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L'Epopea degli Achei dalle steppe dell'Eden al Cavallo di Troia

«Noi, cui Zeus donò che di giovinezza a vecchiaia dipanassimo il filo d’aspre guerre, finché a uno a uno moriamo!» (Odisseo, Iliade XIV, 85-87)

 MGCorsini, 27 novembre 2006 - Tutti i diritti riservati

 

Dall'ultimo lavoro pubblicato su questo sito il 2 novembre sto vivendo, proprio così, la stessa eccitazione che provai 22 anni fa quando per primo riuscii a gettare uno sguardo all'interno dell'Apoteosi di Radamanto sul Disco di Festo. Fui e sono considerato un intruso nella loro riserva di caccia dai cosiddetti "addetti ai lavori", tanto "addetti ai lavori" che le più grandi scoperte dell’archeologia e dell’epigrafia appartengono a gente come me che se voleva conoscere qualcosa degli antichi se l’è dovuta scoprire da solo. Sfoggiando  una sfilza di titoli che nemmeno un hidalgo spagnolo, col cappello di Indiana Jones sempre incollato in testa (perché se no chi potrebbe prenderli per archeologi?) esaminano   alla lente d'ingrandimento gigantografie del Disco di Festo come l’ultimo arrivato  cacciatore dotato dell’ultimo modello di carabina con tanto di mirino telescopico attende al varco di una morte sicura al 100% il povero leone vecchio e stanco della savana. E intanto, con tutte le loro cattedre e titoli altisonanti, nessuno di loro, nessuno, in 22 anni, s'è accorto che ero riuscito a decifrare questo documento a dir loro indecifrabile. Qualcuno addirittura ci ha anche ironizzato sopra e per scritto. Ventidue anni fa  avevo 30 anni e una conoscenza generica dell'archeologia, di tutta l'archeologia senza distinzioni, che coltivavo come hobby fin dalle scuole medie, quando per la prima volta acquistai un'edizione riassunta degli scavi di Shliemann, La scoperta di Troia, della Einaudi. Avevo anche un'esperienza di una quindicina d'anni di analisi strutturale del testo del Disco di Festo e in testa due chiare ipotesi di lavoro, la lettura dal centro verso l'esterno e sulla base del greco, che avevo studiato al liceo classico. Dal dicembre 1984 ad oggi ho divorato libri su libri e  i miei lavori sui miei siti danno solo un’idea del mio bagaglio culturale archeologico, storico, epigrafico, linguistico. Eppure, oggi che mi reputo uno specialista in attesa di un istituto, che mi venga affidato magari da un mecenate, come allora mi sembra di trovarmi di fronte ad un mondo nuovo che mi si spalanchi rapidamente e caoticamente davanti agli occhi tanto che non faccio in tempo a rielaborare ipotesi e idee che altro materiale si accatasta davanti a me in attesa di risposte. Così oggi, non più all’Istituto per gli Studi Micenei ed Egeo-Anatolici di Roma come il dicembre di 22 anni fa, non più al mondo dei “cosiddetti” “addetti ai lavori”, ma a tutte/i coloro che conoscono per propria cultura il greco antico e la civiltà minoico-micenea, la civiltà egizia ecc., anche avendo studiato all’Università ed essendo professori, e non avendo nessuna rivalità di principio nei miei confronti perché mai si sono nemmeno lontanamente sognati di mettersi a fare i decifratori di scritture scomparse, a costoro, che mi leggono liberamente e democraticamente grazie alla più libera e democratica invenzione che mai l’uomo potesse invocare, grazie a internet, io annuncio che il mio prossimo obiettivo sarà di celebrare il centenario della scoperta del Disco di Festo, cioè il 3 luglio 2008 (manca un anno e mezzo),  ridestando dal loro millenario sonno tutti i personaggi della leggenda greca e della tradizione veterotestamentaria che potrò. Ne ho già ridestati un buon numero, e di eccellenti, e continuerò a farlo  con o senza un istituto di ricerca da me diretto, come ho fatto del resto finora.

Cosa è successo di così travolgente? Finora mi ero sostanzialmente limitato a lavorare intorno all'Apoteosi di Radamanto sul Disco di Festo e al  Sarcofago di Haghia Triada, stabilendo finalmente una cosa importante, e cioè che questi due documenti di eccezionale valore ricordano lo stesso rituale di deificazione di Radamanto/Amenofi III e pertanto vanno entrambi datati al 1348 a C. (in base alla buona cronologia egizia di cui dispongo attualmente e che se del caso sostituirò quando mi sarà possibile, ad esempio quando qualcuno mi affiderà un istituto di ricerca, con una eventualmente più aggiornata e precisa). Il passo successivo è stato quello di indagare su tutti i personaggi protagonisti diretti della cerimonia di deificazione o menzionati indirettamente. E' tornata allora alla mia memoria l'identificazione che Ahmed Osman ha fatto, genialmente, di Yuya, signore della guerra di origini hyksos, di pelle nera e capelli biondi, viceré d'Egitto sotto Tuthmosi IV e Amenofi III, con Giuseppe patriarca ebreo. Avevo già accolto con entusiasmo questa identificazione in altri lavori sul mio sito ma l'avevo persa di vista man mano che la mia datazione dell'Apoteosi sembrava allontanarsi da questo periodo storico. Ora invece potevo identificare Yuya anche con Minosse. Avevo anche compreso dai miei studi sui poemi omerici e sull'Antico Testamento che la tradizione greca fino alla guerra di Troia (Apollodoro) e quella veterotestamentaria fino a 1 Samuele sono indipendenti e parallele, cioè raccontano dai rispettivi punti di vista, fin  dalle origini, la storia del medesimo popolo indeuropeo (o comunque in gran parte indeuropeo), partito da un'area fra Mar Nero e Mar Caspio. Raccontano, come si possono educare  i giovani alle tradizioni patrie, attraverso storie romanzate che tanto somigliano a favolette (e del resto, a distanza di tanto tempo, e attraverso una tradizione orale, nemmeno i sacerdoti o i dotti più istruiti, giudicati dal nostro punto di vista, ne sapevano molto di più e di meglio di quel che raccontavano e di come lo raccontavano),  poi raccolte e messe per scritto in un tempo in cui non si aveva la  capacità storica critica di vagliare i fatti reali da quelli spuri aggiuntisi nei racconti da una generazione all'altra. Gli Ebrei hanno complicato le cose aggiungendo alla loro storia una storia fittizia che li facesse risultare più antichi delle piramidi e tuttora il calendario ebraico porta una data risibilmente vetusta. Platone, che ha scritto dopo Ezra (età di Pericle), ha fatto tesoro di questa politica di indottrinamento nella sua trilogia Repubblica, Timeo e Crizia. Tuttavia mentre i Greci, come ben  dissero i sacerdoti egizi a Erodoto,  hanno subìto troppe catastrofi per ricordare bene, gli Ebrei (parlo di Ebrei in senso molto improprio, come del resto di Greci)  ricordano molto meglio, probabilmente perché durante l'esilio babilonese hanno avuto accesso ad archivi illuminanti in proposito, anche se di quel che dicono va fatta la tara dalle pesanti manipolazioni operate per i propri fini politico-religiosi dalla ierocrazia del Secondo Tempio.

Il passo successivo è stato semplice (difficile o comunque complessa è solo la rielaborazione del ricco materiale finalmente accessibile all'analisi) e questo è il quadro che ne è venuto fuori e che potrò  perfezionare in futuro tanto meglio se avrò a disposizione un istituto tutto mio e potrò affidare ai miei assistenti la ricerca mirata, mentre io magari potrò dedicarmi alla decifrazione di altre scritture che attendono disperatamente un decifratore competente.

 

Costumanze pittoresche

Sotto l’impero dei patriarchi, ad esempio Abramo (Gen. 24,2ss) e Giacobbe (Gen. 47,29ss), è usanza  porre la mano sotto la coscia di colui cui si presta giuramento. E' un uso curioso. Facendo tesoro di “La sessualità maschile” di Ida Magli (Mondadori) potrei direi che c’è un evidente richiamo al  fallo, intorno a cui particolarmente gravita la religione giudeo-cristiana, il potere maschile, massima potenza in terra,  riflesso della massima potenza del pene del Tornado Toro-celeste di dio che spazza/scopa la steppa, la terra intera, di cui è unico ed incontrastato ed incontrastabile Signore. Come scrive la Magli, “il pene è”, dunque giurare per il pene, soprattutto per il pene del capo-clan, Abramo o Giacobbe, è la stessa cosa che giurare per il pene di dio. Il silenzio che avvolge il pene da sempre (fino al lavoro della stessa Magli) è lo stesso silenzio “tremendo e numinoso” che avvolge la potenza innominabile di dio, che infatti gli ebrei non citano mai o citano solo con le quattro consonanti del tetradramma senza darne la pronunzia, che in ogni caso va da Giavè a Gèova ma sempre Giove è. Dunque, per i nomadi dell’impero dei patriarchi, porre la mano sotto la coscia del patriarca era il massimo giuramento possibile (come passare sotto l’arco di trionfo del vincitore o sotto le forche Caudine), la sottomissione assoluta al sommo potere. Ma non è stato questo il primo pensiero suscitatomi dai relativi versetti. Ho ritenuto che mettere la mano sotto la coscia di qualcuno potesse essere la costumanza di un popolo di cavalieri. Da non molto avevo letto tutta la Storia d’Italia di Montanelli e mi sono ricordato del passo sugli Unni descritti da Ammiano Marcellino che mi sono  riletto sull’originale: « Gli Unni sono a malapena menzionati negli annali, e solo come razza selvaggia sparpagliata al di là delle paludi Meotiche [della Scizia, ad est del Mar Caspio], sulle rive del mare glaciale, e d'una ferocia oltre ogni immaginazione... crescono ed invecchiano imberbi, simili ad eunuchi. Ma hanno tutti membra compatte e salde e testa voluminosa... Le loro abitudini sono rozze al par del loro aspetto. Difatti non cuociono né salano  i cibi, ma si nutrono di radici selvatiche o della carne cruda del primo animale che trovano, che frollano per un po' al caldo mettendola tra le loro gambe ed il dorso del cavallo... Vivono vagando tra i boschi e le montagne, induriti alla fame, alla sete, al freddo... Si fanno una specie di tunica di tela o con pelli di animali cucite insieme, che serve loro in ogni occasione, né la smettono mai se non quando cade a pezzi. Si coprono la testa con cappelli a tese rialzate, e circondano di pelli di capra le loro gambe irsute, il che li ingombra nel camminare e li rende poco adatti a combattere a piedi. Ma li diresti  incollati ai cavalli [aggiungo io, hanno l'aspetto da Fauno dei butteri maremmani d'altri tempi descritti dal Lawrence, e dei Centauri della conservatrice tradizione tessala], che son brutti ma vigorosi. Gli Unni attendono ad ogni sorta di faccende senza scender da cavallo, seduti talvolta alla maniera delle donne. A cavallo giorno e notte, non metton piede a terra né per bere, né per mangiare, né per dormire, perché dormono chini sul magro collo delle loro cavalcature... e sempre a cavallo deliberano gli interessi della comunità. L'autorità di un re è loro sconosciuta [vedi il rapporto fra Achille ed Agamennone nonché l'indisciplina dell'esercito cui deve por riparo Odisseo bastonandolo con lo scettro di Agamennone], ma seguono tumultuosamente il capo che li mena in battaglia. Quando sono attaccati, si dividono in bande e irrompono sul nemico lanciando grida spaventose. A gruppi o dispersi, caricano e fuggono con la rapidità del lampo... Nessuno di loro ara o zappa la terra. Tutti vagano senza casa, senza famiglia, senza leggi, rifuggendo da ogni cosa stabile, come se fuggissero continuamente su quei carri che son la loro abitazione, dove le donne tesson quegli orrendi abiti e partoriscono e nutrono fanciulli fino alla pubertà. Nessuno di loro potrà mai dire qual sia la sua stirpe, dove sia stato concepito, dove sia nato, né tanto meno educato... Incostanti al par di bestie brute, non hanno il minimo senso dell'onesto e del disonesto... [come i patriarchi ebrei e Odisseo prima di essersi purgato attraverso le sue peregrinazioni  nell'aldilà] Non adorano niente, non prestano credenza a niente, non vedono che l'oro. Sono d'umore mutevole e instabile, al punto che un'associazione tra di loro può rompersi senza nessuna provocazione e, nel corso della stessa giornata, riannodarsi senza nessuna mediazione. » (Rerum gestarum, 31,2)

 

I popoli della steppa

Ne Gli Slavi di Francis Conte, della Einaudi, si legge che « la « steppa », continuazione diretta dei pascoli dell'Asia, fu il tramite, l'itinerario naturale delle ondate di cavalieri turchi e mongoli alla volta delle pianure europee... Questo asse percorso dalle migrazioni da Oriente a Occidente formato dalla steppa eurasiatica, questo continuum  proteso fra la Cina e l'Iran, fra l'Asia centrale e l'Europa orientale, assomiglia a un oceano. Analizzandone la funzione, lo storico George Vernadsky ha fatto notare: « La steppa può essere paragonata a un mare, sia sotto il profilo bellico che commerciale. I distaccamenti mobili della cavalleria nomade funzionavano come altrettante squadre navali. E le carovane erano la marina mercantile della zona delle steppe. »» (p. 279) E ancora: « I grandi imperi nomadi, seppure dotati di un centro vitale fatto di uomini e di cavalli nel cuore stesso delle steppe, non potevano limitarsi al solo dominio delle pianure erbose. Per motivi strategici ed economici, era loro necessario estendere il proprio controllo in direzione delle foreste del Nord nonché delle montagne che segnavano i confini o che garantivano soste più sicure. Dovevano quindi permettere ̶̶  e perfino incoraggiare  ̶  l'attività colturale delle tribù sedentarie insediate al limite della steppa; popoli dei quali facevano sudditi docili che fornivano loro grano per il consumo e per lo scambio. » (p. 280) Certamente anche i khān e khāyān degli Hyksos, che non furono i primi e neanche gli ultimi a creare un impero vastissimo e ad asservire per secoli il Vicino Oriente, avevano come i Mongoli loro successori nella signoria della steppa il progetto di costituire un Impero mondiale, e come i Mongoli essi erano portatori in pratica di un monoteismo altrettanto esclusivo e intollerante: «  si trattava di una missione divina, il khān rappresentava il volere di Dio in terra: «In cielo c'è Dio, Unico, Eterno, Immortale, l'Altissimo; in terra Genghiz khān è l'unico e supremo Signore. ». La volontà divina si incarna dunque nel gran khān (che sarà divinizzato dopo la morte). A lui spetta di creare il «popolo unico». La visione metafisica del mondo crea la visione politica: territori, sovrani e popoli possono trovarsi de facto al di fuori della sfera di influenza dell'amministrazione mongola ma, de jure, sono potenzialmente membri del Grande Impero costituito per divino intendimento. » (p. 377) I rapporti con i popoli altri « erano determinati da tre regole generali:

̶  chiunque si sottometterà all'ordine vivrà in pace sulle sue terre; 

̶  chiunque si sottometterà sarà in rapporto di vassallaggio; 

̶  chiunque non si sottometterà sarà distrutto. » (p. 377)

Gli Hyksos non furono certo i primi Caini della storia e non saranno gli ultimi, ma essi introdussero quasi certamente per primi la terribile arma del monoteismo  ̶   lo capiremo fra breve  ̶  e certamente lo fecero in quanto primi antenati degli indeuropei, la razza capace delle peggiori atrocità fino ad oggi, soprattutto in nome di dio.  La prima vera, terribile, idea dell'impero mondiale nasce nelle steppe del Caucaso nel XX-XVIII secolo a. C. con i primi Hyksos, in buona parte verisimilmente hurrito-ittiti, al cui seguito erano in primo piano popoli  parlanti dialetti di una lingua che sarà nota più tardi come greco.

 

Staan/Inaco, Khayan/Abramo e Apophis/Ismaele, tre primi faraoni Achei destati da un lunghissimo sonno

Michael Astour (citato da Martin Bernal in Atena nera 1) ha rilevato la somiglianza della storia di Io, Zeus e Era con quella di Agar, Abramo e Sara.  Secondo Genesi Abramo scende in Egitto in seguito ad una delle frequenti carestie e dice al faraone che Sara è sua sorella, così questo se la prende in moglie (e non è escluso che ne abbia avuto figli) così che  in qualche modo Abramo può sentirsi imparentato con il faraone. Ma la ricerca di approfondimento che ho condotto leggendo fra l'altro Gli Slavi di Francis Conte mi ha fornito un modello di comportamento degli Avari (per la verità questo modello c’è anche in Erodoto a proposito dei Sarmati) nei confronti degli agricoltori Slavi che mi ha acceso una lampadina in testa inducendomi a sospettare che il racconto di Genesi sia falso. Gli Avari, come del resto gli Hyksos nei confronti degli allevatori-agricoltori del  delta egizio, non si limitano scioccamente a devastare le terre degli Slavi e a sterminarli. Il loro khān "signore" Baina nel VI secolo d. C. ridusse gli Slavi agricoltori a vassalli e li sottopose a tributo.  Fredegario, storico dei Merovingi, scrive che gli Avari "Tutti gli anni venivano a svernare fra gli Slavi, ne prendevano per giaciglio le mogli e le figlie; inoltre, con l'obbligo di versar tributi, gli Slavi subivano molteplici tormenti"; inoltre, racconta sempre Fredegario, gli Avari usavano gli Slavi come "carne da macello", nel senso che li mandavano avanti a combattere e se vincevano gli Avari si limitavano a depredare i vinti, se perdevano li sostenevano finché riprendessero il vantaggio (op. cit. pp. 20-22). Innanzitutto il faraone, come ho appurato successivamente, sarà un  faraone hyksos, Staan/Apophis (secondo Sesto Africano e Giuseppe Flavio rispettivamente, le fonti di Manetone), corrispondente a Inaco padre di Io/Agar e regnante per 50/61 anni. Poi, Abramo aveva a disposizione « i suoi uomini esperti nelle armi, schiavi nati nella sua casa, in numero di trecentodiciotto » (Gen. 14,14), era dunque un signore della guerra hyksos. Pertanto è da credere che tutto il racconto sia eufemistico per dire che egli si impose con la sua orda di nomadi cavalieri a quella del sovrano hyksos precedente e ne  sposò la figlia  imparentandocisi. In dote alla figlia e come  "riconoscimento" per il "gradito imparentamento", Inaco fu costretto ad elargire ad Abramo « greggi e armenti e asini, schiavi e schiave, asine e cammelli. » (Gen. 12,16)    E' possibile che dietro  Malkizedeq di Shalem/Gebus (nome che secondo me è stato poi trasferito dagli hyksos cacciati da Ahmose  alla località su cui sorgerà Gerusalemme, molto più a nord) si nasconda il sommo sacerdote hyksos di El-Elyon "Dio Altissimo" (Elios/Sole Superiore/Iperione che è sia l'Eolo figlio di Elleno e capostipite degli Eolidi, che infatti  collimano con gli Hyksos/Eqwesh/Achei della tradizione ebraica, sia probabilmente l'Eolo dio dei venti) su Avaris, dipendente da Abramo. Stando all'analisi comparata delle due tradizioni sembrerebbe che con Abramo nasca proprio il ramo eolide col suo dio tendenzialmente unico Eolo/Elios di Avaris e l'ascesa al potere del ramo che comunque rimane minore “ebraico”, cioè in realtà hurrito-ittita, come vedremo avanti. Gli hyksos precedenti ad Abramo, cioè i primi tre re sul delta della lista di Manetone (ma anche il quarto e il quinto, Inaco e Abramo stesso),  dovevano appartenere al ramo  originario che non so definire meglio di  “greco-egizio”, fonte del potere. E' dunque un peccato che i Greci non abbiano ricordato di più e meglio, perché è evidente che i primi tre faraoni hyksos di Manetone li dovremo cercare altrove (cartigli egizi a parte). Come ho anticipato, sulla base del suggerimento di Michael Astour, ho facilmente identificato anche i nomi degli ultimi due faraoni hyksos di Manetone,   Archles e Apophis (come riportati da Sesto Africano), con Archelaos/Abraham e Apophis/Epafo. Archelaos è "capo  del popolo" e  Abram/Abraham  significa "Egli è grande quanto a suo padre", "Egli è nobile", ma è significativo che dio gli cambi il nome  in Abraham in quanto diventerà "padre di una moltitudine". Per Africano  regna 49 anni, per  Giuseppe Flavio, che lo chiama Iannas, 50 anni e un mese. Dunque deve corrispondere  a Seweserenra Khayan dei documenti egizi.  Khayan non era evidente il suo nome di famiglia bensì il titolo dei re nomadi delle steppe asiatiche khān "Signore" o ancor meglio "Imperatore", khāg(h)ān/khayan. Dio infatti promette ad Abramo che lo farà capo di una moltitudine dall'Egitto all'Eufrate (Gen. 15,18ss) cioè il territorio occupato dal suo impero hyksos. Il cartiglio di Khayan fu rinvenuto a Cnosso, mentre altri suoi oggetti sono stati rinvenuti ad Hattusa, capitale degli Ittiti, ed in Mesopotamia. I prodotti stranieri arrivavano ad Avaris dal Levante (Tel el-Yahudia), dalla Nubia, rame da Cipro.  Apophis, ovvero Aweserra Apopi, alias Ismaele/Epafo, era figlio di Abraham/Zeus e Agar/Io, e regnò 61 anni (per Giuseppe Flavio è Assis, regnante per 49 anni e due mesi). Apophis è il faraone sconfitto e cacciato dall'Egitto da Ahmose (fondatore della XVIII dinastia), ciò che alla fine collima con la cacciata di Agar/Io e di Ismaele/Epafo che divenne l'antenato delle popolazioni nomadi del deserto, gli Arabi. E' palese che, se vogliamo credere a quanto ci hanno detto gli Hyksos, sono gli Arabi i prediletti primogeniti di Abramo. La storia di Atamante figlio di Eolo, indotto da  un'espediente della nuova moglie Ino a sacrificare Frisso, avuto dalla precedente moglie Nefele, che all'ultimo momento lo sottrae alla morte mettendolo in salvo (insieme alla sorella che cadrà poi sull'Ellesponto) su un ariete fatato che vola fino alla Colchide (sarà Frisso a sacrificare l'ariete così servizievole e a donarne il vello al re  Eeta che la inchioderà ad una quercia del bosco sacro di Ares ponendogli a guardia un drago insonne), ricorda da vicino quella di Abramo che messo alla prova da dio sta per sacrificargli Isacco poi sostituito per volere di dio da un ariete. Dunque gli Eolidi corrispondono agli Hyksos e ai patriarchi ebrei. Essi sono legati alla Urheimat, alla patria d’origine, della Colchide lungo il fiume Fasi (attuale Rion), sul Mar Nero e, specularmente, dell’Eden in Armenia.   Abramo potrà essere identificato con Atamante e Sara con Nefele, Ino con Io/Agar figlia dunque di Inaco/Staan. Non si ha nessuna traccia di Isacco/Frisso in Siria-palestina e infatti fa perdere le sue tracce in Colchide dove sposa Calciope figlia di Eeta.  Mentre la comparazione fra le due tradizioni greco-ebraica non prova, e anzi sembra smentire, un rapporto parentelare evidente fra Abramo e Giacobbe (in quanto come è noto anche i figli di Ino, Learco e Melicerte muoiono, il primo ucciso dal padre, il secondo divenendo una divinità del mare in coppia con la madre), Apophis/Epafo come successore di Abramo/Khayan è confermato dalla tradizione (Manetone) più attenta ai fatti egizi e dall'archeologia egizia.

Apophis porta il nome del nemico di Ra, il Dragone Apep, simboleggiante il Caos primordiale, Seth/Tifone. Non credo affatto che i sovrani hyksos lo facessero in spregio agli Egizi. Il fatto è che questo era il loro dio nella steppa caucasica da cui provenivano, nel  loro paradiso terrestre Eden "Steppa" a margine del Mar Nero e dominato appunto dal dragone insonne a guardia del vello d'oro. Questo dragone  era  Dagan/Poseidone, signore dell'Alta Siria, dell'Occidente e della valle dell'Eufrate, che ritroviamo sul Disco di Festo, pittogramma n° 50 (vedere sui miei siti). I popoli delle steppe venerano il dio della Tempesta Tifone, che percorre i vasti spazi col suo mulinello di tornado somigliante al pene di un immane Toro che spazza l'arida steppa. Il Caos primordiale è il buio assoluto, delle acque cosmiche sovrastanti il firmamento e che da un momento all'altro possono venir giù (i Celti avevano questo terrore, che il cielo gli cadesse addosso) affogando la gente col Diluvio. Il Dragone Apep del giardino dell'Eden ama manifestarsi al buio quando il potere di Ra è al minimo. Egli è il dio del male assoluto, avido d'oro, assassino, feroce guerriero rapace. Abramo, dopo la battaglia in cui è uscito vincitore  fra Dan e Damasco, e dopo essere stato unto re da Malkizedeq ad Avaris  (« Sia benedetto Abram da El-Elyon, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia El-Elyon che ti ha messo in mano i tuoi nemici. » 14,19-20), ha la visione del suo dio che gli promette che sarà il capostipite degli Ebrei e gli dice:  "Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un  ariete di tre anni, una tortora e un piccione". Abramo eseguì, e come dio gli aveva detto « li divise in due e collocò ogni metà di fronte all'altra; non divise però gli uccelli... Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco un oscuro terrore lo assalì. » Allora dio gli profetizzò la schiavitù degli Ebrei presso gli Egizi  e tutto il resto. « Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi. In quel momento il Signore concluse questa alleanza con Abram... » (Gen. 15) 

 

Yakob-her/Biante, Minosse/Giuseppe/Melampode, Labarna/Labano

Ho già osservato in occasione dei miei studi omerici anche l'affinità fra il servizio per quattordici anni di Giacobbe presso Labano, al fine di sposare sua figlia Rachele, e la prigionia di Melampode presso Filaco per ottenere il bestiame da scambiare con Pero figlia di Neleo e darla a suo fratello Biante.  Se  Pero corrisponde a Rachele, Neleo/Filaco a Labano e Biante a Giacobbe,  Melampode ("dai piedi neri", cioè nero di pelle), che viene dato per fratello di Biante/Giacobbe, cioè  per Esaù, corrisponde invece chiaramente a Giuseppe/Yuya  (e Minosse), che la tradizione biblica dice figlio del precedente, ed infatti, come Yuya, Melampode  è  sacerdote (introduce il culto monoteista e fallico di Dioniso/Toro solare/Mnevis/Min) e profeta (è grazie alla sua virtù profetica che conquista la fiducia di Filaco e ne ottiene il bestiame, così come Giuseppe quella di Faraone divenendo viceré). Dunque Giuseppe/Melampode/Minosse è sulla stessa linea di Talao  figlio di Biante e Pero. Figlio di Melampode è Abante (che dunque dovrebbe corrispondere a Deucalione) la cui figlia Lisimache è moglie di Talao.  Secondo la mia ricostruzione Terach/Creteo  sposò Tiro figlia di suo fratello Salmoneo, figli di Eolo. Da Terach/Creteo abbiamo Nacor/Amitaone  e Aran/Ferete. Da Nacor/Amitaone  e  Milca/Idomene figlia di Aran/Ferete nasce Giacobbe/Biante che quindi è fratello di Betel padre di Rebecca. Ne deriva, se non mi confondo, il che sarebbe facilissimo, che Isacco e Giacobbe non hanno alcuna relazione fra loro se non perché Isacco ha sposato la nipote di Giacobbe che discende da Labano (che si dovrebbe nascondere dietro Aran/Harran) ma ciò è impossibile perché Isacco sposerebbe una donna che nella linea genealogica risulterebbe più giovane della moglie di Giacobbe suo presunto figlio e anche perché Eeta di Colchide non può in alcun modo essere identificato con Labano di Harran. Dunque Isacco rimane senza punti di riferimento eccetto la Colchide, mentre Giacobbe viene attratto nell’orbita di Labano, che io, avendo ormai inquadrato l’obiettivo nella forcella, posso identificare agevolmente con Labarna  (1680-1650 ca.),  in origine  stabilito a Nesa  (che dovrebbe essere cercata in Harran, Alta Siria) poi stabilitosi  ad Hattusas dove fondò la dinastia dei re ittiti. Così adesso abbiamo una cronologia affidabile (1680-1650) per collocare i nostri personaggi da Abramo a Giacobbe. Andando a prender moglie da Labarna i patriarchi secondari hyksos ammettono di dipendere più dagli Ittiti che non dagli Egizi e comunque di tenere i piedi su due staffe senza mai riuscire a salire a “cavallo”. E’ evidente che ora ci spieghiamo meglio la discendenza del comandante dei carristi Yuya/Giuseppe da un Giacobbe regnante su un piccolo clan di nomadi nell’orbita della potenza ittita detentrice dell’arma dei carristi e prima ancora della cavalleria, paragonabile pei tempi dell’origine degli indeuropei a quella che oggi sarebbe una bomba nucleare.   Questo intreccio di matrimoni fra zio e nipote mi richiama alla mente anche quello, identico, dei Giganti superbi della Palestina che altro non vogliono dire se non gli Hyksos (questi sono per lo hurrito-ittiti; si pensi alla storia degli Ittiti e ai suoi re morti ammazzati in successive interminabili congiure per avere il quadro esatto della fine di questa stirpe) miseramente scomparsi come i Filistei (vedi Golia) con cui si confondono: da Posidone e Peribea figlia di Eurimedonte re dei Giganti nasce Nausitoo e da questo nascono Alcinoo e Rexenore padre di Arete andata in sposa a suo zio Alcinoo e  regina sui Feaci. Così Giacobbe sarebbe anche figlio di Milca/Arete/Rebecca e di Nacor/Amitaone/Alcinoo. Dunque come sempre il racconto ebreo vuole quanto meno accreditare agli ebrei una discendenza regale diretta dai grandi hyksos mentre essi derivano, se tutto va bene, da un ramo  secondario locale che è più in stretto rapporto con gli Ittiti.  Lot, fratello di Milca e Isca è stato estromesso dalla discendenza importante e Nacor estromesso del tutto. Atamante/Abramo/Khayan figlio di El-Elyon/Eolo, faraone hyksos e cioè re dei paesi stranieri (Abramo/Archelao è il comunissimo titolo di "capo o pastore di popoli"), seppure è possibilissimo che sia stato fratello di Terach/Creteo e zio  di Nacor e Aran,  è stato omesso perché appartiene al ramo principale in quanto marito di Agar/Io, mentre per via di Sara/Era, una delle sue concubine, è capostipite di un ramo secondario hurrito-ittito. Così è del resto ovvio che  Giacobbe/Israele rappresentasse il vero antenato di una dinastia vaso di coccio  che cercava di barcamenarsi fra i vasi di ferro della regione, gli Egizi e gli Ittiti possedendo maggiormente le caratteristiche hurrito-ittite di questi nella cui orbita del resto gravitavano maggiormente, salvo recarsi in Egitto ai tempi della carestia. Giacobbe va forse identificato con  Ya-kob-her,  che ha lasciato solo il suo cartiglio su scarabei. Dubito che si riuscirà mai ad identificare  Isacco perché probabilmente inesistente. 

 

Il Paradiso Terrestre della Colchide/Armenia

La  Colchide greca/l’Armenia-Eden ebraica  è veramente il Paradiso terrestre, la terra d'origine, degli eolidi e dei patriarchi ebrei. Dall'Eden " Steppa" (dove dio veste  Adamo ed Eva con tuniche di pelle come avrebbe fatto qualsiasi donna turco-mongola) si partivano quattro fiumi, due dei quali tutt'ora riconoscibili come il Tigri e l'Eufrate che nascono in Armenia e  inoltre il Pison (Tanais/Don?) intorno ad Avila/Scizia dove c'è l'oro, e il Ghicon che scorre intorno all'Etiopia orientale? (Indo). All'albero della scienza del bene e del male possiamo accostare  la quercia con affisso il vello d'oro, al dio ebraico il re Eeta (fratello di Circe di cui Omero esattamente fa la dea dell'Inferno, in Colchide, che in origine comprendeva tutto l'Aldilà;  Omero aggiunge  Calipso  dea del Purgatorio in Sardegna/Ogigia ed Arete  dea del Paradiso nell'Etruria/Feacia occidentale con capitale federale Tarquinia e il suo porto di Pyrgi dove approda Odisseo), ad Eva  Medea (antenata della strega che da a mangiare la mela avvelenata a Biancaneve) figlia di Eeta, ad Adamo Giasone, colui che ottiene il vello d'oro grazie alle arti perfide di Medea,  a Satana il drago insonne custode del vello d'oro appeso nel bosco sacro di Ares dio della guerra. I Colchi come gli Achei, come gli Ebrei adoratori del "dio degli eserciti/zebaoth", come i Romani (in parte eredi dei Colchi venuti a riprendersi Medea e rimasti alla corte di Alcinoo, in parte eredi dei Feaci e Tirreni orientali marinai al servizio di Minosse e Radamanto sulla via dell'oro della Colchide; in parte derivati tramite Alcinoo e Arete dai discendenti del ramo secondario hurrito-ittita degli hyksos) sono un popolo dedicato alla guerra. I capi e principi protoebrei, gli Hyksos/Achei, sono fondamentalmente dei capi pastori di popoli, capi di eserciti, come ricordano bene, nel lessico, i Greci. Contrariamente a quanto vogliono far apparire gli ebrei ma anche i greci, non sono dei pastorelli che si azzuffano per qualche pozzo d'acqua o qualche pecora, ma dei nomadi guerrieri a cavallo (che poi, dietro gli indiani, il principale motore del movimento degli Hyksos, adotteranno come arma da guerra il carro come i capi achei omerici).

Nel racconto immaginifico di Genesi, dopo il Diluvio, dio si accorge che con la torre di Babele l'uomo cerca di arrivare fino a lui e magari di superarlo. Allora disperde i popoli confondendo le loro lingue. Evidentemente un'altra corrente di pensiero  riteneva che da queste parti si trovasse la culla dell'umanità rinnovata dopo il Diluvio, dunque facile pensare a Ur (forse anche per l'usanza comune agli indo-ari e ai primi indeuropei occidentali  di seppellire il capo defunto insieme ai suoi familiari e servi e cavalli ecc., ciò che lo metterebbe in relazione con i Kurgani  della Gimbutas; ma costumanza di usi non è costumanza di lingua, e io non credo all'esistenza dell'indeuropeo alla data in cui lo pongono la Gimbutas e i suoi epigoni. L'unica vera "Ur" da cui viene sicuramente Abramo è la Ur-heimat, la patria d'"origine" degli indeuropei, le steppe fra Colchide e Armenia.

 

Una alluvione agli inizi del II millennio caccia gli Hyksos dalla loro Urheimat nella Steppa armena

Ma cosa permise agli Hyksos di invadere un paese di tutto rispetto come l'Egitto, nonostante la loro voglia di razzie, le loro  armi fra cui il cavallo e magari anche il carro, e una strategia di guerra più avanzate? Ipotizzo che entri in scena un'alluvione analoga a quella  teorizzata da Ryan e Pitman ma databile verso il 1800 a C.,  nel senso che l'autore della Battaglia dei Re si rappresenta il Mar Morto come non ancora esistente, in quanto la valle del Giordano era irrigata ovunque fino a Zoar/Ebron prima della distruzione di Sodoma e Gomorra (Gen. 13,10), oppure è da ritenere che la valle di Siddim occupasse la parte meridionale del Mar Morto allagatasi successivamente. Ho prestato attenzione a questo particolare dopo essermi accorto che  il viaggio degli Argonauti (la tradizione greca dei discendenti di Eolo è speculare  all'epopea dei patriarchi ebrei) sembra rievocare la situazione immediatamente successiva al Diluvio di Noè, come se questo viaggio fosse compiuto quando per la prima volta le acque fino al Mar Nero si erano rese navigabili (si pensi alle Simplegadi e alla colomba fattaci volare attraverso). E addirittura il viaggio degli Argonauti è collegato al paradiso terrestre della Colchide, fra Mar Nero e Mar Caspio. Sulla base del racconto di Erodoto possiamo anche porre un terminus post quem di questa ipotizzata alluvione perché Sesostri III « per primo si mosse con una flotta di lunghe navi dal Golfo d'Arabia per soggiogare  le popolazioni insediate lungo le coste del Mare Eritreo; avanzò con le sue navi finché raggiunse un braccio di mare non più navigabile a causa dei bassi fondali. Se ne tornò allora in Egitto, dove, secondo il racconto dei sacerdoti, raccolse un numeroso esercito e marciò attraverso il continente, sottomettendo ogni popolazione che gli si parava sul cammino...  Così facendo attraversò l'intero continente, poi passò dall'Asia in Europa e assoggettò gli Sciti e i Traci. Queste mi sembrano le regioni estreme toccate dall'esercito egiziano: in effetti nel paese degli Sciti e dei Traci si vedono ancora erette delle stele commemorative, che spingendosi oltre non si vedono più. Di là ritirandosi tornò indietro e raggiunse il fiume Fasi dove non saprei dire con certezza  se fu il re Sesostri personalmente a distaccare una parte del suo esercito e a lasciarla sul posto per colonizzare la regione, oppure se alcuni soldati decisero di stabilirsi nei dintorni del Fasi, stanchi di girovagare con il loro re.  E' chiaro comunque che gli abitanti della Colchide sono di origine egiziana: io lo avevo pensato prima ancora di sentirlo dire da altri. E come mi venne in testa l'idea, condussi un'indagine fra le due popolazioni; ne risultò che i Colchi conservavano memoria degli Egiziani più che gli Egiziani dei Colchi; ma gli Egiziani ritenevano, così dissero, che i Colchi discendessero da una parte dell'esercito di Sesostri. Io me ne ero già accorto per conto mio: i Colchi hanno la pelle scura e i capelli crespi... ma decisiva mi era parsa la constatazione che Colchi, Egiziani ed Etiopi sono gli unici popoli a praticare la circoncisione fin dalle origini. Gli stessi Fenici e i Siri della Palestina ammettono di averla derivata dagli Egiziani; i Siri del fiume Termodonte e del Partenio e i Macroni loro confinanti dichiarano di avere appreso tale uso dai Colchi e di recente. Questi sono i soli popopli a praticare la circoncisione e tutti chiaramente rifacendosi agli Egiziani. Fra Egiziani ed Etiopi non saprei dire chi abbia imparato da chi, perché in entrambi i casi si tratta evidentemente di una istituzione antica... » (2, 102-104) E' evidente che se scopo primario di Sesostri III fosse stato di colonizzare la Colchide da cui proveniva parte dell'oro dei faraoni (attraverso carovane a dorso d’asino), egli avrebbe preso direttamente la via marittima dai Dardanelli. Dunque è dopo Sesostri III (1878-1841) che dobbiamo collocare l'alluvione, se alluvione c'è stata, verso il 1800 a C., e, subito dopo, l'esodo dei cavalieri (indeuropei biondi di lingua affine all'armeno che è prossimo al greco e contiene molti prestiti dal persiano) dalla steppa Sarmatica insieme ai guerrieri egizi (camiti di pelle nera) colà rimasti dal tempo di Sesostri III e coi quali nel frattempo s'erano anche fusi dando luogo ad un popolo specializzato nell'arte della guerra, dove molti rappresentanti dell'élite dominante erano neri, biondi di capelli, e parlanti ormai una lingua armenoide sia pure con qualche inflessione o vocabolo di origine egizia (ciò che ha attirato maggiormente, la somiglianza colchico-egizio, insieme ai costumi, l'attenzione di Erodoto, 2,105). Il viaggio alla Colchide degli Argonauti Feaci e Tirreni orientali al servizio dei faraoni ebbe il fine di ripristinare il collegamento con la colonia allo scopo di ottenerne anche il tributo, ma nella tradizione degli Hyksos/Equesh assunse il significato di un ritorno alle origini e al paradiso perduto dell'Eden/"Steppa" sarmatica. Dopo l'alluvione evidentemente anche il delta del Nilo e la valle vengono allagate e dunque i nomadi che già hanno desiderato mettere le mani sul ricco Egitto e sulla valle dell'Indo adesso ci riescono. Se da una parte il viaggio degli Argonauti sembra rappresentare, con tutte le difficoltà dei luoghi e l'ostilità dei popoli nell'orbita degli Ittiti, le navigazioni alla ricerca dell'oro della Colchide da parte di Tirreni e Feaci orientali per conto dei faraoni egiziani, l'inseguimento di Medea da parte dei Colchi che poi si sono stabiliti nel Lazio (Tarquinia e Pyrgi sede di Alcinoo sono in Etruria meridionale e dunque nel Lazio) rappresenta probabilmente un indizio importante dell'esistenza di un'antica componente formativa della civiltà etrusca di origine pelasgica (in senso letterale) legata ai viaggi verso e dalla Colchide tanto che tocca anche Lemno con la sua lingua che nel VI secolo è simile all'etrusco.

 

Danai, Pelasgi e Achei

Se i Greci vengono da oriente e si sono separati agli inizi del II millennio dall'indo-iranico e da un antenato dell'armeno, se i Greci come gli Ebrei conservano la tradizione dell'Urheimat ad est del Mar Nero, allora credo di essere autorizzato ad ipotizzare che i Tanaya o Danai erano "Quelli del Fiume" (dan-/don- dell' iranico danu), Don, Tanais in greco. Avranno potuto essere degli agricoltori. Al libico Danao si attribuisce la costruzione della prima nave e l'irrigazione in Argolide, segno che non solo aveva familiarità con l'acqua ma anche con l'agricoltura. I Pelasgi, l'ho già stabilito, erano, più a sud, i discendenti dell'incrocio fra soldati neri egizi e colchi ad est del Mar Nero ed è verisimile che fossero guerrieri, adoratori di un dio guerriero identificato dai greci con Ares, ma anche mercanti, magari rivendendo i prodotti agricoli dei Danai. Gli Hyksos/Achei potevano essere la stirpe più selvaggia delle tre e coacervo di stirpi diverse dove gli indeuropei (protogreci, ittiti) potevano anche essere una minoranza, prevalendo stirpi prenohaiche di tipo basco-caucasico o uralo-altaico, che al momento identifico con gli Hurriti. Gli Hyksos/Achei certo si imposero su Pelasgi e Danai (e su altri gruppi) coinvolgendoli nella loro alluvione sull'occidente.

 

Il Diluvio di 10.000 anni fa non è a mio avviso all'origine di una prima ondata di indeuropei

Prima dell'ondata indeuropea diffusasi dal Caucaso può essercene stata una anteriore? I miei ultimi studi omerici condotti sulla base della lettura dell'Origine dell'uomo di Darwin e de Gli uomini della preistoria di Leroi-Gourhan mi hanno portato a capire che in Omero convergono due stratificazioni che portano al nord, una che risale indietro nel tempo alla fine dell'ultima glaciazione (8000 a C.; come vedremo subito, all'estremo oriente, al Mar Nero) ma che di per se non vuol necessariamente dire esistenza a quel tempo o prima ancora o abbastanza dopo di un indeuropeo sia pure arcaicissimo, l'altra che è già insita negli Hyksos/Eqwesh/Achei (e nel Danai e Pelasgi) di cui magnifica le gesta ma che in lui è rafforzata dalla sua origine da madre celtica (verisimilmente dell'estremo occidente, Gallia/Isole Britanniche). Per il resto  Omero, come ho più volte ripetuto sul mio sito, deve essere nato ad Albalonga da  padre greco discendente degli usurpatori vinti e deportati ad Albalonga da Romolo/Osto Ostilio e dal padre di questo. Omero poi deve moltissimo alla civiltà  etrusco-romana di cui è cantore e in mezzo alla quale visse tutta la sua vita. E' evidente che per quanto riguarda la prima stratificazione  io trovo interessante l'ipotesi Ryan-Pitman, anche perché spiega l’origine del Diluvio nella tradizione speculare greco-giudaica, più precisamente alluvione a carattere locale, interessante l'Armenia/Eden da dove si dipartono il Tigri e l'Eufrate (due dei quattro rami del fiume del paradiso) e dove sull'Ararat si sarebbe posata la fantasiosa arca di Noè (che molti ingenui insistono a cercare perdendo tempo e denari). Evidentemente anche il Diluvio di Deucalione e Pirra della speculare tradizione ellenica fu un evento locale e sempre lo stesso dell' Armenia/Colchide (ovviamente non voglio dire che l’Armenia corrisponde alla Colchide ma riferisco brevemente le due versioni della tradizione), trasferito in Tessaglia dai Centauri  cavalieri delle steppe armene. Secondo Ryan e Pitman alla fine della glaciazione, nell'8000 a C., lo scioglimento dei ghiacci in seguito al ripristino della corrente del Golfo portò una notevole mole di acqua nell'Oceano Atlantico e dunque nel Mediterraneo  da cui l'acqua marina che aveva superato i 100 metri di altezza si sarebbe riversata nella conca del Mar Nero che prima era un più modesto lago d'acqua dolce, facendolo traboccare allagando l'area circostante e costringendo i nomadi e i sedentari neolitici a mettersi in movimento alla ricerca di nuove terre.  Mi sembra che nessuno metta in dubbio che il fatto è avvenuto. A me non interessa che sia avvenuto con un'impatto immediato, catastrofico, mi basta che sia avvenuto, anche in un più lungo lasso di tempo. Nonostante l'Atlantide di Platone appartenga, come ho dimostrato, ad un trattato di geopolitica (tanto profetico da ispirare a quel terrorista intellettuale di Giovanni di Giscala la sua allucinata Apocalisse) e non di storia, grazie a questa teoria si può accettare che Platone abbia avuto un suggerimento per la sua storia romanzata proprio da questa  alluvione che solo i sacerdoti egizi, con antichi ricordi orali poi trasferiti nelle loro puntuali cronache avrebbero potuto ricordare e riferire al suo antenato Solone. Naturalmente furono sommerse più che altro le coste  e qualche isola al largo, anche abbastanza al largo, mentre è solo l'ingigantimento posteriore del racconto di Platone  che ha  parlato di un intero continente sommerso, dato che le Americhe, la vera Atlantide della geopolitica di Platone, stanno ancora al loro posto, per il momento.

Se vogliamo vedere una certa ricostruzione critica dei fatti passati da parte dell'autore di Genesi, Caino il sedentario, l'agricoltore primogenito, avrebbe cominciato, e dopo di lui i suoi discendenti, a spostarsi gradatamente da una parte e dall'altra (soprattutto ad oriente, dov'è la civiltà di Harappa) diffondendo la civiltà neolitica. Dopo la morte di Abele questo viene subito sostituito da Set, con cui non può essersi diffuso un indeuropeo sia pure arcaicissimo perché da una parte e dall'altra si sono per tempo sviluppate civiltà di grande livello assolutamente non indeuropee. Del resto queste civiltà si sono sviluppate logicamente a partire dai grandi fiumi navigabili magari anche molto prima  della alluvione di  Ryan e Pitman e comunque assai prima che si potesse parlare di indeuropei. La tradizione greco-giudaica si riferiva evidentemente all'origine dei nostri progenitori indeuropei, non di tutti gli uomini, anche se la tradizione di Genesi sembrerebbe affermare il contrario. Dall'Eden originarono solo gli indeuropei, non i camiti e nemmeno i semiti. E' vero invece che l'autore di Genesi deve ammettere che anche dopo il Diluvio sopravvissero genti prediluviane che dunque non potevano e nemmeno avrebbero voluto vantare una discendenza da Noè. Ora è con alcune di queste genti che appartenevano e appartengono a gruppi etnolinguistici diversi da camitico e semitico  (si può pensare ai basco-caucasici o agli uralo-altaici), che gli indeuropei-giapetici fecero la loro apparizione distinguendosi poi come gruppo caratteristico intorno al 2000 a C.  Dopo l'alluvione (quello nostratico), da una parte l'umanità discende da Cam, Sem e Giafet/Giapeto, dall'altra  i Greci discendono da Eolo (El-Elyon, Gen. 14,19-20), Ione e Acheo (figli di Xuto/Seth) e Doro.  La semplice verità è che all'origine dei greci eolidi o Hyksos/Achei prima furono gli Egizi cioè i Camiti  (Egitto = Khemet = “Terra Nera”, dunque l’élite di Egizi colonizzatori e  Colchi)  e i Pelasgi (“Neri”, i Colchi di lingua protogreca), poi gli Hyksos/Achei (che la tradizione veterotestamentaria ha raccolto impropriamente fra i semiti e che comprendeva insieme a Hurriti anche Ittiti ed ellenofoni arcaici) poi  i Danai, ancora protogreci (infine, a parte, gli  ultimi arrivati, Dori e Giapeti). Io credo che gli Ioni del sud-est possono considerarsi gli eredi di Pelasgi e Danai, mentre gli Achei del nord-ovest degli Hyksos, ma ciò solo in linea di massima, evidentemente.

 

La scrittura della lingua di dio nel Paradiso Terrestre

I pittogrammi della scrittura del Disco di Festo hanno evidenti relazioni con la Colchide e a Vladikavkaz in Georgia/Colchide è stato rinvenuto un esemplare simile con scrittura incisa, il disco di Vladikavkaz. Ho sempre sostenuto trattarsi di documento autentico perché un falsario (chissà poi perché gli “addetti ai lavori”  prediligono sempre la teoria del falso, procurando all’archeologia danni incalcolabili) mai e poi mai sarebbe giunto a ipotizzare il collegamento di questa scrittura (ma anche del contenuto dell’Apoteosi di Radamanto) con la Colchide. Quanto all'invenzione della scrittura impressa tramite punzoni, credo che i gli Hyksos debbano essere giunti prima in contatto con Creta e soprattutto con le Cicladi dove questo processo di scrittura era noto e praticato da millenni. Il disco di Vladikavkaz menziona Radamanto  in età posteriore alla creazione della sillabografica Festia punzonata, e dunque quando s'era formata a latere una geroglifica corsiva, ed anche in età  posteriore al Disco di Festo, perché questo è stato certamente redatto dalle fonti ufficiali che ben sapevano quando Radamanto era deceduto e sole lo potevano attestare. Quanto alla variante grafica del sillabario di Vladikavkaz, questa può dipendere sia dal tempo a partire dal quale si è andata elaborando la scrittura corsiva (probabilmente da subito) sia dalla variante locale (anche questa probabilmente sviluppatasi da subito e magari indipendentemente con epicentro nella stessa Colchide) e ovviamente dello scriba e del suo  scriptorium. Se gli Hyksos hanno preso in prestito l'idea dei sigilli non è detto che abbiano anche preso in prestito le immagini corrispondenti o il loro valore sillabico. Gli Hyksos adottarono ed elaborarono la scrittura cicladica punzonata accogliendo numerosi elementi della civiltà minoico-cicladica (la signora, ma la chiamarono kyria, probabilmente anche la nave) e sotto il patronato dei faraoni hyksos che avevano bisogno di una scrittura non avendone mai avuta una (vedasi il serekh di LAR, larisa, palazzo), ma ampliando il panorama culturale dei pittogrammi abbracciando tutta l’area culturale dell'impero Hyksos fino all'originaria Colchide e dunque aggiungendo segni sicuramente siriani come n° 50 Dagan, letto probabilmente Posidone, e il Siro-Palestino, Syrios, e colchidi come la mossina, (w)oikos, l’arco scitico, ecc.  e gli animali in qualche modo collegati dalla tradizione con il filtraggio delle pagliuzze d'oro (n° 51 testa di capra, testa di ariete,  vello di ariete, PIL). Verisimilmente però diedero ai segni il suono sillabico iniziale in genere terminante in liquida,  che i nomi comuni corrispondenti avevano nel colchico/pelasgico (e come abbiamo visto nei dialetti greci parlati in un'area vicina, dal danaico all'acheo, assai simili all'armeno con imprestiti indo-iranici). Dal punto di vista tecnico la lingua dell’Apoteosi si potrà chiamare tanto pelasgico che ionico.  Gli elementi  nell'Apoteosi connessi col sanscrito e dunque coll'indo-ario saranno dunque più probabilmente retaggio delle origini. In ogni caso l'Apoteosi mostra un sillabario che ormai viene letto in greco (es. PEL per pelekus, ascia) anche se qualche  segno mantiene un'origine protogreca   non avvertibile immediatamente come greca, cui viene affiancata quella greca (es. fonetico ZEL/R, la nave, e logografico NAUS e NEA; anche se ciò sembrerebbe dirci che gli hyksos non conoscevano la piroga basterebbe solo dire che Giasone si fece costruire la nave da Argo figlio di Frisso per smentirlo;  gli Hyksos si imbarcarono su navi egizie o da essi approntate e invasero Creta mostrando la stessa capacità di inventiva e adattamento degli Slavi in circostanze analoghe).

Dunque il sillabario di Festo deve essere  stato creato per volere dei faraoni Hyksos che dalla capitale  Festo dominavano sull'isola. Ma allora ne discende che le distruzioni del periodo intermedio ai palazzi devono essere state causate dagli invasori hyksos dell'isola che contemporaneamente o anche prima avevano invaso il delta o quanto meno la Filistea. La prima traccia, una cretula con impronta del segno del palazzo-serekh, compare alla fine di quello che viene chiamato periodo MM II B, 1800-1700, del palazzo di Festo, su cui avrebbe potuto regnare Salitis/Saites il primo faraone hyksos di Manetone, secondo cui regnò 19 anni prima da Memphi, poi da Avaris. Mi rendo conto che lavorare sulle etimologie è dilettantesco, ma non abbiamo nulla a disposizione per capirci di più. Se non altro l’ipotesi che suggerisco è costruita bene. Dai latini (il latino è strettamente legato tanto al greco quanto al sanscrito) Salii, che erano “i saltellanti”,  il collegio di 12 sacerdoti istituito da Numa per il culto di Marte/Ares sul modello dei Cureti e Coribanti dell’Ida, avremmo il modello dei sacerdoti in armi della Colchide (dalla fusione dei cavalieri sciamani con i guerrieri egizi) che poi ritroviamo diffusi intorno a Zeus in alcuni antri di Creta a partire dal Dikte. Se così fosse, Salitis potrebbe essere un sacerdote guerriero dei Salii o Cureti e Coribanti  di Ares/Zeus guerriero dell’Eden e il culto di Zeus arriverebbe a Creta con gli Hyksos intorno al 1750 a. C. dopo essersi attestato in Anatolia fino all’Ida di Troade. Gli indo-ari già conoscevano il culto nelle grotte, dato che Mitra, come Gesù, nasce in una grotta. Poi ritroviamo la stessa scrittura ormai sicuramente organizzata in sillabario nell'Apoteosi di Amenofi III/Radamanto sul Disco di Festo databile al 1348. Evidentemente la scrittura su dischi d'argilla aveva un limitato uso religioso-funerario (il disco solare rappresentava il faraone divinizzato e assimilato al Sole) preferendosi dipingerla su pelli conciate o papiro purtroppo deperibili. Se la tradizione relativa a Cadmo circa l'introduzione dell'alfabeto presso i Pelasgi mi pare inservibile, soprattutto perché troppo tarda rispetto all’epoca di cui trattiamo, potremo comunque riferire all'inventiva e alla mediazione mercantile dei popoli della costa palestinese (filistea) l'elaborazione di un sillabario e dunque di una scrittura  da subito  utilizzata dagli Hyksos di Qiryat Arba o di Ashqalon,  poi di  Festo, di Haw Nebw (Cicladi), e  di tutto l'impero ellenofono degli Hyksos, Cilicia e Colchide comprese.

Gli  Hyksos non si preoccuparono di imporre la loro lingua o la loro scrittura che del resto non avevano e dovettero creare ad imitazione di quelle dei paesi dominati (i sovrani Hyksos, paragonabili perfino ad un Carlo Magno per la loro attenzione alla scienza e alla cultura, nella successiva fase di stabilizzazione, a causa del loro personale analfabetismo dovettero fare un uso anche eccessivo del comodo sigillo), e nemmeno potevano imporre alcunché a popoli di antica civilizzazione se non il rispetto dei loro capi, del loro dio, della loro superiorità e il pagamento dei tributi. Gli Egizi continuarono a parlare e scrivere in egizio i Cananei in aramaico e così via. I differenti re e vassalli  Hyksos  adottarono la lingua e scrittura del luogo e appaiono Egizi in Egitto e Cananei in Siria. Martin Bernal li paragona piuttosto ai Mongoli: « come i Mongoli, che sommossero le culture dell'Eurasia, gli Hyksos sarebbero stati culturalmente formativi nella trasmissione di altre civiltà  ̶  quella semitica in Egitto, la «minoica» e l'egizia in Grecia, etc. Tuttavia, la Grecia, che mancava della lunghissima tradizione di civiltà dell'Egitto, era molto più sensibile al cambiamento; è quindi probabile che gli Hyksos nell'insieme avessero un'influenza maggiore nell'Egeo. » (Atena Nera 1, p. 513) E' proprio questo fatto, l'aver potuto imporre la loro lingua in Grecia, più arretrata, che mi induce a ritenere che i Pelasgi Eolidi siano i primi parlanti una forma arcaica di greco  verso il 2000 a. C. dalle parti del Caucaso (Colchide e soprattutto Armenia/Eden, in Armenia essendo attestato da Senofonte il sacrificio dei cavalli al Sole, 4,5, e l'armeno avendo una certa somiglianza col greco oltre ad imprestiti persiani, dunque indo-ari), con  altri  popoli che successivamente  parleranno indo-iranico, e passati  attraverso l'area siro-palestinese ovvero pelasgico/filistea (la Fenicia della tradizione greca) da sud fino all'Argolide e Beozia (Ioni del sudest) e anche da nord dalla Tessaglia (Achei del nordovest). Tessaglia e Arcadia furono più conservative.

 

Una società dominata dalla casta sacerdotale come avviene fra i Celti

Qui entrano di scena la linguistica, la scrittura e il sacerdozio che è sempre stato depositario della scrittura e delle tradizioni dei popoli. Mentre Egizi e Sumeri scrivevano su papiro (del Nilo) e tavolette (di terra argillosa di Tigri ed Eufrate) nutrendosi di cultura, i nostri rozzi antenati indeuropei che preferivano scorrazzare ingenuamente analfabeti per le immense steppe russe, l'unico utilizzo possibile che potevano fare dell'albero del bene e del male, il faggio (Fagus orientalis), nel loro squallido paradiso, era di mangiarselo  > phageín, oppure di nascondercisi sotto per coprire le proprie vergogne alla vista di dio (il faggio, il phēgós, non le foglie di  fico di Genesi, avendo gli ebrei perso coscienza delle proprie origini indeuropee). Solo tardi, nel medioevo, impararono dal contatto coi loro vicini civilizzati del sud a scrivere sulla sua scorza >   Buch, book da Buche, beech (faggio). Gli Hyksos in anticipo crearono la geroglifica di Festo. Quando parlo di faggio mi riferisco ancor più al Fagus orientalis (perché l'Urheimat è ad oriente), che può superare i 30 metri, vive nei bassipiani e serve a fare ombra. Col suo legno duro e compatto si fanno pavimentazioni, costruzioni e mobili e, se coltivato a ceduo, anche legna da ardere e carbone. Ha anche utilizzazione alimentare traendosene un'ottima  farina soffice dalle foglie giovani (che crescono due volte all'anno, in primavera e metà estate per tre settimane ciascuna), ma anche dalle noci triangolari (che si possono mangiare sia crude che cotte) seccate e poi macinate, per farne pane e dolci. Dalle noci si ricava anche un olio semi-denso anch'esso commestibile. Pare se ne possa ricavare anche un caffè che in quanto eccitante poterebbe essere stato (queste sono illazioni da archeologia sperimentale) all'origine dell'aggressività degli indeuropei in genere e degli Hyksos in particolare. Tornando all'albero della scienza del bene e del male, cioè al faggio sulla cui scorza si scrive e si accumula conoscenza (del bene e del male), è evidente che il clero del paradiso terrestre se lo sia appropriato interdicendone l'uso alla massa attraverso un tabù di carattere religioso. Dunque è evidente che il peccato originale di Adamo ed Eva fu dovuto all'essersi appropriati  di certe conoscenze (scritte?) della casta sacerdotale e conservate nel tempio del dio della guerra Zeus/Giove/Yahweh Zabaoth, Zeus Sabazio. Viene da pensare ai druidi che scrivevano poco e per sé soli per impedire la conoscenza generalizzata della scrittura e della cultura (e tanto ci sono riusciti che della loro tanto decantata cultura non c’è rimasto nulla che ci consenta  di ritenerla al di sopra delle altre culture barbariche). E non è un mistero che la scienza e la conoscenza (capisaldi della cultura laica) siano mortificate dalla religione giudeo-cristiana che ama lanciare anatemi su chiunque si azzardi a contraddire la parola dei suoi sacerdoti ricettacolo (a sentir loro) della parola di dio. Dunque alla fine i preti predicano alla massa ignorante e ciuca di astenersi dalla cultura mentre loro accaparrano libri su libri (ed è sui libri, sulla cultura, che poggia il potere), anche e soprattutto quelli dei pagani, che proprio grazie a loro, guarda caso, hanno superato i secoli bui del medioevo causato...  dalla chiesa. Così credo che il dio del paradiso terrestre della casta dei sacerdoti-guerrieri colchi (Tifone ”dio degli Eserciti”) doveva anche avere la lussuria della conoscenza, peccato originale di moltissimi preti. Il Satana di Genesi, se si legge attentamente, non è malvagio, bensì servizievole all'umanità come Prometeo che rubò il fuoco agli dèi e perciò fu incatenato ai monti del Caucaso per volere di Zeus. A me piace da morire rispetto al dio/Aristotele (Ipse dixit!) dei giudeo-cristiani, perché insinua il Dubbio, che prolifera nelle teste pensanti delle persone intelligenti (e dotate di una morale) e  assolutamente assente nelle teste vuote degli imbecilli amorali capaci solo di seguire il prete come la pecora il caprone. Ciò nonostante doveva essere proprio lui, il Serpente o Dragone, il dio del paradiso terrestre, il dio della sapienza sacerdotale, o almeno l’altra sua faccia, quella oscura, che per me da questo punto di vista è la migliore. Sia gli sciamani dei cavalieri "sarmatici" sia gli egizi di Sesostri III che dall'Egitto s'erano portati dietro Montu/Amon-Ra (della XII dinastia; Amon è il "dio nascosto", che presenta, come scrive Boris de Rachewiltz, molti punti in comune con Min, il dio Toro, che a Tebe è chiamato Amon-Ra Kamutef, "toro di sua madre", e mentre Amon è sostanzialmente un dio solare Min è considerato patrono della luna) avranno potuto convergere su un dio sacerdote-guerriero alla celtica. Probabilmente il nome di questo dio sarà difficile da identificare esattamente ma io ci proverò partendo dall'Apoteosi di Radamanto e dal dato di fatto che il celtico è la stratificazione indeuropea più conservatrice  e con riscontri innegabili con  il gruppo indo-ario. I Celti sono tanto importanti quanto misconosciuti. All'epoca che stiamo trattando si dovevano trovare proprio da queste parti per poi comparire alla metà o poco dopo il secondo millennio nel cuore della Germania e infine, incalzati dai Germani, all'inizio del primo millennio, nell'estremo occidente europeo dove li troviamo tuttora. Dall'ottimo lavoro  di Le Roux e Guyonvarc'h posso farmi l'idea che questo dio fosse il dio-druida (non a caso druida significa "dal molto sapere" come le streghe pluscie della tradizione romana) Dagda (*dago-devo-s "dio buono" o "molto divino", signore degli elementi, della scienza, del sapere sacerdotale, dell'amicizia e dei contratti, del tempo cronologico e atmosferico, dell'eternità, nonché guerriero e Sovrano; ha come figlia Brigit/Boand moglie di suo fratello Elcmar/Ogme dalla quale ha un figlio adulterino di nome Oengus/Mac Oc, l'Apollo giovane celtico; Brigit è Athena greca, per cui ritroviamo qui il parallelo con Seth/Posidone e Anat guerriera di Martin Bernal) chiamato anche Dagan "il piccolo buono", Eochaid Ollathir "Padre Potente" e Ruadh Rofhessa "Rosso dalla Scienza Perfetta". E' spodestato da suo figlio Mac Oc [come Urano è spodestato da Zeus]. Suoi principali attributi sono la mazza che uccide e resuscita, il calderone dell'abbondanza, dell'immortalità e della resurrezione, e la ruota cosmica connessa solo ad altre due avatara di Dagda, Mog Ruith "Servo della Ruota" e Taranis "Tuono". La sua identificazione semitica  con Seth/Tifone e dunque con il Toro che spazza la steppa (En-lil), mi paiono ineccepibili così come quella col Serpente-Dragone, dio nascosto e cosmico  Dagan l'ambiguo  serpente del giardino della "steppa" contigua al Mar Nero.  Mi piacerebbe potermi dedicare all'approfondimento dell'analisi linguistica anche in relazione alle lingue anatoliche indeuropee ma come ho detto mi manca un istituto (nel senso che mi mancano soprattutto gli assistenti cui affidare il lavoro, seguirlo e portarlo a buon  fine e i libri e tutto il materiale di ricerca possibile e immaginabile). Comunque non ritengo che queste possano mutare sostanzialmente il quadro che ho tracciato, dato che chiunque abbia solo una minima infarinatura di civiltà ittita conosce la preghiera di Muwatallis (1300 ca.) al Sole, pastore dell’umanità, nella quale il sole è detto sorgere dal mare, ovviamente dal Mar Caspio, perché ci troviamo nel Caucaso, all’origine anche degli ittiti! Anche i crani degli ittiti ci dicono che sono brachicefali e compaiono intorno al 2000 a. C.

 

La prima formulazione del giudeo-cristianesimo

Atena è la dea dell'Apoteosi sotto epiclesi differenti, dunque  l'athana potnia e  la labyrinthoio potnia delle tavolette in lineare B da Cnosso sono riferite ad Atena. Con l'appoggio  della conservatrice religione celtica e de I Druidi di Le Roux e Guyonvarc'h (ECIG) si ricostruisce facilmente che Atena/Deiya/Theia/Tarania/Isonoia è la dea vacca figlia e moglie del toro Zeus/Dyaus cielo "Luminoso"/Taranis "Tuono"/Isonoos "dal pensiero costante, uguale", da cui ha il Sole che ogni giorno nasce, feconda sua madre e risorge a nuova vita il giorno seguente, e signora dell'Altro Mondo, che era non solo il luogo dove vivevano gli dèi beati ma anche i defunti buoni in vita e resuscitati (come Menelao e Radamanto dell'Odissea).  Omero, sulla scia dei faraoni della XVIII dinastia,  introduce una succursale del Paradiso Terrestre colchico (degli Hyksos; Tarania viveva qui e infatti ne conserva ricordo il sanscrito che è appunto a oriente) nei Campi Elisi a occidente ed ha una visione forse solo un po' più ottimistica degli Hyksos. Se non ricordo male, nel suo commento al Libro dei morti egizio, Boris de Rachewiltz nota che le due barche solari Mandjet e Masket (una portava il defunto da oriente a occidente l'altra viceversa) hanno  invertito il loro ruolo nel tempo e questo deve significare che in età hyksos il percorso era verso oriente al mattino e da oriente a occidente la notte). Ciò avrà probabilmente generato da subito la necessità della succursale delle Isole dei Beati a occidente. A proposito della Tuatha Dé Danann, "Gente della Dea Dana" menzionata nel Cath Maighe Tuireadh "battaglia della pianura dei pilastri" in cui i Tuatha Dé Danann (anteriori all'arrivo dei Goideli) combattono contro gli indigeni Fomoire, io vedo dietro alla dea Dana (che poi è Brigit, Brigantia, Brictia, Belisama, "la santissima, la splendidissima" come Ariadne Afrodite dea del labirinto, Boand "mucca bianca", e soprattutto Eithne, Étain/Atena) i Danai che devono aver invaso l'Irlanda o più in generale le isole britanniche, altrimenti non ci spiegheremmo perché i Celti abbiano conservato così tenacemente, e nonostante la cristianizzazione ferina, le loro radici più profonde. V'erano discendenti dei Greci in Irlanda e dunque, oltre al padre, greco di Albalonga, anche la madre di Omero poteva essere discendente di greci irlandesi o comunque di celti di un'Irlanda fortemente influenzata dalla cultura greca. Omero, dispregiatore degli dèi, stima moltissimo Apollo (sia nell'Iliade che nell'Odissea), che è l'Apollo celtico, secondariamente Atena dell'Odissea (nella seconda parte, la permanenza a Itaca). Stima anche Ermes, dio solare Lug, nella prima parte dell'Odissea (viaggio di Odisseo), e ne fa il dio dei Feaci di Scheria che in  Omero diventa praticamente l'Etruria, ma non dimentica che la sua collocazione originaria è nelle Isole dei Beati britanniche e lo fa intendere attraverso indizi di cui ho parlato altrove.

Io sospetto e l’ho già scritto, che l'Eidothea omerica figlia di Proteo egizio sia l'antenata della Sapienza generata dal dio ebraico e anche della Provvidenza sia pure da un punto di vista assai materiale. Anche Eidotea, come Eva a favore di Adamo, è pronta ad incastrare suo padre il multiforme Proteo dio degli abissi, con normale aspetto di Tritone/Dagan, a beneficio di Menelao che vuol sapere come riprendere il mare per Sparta. Anche Atena, che fra l'altro nell'Apoteosi è detta Isonoia, è generata dalla testa di Zeus. Si tratta dunque di una creazione che deve risalire agli Hyksos e al loro limitatissimo pantheon. Radamanto è consacrato ad Atena Isonoia "mente costante", "pensiero equo" in quanto esperto di leggi e giusto, e poi sposato a Tarania/Deiya/Theia in quanto dea del Paradiso/giardino Terrestre, figlia e moglie di Taranis/Dyaus/Sole Iperione. Dunque Radamanto, come qualsiasi re deificato, sposa Atena in quanto sua figlia e moglie e lui si incarna come dio massimo celeste, ma anche come Sole figlio di se stesso (in quanto dio celeste) e di sua figlia. Ho trovato scritto di continuo che quello primitivo degli indeuropei sarebbe un  sostanziale monoteismo. E' verissimo. Se quello dei giudeo-cristiani è  monoteismo, non solo gli Hyksos avevano lo stesso identico monoteismo, ma l'hanno creato loro. I cristiani venerano Padre, Figlio e Spirito Santo. Comparando cristianesimo e religione hyksos, il Padre è il dio celeste, il Figlio (Sole/Gesù) è creato dal Padre o si genera, ma sempre attraverso l'unione con sua figlia (Atena/Maria). In più v'è lo Spirito Santo che è il compiacimento amoroso di dio che contempla la sua perfezione (ricavo questi concetti dal Dizionario del Cristianesimo di Enrico Zoffoli, Sinopsis Iniziative Culturali, 1992, con approvazione ecclesiastica). Peccato che rifacendo il look allo Spirito Santo i preti si siano dimenticati la colomba, attributo della dea madre. Era dunque Atena/Maria la terza persona della trinità prima che questa in mano agli zeloti romani finisse col diventare astiosamente maschilista. Curiosa ricompensa per avere le donne propalato la menzogna cristiana! Sarebbe curioso che, analogamente a quanto si ricava dai poemi omerici (ne ho già scritto sul mio sito), il cristianesimo fosse stato inventato dagli Hyksos prima dell’ebraismo. Pertanto nell’ebraismo arcaico (anche se certo non in quello dal Secondo Tempio in poi) dovevano esservi tutti questi elementi trinitari strettamente affini a quelli paleocristiani. Poi nemmeno di trinità si trattava, visto che la dea era una sola, vergine e madre, e il figlio-sposo era anch’esso uno solo. Alla fine dunque dio Padre finiva coll’esserci solo lui emanando da se stesso la terra, il sole ecc., e dunque il “Creato”.

La dea Atena è la dea figlia e moglie e madre (Maria), dea guerriera e nutrice. Il Sole è il sole nascente-figlio e il Sole maturo che poi tramontando muore per risorgere (Gesù). A differenza dalla concezione antica Gesù non rappresenta più il Sole o  Min toro di sua madre la vacca divina, che deve ogni giorno fecondare per rinascere come Sole il giorno seguente. Maria è diventata Vergine e dio talmente autosufficiente da non aver bisogno di alcun apporto femminile (Maria diventa necessaria solo perché il cristianesimo nasce  ̶̶  o rinasce  ̶   traendo spunto da un fanatico zelota che negli anni '60 tentò coi suoi di entrare in Gerusalemme dall'orto degli Ulivi, cui venne attribuito il nome di Gesù e intorno a cui fu costruito un fortunato mito che dura tuttora). Gli Hyksos erano un popolo di predoni della steppa e dunque la steppa non poteva certo ispirare loro l'idea di una Grande-Madre fertile generatrice di tutto. Il maschilismo della religione giudeo-cristiana nasce secondo me da una malattia psicologica che sarebbe bene fosse analizzata dagli psichiatri e psicanalisti. La colpa in questo caso  è delle donne e infatti mai nessuna religione è stata tanto misogina quanto quella giudeo-cristiana. Non è corretto dire che la società indeuropea originaria fosse in mano agli uomini. Le donne ne condividevano gioie e dolori facendo anche la vita da maschi, come documentano le Amazzoni. Il maschilismo degli Hyksos fu solo una reazione al prepotere delle donne emancipate e anche violente, del tipo delle Slave che emergono dal libro di Conte. Quando la donna si atteggia a maschio l’uomo può trovarsi a disagio e se non è altrettanto maschio e magari finisce che la femmina la fa lui e si inventa il dio degli ebrei a sua immagine e somiglianza.  Le donne degli Hyksos erano donne autoritarie e che imponevano in un modo o nell’altro la propria volontà. Dalle tentatrici e maghe  Eva/Medea  di Eden/Colchide alle principesse intriganti e sanguinarie ittite, alle matriarche  ebree Sara che fa cacciare Agar e Ismaele da Abramo,   Rebecca che con l’inganno fa benedire da Isacco Giacobbe invece del primogenito Esaù, le mogli di Giacobbe i cui figli lasciano mezzo morto nel deserto Giuseppe figlio (insieme a Beniamino) della discriminata Rachele, erano tutte donne difficili da tenere sotto controllo ed era  facile chiudersi in se stessi in un misticismo da eunuchi. Dai documenti ittiti emerge una meticolosa liturgia delle relazioni fra i membri della casa reale, i nobili, eccetera, da richiamare quella ebraica relativa al culto di Yahweh. I monarchi ittiti hanno dei sensi di colpa e parlano di espiazione dei peccati come gli ebrei. E alla fine adorano lo stesso dio sia pure con un corteggio di altri dei della civiltà preesistente che era appunto l’ittita da cui essi hanno ormai preso il nome. Si dovrebbero più probabilmente chiamare Hurriti, discendenti degli Hyksos, e in quanto tali parlanti anche l’indeuropeo (nesico).  E il maschilismo si accentua dal Secondo Tempio e con la civiltà greca. In origine il dio Toro/Tempesta  si fa  steppa e si feconda col suo pene a forma di tornado. Poi si fa steppa e sole e si feconda (il sole figlio si congiunge a sua sorella la steppa figlia) per rinascere come sole ogni giorno. Al di là della retorica degli ierofanti è importante conoscere bene quali sono le nostre radici culturali. Dunque Taranis, come un gran Khān delle steppe centrali dell'Asia crogiolo di popoli, come lo Zeus dell'Iliade, se ne sta sull'Olimpo a guardare che i piccoli mortali si affatichino inutilmente sotto di lui, che li rivolge come polvere del deserto e li tiene prostrati e terrorizzati davanti alla sua tirannica presenza come tanti Fantozzi o tanti Giona.  Per le esigenze del gran khān terreno che come imperatore in potenza di tutta la terra lo rappresenta sulla medesima, egli ha creato o ha promanato da sé la steppa, cioè la terra ("la Provvidenza" "la Sapienza") e il Sole che la riscalda e illumina ogni giorno. Dunque in piccolo, per il pianeta Terra, Atena/Maria e Sole/Gesù sono quello che il Giove Padre è in tutto l'Universo.  Qui c'è in nuce il cristianesimo e se poi vogliamo sfrondarlo di tutto fuorché di dio padre, allora c'è il despota divino di ebraismo e islamismo. Quando l'Umanità uscirà finalmente dallo stadio infantile-demenziale in cui l'ha precipitata una religione che s'è incarnata come Stato?

 

Ancora confronti genealogici

Da Biante/Giacobbe e Pero/Rachele nacque Talao che sposò Lisimache/Crete? figlia di Abante/Deucalione? figlio di Melampode/Giuseppe. Deucalione ebbe ancora Idomeneo e il bastardo Molo. Da Talao e Lisimache nacquero fra gli altri Adrasto (duce della guerra dei Sette contro Tebe), Pronace ed Erifile sposa di Anfiarao figlio di Oicleo figlio di Antifate figlio di Melampode/Giuseppe. Da Melampode nacque anche Mantio padre di Polifede profeta esule nell'Iperesia e padre di Teoclimeno.  Da Adrasto e Anfitea figlia di Pronace nacquero Argia, Deipile e Egialia andate in moglie a Polinice, Tideo e Diomede. Da Anfiarao ed Erifile abbiamo Alcmeone e Anfiloco. Seppure dobbiamo prendere le genealogie greche con le pinze possiamo "accettare" che ci siano tre generazioni da Abramo/Khayan a Minosse/Giuseppe, marito di Pasifae sorella di Eeta e da Abramo a Adrasto e alla guerra dei Sette contro Tebe.

Come diversi sovrani hyksos (forse perfino i più importanti, come Khayan/Abramo) s'erano ambientati in Creta Grecia, le Cicladi e oltre, così anche gli ultimi dinasti della XVII dinastia e i primi della XVIII appaiono di origine egea o comunque strettamente legati a quest'area, e imparentati con gli hyksos. Tetisheri e i suoi figli Ahhotep e Seqenenra Tao II genitori di Ahmose (primo faraone della XVIII dinastia) provenivano dalle Cicladi (Haw Nebw). E Ahmose stesso ad Avaris appare legato a questa civiltà. E’ difficile non includere Cnosso e tutti i centri abitati dell’isola nell'orbita di questa scrittura, come le altre importanti città della Grecia sudorientale, delle Cicladi e della Filistea che ne sono la culla. Viceversa la Grecia nordoccidentale nell'orbita di Micene doveva esprimersi in dialetto acheo  e scrittura Lineare B originata dalla Lineare A (in vigore a Creta da prima e indipendentemente dalla geroglifica di Festo), che veniva probabilmente impiegata dalla popolazione prehyksos in campo religioso e nelle relazioni fra dominatori hyksos e popolazione indigena (ma doveva avere caratteristiche semitiche e dunque comprensibili al ramo minore della dinastia; come al solito, se avessi l’istituto potrei raccogliere le iscrizioni originali e procedere alla continuazione del mio lavoro sulla Lineare A, interrotto per completare quello sull’Apopteosi, e iniziare quello sulle geroglifiche cretesi). Nel neopalaziale maturo (XV-XIV secolo) le Cicladi (Thera), Creta (Keftiu) e la Grecia (Danai/Tanaya) sono sotto la dominazione e influenza dei faraoni della XVIII dinastia. Per il XIV secolo si può parlare di età dei terzi palazzi o tritopalaziale piuttosto che di  una fuorviante età postpalaziale, in quanto i palazzi minoici continuano a funzionare o il potere si è trasferito in palazzi di diversa concezione ma sempre palazzi reali, come il megaron di Haghia Triada. E' questa anche l'età Micenea matura che segue a quella antica dei due secoli precedenti. Quando intorno al 1450 a C. agli Egei raffigurati nella tomba di Rekhmira (visir di Tuthmosi III) a Tebe viene sostituito il vecchio abbigliamento con un altro introdotto di recente si tratta della registrazione di una moda o del primo affacciarsi alla ribalta dei Tanaya  e non necessariamente del loro insediamento a Cnosso (e men che meno dell'arrivo per la prima volta a Cnosso e a Creta di greci che vi avrebbero sostituito la Lineare B alla Lineare A ancora in vigore). 

 

"Borsa da viaggio dell'ultimo Viaggio è il pito" (Apoteosi di Radamanto, A, 9)

E finalmente questo studio approfondito sulle origini della civiltà nostratica mi è servito a perfezionare l'interpretazione dell'Apoteosi di Radamanto che si rivela anche come testo letterario di una certa poesia laddove il pito che contiene il corpo o le ceneri del defunto è definito la borsa da viaggio dell'ultimo viaggio, quello doloroso. Mentre  quando andiamo in vacanza mettiamo nella valigia tutto quel che ci occorre per rendere il viaggio, da cui torneremo, più confortevole, nell'ultimo viaggio, nel pito, ci saranno solo le nostre ceneri o le nostre povere ossa, tutto quel che ci basterà e avanzerà da portare con noi. Gli Hyksos, popoli dei kurgani, dei tumuli, passano in origine la loro vita a cavallo, per cui il paragone del pito con la sacca da viaggio è in sintonia con la loro cultura di gente in continuo viaggio. Lascio il testo in inglese  per dare a tutti la possibilità di mettersi al corrente del perfezionamento della mia interpretazione.

Attualmente mi par di capire che i rituali di divinizzazione si svolgono in un'antro del monte Ida oppure nella necropoli di Haghia Triada presso un labirinto che fa riferimento al santuario Ideo (inteso come una specie di chiesa madre), e questa infine mi pare l’ipotesi migliore. Altrimenti opterei per il culto dell'antro  di Kamares sotto la vetta di destra visibile dal palazzo di Festo (più difficile mi sembra il rapporto fra il palazzo di Festo e l'antro dell'Ida sul pendio settentrionale visibile dal palazzo di Cnosso; comunque è probabile  che entrambi gli antri ospitassero un culto analogo; quello dell'Ida conosceva Zeus nutrito dalla capra Amalthea) sul cui versante è l'altopiano del Nida che conserva il nome originario legato alla foresta che copriva il monte e che corrisponde alla dea Theiya del Nida madre del Sole dell'Apoteosi detta ancora terribile capra (Amalthea) e Ilizia, dunque nutrice, attraverso l'interpretazione sanscrita di Taranya come dea dei Campi Elisi. Dunque nella prima ipotesi del rituale svolto all’Ida dobbiamo immaginare una processione solenne coi sacerdoti in testa che ha  portato il catafalco con sopra un una mummia-fantoccio oppure un toro sostitutivo (rappresentante Amenofi III che ovviamente fu sepolto nella Valle dei Re tebana) da Festo (antica capitale dove poi è stato archiviato il Disco dedicato alla Beata Atena Pensiero-Equo dea del Labirinto) all'antro di Kamares dove era il Labirinto della dea dell'Ida Atena coi suoi vari nomi. Poi il simulacro reale deve essere stato portato ad Haghia Triada dove è stato inserito col suo corredo di doni nel Sarcofago e poi nella tomba dov'è stato trovato. Nella seconda ipotesi si può anche immaginare che i rituali si siano svolti presso il palazzo-santuario di Festo seguiti dall’interramento nell’area sepolcrale di Haghia Triada.

 

La freccia indica l'antro di Kamares visibile insieme all’Ida bicorne dal Palazzo di Festo

 

 

Apotheosis of Rhadamanthys, side A:

ma-ka-rya da(y)-mon la-wry-y-py-py-ty-sy ma-ka-rya Y-so-nya da(y)-mon-ty-sy ty-ke(r)-on so-te(y)-ra-ky py-ra-po(r)-to-py-ty-sy Ke(r)-on-ty-sy DA(Y)-ray ra-nya-rya-ze(y)-py-sy Ke(r)-on-ty-sy nya-dyo la-wry-y-py-py-ty-sy Ke(r)-on-ty-sy DA(Y)-ray ra-nya-rya-ze(y)-py-sy ne-kro Ma-nya-por-ty-sy de(y)-mn°-wy-da(y) y-so-wy-ty-sy   y-ke(r)-on [sph]-ra-ky-ty-sy ye-ro-py-ty-de(y)-ya-py dyo-mn°-se-ty-sy ste-ny-NY De(y)-ya-NY ty-mn°-wo Ra-da(y)-mon-ty-sy.

makaria daimon lawryiphi pitys. makaria Isonoia, daimon t’ēs thēkôn, soteira pēra-pontou pithyos. Kreiontis MEGArē rh’aniarizeiphi soi, Kreiontis naiadiō lawryiphi pitysi, Kreiontis MEGArē rh’aniarizeiphi soi nekron. Maniaportēs, dēmôn owidae isowithyos woikon, sphragistheis hiero[phi]thysiaphi, dio mnēstheis sthenei-NIDA  Theîa-NIDA thymenos ho Rhadamanthys

Blissful lady double-axes pole, blissful Isonoia, lady of the larnakes and protrectress of the last Travel bag  pithos. The doughter of Creon Megara consecrate there to You, the doughter of Creon in the temple of the double-axes poles, the doughter of Creon Megara consecrate there to You the dead. The Illustrious Deceased was expert in the uniforming with equity the national law of the peoples. Your renowned Rhadamanthys has been approved to his divinization rituals, so he has been married to the strong  Theîa-Nida (the Goddes of Mount Ida, originary Nida, "The forest"; such a Goddes is probably worshipped in Ebla, High Syria).

Side B:

De(y)-ya ZE(Y)-nya-ste-ny de(y)-nya-y-ky-sy de(y)-ra-kro-wa-ko Ye-de(y)-my-ny-yo Wo-ra-nya-DE(Y) De(y)-ya-DE(Y) y-ra-DE(Y) ZE(Y)-nya-ste-py Ye-de(y)-my-ny-yo De(y)-ya-NY mon-ye-ny Ye-de(y)-my-ny DA(Y)-py-ko-SY(R) dyo-kro-por-y-ky DA(Y)-dyo-ny ra-to-sa y-ry-wo-WO(Y)-NY da(y)-ma-ze(y)-py mn°-my-ke(r)-SY(R)  y-mn°-de(y) ZE(Y)-a-wry-yo Ra-da(y)-mon-de(y)-pel dyo-kro-da(y)-mon Ta-ra-nya-sa ty-ry-wo-dyo py-ze(y)-yo Pa-nya-wry-sy y-de(y)-ya-py de(y)-mn°-yo-ty-sy.

Theîa NEAniasthenē deinē aix d’eyrakrou bagoû Yede-Minoyo. Ourania-*DHĒLIA Theîa-*DHĒLIA  hira-*DHĒLIA NEAniasthenphi Yede-Minoyo. Theîa-NIDA monoyenē   Yede-Minos MEGALĒS-phēgoû-SYRIOS dikrophorikē MEGALOIN-dyoîn rhantousa  hirēiō WOIKŌ-NIDA damazeiphi mnēmā aige-SYRIOS. hymnodei NĒI-awriyo Ra daimonos de hyper dikrodaimonos Taranias. thyrēn hodoiou piezei ho Phaniawrēs ideyaphi deimonoyo tês.

To Theîa strength of the youth, to the tremendous goat (Amalthaea) of the highest king  Minotaur. To the heavenly nurse, Theîa nurse, holy nurse of the strenght in the youth of  Minotaur, toTheîa-Nida unique daughter,  Minotaur, sprinkled  the two high poles of the big oriental beech born by the double horns, in the sanctuary of Nida, kills by the pillar two oriental male goats. He sings then a hymn  to the ship of the morning of the god Ra (Sun/Lug), that about the goddess of the double horns Tarania. The entrance door (of the tomb) ties Phaniawres imprinting the seals  of her peculiar attributes of tremendum.

 

Proteo e il toro Mnevis di On e Amarna, il toro del labirinto di Creta, il vitello d'Oro di Mosè

Quanto a Giuseppe la storia biblica, cronologia a parte, è verisimile. Secondo Genesi i mercanti ismaeliti (che al tempo viaggiavano a dorso di asino, non di dromedario, e men che meno di cammello) lo vendettero ad un sacerdote di On/Heliopolis di nome Potifar o Potifera. Doveva trattarsi di un sacerdote del toro Mnevis  venerato a On e che Amenofi IV conservò e portò ad Amarna sotto il nome di Mer-wr.  Era collegato con Ra-Atum, frutto della speculazione del sacerdozio di On, il Sole con aspetto di "totalità" e di "nulla", ma anche trinitario, Khepri all'alba, Ra allo zenit e Atum alla sera. Doveva certamente molto all'influsso della dominazione hyksos ad Avaris (e dunque all'introduzione del culto monoteista di Aton) e Pi-Atum (Pitom biblica) fu a lui dedicata. Sappiamo che Yuya era sacerdote di Min ad Akhmim (Khim-Min o Panopolis, fra Tebe e Amarna/Akhet-Aton) e nell’Apoteosi è detto Minotauro, letteralmente, in egizio, “Toro-Min”, da cui per brevità il posteriore Minosse. I tardi sacerdoti  egizi di Erodoto che di storia a volte ne sanno anche meno dei Greci,  conoscono Giuseppe col nome di Ferone (Faraone) e infatti Minotauro/Yuya si identificò col faraone perché praticamente comandava lui. Attribuiscono a Ferone una malattia (cecità) che i greci (sostituendola con una malattia venerea guarita con un filtro di Circe colchidea da Procri, che però aveva tradito suo marito Cefalo con Pteleone in cambio di una corona d'oro per poi rifugiarsi presso Minosse, Apollodoro 3,15) attribuirono a Minosse che alla fine guarì in ottemperanza all'oracolo di Buto lavandosi gli occhi con l'urina di una donna che s'era accoppiata sempre e solo col proprio marito (Erodoto 2, 111). Sempre al tempo di questo Minosse e al luogo citato i sacerdoti ricordavano l'alluvione (connessa secondo me all'eruzione del Thera e alle dieci piaghe d'Egitto) a causa della quale « il fiume si ingrossò fino a raggiungere un'altezza di 18 cubiti, tanto da sommergere le coltivazioni e, levatosi un forte vento improvviso, il fiume divenne agitato  ».   Amenofi IV va identificato con Proteo (citato come successore di Ferone dai sacerdoti informatori di Erodoto, 2,112), che adottò per primo il culto di Dioniso secondo Apollodoro (3,5). Poiché Menelao trovò Elena alla corte di Proteo che aveva fatto arrestare Alessandro/Paride portato dai venti contrari in Egitto (Erodoto 2,113-115) evidentemente la guerra di Troia (quella vera, quella cui fanno riferimento i nomi dei personaggi storici) avvenne nel XIV secolo e non a motivo del ratto di Elena da parte di Paride.

La teologia minoica e il labirinto cretese (quello raffigurato sul sarcofago di Haghia Triada) devono tutto alla teologia eliopolitana come accolta nell'età di Amenofi III e IV. Rielaborando ai fini del mio lavoro quanto scrive su Welcome to Bible Origins Walter Reinhold Warttig Mattfeld y de la Torre, ricavo che il Sole nasceva all'alba come vitellino dalla vulva di sua madre (Meh-wrt = "la Grande Vacca" celeste), nel corso della giornata diveniva un toro e alla sera (analogamente a Min "toro di sua madre") montava sua madre al fine di rinascere il giorno seguente. Ecco la spiegazione del fatto che la dea madre minoica sembra accoppiarsi con un dio toro-sole ora giovane, apparentemente suo figlio, ora maturo, apparentemente suo paredro. Ovviamente il faraone era incarnazione del sole-toro, da qui l'identificazione del Minotauro nato da Pasifae e dal toro marino di Minosse e di Minosse stesso e di tutti i re di Creta col toro. Il labirinto è il luogo dal quale il re toro-sole al tramonto della sua vita terrena va a posarsi e da qui risorgerà di nuovo come sole-vitellino dopo essersi congiunto con l'eterna vacca celeste. Ad Eliopoli il sole è raffigurato mentre sorge (e contemporaneamente passa in forma di vitello) fra due sicomori che rappresentano Hathor. I  due pali con le doppie asce bipenni del labirinto sono dunque verisimilmente la schematizzazione dei due sicomori di Hathor e dunque del tempio  (non è lecito chiamarlo funerario visto che non è concepito come sepoltura definitiva ma come dimora condivisa con la dea cosmica  del faraone-Sole  ̶  da qui la forma di disco solare d'oro del Disco di Festo-Apoteosi di Radamanto). Dunque il labirinto è una schematizzazione del boschetto sacro di Hathor, luogo di delizie (come l'omphalos di Ogigia di Calipso, che pure è concepito da Omero come Purgatorio e non come Paradiso terrestre, o il palazzo e l'annesso giardino con la fonte dell'eterna giovinezza del Paradiso di Nausicaa a Pyrgi) dove Radaimon(thys), il "dio, daimon, Ra", il divenuto dio Sole Amenofi III, chiamato profeticamente dai moderni il Re Sole d'Egitto, si ricongiungerà con sua madre la Grande Vacca celeste in eterno, finché il sole sorgerà sui mortali. La dea Vacca (Hathor parrebbe preferibile per il passaggio ad Astarte e Afrodite della tradizione riguardante il tempio-tomba di Minosse, ma da quanto abbiamo detto sopra la dea è vista sotto un duplice aspetto di dea vergine e madre  ̶   da qui la sua raffigurazione come doppia dea o due dee  ̶   è una sola, vista nel suo processo evolutivo ciclico; e lo stesso va detto del dio Toro come padre e Sole come figlio ma sempre lo stesso dio) era anche quella da cui scendeva l'acqua cosmica del profondo abisso, così che lo tsunami connesso all'eruzione del Thera può essere stato a maggior ragione visto legato a questa concezione religiosa tanto da accelerarne la fine. Il culto della capra Amalthea è associato a Minosse che da essa fu allattato. Secondo Erodoto Mendes (vicino ad Avaris) è il distretto egiziano in cui si venera il capro Pan/Min (2,46).

Il tritopalaziale segna l'auge della civiltà di Minosse e di Micene.  Nebmaetra Amenofi III su Creta, Grecia,  Cicladi e Troia è noto come re Radamanto. Il suo visir ed alter ego è noto ai greci come Minotauro ("Toro Min"; è infatti sacerdote del dio toro Min; per gli amici Minosse), nobile discendente del ramo hyksos palestinese e infatti il suo nome originario Yuya è teoforico del suo dio Yahweh, non a caso da lui (e da chi altri?) introdotto via  Aton a palazzo reale. Se Minosse non può più definirsi come i suoi antenati un Khayan egli è tuttavia un sscr. Kreyan/Creonte, Signore, re.  E' padre di  Tiye/Megara moglie di Amenofi III. Rimbalzando di bocca in bocca la voce popolare vuole che la regina Pasifae sua moglie  (cioè Tuya moglie di Yuya/Minosse)  dalla  unione mostruosa col toro marino (una manifestazione di Tifone marino ovvero Posidone/Min/dio protoebreo) abbia generato  il mostruoso Minotauro che altri non può essere  che il deforme faraone monoteista Amenofi IV Akhenaton, che però è figlio di Tiye, figlia di Minosse. Il fatto è che poiché Minotauro aveva un enorme potere finiva coll’identificarsi anche con Amenofi III e dunque coll’Eracle (i Greci amavano scherzare attribuendo anche alle Furie o Erinni l’epiteto di Eumenidi, Benevole), piuttosto Anti-Eracle, marito di Megara.

Amenofi III muore nel 1348 e i suoi funerali nella Valle dei Re vengono ricordati nei cenotafi che gli sono dedicati nelle città capitali delle colonie oltremare. Ad Haghia Triada, che come città capitale ha sostituito la vicina Festo, viene ricordato il suo funerale coi protagonisti riprodotti sul Sarcofago e descritti sull'Apoteosi in veste cretese di derivazione hyksos. Almeno nel caso di Haghia Triada possiamo ritenere che realmente Minosse e sua figlia la regina Megara si siano recati di persona a celebrare i funerali fittizi collegati idealmente al Labirinto dell'Ida, ma è evidente che a Creta e nelle altre colonie un governatore era solitamente inviato a rappresentare il faraone regnante. Il governatore doveva recarsi in missione accompagnato da un presidio militare e doveva avere come collaboratori gli anziani del luogo riuniti in assemblea. Via via a partire da Minosse, che faraone non era, e soprattutto da suo figlio Deucalione (il famoso Ay che divenne faraone dopo Tutankhamon), si sarebbe potuto creare un regno autonomo che avrebbe potuto approfittare anche dell'eruzione del Thera e del crollo della potenza egizia, ma questo sogno svanì a causa della alluvione micenea che lo fece poi  rivivere attraverso i monarchi micenei usurpatori del titolo di Minosse ma che ne incarnarono al meglio lo spirito di potenza universale sul mare, la talassocrazia micenea.  Il Labirinto alla fin fine era il tempio dei pali con le doppie asce ricavato, parte scavando, parte con opere in muratura, in una caverna dell’Ida. Anche nei palazzi una parte interna è riconoscibile come labirinto, diviso in due, come a sottolineare che la dea del labirinto Atena/Ariadne/Isonoia  come Maet egizia era dea della Verità e della Giustizia. Questo dualismo è onnipresente nel labirinto raffigurato anche sul Sarcofago: doppie corna, doppi pali con doppie asce bipenni, labrys, da cui Labirinto (palazzo o tempio delle doppie asce). Alla morte di Amenofi III Yuya/Minosse continua forse per poco la sua reggenza  dietro alla regina vedova sua figlia Tiye/Megara e forse anche dietro ad Amenofi IV poi lasciando il testimone a suo figlio Ay  (marito di Tey) visir di  Tutankhamon e  faraone dopo la morte di questo. Poco dopo la morte di Radamanto Minosse dovette affrontare l'assalto dei Sette re micenei guidati da Adrasto contro Tebe beota, inviando migliaia e migliaia di carristi e fanti egizi e federati a difesa delle mura cadmee. Probabilmente anche lui, il generalissimo Minotauro (così lo ricordavano gli eruditi bizantini), si recò personalmente sul continente per supervisionare le operazioni di difesa e contrattacco ed iniziando quel sogno di potere suo e della sua famiglia su Creta e Grecia che fu spezzato dalla vittoria dei Micenei. Intorno al 1340 a C. avvenne l'eruzione del Thera accompagnata dallo tsunami o Toro marino.  Ora è chiara l'identità dell'evento alluvionale che Amos 9,7 pone a origine dell'esodo di Etiopi, Israeliti, Filistei e Aramei. Tutti costretti ad emigrare da una medesima catastrofe alluvionale collocabile intorno al 1340 a C. Gli Etiopi delle imprese di Perseo, gli Israeliti del tempo di Amenofi IV/Mosè, i Filistei/Pelasgi, gli Aramei o Siri della Cappadocia sono tutti cacciati dalle loro terre d'origine dal Diluvio di Minosse o Deucalione suo figlio. In breve tempo seguirono l'affondamento della flotta di Minosse, e i Sette attaccarono e distrussero i palazzi cretesi tranne  quello di Cnosso, dal quale dominarono su tutta l'isola con la loro  Lineare B. Dopo di che ebbero mano libera per distruggere (1338 ca.) la rocca cadmea, l'ultimo baluardo della colonizzazione hyksos-egizia in terra greca. Ad Amarna, rifugio del faraone asceta Amenofi IV, la ceramica micenea è preponderante indicando il predominio dei Micenei sul mare. Rimaneva ancora la rocca di Troia a guardia della via per l'oro della Colchide e della Scizia per cui l'Egitto era famoso e tutti i re del tempo scrivevano al faraone chiedendo oro. L'episodio storico che fece sbocciare la leggenda della guerra di Troia (Troia VI dello Schliemann) deve cadere in questo momento.   E' vero che Troia VIh, l'ultimo strato di Troia VI, presenta tracce di un terremoto che suggerisco di datare al terremoto e allo tsunami dell'eruzione di Thera (1340) verso la fine del regno di Amenofi IV, (Amos pone in relazione simultanea l'esodo di Etiopi, Ebrei e Aramei e un'inondazione è attestata dalla tradizione greca in Etiopia al tempo di Perseo, mentre Apollo e Posidone a questa data mandano un'inondazione seguita da pestilenza contro Troia perché Laomedonte s'era rifiutato di pagarli per la ristrutturazione della rocca di Pergamo; il fenomeno è in ambo i casi accompagnato dalla comparsa di un mostro marino) ma ciò non significa che questo terremoto pur abbattendo qualche tratto di mura abbia raso al suolo la città e sterminato i suoi abitanti. Significa solo che ne avrebbero potuto approfittare i Micenei che avendo raggiunto e agognando sempre più la talassocrazia avrebbero voluto dominare lo Stretto dei Dardanelli per cui passava il traffico delle navi cariche d’oro della Scizia, della Colchide, del Danubio, e di altri metalli e prodotti di pregio delle regioni prospicienti. Al tempo di Ahmose ci fu la cacciata degli Hyksos; al tempo di Amenofi IV (al tempo di “Mosè”) ci fu verisimilmente  un esodo di “ebrei” come conseguenza dell’eruzione del Thera e dello spirito xenofobo che travolse Akhenaton e i suoi correligionari;  al tempo di Ramses III  non ci fu l'esodo degli ebrei ma il tentativo dei popoli del mare di invadere l'Egitto e il loro ripiego in Palestina, magari seguiti da residui di pastori hyksos  e nostalgici di Aton nel delta orientale. Al tempo di Amenofi IV ci fu  l'eruzione del Thera e la conseguente alluvione o diluvio di Deucalione (figlio di Minosse) o tsunami o toro marino della tradizione. Gli scribi ebrei hanno registrato il fenomeno attraverso le dieci piaghe (fra cui significativamente i tre giorni di tenebre e le acque del Mar Rosso che si riversano sugli inseguitori) e anche calcolato l'anno dell'uscita, tramandato male a causa dell’errore dei copisti, ma non ci dobbiamo disperare. Dobbiamo andare all'età di Amenofi IV, l'unica in sintonia con il culto monoteistico che ebbe la peggio e con lui gli stessi ebrei monoteisti proprio in seguito alla collera divina scatenata dal cielo e dal mare. Fu verso la fine del regno di Amenofi IV che avvenne l'eruzione del Thera e la comparsa del toro marino distruttivo. La guerra di Troia come sfruttamento dell'indebolimento della città dopo l'eruzione di Thera (si tenga presente che la città bassa di Troia era tutt’intorno protetta appunto da una diga, il famoso vallo che Omero fa costruire dagli Achei a difesa delle navi  e poi distrutto da Posidone) si può collocare tra la fine  del regno di Amenofi IV (1348-1331) e l’inizio del regno di Smenkhkare (1331-1328).

Gli "specialisti" continuano a discutere su cose assodate da decenni (forse perché se  una volta per tutte si facesse il punto della situazione  resterebbero disoccupati?). Ancora si discute sulla localizzazione  di Ahhiyawa e Wilusa.  Io l’ho capito da almeno un ventennio, grazie anche a Gli Ittiti di J. G. Macqueen (Newton Compton), che  gli Ahhiyawa sono attestati nella punta estrema nord-ovest della Turchia, nella Troade (sono gli Achei d’Asia, da distinguere da quelli della Grecia, perché la colonizzazione dell’Anatolia da parte dei “Micenei” è iniziata almeno dal XIV secolo; stando ad Apollodoro è Anfitrione, cioè Tuthmosis IV, e dietro lui Minosse/Yuya, ad aver cominciato la conquista dell'Egeo dalle parti di Tafo e dell'Acarnania abitata dai Teleboi Illirici, senza parlare delle isole dell’Egeo e della costa anatolica  su cui si sarebbero insediati i figli di Minosse o di Radamanto), dove è pure la rocca di Ilio e la città bassa di Troia. In una lettera oggi detta di Piyamaradus (e in origine di Tawagalawa, *Etewoklewes, Eteocle), un anonimo re ittita si rivolge ad un anonimo re di Ahhiyawa per reclamare l’estradizione del  piantagrane Piyamaradus di Millawanda (Priamo di Mileto). Nella lettera (che ho potuto leggere integralmente in questi giorni, in inglese, non nel testo originale, cosa che mi piacerebbe assai, come mi piacerebbe tutto quello che gli “addetti ai lavori” hanno a disposizione e tutti gli altri no) è  significativo che il re ittita parli di  Tawagalawa come del fratello dell’attuale re di Ahhiyawa (ovviamente “Polinice”), ma al passato, ciò che mi da la sensazione  che “Eteocle” sia morto (premesso che non mi aspetto che la tradizione venga confermata punto per punto, secondo la  tradizione i due fratelli muoiono in un duello e ciò non sarebbe il caso nostro; però la tradizione  è anche incerta su chi dei due sia rimasto al potere contro i patti scatenando la guerra dei Sette e dunque potremmo teorizzare che al potere rimase, contro la tradizione prevalente, Polinice “il Plurivittorioso” mentre Eteocle, vivo o morto, è fuori gioco, a meno che ciò comporti una datazione più tarda di tutta la guerra tebana ancora da venire e dunque una datazione più tarda della vera guerra di Troia, che a questo punto finirebbe con l’essere proprio quella omerica, ma non ci credo),   da quanti anni? Tutto dipende dalla cronologia e io non posso facilmente, non disponendo di tutto il materiale disponibile, perché non ho il mio istituto di ricerca, identificare i protagonisti di questa lettera nella concatenazione di tutti gli altri documenti esistenti, letti dall’originale da me personalmente, e quindi datarli seriamente e non come vedo procedere a caso qua e là.  Nella lettera il re ittita accenna anche a precedenti ostilità fra lui e il re di Ahhiyawa intorno a Wilusa che ora sono state superate pacificamente (“Per ciò che riguarda la città di Wilusa, noi [Ahhiyawa e Hatti] eravamo in guerra, [poi] facemmo pace”). Dunque al limite anche la vera “guerra di Troia” a questa data è alle spalle. Riepilogando, stando alla tradizione greca, avremmo una guerra dei Sette contro Tebe con Tideo intorno al 1348, dieci anni dopo, nel 1338 una guerra degli Epigoni (e la distruzione di Tebe) con Diomede figlio di Tideo, e ancora, poniamo dieci anni dopo (1328), la guerra di Troia con la partecipazione dello stesso Diomede.  L’epoca in cui ci troviamo è quella dell’ittito Suppiluliumas I, che ricevette dalla vedova di Tutankhamon (successo a Smenkhkare; 1328-1318) intorno al 1318, la proposta di un matrimonio dinastico con uno dei suoi figli, che fu inviato e ucciso nel tragitto da un complotto avverso all’idea (che potesse il figlio di una/o straniera/o dominare sul paese: mi viene da pensare alla principessa Diana d’Inghilterra). (Fra parentesi non si riuscirebbe a capire questa richiesta se non attraverso strette relazioni fra i due popoli fin  dall’inizio dell’epopea degli Hyksos e infatti io ritengo che proprio Hyksos erano gli Ittiti indeuropei che infatti Emil Forrer dimostrò non avevano un nome avendo preso quello dei precedenti abitatori della regione; per la verità il nome da usare noto agli antichi era Hurriti per il lato non-indeuropeo e Nesici per quello indeuropeo; tutto sommato per non far confusione preferisco usare il termine  Hyksos che del resto va bene per indicare gli stessi dominatori su un  vasto impero plurietnico e pluriculturale; è evidente che  gli Ittiti veneravano fra l’altro Teshub, il dio della tempesta, il Sole e la dea del sole di Arinna/Ariadne come  in Egitto si faceva soprattutto dal tempo di Giuseppe/Yuya alla corte di  Tuthmosi IV fino ad Akhenaton, coi risvolti di Ankhesenpaten) E’ sotto suo figlio Mursili II che deve essere intercorsa la corrispondenza intorno a Piyamaradus di cui abbiamo detto. I personaggi ci sono tutti, Piyamaradus/Priamo, Mursili/Myrsilos,  Alaksandus di Wilusa/Alessandro o Paride d’Ilio. Stefano di Bisanzio nella sua Ethnika scrive che Elena e Paride nel loro viaggio a Troia si incontrarono a Samylia in Caria con Motylos, cioè probabilmente con Muwatallis successo a Mursilis. E’ inutile cercare al di fuori di quest’epoca, la fine dell’epoca d’oro di Troia, Troia VI di Schliemann! Omero era un poeta e non uno storico, ed aveva altre esigenze, come vedremo. E’ evidente che i Greci stavano colonizzando l’Anatolia intorno a Mileto e Troia come via per la navigazione fino al Mar Nero, al Danubio ecc. per i metalli come lo stagno, e l’oro di cui l’Egitto di Akhenaton era talmente ricco che tutti gli scrivevano, senza alcun  ritegno, per averne. E' perciò evidente che la "guerra di Troia" avvenne nel XIV secolo, età in cui nella penisola della Troade sono attestati gli Ahhiyawa o Achei che appunto avevano già iniziato la loro invasione della Troade e non gli rimaneva che conquistare la potente rocca di Ilio con la sottostante città bassa, cosa che alla fine gli poté riuscire approfittando del terremoto cioè delle conseguenze dell'eruzione del Thera e del relativo tsunami o Toro o Cavallo marino inviato da Posidone, che avrebbe abbattuto perfino la diga a protezione di Troia, il vallo degli Achei di  Omero che ne attribuisce la distruzione  appunto a Posidone (e Apollo) così vendicatisi della superbia umana che fidando solo in se stessa omette di celebrare le sue grandi opere senza offrire sacrifici agli dèi (Iliade VII fine).

Da qui l'idea poetica del Cavallo (ma il cavallo è l’animale degli Hyksos dalle origini per cui sarebbe stato impossibile non pensare al cavallo; a proposito della scoperta di un dente di cavallo in uno strato di Troia II, circa la metà del III millennio, uno degli archeologi che la scavano afferma che sarebbe importante scoprire dove per la prima volta fu addomesticato il cavallo perché sarebbe stato l’equivalente di una bomba all’idrogeno dei nostri tempi)   simulacro divino abbandonato sulla spiaggia dagli Achei nel loro finto ritorno a casa e che i Troiani ingenuamente avrebbero introdotto in città insieme ai guerrieri nascosti nella sua pancia cosicché gli uni avrebbero nottetempo aperto le porte della città e gli altri sarebbero tornati da Tenedo dove s'erano nascosti, dando al rogo la città e i suoi abitanti inermi e intontiti dal vino scorso a fiumi per celebrare la fine dell'assedio. Io credo che la vera guerra di Troia sia quella che la tradizione greca ha conservato (sia pure male e vagamente) sotto il nome di Eracle/Amenofi III condotta con una flotta di diciotto navi, in quanto il racconto di questa guerra pare essere ricalcato per sommi capi da quello successivamente elaborato da Omero. Una vera guerra di Troia non c’è mai stata e tantomeno delle proporzioni Hollywoodiane dell’Iliade. Come la Chanson de Roland coi suoi paladini e le battaglie coi mori, l’Iliade fu un genere che raccolse intorno a sé (e ad una data che segnava la fine ideale della civiltà antica, diciamo il 1150-1200 a. C.)  il meglio d’un’epoca rimpianta da molti e che fu vista come un’epoca di supereroi che seguivano un codice cavalleresco ed erano gentili con le dame e dunque esaltata come modello educativo dei giovani della nobiltà. Come tutti gli Amarcord, anche quello omerico era destinato ad un sicuro successo, all’immortalità. La fine tragica degli Achei esaltata da Odisseo nel sottotitolo del mio lavoro, come quella dei Giganti di Eurimèdonte (Od. VII) e del Genesi, come quella degli Hyksos e dei Pelasgi-Filistei (o degli Ebrei) avviene alla fine del mondo antico quando l’invasione dei popoli del mare del tempo di Ramesses III è l'unica che abbia potuto dare l'idea di una coalizione di greci contro Troia, mentre fu diretta prevalentemenente contro la Palestina dopo essere stata respinta dal faraone sul delta (anche Odisseo quando si finge un pirata cretese racconta di simili avventure finite male nell'invadere il delta egiziano e anche i viaggi di Paride e Melelao, rapitore e marito di Elena  ̶  in realtà manifestazione della dea dei matrimoni e fusioni fra popoli Afrodite Urania di Ascalona e venerata anche a Memfi nel quartiere fenicio dove Menelao la ritroverà portandola a Sparta ̶   toccano l'Egitto e la Palestina). E' una carneficina in cui tutti sono perdenti, vinti e vincitori. Non a caso gli Achei che hanno visto l’eccitante giorno dell'olocausto di Troia, cioè quelli che non sono morti nel frattempo, e sono innumerevoli e i più fortunati (Achille), hanno perso venti anni della loro vita (Nestore, cosa che per lui non è poco, e Menelao), gli affetti dei parenti e degli amici che sono morti nel frattempo o più non li riconoscono (solo il cane Argo riconosce Odisseo), e se non spariscono tra i flutti (Aiace d’Oileo) o divorati da mostri marini o antropofagi di terre sconosciute (i compagni di Odisseo), tornano a casa da stranieri disadattati, con due sole alternative, essere scannati come bestie al macello per ordine del nuovo re che ha impalmato la regina (Agamennone) oppure chiedere l'elemosina contendendola agli altri accattoni che affollano il palazzo, o, nel caso eccezionale di Odisseo sopraffare con l’inganno gli usurpatori e poi rimanere senza un'obiettivo (perché gli Achei sono nati per la guerra e senza la guerra non hanno alcuno scopo nella vita) e passare tutto il giorno sulla riva al mare sognando di riprendere il viaggio per andare a morire più lontano, magari attraversando lo Stretto di Gibilterra per vedere cosa c'è dall'altra parte. Quello di Omero è il lamento su un'età epica di eroi rimasti ineguagliati, da qualsiasi delle due parti abbiano combattuto, un'età dell'oro che egli ha creato con la fantasia ispirandosi alla ricca Tarquinia e alla guerriera Roma in cui vive e tanto gli è riuscita questa menzogna che Esiodo ci piange sopra rimpiangendola, tanto fulgida gli appare quanto modesta e oscura l'età in cui vive magramente nella sua Grecia. Omero scrisse solo apparentemente per i Greci, e da questo punto di vista egli celebrò l’epopea della colonizzazione greca dell’Asia Minore. Troia era soprattutto la città da cui sostenevano di originare gli Albani di Albalonga che non era la città madre di Roma, bensì il contrario. E l’albano Tullo Ostilio terzo re di Roma aveva da poco distrutto Albalonga e deportata la popolazione a Roma inglobandola in nuove genti e tribù. Dunque doveva fare opera di pacificazione fra Albani e Romani e così celebrò il centenario della fondazione di Roma (nel 649 a. C.) con un’opera che facesse finire con la pacificazione (fra Priamo e Achille) il conflitto fra due popoli poi divenuto uno solo (sotto gli auspici della dea dell’amore e dell’unione dei popoli Afrodite Urania che aveva voluto unire i due popoli greco e troiano attraverso il matrimonio fra Paride e Elena). E invertiva le parti, nel senso che qui almeno per un giorno i vincitori sarebbero stati gli Albani che si ritenevano, curiosamente, Greci, e perdenti i Romani, che in un modo o nell’altro si diceva provenissero da Troia. In verità gli Etrusco-Romani avevano lontane ascendenze dai Feaci o Tirreni orientali, cioè da popoli marinari imparentati con gli hyksos e che erano stati al servizio dei faraoni sulla via dell’oro dei Dardanelli, del Danubio, del Mar Nero. Certamente i Romani in qualche modo furono legati a Troia e magari un giorno se ne saprà qualcosa di più preciso. Ma non era questa Troia (per lo più leggendaria) che Omero e il suo committente volevano celebrare, bensì Albalonga (la Troia ideale), sulle pendici di Monte Cavo (dove anche chi scrive è nato, a Rocca di Papa), città natale di entrambi, la cui distruzione poteva toccare ancor più le corde di un già sommo poeta.    

Il movimento dei popoli del mare è responsabile della fine dei centri palatini di Pilo, Cnosso ecc. nel XII secolo. 

Ho ancora tante domande cui dare una risposta ma ho un anno e mezzo di tempo prima del centenario della scoperta del Disco di Festo e spero di festeggiarlo adeguatamente.

Una la propongo anche ai miei lettori ed è la via che la tradizione ha preso per giungere fino a noi. Quali famiglie, quali città hanno conservato queste tradizioni? E perché sono arrivate queste (o soprattutto queste) e non altre tradizioni nei poemi omerici (e analogamente dell’Antico Testamento e in tutta la tradizione greca)? I poemi omerici si avvalgono in misura notevole di materiale narrativo che ha direttamente o indirettamente come protagonisti i personaggi della grande famiglia patriarcale degli Eolidi e le regioni in cui essi hanno vissuto. In sintesi predominano Nestore di Pilo, la Troade e il Mar Nero della guerra di Troia e del viaggio di Giasone (figlio di Esone fratello di Amitaone, Ferete e,  per parte di madre, di Pelia e di Neleo padre di Pelo e Nestore) e degli Argonauti nonché di quello di Odisseo che al momento non mi pare abbia relazione con costoro se non attraverso Demarato corinzio che esalta  Alcinoo e Arete che sono connessi sia ai Colchi rimasti nel Lazio dopo aver cercato di riportare Medea in Colchide, sia, forse, agli hyksos del ramo minore (hurrito-ittiti e civiltà orientalizzante). Poiché sappiamo che gli Ioni Neleidi di Pilo furono cacciati dai Dori (Pilo fu distrutta intorno al 1200 a. C.) e si stanziarono a Mileto da cui iniziarono dal VII secolo la colonizzazione della Propontide (Cizico, toccata dagli Argonauti nel loro viaggio di andata, fu fondata nel 676 a. C.), abbiamo un'ulteriore riprova che i poemi omerici (Viaggio d'Odisseo) furono concepiti nel secondo quarto del VII secolo, e in fondo si prestavano bene a celebrare anche questa epopea greca (oltre a quella principale seppure in penombra etrusco-romana). 

 

Fine (per il momento)

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