesse davvero la pena di rimanere seppellito a San Giovanni Rotondo senza mai uscirne, senza veder nulla di nuovo e senza prendersi qualche giorno di riposQ. E allora il Padre rispondeva: «Chi l'ha detto che non mi prendo il mio riposo? Ogni giorno, non me ne vado in chiesa davanti al santissimo Sacramento? E non vi pare questo un riposo?».
Proprio da tale linfa traeva vigore la sua direzione spirituale. Una responsabilità che egli sentiva intensamente: «Le anime appartengono a nostro Signore e un giorno ce ne domanderà strettissimo conto», disse a padre Mariano Paladino, incaricandolo della guida di una persona. E alla richiesta:
«Come devo comportarmi?», il Padre rispose:
«Con fermezza e con dolcezza».
A un confratello che confidenzialmente gli domandò se ci si poteva santificare senza direttore spirituale, Padre Pio spiegò: «Può anche bastare il confessore e, quando questi non sia capace di comprendere certe situazioni dello spirito, ci si rimette alla bontà di Dio. Però, fare da sé è come studiare da sé: col maestro si fa prima e meglio!». In tale studio, egli suggeriva anche i libri di testo migliori:
il Cammino di perfezione, il Castello interiore e l'Auto-biografia di santa Teresa d'Avila; le Confessioni di sant'Agostino; l'Esposizione del dogma cattolico di Jacques Marie Louis Monsabre; il Trattato dell'amor di Dio di san Francesco di Sales; la Notte oscura di san Giovanni della Croce.
La sua, secondo padre Carmelo Durante, è stata «una poliedrica azione di consiglio e di stimolo in campi e su problemi che toccano l'inverosimile:
un azione che nessun uomo politico, nessun apostolo ha mai svolto finora nella storia del mondo e della Chiesa». Però, quando ci volevà, i suoi consigli proponevano innanzitutto il buon senso. A padre Carmelo, che prima di usare l'automobile per i viaggi chiedeva una benedizione e una preghiera, rispondeva: «Io prego, ma sei tu che non devi premere troppo l'acceleratore!».
Nell'introduzione all'Epistolario, i curatori hanno sottolineato i due elementi su cui Padre Pio fondò il proprio insegnamento: «Il primo si riferisce allo sviluppo delle virtù teologali; e ciò non tanto perché Padre Pio enuncia principi dai quali risulta che Dio è al centro della sua direzione spirituale, quanto perché egli mette ogni impegno nello sviluppare, nell'anima che dirige, la grazia e le tre virtù teologali: fede, speranza e carità, orientandola sempre verso queste tre energie soprannaturali. Il secondo è che lo sviluppo delle virtù teologali, per volere di Padre Pio, avviene in un'atmosfera di spiritualità francescana, che si concretizza in alcune virtù morali, tipiche di ogni seguace del Poverello di Assisi, il cui esercizio viene caldamente raccomandato».
Da quelle pagine di lettere vergate con le mani sanguinanti e doloranti per le stimmate, sgorga tuttora nella sua intensità l'ideale supremo proposto da Padre Pio: «È ottima cosa l'aspirare a un'estrema perfezione nella vita cristiana», «Chiedere a Gesù di farci santi non è superbia, né audacia, perché è lo stesso che desiderare di amarlo con amore grande», «Ardentemente desidero vederti ascendere per tutti i gradi della perfezione cristiana, senza soste e senza deviazioni».
Appendice
Itinerario biografico
Francesco Forgione, che diventerà famoso in tutto il mondo con il nome di Padre Pio, nacque a Pietrelcina (Benevento), alle ore 17 del 25 maggio 1887. Era il quarto dei sette figli del ventisettenne Grazio e della ventottenne Maria Giuseppa De Nunzio. Alle ore 8 del giorno successivo, l'economo curato don Nicolantonio Orlando lo battezzò nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. Per madrina ebbe la levatrice Grazia Formichella. Nel 1892, all'età di cinque anni, promise al Signore di consacrargli la propria vita e cominciò ad avere le prime visioni della Madonna e dei diavoli. In quei tempi collaborava alle attività familiari portando a pascolare qualche pecora nel podere di Piana Romana. Intanto prendeva lezioni di lettura, scrittura e aritmetica da alcuni maestri privati.
A lì anni d'età, com'era consuetudine all'epoca, ricevette la prima comunione e, il 27 settembre 1899, l'arcivescovo di Benevento, Donato Maria dell'Olio, gli amministrò la cresima nella chiesa di Pietrelcina. Padrino fu Vincenzo Masone. Proseguendo negli stùdi, nel 1901-1902 svolse, con il maestro Angelo Càccavo, il programma delle prime tre classi ginnasiali. Nell'estate del 1902 inviò al Superiore della provincia cappuccina di Sant'Angelo (Foggia) la richiesta di entrare in noviziato, ma, per mancanza di posti, gli fu comunicato che doveva attendere sino all'anno seguente.
Nell'autunno di quell'anno, Francesco fu tormentato da lotte interiori che lo facevano esitare fra la vocazione consacrata e il richiamo del mondo. A fine dicembre 1902, mentre meditava sulla scelta di dedicarsi interamente a Dio, ebbe una visione che gli prospettò tutta la sua esistenza come una continua lotta contro satana. 1110 gennaio 1903 una nuova visione, confermandogli il perenne combattimento con il demonio, gli chiari che egli ne sarebbe uscito vincitore, con l'aiuto della grazia divina. Nei primi giorni dell'anno, Francesco ottenne dal sindaco di Pietrelcina il certificato di buona condotta morale e politica e dall'arcivescovo di Benevento la lettera testimoniale per l'entrata in noviziato.
Nella notte del 5 gennaio 1903 Gesù e la Madonna gli apparvero per incoraggiarlo ad affrontare coraggiosamente il cammino del noviziato, che Francesco iniziò il giorno dopo nel convento di Morcone (Benevento), dove giunse accompagnato proprio dal maestro Càccavo. Il 22 gennaio 1903 vesti i panni di probazione del noviziato cappuccino e ricevette il nome di Fra Pio da Pietrelcina. Esattamente un anno dopo, il 22 gennaio 1904, emise la professione dei voti semplici e, il 25 gennaio, si trasferì nel professorio minore di Sant'Elia a Pianisi (Campobasso), per completare il programma del corso ginnasiale e per iniziare lo studio della retorica. All'inizio del maggio 1904 incontrò il Ministro generale dell'Ordine cappuccino, padre Bernardo da Andermatt, al quale fece domanda di essere inviato nelle missioni; ma la richiesta non ebbe seguito.
Il 18 gennaio 1905 Fra Pio sperimentò il primo episodio di bilocazione, trovandosi in una casa di Udine dove un padre moriva e una bimba nasceva. In seguito la fanciulla diventerà una delle figlie spirituali del cappuccino. Nel settembre dello stesso anno egli vide, sul davanzale della finestra accanto alla sua, un demonio - in forma di mostruoso cane nero - che, dopo avergli ringhiato contro, spiccò un balzo e spari nella notte.
Sul finire dell'ottobre 1905 si recò a San Marco la Catola (Foggia) per frequentare il primo anno di filosofia. Qui incontrò padre Benedetto da San Marco in Lamis, che sarà il suo direttore spirituale fino al 1922. A fine aprile 1906 rientrò a Sant'Elia a Pianisi per completare gli studi filosofici, che comprendevano materie quali la psicologia, l'ontologia, l'etica e la teologia naturale. Il 27 gennaio 1907 emise la professione dei voti solenni. In ottobre, dopo essere stato promosso agli esami di filosofia, si trasferì a Serracapriola (Foggia) per studiare teologia, sotto la guida di padre Agostino da San Marco in Lamis, che sarà l'altro suo direttore spirituale. Nel novembre 1908 lo studentato teologico cappuccino venne spostato a Montefusco (Avellino) e Fra Pio dovette cambiare sede ancora una volta.
Il 19 e il 21 dicembre 1908 ricevette, nella cattedrale di Benevento, rispettivamente gli ordini minori, dall'arcivescovo Benedetto Bonazzi, e l'ordine del suddiaconato, dall' arcivescovo Paolo Schinosi. Intanto la sua salute aveva però cominciato a manifestare problemi, tanto che, nella primavera del 1909, fu accompagnato da padre Agostino a Pietrelcina per respirare un po' l'aria nativa. All'inizio dell'estate si recò nel convento di Morcone dove, il 18 luglio 1909, ricevette l'ordine del diaconato dal vescovo Benedetto Maria Della Camera. Dopo pochi giorni rientrò nuovamente a Pietrelcina. Negli ultimi tre mesi di quell'anno i Superiori cappuccini, sperando di aiutarlo a risolvere i malanni fisici che lo martoriavano, gli fecero cambiare quattro conventi: Montefusco, Campobasso, Morcone e Gesualdo (Avellino).
La misteriosa malattia che lo affliggeva continuò però a costringerlo alla permanenza a Pietrelcina. Anzi Fra Pio, temendo di poter morire prima di essere divenuto sacerdote, il 22 gennaio 1910 pregò per lettera il padre Provinciale di chiedere alla Santa Sede la dispensa per anticipare l'ordinazione. Il 10 luglio la Sacra Congregazione per i Religiosi concesse il permesso, cosicché il 10 agosto di quell'anno, nella cattedrale di Benevento, fu consacrato dall'arcivescovo Paolo Schinosi. Il 14 agosto 1910 Padre Pio celebrò la prima Messa solenne a Pietrelcina e il discorso di circostanza venne tenuto da padre Agostino.
Poche settimane più tardi, l'8 settembre, gli comparvero per la prima volta le stimmate, che episodicamente si ripresentarono anche in seguito, con un acutissimo dolore, ma senza ulteriori manifestazioni esterne. La prima rivelazione di quanto gli era accaduto la fece però soltanto un anno dopo, con la lettera dell'8 settembre 1911 a padre Benedetto, il quale, comunicando la notizia al Ministro generale dell'Ordine, defini Padre Pio «un giovane sacerdote di angelici costumi». In ottobre venne condotto per due volte a Napoli, per essere visitato da valenti specialisti, che espressero pareri molto negativi sulle possibilità di sopravvivenza del giovane sacerdote, tanto che padre Benedetto lo accompagnò immediatamente nel convento di Venafro (Isernia), temendone una fine imminente. Qui Padre Pio si cibò per quasi due mesi della sola eucaristia e sperimentò tormenti diabolici ed estasi delle quali ci sono giunte sconvolgenti testimonianze scritte.
Il 7 dicembre 1911, in compagnia di padre Agostino, rientrò a Pietrelcina, dove rimase, tranne qualche rapido spostamento, per oltre quattro anni. Allo stesso padre Agostino, che gli domandava la vera ragione di quella forzata permanenza nel paese nativo, disse in seguito che il Signore gli aveva proibito di rivelare alcunché, altrimenti avrebbe «mancato di carità». Fra i molteplici malanni, si manifestò anche un forte indebolimento della vista, che lo costrinse a chiedere la facoltà di celebrare ogni giorno la Messa della beata vergine Maria o quella dei defunti - che egli conosceva a memoria - e di recitare, al posto del Breviario, quindici poste di Rosario.
Il 16 aprile 1912 sperimentò il fenomeno mistico della «fusione dei cuori» con Gesù, descrivendolo così a padre Agostino: «Non erano più due i cuori che battevano, ma uno solo. Il mio cuore era scomparso, come una goccia d'acqua che si smarrisce in un mare». Il 23 agosto 1912 senti invece il cuore trapassato da un dardo di fuoco: «Mi sembrava che una forza invisibile m'immergesse tutto quanto nel fuoco», scrisse ancora a padre Agostino Nel contempo, in numerose occasioni venne picchiato dai demoni, che cercavano anche di impedirgli il contatto epistolare con padre Benedetto e padre Agostino, macchiando i fogli scritti: ma ogni volta interveniva l'angelo custode, che glieli rendeva nuovamente leggibili. «Io non bramo punto di essere alleggerita la croce, poiché soffrire con Gesù mi è caro: nel contemplare la croce sulle spalle di Gesù mi sento sempre più fortificato ed esulto di una santa gioia», fu il suo commento.
Il 28 marzo 1913 Gesù gli apparve enormemente rattristato a causa di tanti sacerdoti che non corrispondevano al suo amore. E Padre Pio ne trascrisse lo sfogo accorato: «L'anima mia va in cerca di qualche goccia di pietà umana, ma ohimé mi lasciano solo sotto il peso della indifferenza. L'ingratitudine ed il sonno dei miei ministri mi rendono più gravosa l'agonia». Nella lunga lettera del 1° novembre 1913 descrisse a padre Benedetto lo stato del proprio spirito, immerso nella quiete, nell'assorbimento in Dio, nella meditazione della divina grandezza e della propria miseria. Poche settimane dopo, il 20 dicembre, gli chiese di intervenire presso il Ministro generale affinché potesse essergli concesso di restare ancora in famiglia, a causa delle cattive condizioni di salute. Identica sollecitazione fece, il successivo 10 gennaio, anche a padre Agostino.
Il 29 marzo 1914 ebbe inizio lo scambio epistolare con la nobildonna Raffaelina Cerase, che fu la sua prima figlia spirituale, oltre che la prima di tante anime con le quali Padre Pio mantenne per anni una fitta corrispondenza, oggi raccolta nei volumi dell'Epistolario. Il 9 giugno 1914 si recò nel convento di Morcone, per ordine del Provinciale, padre Benedetto, ma poté restarvi soltanto cinque giorni, perché i consueti malesseri lo costrinsero a ritornare a Pietrelcina. Il 25 febbraio 1915 papa Benedetto XV firmò il decreto che gli concedeva di rimanere fuori dal convento, conservando però l'abito cappuccino. Subito dopo aver ricevuto la lieta notizia, l'11 marzo, scrisse al padre Provinciale che «giacché Gesù non ne ha permesso che io consacrassi alla mia diletta madre provincia tutta la mia persona, mi sono offerto al Signore, quale vittima per i bisogni tutti spirituali di lei».
Uno stringente interrogatorio gli venne sottoposto da padre Agostino nella lettera del 30 settembre 1915, cui Padre Pio rispose il successivo 10 ottobre:
«La prima vostra dimanda è che volete sapere da quando Gesù cominciò a favorire la sua povera creatura delle sue celesti visioni. Se male non mi appongo, queste dovettero incominciare non molto dopo del noviziato. La seconda dimanda è se l'ha concesso il dono ineffabile delle sue sante stimmate. A ciò devesi rispondere affermativamente e la prima volta di quando Gesù volle degnarla di questo suo favore, furono visibili, specie in una mano, e poiché quest'anima a tal fenomeno rimase assai esterrefatta, pregò il Signore che avesse ritirato un tal fenomeno visibile. D'allora non apparsero più; però, scomparse le trafitture, non per questo scomparve il dolore acutissimo che si fa sentire, specie in qualche circostanza ed in determinati giorni. La terza e ultima vostra dimanda si è se il Signore l'abbia fatto provare, e quante volte, la sua coronazione di spine e la sua flagellazione. La risposta anche a quest'altra dimanda deve essere pure affermativa; circa il numero non saprei determinarlo, solo quello che valgo a dirne si è che quest'anima sono vari anni che ciò patisce e quasi una volta per settimana».
La prima guerra mondiale coinvolse anche Padre Pio che, il 6 novembre 1915, fu convocato al distretto militare di Benevento. Esattamente un mese più tardi venne assegnato ai servizi sanitari e inviato a Napoli. Ma il successivo 18 dicembre ottenne la licenza di convalescenza di un anno e tornò a Pietrelcina. Per tutto il periodo bellico dovette periodicamente rientrare nel Corpo militare: dal 18 al 30 dicembre 1916, dal 19 agosto al 5 novembre 1917 e dal 5 al 16 marzo 1918. Ma ogni volta fu rispedito in licenza di convalescenza, sino al definitivo congedo.
Intanto padre Agostino e padre Benedetto avevano maturato un "piano" per forzarne il rientro in convento. Il 17 febbraio 1916 Padre Pio fu invitato a recarsi a Benevento, dove, insieme con padre Agostino, prese il treno per Foggia. L'obiettivo dichiarato era quello di fargli assistere l'anima di Raffaelina Cerase, ormai in fin di vita (morirà infatti poche settimane più tardi, il 25 marzo). Ma in realtà, come gli disse esplicitamente padre Benedetto, egli avrebbe dovuto restare «vivo o morto» nel convento foggiano di Sant'Anna. Anche qui venne perseguitato da malanni fisici, da angustie spirituali e da assalti diabolici.
Per consentirgli un po' di tregua dall'afa della pianura, il 28 luglio 1916 padre Paolino da Casacalenda lo portò con sé nel convento di San Giovanni Rotondo, nel quale rimase una decina di giorni. Rientrato a Foggia, chiese al Provinciale padre Benedetto «di mandarmi a passare un po' di tempo in San Giovanni, dove Gesù mi assicura che starò meglio». Il 4 settembre avvenne, con l'incarico di direttore spirituale del seminario serafico, il definitivo ritorno a San Giovanni Rotondo, da cui fino alla morte si allontanò, oltre che per le chiamate militari, pochissime volte, fra cui tre nel 1917: il 3 gennaio andò in pellegrinaggio nel santuario della Madonna del Rosario a Pompei, dal 14 al 23 maggio fu a Roma per l'ingresso della sorella Graziella fra le suore Brigidine, il 1° luglio si recò con i giovani studenti cappuccini al santuario di San Michele arcangelo sul Gargano.
Fra aprile e maggio 1918 stette per un mese nel convento di San Marco la Catola, per potersi confrontare con padre Benedetto e padre Agostino a riguardo della direzione spirituale delle anime che gli venivano affidate. Rientrato a San Giovanni Rotondo, il 30 maggio si offri vittima al Signore affinché si concludesse la prima guerra mondiale, lo stesso scopo per il quale Benedetto XV aveva chiesto a tutta la Chiesa preghiere e sacrifici. In quella circostanza sperimentò il fenomeno che descrisse a padre Benedetto come la «dura prigione»: «Mi sentii stretto da durissimi ceppi, e mi sentii subito venir meno alla vita Da quel momento mi sento nell'inferno, senza alcuna sosta nemmeno per un istante».
Nella serata del 5 agosto 1918, mentre stava confessando i ragazzi del seminario, vide dinanzi a sé un personaggio celeste che lo trafisse nell'anima con una lamina di ferro dalla punta ben affilata e infuocata. Il martirio della trasverberazione durò fino alla mattina del 7 agosto. Da quel giorno, scrisse a padre Benedetto due settimàne più tardi, «sento nel più intimo dell'anima una ferita che èsempre aperta, che mi fa spasimare assiduamente». Il 20 settembre, mentre si trovava in coro per il ringraziamento dopo la Messa, lo stesso misterioso personaggio gli apparve con mani, piedi e costato sanguinanti. Subito dopo, anche Padre Pio si ritrovò sul corpo le stimmate della Passione di Cristo, sentendo nel proprio interno «un continuo rumoreggiare, simile ad una cascata, che gitta sempre sangue». A metà dicembre, dopo una nuova apparizione del personaggio celeste, avverti inoltre «una cosa simile ad una lamina di ferro che dalla parte bassa del cuore si estende sino a sotto la spalla destra in linea trasversale. Mi causa dolore acerbissimo e non mi lascia prendere un po' di riposo».
Il 9 maggio 1919 venne pubblicata la prima notizia giornalistica relativa alle stimmate di Padre Pio, che venne ripresa da altri quotidiani, innescando un pellegrinaggio di fedeli verso San Giovanni Rotondo. I Superiori cappuccini decisero allora di far visitare il confratello dai medici Luigi Romanelli (15-16 maggio), Amico Bignami (26 luglio) e Giorgio Festa (9 ottobre), che espressero pareri contrastanti. Il 18 aprile 1920 giunse a San Giovanni Rotondo padre Agostino Gemelli, che chiese di vedere le stimmate, ma non poté farlo perché non aveva la prescritta autorizzazione. Ciò nonostante, il giorno dopo scrisse un rapporto per il Sant'Offizio, dando un giudizio negativo sia sul frate che sulla sovrannaturalità delle piaghe.
Il Sant'Offizio, che già da tempo seguiva attentamente la vicenda, il 26 aprile 1921 incaricò il vescovo Raffaele Rossi di svolgere una visita apostolica, che durò fino alla primavera dell'anno seguente. Monsignor Rossi rimase favorevolmente impressionato da Padre Pio, ma non apprezzo la direzione spirituale attuata da padre Benedetto e il fanatismo di alcune devote del cappuccino. Il 2 giugno 1922 il Sant'Offizio ordinò dunque che venisse interrotta ogni relazione, anche epistolare, fra padre Benedetto e Padre Pio, il quale doveva anche essere trasferito in un convento remoto. I fedeli del paese, venuti a conoscenza ditale provvedimento, insorsero e riuscirono a far sospendere l'iniziativa.
Il successivo 21 luglio fu riferito al Sant'Offizio che fra i cappuccini di San Giovanni Rotondo erano scoppiati «litigi e percosse a sangue con armi bianche e da fuoco» per disaccordi sulla ripartizione delle offerte pervenute a Padre Pio. La gravissima accusa spinse il Sant'Offizio a chiedere al Ministro generale dell'Ordine di svolgere un' accurata inchiesta. Il 29 luglio il cappuccino Celestino da Desio, dopo una settimana di permanenza a San Giovanni Rotondo, riferì che le notizie erano completamente false, come gli era stato confermato anche dal maresciallo dei carabinieri. A inventarle e diffonderle erano fra l'altro alcuni sacerdoti del luogo, invidiosi per l'affluenza di fedeli al convento.
Una dura presa di posizione venne resa nota dal Sant'Offizio il 31 maggio 1923, affermando che non sussisteva sovrannaturalità nei fatti attribuiti a Padre Pio ed esortando i fedeli a conformare i propri atti a tale dichiarazione. Il 17 giugno successivo il padre Guardiano del convento di San Giovanni Rotondo ricevette due secchi ordini dello stesso Sant'Offizio, da comunicare al confratello: «Non celebri più in pubblico e ad ora fissa, ma dica la santa Messa nella cappella interna del convento, non permettendo a persona di assistervi. Non risponda più, né per sé, né per altri, a quelle lettere che gli vengono indirizzate da persone devote per consigli, per grazie e per altri motivi». Ma una nuova sommossa popolare fece revòcare l'imposizione e riuscì a impedire il trasferimento del Padre, che era stato ancora sollecitato con un ordine del 30 luglio.
Il clima si era però fatto incandescente. Il 10 agosto, al termine della benedizione eucaristica, un giovane minacciò Padre Pio con una rivoltella, dicendogli: «Meglio morto per noi che vivo per gli altri». E il 15 agosto alcuni fascisti armati intimarono al padre Guardiano di non spostarlo da San Giovanni Rotondo. Preoccupato per tali eventi, il Padre scrisse una sorta di testamento spirituale, nel quale fra l'altro diceva: «Ho ben ragione di supporre la mia fine fatale [...]. Chiunque sia che effettua un tale mal progettato disegno, voglio che le autorità civili e giudiziarie non applichino contro costui o costoro le pene sanzionate dal codice penale. Non voglio che venga torto un capello per causa mia, sia pure occasionale, a chi che sia. Ho sempre amato tutti, ho sempre perdonato, e non voglio scendere nella tomba senza aver perdonato anche chi vorrà porre termine ai miei giorni»
Dopo una pausa di qualche mese, durante la quale padre Celestino da Desio venne nuovamente inviato a ispezionare le comunità cappuccine di Foggia e di San Giovanni Rotondo, il 24 luglio 1924 il Sant'Offizio ammonì «con più gravi parole i fedeli di astenersi dal mantenere qualunque relazione, sia pure epistolare, a scopo di devozione con Padre Pio». Con l'inaugurazione, nel gennaio 1925, del piccolo ospedale «San Francesco d'Assisi» si manifestava intanto il primo frutto concreto dell'azione sociale del Padre. 1115 luglio 1925 giunse al Provinciale di Foggia l'ordine del Sant'Offizio di inviare ogni due mesi una relazione sulla vita di Padre Pio.
Nell'aprile 1926 entrò nuovamente in campo padre Agostino Gemelli, cui fu affidato l'esame su una relazione che il dottor Giorgio Festa aveva inviato al Sant'Offizio. Il suo giudizio fu pesante:
«Padre Pio presenta le note caratteristiche di una deficienza mentale di grado notevole, con conseguente restringimento del campo della coscienza». Di qui scaturi il consiglio di isolarlo per alcuni mesi, in un luogo adatto, sotto la sorveglianza di un medico capace. Il Sant'Offizio non ritenne opportuno attuare tale suggerimento, ma, l'lì luglio 1926, rinnovò ai fedeli il dovere «di astenersi dall'andare a visitarlo, o mantenere con lui relazioni anche semplicemente epistolari».
Nel frattempo cominciavano a farsi numerose anche le segnalazioni al Sant'Offizio relative al comportamento dei più tenaci accusatori di Padre Pio: l'arcivescovo di Manfredonia, Pasquale Gagliardi, e alcuni sacerdoti di San Giovanni Rotondo. Monsignor Felice Bevilacqua (marzo-aprile 1927) e monsignor Giuseppe Bruno (maggio-giugno 1928) vennero inviati per appurare la verità e, in seguito alle loro inchieste, monsignor Gagliardi fu costretto alle dimissioni, il 1~ ottobre 1929. Intanto Padre Pio, il 3 gennaio 1929, era stato rattristato dalla morte della mamma, in quei giorni ospitata in casa di Maria Pyle, la cosiddetta "americana" che fu una delle più devote figlie spirituali del cappuccino.
Anche il temporaneo successore del vescovo Gagliardi, l'amministratore apostolico Alessandro Macchi, risultò però prevenuto sul conto di Padre Pio, tanto da sollecitare anch'egli al Sant'Offizio il trasferimento del Padre. Le consuete questioni di ordine pubblico ne sconsigliarono ancora una volta l'esecuzione, ma il Sant'Offizio, con il provvedimento del 13 maggio 1931, adottò comunque una drastica decisione: Padre Pio avrebbe dovuto celebrare da solo, nella cappella interna del convento, a partire dal successivo lì giugno, smettendo anche di confessare i fedeli. Soltanto due anni più tardi, il 16 luglio 1933 - dopo un'ulteriore visita apostolica dei monsignori Felice Bevilacqua e Luca Pasetto - Padre Pio tornò a celebrare la Messa in pubblico, ma dovette attendere il 1934 per riprendere a confessare gli uomini (25 marzo) e le donne (12 maggio).
Il 13 giugno 1935 giunse in visita canonica a San Giovanni Rotondo il Ministro generale cappuccino Virgilio da Valstagna. Qualche settimana più tardi, il 10 agosto, numerosi fedeli presero parte alla celebrazione per il venticinquesimo di sacerdozio di Padre Pio, che si svolse in un clima di serenità e senza manifestazioni esterne. Il 29 agosto 1936, su sollecitazione di Roma, il Provinciale inviò due nuovi ordini al Guardiano del convento: proibire a tutti i borghesi di entrare per qualsiasi motivo nella cella di Padre Pio e tenere chiuse sotto chiave le pezzuole già utilizzate dal Padre per asciugarsi le piaghe.
Monsignor Andrea Cesarano, che era stato nominato nel 1931 arcivescovo di Manfredonia, il 7 ottobre 1939 benedisse, alla presenza anche di Padre Pio, la Via Crucis eretta lungo la strada di collegamento fra il paese e il convento. Nel gennaio 1940, due anni dopo il terremoto che aveva fatto crollare l'ospedale intitolato a san Francesco, si formò il comitato promotore della nuova clinica, sin da allora definita da Padre Pio «Casa Sollievo della Sofferenza». Il 21 aprile 1941, dietro richiesta del nuovo Ministro generale cappuccino padre Donato da Welle, il Sant'Offizio concesse a Padre Pio la facoltà di confessare in chiesa anche nelle ore pomeridiane. Negli anni della seconda guerra mondiale erano infatti moltissimi i militari, di ogni nazionalità, che giungevano a San Giovanni Rotondo per incontrarlo e per riceverne una parola di conforto e di speranza. In particolare il 6 gennaio 1944 Padre Pio celebrò una Messa solenne che venne cantata dai soldati statunitensi.
In occasione del referendum su monarchia o repubblica del 2 giugno 1946, scese in paese per esprimere il proprio voto (da allora Padre Pio partecipò a tutte le tornate elettorali). Il 5 ottobre di quell'anno sì costituì la società per azioni per la costruzione e la gestione della Casa Sollievo della Sofferenza. Il 7 ottobre mori, sempre in casa di Maria Pyle, Grazio Forgione, il padre del cappuccino, il quale poté assisterlo amorevolmente negli ultimi giorni di vita. Il 16 maggio 1947 venne posata la prima pietra dell'erigenda clinica e, tre giorni dopo, cominciarono i lavori di sbancamento della montagna. Il 21 giugno 1948 fu approvato dall'UNRRA, organismo assistenziale delle Nazioni Unite, uno stanziamento di 400 milioni di lire in favore della clinica (ma 150 milioni vennero incamerati senza spiegazioni dal Governo italiano).
L'11 settembre 1948, sul bollettino della Casa Sollievo, furono fatti i primi accenni ai Gruppi di preghiera, sorti spontaneamente tra i figli spirituali di Padre Pio sin dai primi anni Quaranta per rispondere all'appello rivolto a tutti i cattolici da papa Pio XII nelle tristi circostanze della guerra. Nel 1950 fu fatta una più pressante sollecitazione affinché i Gruppi di preghiera si costituissero nel maggior numero possibile di parrocchie. Intanto, l'enorme afflusso di penitenti nella chiesetta del convento creava continuamente problemi di precedenza nel turno delle confessioni, con conseguenti schiamazzi e litigi. A partire dal 7 gennaio 1950 si istitui dunque per le donne il registro delle prenotazioni.
Il 3 agosto 1952 il quotidiano della Santa Sede L'Osservatore Romano pubblicò il decreto con cui il Sant'Offizio dichiarava «proibiti» otto libri su Padre Pio, pubblicati a partire dal 1948. Pio XII, che non era stato informato dell'iniziativa, si irritò e diede ordine di precisare, sullo stesso giornale, che «la dichiarazione non implica una condanna della persona del Padre Pio e nemmeno delle persone degli autori dei libri stessi». Nel contempo, dalla Segreteria di Stato vaticana fu inviata al Sant'Offizio una lettera in favore del Padre, «affinché possa svolgere indisturbato il suo ministero sacerdotale». Il 22 gennaio 1953, per festeggiare solennemente il cinquantesimo della vestizione religiosa di Padre Pio, giunse a San Giovanni Rotondo anche il Ministro generale Benigno da Sant'Ilario Milanese.
A partire dal 6 giugno 1954, Padre Pio cominciò in alcune circostanze a celebrare la Messa all'aperto, sul piazzale antistante la chiesetta, che ormai era troppo piccola per contenere i tanti fedeli (pochi mesi più tardi se ne iniziò l'ampliamento). Il 26 luglio si recò a benedire il poliambulatorio della Casa Sollievo. Il successivo 25 agosto il Ministro generale cappuccino eresse canonicamente la congregazione laicale del Terz'Ordine francescano di Santa Maria delle Grazie, cui fu in seguito affidata la gestione amministrativa della clinica. Il 30 giugno 1955 l'associazione ottenne anche il riconoscimento della personalità giuridica dal Presidente della Repubblica. Successivamente furono aperti la cooperativa di consumo «San Francesco d'Assisi» (17 dicembre 1955) e il centro assistenziale «Santa Maria delle Grazie» (4 marzo 1956). L'inaugurazione ufficiale della Casa Sollievo della Sofferenza fu tenuta il 5 maggio 1956 e, il 10 maggio, venne ricoverato il primo ammalato.
1117 dicembre 1956 si inaugurarono le scuole materne «Santa Maria delle Grazie» e «San Francesco d'Assisi». Celebrando il primo anniversario della Casa Sollievo, il 5 maggio 1957, Padre Pio lanciò nuove sfide, annunciando che la struttura avrebbe dovuto triplicare il numero dei letti e sarebbe dovuta diventare «tempio di preghiera e di scienza» e «centro di studi intercontinentale». Altre due opere sociali ispirate dal cappuccino vennero inaugurate il 26 gennaio 1958: la scuola materna «Pace e Bene» e il centro di addestramento professionale «San Giuseppe Artigiano». Con una lettera del 4 marzo 1958 il Ministro generale comunicò alla Segreteria di Stato vaticana che l'Ordine cappuccino non si sentiva preparato per dirigere la Casa Sollievo, cosicché la gestione formale continuò a essere esercitata da Padre Pio, tramite l'amministratore Angelo Battisti. Il successivo 16 luglio il Padre benedisse la prima pietra della nuova ala della clinica.
Il 25 aprile 1959 Padre Pio si ammalò di broncopolmonite, ma la malattia si aggravò e divenne una pleurite che per tre mesi lo costrinse a sospendere più volte l'attività sacerdotale. Il 10 luglio venne consacrata la nuova chiesa del convento, dedicata a Santa Maria delle Grazie, con l'intervento del cardinale Federico Tedeschini che il giorno successivo incoronò l'immagine della Madonna. Il 6 agosto giunse a San Giovanni Rotondo la statua della Madonna di Fatima, che percorreva l'Italia per la Peregrinatio Mariae. Il giorno dopo, proprio mentre l'elicottero che trasportava la statua volteggiava in cielo per dirigersi verso la tappa successiva, Padre Pio rivolse alla Vergine una preghiera e si ritrovò completamente guarito dal malanno, tanto da poter riprendere immediatamente a celebrare Messa e a confessare. 1112 settembre a Catania, nell'occasione delle celebrazioni conclusive del Pellegrinaggio mariano e del Congresso eucaristico, si tenne il primo convegno nazionale dei Gruppi di preghiera, dei cui risultati Padre Pio si dichiarò molto soddisfatto.
Il 1960 fu probabilmente l'anno più duro per il Padre. Il 13 febbraio il Definitore generale cappuccino, padre Bonaventura da Pavullo - che nelle settimane precedenti aveva svolto un sopralluogo a San Giovanni Rotondo - presentò al Sant'Offizio una relazione nella quale polemizzava contro l'amministratore Battisti e stigmatizzava il «dannoso influsso» esercitato su Padre Pio e sulla gestione della Casa Sollievo dalle cosiddette «pie donne»:
Cleonice Morcaldi, Caterina Giostrelli Telfner e Clementina Belloni. Il 14 aprile intervenne anche il Ministro generale, padre Clemente da Milwaukee, che supplicò papa Giovanni XXIII di inviare un visitatore apostolico per indagare sulla situazione del convento e della clinica, anche a proposito dell'utilizzo delle offerte che pervenivano alle due strutture.
Intanto a San Giovanni Rotondo erano presenti monsignor Mario Crovini e monsignor Umberto Terenzi i quali, all'insaputa l'uno dell'altro, svolsero, fra aprile e giugno, un'indagine su Padre Pio. Ambedue riferirono ai vertici del Sant'Offizio, il cardinale Alfredo Ottaviani e monsignor Pietro Parente. In particolare monsignor Terenzi rese note le accuse di immoralità rivolte a Padre Pio dalla figlia spirituale Elvira Serritelli e trasmise al Sant'Offizio i nastri delle registrazioni che aveva effettuato nel convento con l'aiuto di alcuni frati. Per accertare la verità, il 13 luglio monsignor Carlo Maccari venne nominato visitatore apostolico, con l'incarico di «regolare alcuni aspetti del funzionamento del convento dei Frati minori cappuccini di Santa Maria delle Grazie in San Giovanni Rotondo e della Casa Sollievo della Sofferenza, nonché di tutte le associazioni e opere dipendenti dai due enti soprannominati».
Monsignor Maccari giunse a San Giovanni Rotondo il 30 luglio e rientrò provvisoriamente a Roma il 6 agosto per riferire le sue impressioni e «per non turbare, con la sua presenza, la celebrazione del cinquantesimo di Messa di Padre Pio». Il 10 agosto, in occasione della fausta ricorrenza, numerosi devoti giunsero nel paese, per un festeggia-mento che fu molto sobrio. Il 16 agosto monsignor Maccari tornò a San Giovanni Rotondo e vi rimase per un'altra quarantina di giorni, durante i quali interrogò moltissime persone, compresi Padre Pio e il commendator Battisti. Il 5 novembre consegnò al Sant'Offizio il frutto ditale lavoro: una relazione di 208 pagine, più due cartelle di documenti.
Il 31 gennaio 1961 il cardinale Ottaviani firmò la lettera che rendeva definitivi alcuni provvedimenti imposti dal visitatore apostolico, quali il rispetto della distanza fra il confessionale di Padre Pio e i fedeli in attesa per la confessione, il divieto a devo-ti e devote di San Giovanni Rotondo di recarsi con assiduità al confessionale del Padre, l'inibizione a Padre Pio di ricevere donne da solo nel parlatorio del convento o altrove. Inoltre i Superiori cappuccini venivano sollecitati a ricondurre il Padre alla regolare osservanza conventuale, a vietare a sacerdoti e vescovi di servire la sua Messa, a variare per quanto possibile l'orario della sua celebrazione.
In febbraio un inviato del Sant'Offizio, monsignor Paolo Philippe, tornò a interrogare Padre Pio sulle accuse di immoralità e ne ascoltò l'amaro sfogo: «Tutto questo è una montatura, niente di vero. Come si può credere a questo, quando dico e ripeto che mai ho baciato neppure mamma mia». La relazione di monsignor Philippe fu molto severa, proponendo fra l'altro il trasferimento di Padre Pio, che però non venne ratificato dalla Plenaria del Sant'Offizio. In ogni caso poche settimane più tardi, il 24 aprile 1961, una nuova lettera, firmata questa volta da monsignor Parente, ribadiva le disposizioni precedenti e ordinava che «Padre Pio celebri la Messa in mezz'ora o al massimo in quaranta minuti e venga invitato ad ottemperare a questa regola in virtù dell'ubbidienza religiosa e, nel caso di una deprecabile inadempienza, non si escluda l'uso delle pene canoniche». Bisogna comunque dire, a onor del vero, che nel 1969 monsignor Philippe dichiarerà di ritenere «troppo severa la mia relazione sulla missione a San Giovanni Rotondo, avendo allora dato troppa fiducia alle denunzie formali e troppo peso al giudizio di monsignor Maccari».
In novembre il Ministro generale si recò in visita a San Giovanni Rotondo, dove comunicò a Padre Pio che la Santa Sede aveva giuridicamente costituito la Casa Sollievo della Sofferenza fra le Opere di Religione, lasciandone comunque la direzione al Padre. Il 20 gennaio 1962 Padre Pio ricevette la facoltà di recitare il Rosario al posto del Breviario, che non riusciva più a leggere a causa di notevoli problemi alla vista. A partire da quell'anno cominciarono ad andare a trovarlo molti vescovi, giunti da tutto il mondo a Roma per partecipare ai lavori del Concilio Vaticano Il, le cui testimonianze edificanti contribuirono notevolmente alla fama mondiale del cappuccino.
Soltanto nel 1963, dopo la morte di Giovanni poté celebrare, a causa di un grave stato di malessere. Il 22, alle ore 5, celebrò la sua ultima Messa, al termine della quale ebbe un forte collasso. Ciò nonostante, poco dopo provò a recarsi al confessionale, ma dovette rientrare in cella per le pessime condizioni fisiche. Alle 10.30 e alle 18 riuscì comunque a benedire i fedeli che si trovavano nella chiesa e sul piazzale antistante. In nottata la situazione si fece sempre più critica e, nonostante il pronto intervento di alcuni medici, alle 2.30 del 23 settembre 1968 Padre Pio mori con la corona del Rosario in mano e con l'ultima invocazione dei nomi di Gesù e di Maria. Il pellegrinaggio dei devoti dinanzi alla sua bara proseguì fino a mezzogiorno del 26 settembre. Alle 15.30 parti il corteo funebre e alle 19 fu celebrata la Messa solenne. Alle 22 avvenne la sepoltura nella cripta della chiesa di Santa Maria delle Grazie, che era stata benedetta appena il giorno precedente.
Sin dal 4 novembre 1969 il Postulatore generale cappuccino chiese l'apertura del processo di canonizzazione del Padre. Ma la Congregazione per la Dottrina della fede negò per ben tre volte il necessario nulla-osta: il 16 febbraio 1972, il 6 luglio 1974 e il 28 maggio 1976. Finalmente, dopo un intervento personale di papa Giovanni Paolo Il, l'11novembre 1980 giunse il sospirato permesso, cui segui, il 29 novembre 1982, l'analoga autorizzazione della Congregazione per le Cause dei santi. Il 20 marzo 1983 si poté dunque aprire il processo diocesano sulla vita e le virtù di Padre Pio, che si concluse il 21 gennaio 1990, con la partecipazione di 69 testimoni processuali e 10 extraprocessuali.
Dopo il parere favorevole della Consulta teoica, il 18 dicembre 1997 papa Wojtyla firmò il decreto sulle virtù eroiche di Padre Pio, dichiarandolo venerabile. In seguito al riconoscimento del miracolo ricevuto dalla signora Consiglia De Martino, il 2 maggio 1999 Giovanni Paolo Il ha presieduto la cerimonia di beatificazione, stabilendo che la festa liturgica di Padre Pio fosse collocata in calendario il 23 settembre. L'ulteriore miracolo, accaduto al bambino Matteo Pio Colella, ha permesso la canonizzazione del cappuccino, celebrata sempre da Giovanni Paolo Il il 16 giugno 2002.
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