Massimo Cogliandro

 

 

Il processo a Gesù

 

 

 

I

 

I due Messia

 

La scena tramandata dai sinottici relativa al processo di una guida politico-religiosa chiamata Cristo, alla liberazione di un personaggio di nome Barabba per acclamazione da parte del popolo ebraico e alla crocifissione di Cristo risponde assolutamente a verità. Ciò che non risponde a verità, come ci ha rivelato David Donnini nella sua opera intitolata “Cristo”, è la reale identità dei personaggi che animano la scena del processo riferita dai sinottici.

Nella cronaca del processo, per come ci è stata tramandata dai vangeli canonici, ci sono state alcune alterazioni:

1.    il personaggio chiamato Gesù Cristo nella narrazione evangelica del processo, in realtà, era il Messia di Israele degli Esseni, cioè  la loro guida politica, che in quel tempo veniva comunemente soprannominata “Cristo” e che, secondo gli Esseni, un giorno sarebbe stata incoronata “re dei Giudei” e avrebbe condotto la lotta di liberazione del popolo ebraico dal dominio politico dei romani;

2.    il personaggio chiamato Barabba, in realtà, era il Messia di Aronne degli Esseni, cioè la loro guida spirituale, il cui nome reale era Gesù Barabba (Barabba in aramaico vuol dire “il figlio del Padre”).

 

La prova di quanto ho affermato si trova a pagina 101 del Novum Testamentum Graece et Latine (a cura di A. Merk, Istituto Biblico Pontificio, Roma, 1933), dove è riportato il verso 16 del capitolo 27 del vangelo secondo Matteo con la relativa nota a piè di pagina, in cui quando ci si riferisce a Barabba non viene usata l’espressione "legomenon Barabban" (leghomenon Barabban = detto Barabba), ma: "Ihsoun Barabban" (Iesoun Barabban = Gesù Barabba).

Gesù Barabba è il personaggio di cui ci sono riportati i detti nel Vangelo di Tomaso e in Pistis Sophia, dove il Salvatore viene chiamato solo “Gesù” e mai “Cristo” o “Gesù Cristo”.

A questo punto risulta evidente che:

1.    il personaggio sobillatore di rivolte contro i Romani, che si era macchiato del reato di omicidio, non era Gesù Barabba, ma il personaggio soprannominato Cristo;

2.    la celebre frase di Pilato: “Io non trovo nessuna colpa in quest’uomo” è stata realmente pronunciata da Pilato, ma non era riferita a Cristo, bensì a Gesù Barabba, che, per il carattere non violento della sua predicazione e soprattutto per la sua origine romana (era, infatti, figlio del soldato romano Pantera, come ci riferiscono Celso ed alcune antiche fonti ebraiche), non veniva ritenuto pericoloso dalle autorità costituite;

3.     gli Ebrei hanno effettivamente chiesto a gran voce la liberazione di Gesù Barabba al posto di quella di Cristo, perché, per il fatto di essere la guida spirituale degli Esseni, per i suoi modi non violenti  e per la sua grande erudizione, Gesù Barabba veniva considerato dai sacerdoti ebrei, nonostante le differenze religiose, uomo degno di rispetto e non meritevole della morte;

4.    ad essere liberato non è stato il personaggio “negativo”, ma quello “positivo”, cioè Gesù Barabba;

5.    il personaggio soprannominato “Cristo” è stato effettivamente condannato a morte da Pilato per i reati di omicidio e sedizione ed è stato crocifisso sul Golgota.

 

 

 

II

 

Il mistero della morte di Gesù

 

 

Gesù Barabba non solo non è morto dopo il processo subìto insieme al personaggio chiamato “Cristo”, ma, come ora intendiamo dimostrare, è vissuto per parecchio tempo dopo la morte di “Cristo”.

La soluzione del problema ci viene da alcuni testi gnostici, fra i quali spicca Pistis Sophia. Questi testi, ma anche gli stessi Vangeli Canonici, affermano che Gesù dopo la “resurrezione” è rimasto sulla terra per un certo periodo di tempo.

Ora, mentre i testi canonici affermano che questa permanenza è durata solo quaranta giorni, i più antichi testi gnostici affermano che tale permanenza è durata diversi anni. Se si considera l’antichità di questi scritti e il fatto che le sette di cui erano espressione molto spesso erano in una sorta di continuità storica e culturale rispetto alla più antica comunità essena, è evidente che la loro attendibilità sull’argomento è molto forte.

L’autore di Pistis Sophia racconta che “dopo che Gesù fu risorto dai morti trascorse undici anni con i suoi discepoli durante i quali si intrattenne con essi istruendoli”. Egli ci fornisce una informazione molto importante: una parte dei cristiani del secondo secolo si trasmetteva una tradizione secondo cui Gesù era vissuto per ben 11 anni dopo la  cosiddetta “resurrezione corporea”.

Ora, se si tiene conto che studiosi come Luigi Moraldi hanno riscontrato una influenza sicura su Pistis Sophia degli scritti trovati a Qumran, è lecito pensare che in qualche modo l’autore dei primi tre libri di Pistis Sophia fosse in contatto con fonti di provenienza essena, da cui ha tratto le proprie notizie su Gesù, diverse, ma anche più attendibili di quelle di cui poteva disporre la setta degli apostolici, cioè la “Grande Chiesa”.

D’altra parte, non è possibile che l’autore di Pistis Sophia affermasse che Gesù era rimasto 11 anni con i discepoli senza attingere a fonti sicure: 11 anni sono un periodo di tempo troppo lungo per poter essere inventato di sana pianta…

Questa ipotesi trova una conferma nel fatto che, molti anni dopo la presunta morte di Gesù Cristo nel 33 d. C., Svetonio parlava di una sommossa cristiana “impulsore Chresto”, cioè avvenuta “per istigazione di Cristo”: Svetonio nel 49 d. C. pensava che Cristo fosse ancora vivo e che la rivolta fosse opera sua! In realtà, uno dei due Messia esseni probabilmente era ancora vivo, ma non si trattava del personaggio soprannominato “Cristo”, bensì di Gesù Barabba. Svetonio, però, confondeva i due personaggi, esattamente come più tardi li confonderà la Grande Chiesa.

Il motivo di questa confusione tra i due personaggi probabilmente va cercato:

 

1.    nella rottura tra Giacomo, fratello e protettore di Gesù Barabba nonché Maestro di Giustizia della comunità essena del tempo, e Paolo di Tarso, dovuta probabilmente al fatto che la comunità essena e lo stesso Gesù Barabba, per non mettersi contro i romani, avevano ripudiato il presunto Messia di Israele finito sulla croce, scelta non condivisa da Paolo di Tarso, da Simon Pietro, che come dimostra il loghion 114 del Vangelo di Tomaso non condivideva molte delle idee di Gesù Barabba, e dai loro seguaci;

2.    nel fatto che dopo la rottura con gli Esseni di Giacomo, la setta di Paolo di Tarso ha abbandonato la dottrina essena dei due Messia e ha ripreso la dottrina ebraica tradizionale dell’unico Messia d’Israele, che veniva identificato con Cristo.

 

La setta che faceva capo a Paolo, però, era dominante all’interno della comunità ebraica di Roma, che, quindi, continuava ad esaltare la figura di Cristo.
Seneca, che confondeva ancora la neonata comunità cristiana con quella essena, sapeva che il Messia degli Esseni era ancora vivo, ma gli era stato riferito che gli ebrei di Roma lo chiamavano Cristo e, siccome non conosceva a fondo le diatribe interne alla comunità ebraica, confuse presto i due personaggi.

La confusione operata nella Grande Chiesa tra le figure di Gesù e di Cristo, dopo la morte di Gesù Barabba, è stata invece dettata da motivi di carattere prevalentemente politico, tesi a creare il clima per un riavvicinamento alla chiesa madre di Gerusalemme, cioè alla comunità essena.

Il fatto che anche Pistis Sophia ci dica che la permanenza di Gesù per 11 anni sulla terra era avvenuta in seguito alla resurrezione, indica solo che l’autore traeva le notizie relative all’insegnamento di Gesù in tutto questo periodo da fonti scritte per lui già in qualche modo “antiche”, che non spiegavano compiutamente che cosa era successo immediatamente dopo il famoso processo presieduto da Pilato. L’autore, però, non parla mai di Cristo: questo vuol dire che in qualche modo aveva saputo dalle sue fonti essene che solo l’insegnamento di Gesù Barabba era da ritenersi valido…

 

 

III

 

La testimonianza di Paolo di Tarso

 

Negli Atti degli Apostoli è riportato un dialogo tra il governatore Festo ed il re Agrippa a proposito di Paolo di Tarso. Nel bel mezzo del dialogo, Festo ha affermato: “ Quelli che lo accusavano si misero attorno a lui, e io pensavo che lo avrebbero accusato di alcuni delitti. Invece no: si trattava solo di alcune questioni che riguardano la loro religione e un certo Gesù, che era morto, mentre Paolo sosteneva che era ancora vivo.

Questo vuol dire che Paolo di Tarso, molti anni dopo il processo tenuto da Pilato (siamo intorno al 60 d. C.), riteneva che Gesù Barabba fosse ancora vivo. Tuttavia, il fatto che il governatore Festo affermasse che Gesù era morto può indicare solo che nel 60 d. C. anche Gesù Barabba, il Messia di Aronne degli Esseni, era morto.

Come mai Paolo continuava ad affermare che Gesù – e certamente si riferiva a Gesù Barabba – era ancora vivo?

Si possono fare diverse ipotesi:

 

1.    Paolo, che da più di due anni si trovava in prigione, non sapeva della morte di Gesù Barabba avvenuta proprio nel periodo della sua prigionia: va ricordato, però, che gli Atti degli Apostoli affermano che a Paolo veniva permesso di incontrare amici e discepoli, che avrebbero potuto tranquillamente avvertirlo di un avvenimento di tale importanza;

2.    i discepoli di Gesù Barabba avevano diffuso la notizia falsa della morte di Gesù, che in realtà era ancora vivo e si trovava in un luogo segreto per non essere arrestato, ma Paolo aveva ritenuto utile far sapere ai suoi discepoli che Gesù era ancora vivo;

3.    Gesù Barabba era morto da poco, ma Paolo continuava ad affermare che era ancora vivo, nel timore che una conferma della notizia della morte di Gesù Barabba avrebbe portato allo sfaldamento della giovane e ancora fragile comunità cristiana.

 

Ritengo, che la terza ipotesi sia quella più vicina alla realtà. In ogni caso, questo indizio ci induce a pensare che Gesù Barabba sia morto tra il 58 e il 60 d. C. e che la notizia della sua morte sia stata tenuta a lungo nascosta.
E' importante ricordare che Paolo di Tarso testimonia l'esistenza dei due Messia e la sua avversione al Messia sopravvissuto al processo presieduto da Pilato, cioè a Gesù Barabba, direttamente in un suo scritto, la Seconda Lettera ai Corinti (11,4):




"Se infatti il primo venuto vi predica un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi o se si tratta di ricevere uno spirito diverso da quello che avete ricevuto o un altro vangelo che non avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo. Ora, io ritengo di non essere in nulla inferiore a questi superapostoli."

 

 

Ora, è evidente che:


a) i "superapostoli" erano quelli tra gli apostoli che avevano deciso di rimanere in seno alla comunità essena dopo la scomunica di Paolo da parte della comunità essena;
b) il Gesù diverso predicato dai "superapostoli" era Gesù Barabba;
c) l'altro vangelo predicato dai "superapostoli" era il Vangelo di Tomaso, avversato perchè conteneva esclusivamente gli insegnamenti di Gesù Barabba, mentre non faceva alcun riferimento al personaggio soprannominato Cristo e finito sulla croce: si noti che la setta di Paolo, a differenza delle sette di tipo gnostico sorte dalla comunità essena di Giacomo e di Gesù Barabba, si è autodefinita "cristiana" nell'intento di mostrare a tutti che essa riconosceva come Messia unicamente Cristo e non anche Gesù Barabba.

Paolo, però, non desiderava che la sua rottura con la comunità essena e con Gesù Barabba, a cui veniva riconosciuta una certa autorità, fosse definitiva, anche per il ruolo che Gesù Barabba aveva rivestito nella sua conversione alla nuova religione.
A questo punto, è bene ricordare che l'incontro tra Paolo e Gesù lungo la via che conduceva a damasco è avvenuto realmente, nel senso che non si è trattato di una semplice visione di Paolo, ma di un incontro vero e proprio tra Gesù Barabba, che era ancora vivo, e Paolo di Tarso. Paolo si è convertito alla nuova religione proprio in occasione di questo incontro con la forte personalità di Gesù Barabba.

 

 

IV

 

La testimonianza di Marcione

 

 

Una prova decisiva della esistenza storica dei due Messia è contenuta nell’adversus Marcionem di Tertulliano.

Tertulliano, nell’esporci la dottrina di Marcione, ci racconta che per Marcione:

 

1)     esistevano un dio malvagio, il dio dell’Antico Testamento, ed un dio buono, il Dio del Nuovo Testamento;

2)     il dio malvagio, cioè il Demiurgo, ha creato l’uomo e il mondo materiale e ha imprigionato l’uomo nella sua legge crudele;

3)     Il Dio buono, impietosito per la triste condizione dell’uomo, ha mandato il suo Cristo per riscattare gli uomini dalla loro triste condizione;

4)     Il dio malvagio ha mandato contemporaneamente un altro Cristo, il Cristo annunciato dai profeti dell’Antico Testamento, con il compito di guidare Israele verso la liberazione anche politica e di asservire tutto il mondo al popolo di Israele e, quindi, alla Legge del Demiurgo.

 

Per Marcione, dunque, sono esistiti due personaggi di nome Cristo, uno di natura esclusivamente spirituale, che solo in apparenza era rivestito di carne, inviato dal Dio buono ed uno inviato dal Demiurgo, rivestito di carne reale.

E’ evidente che Marcione, vissuto alla fine del I° secolo, era venuto a conoscenza dell’esistenza dei due Messia, cioè di Gesù Barabba e di Cristo, e in qualche modo aveva saputo della contrapposizione che si era creata in un primo momento tra quanti sostenevano Gesù Barabba e quanti sostenevano Cristo. Marcione è giunto ad affermare che sono esistiti due Messia di nome Cristo, uno inviato dal dio buono ed uno inviato dal Dio malvagio, perché aveva sposato la tesi dei sostenitori del ruolo messianico di Gesù Barabba, che avevano finito con l’attribuire al Messia di Aronne anche il titolo di “Cristo” originariamente riservato al solo Messia di Israele finito sulla croce. Per Marcione, dunque, Gesù Barabba era il Cristo mandato dal Dio buono e il Messia di Israele finito sulla Croce dopo il processo di Pilato era il Cristo mandato dal Demiurgo per consegnare il mondo nelle mani di Israele.

Marcione ci fornisce anche altre importanti informazioni: ci parla di una contrapposizione tra Paolo di Tarso da un lato e Pietro e gli altri apostoli dall’altro lato. Secondo Marcione, Pietro e gli altri apostoli hanno “frainteso” Paolo di Tarso e sono ritornate alle osservanze giudaiche, il che vuol dire, che dopo la scomunica inflitta da Giacomo e da tutta la comunità essena a Paolo di Tarso, dopo un primo momento di incertezza che li aveva spinti a seguire Paolo, Simon Pietro e gli altri apostoli hanno deciso di ritornare all’interno della comunità essena.

Il particolare del ritorno di Pietro in seno alla comunità essena ci è testimoniato, tra l’altro, da Pistis Sophia, che ci dice che Pietro era stato tra i discepoli che avevano seguito gli  insegnamenti di Gesù Barabba negli undici anni successivi alla crocifissione del personaggio soprannominato Cristo.

Il fatto che Marcione abbia preso le parti di Paolo di Tarso ci indica solo che Marcione non è mai stato uno gnostico, come invece affermato per secoli dalla Chiesa Cattolica, anzi in gioventù è stato uno dei primi aderenti alla Setta degli Apostolici da cui poi è nata la Chiesa Cattolica.

A questo proposito, è interessante notare come egli ritenesse canonico solo il Vangelo di Luca: Luca, infatti, al contrario degli altri evangelisti, era stato un discepolo fedele di Paolo di Tarso…

 

 

V

 

La testimonianza di Valentino

 

 

La prova più importante della esistenza storica dei due Messia è contenuta nel De carne Christi di Tertulliano.

Tertulliano nella sua critica alla dottrina di Valentino contenuta in questo libro afferma:



"Ugualmente, dichiarando che il Cristo è uno solo, lo Spirito fa cadere tutti gli argomenti a sostegno di un Cristo multiforme, secondo i quali Cristo e Gesù sarebbero due persone distinte: l'uno si sottrae alla folla, l'altro è arrestato; l'uno, ritiratosi sulla montagna, avvolto in una nube manifesta la sua gloria a tre testimoni, mentre l'altro appare al resto degli uomini come una persona qualunque; l'uno è coraggioso, l'altro è trepidante; l'uno, infine, ha sofferto la Passione, l'altro è risuscitato" (Tertulliano, De carne Christi, XXIV, 3).



Tertulliano, quindi, ci riferisce che Valentino insegnava ai suoi discepoli che:

1) Cristo e Gesù erano due persone distinte;
2) uno dei due Messia, probabilmente Cristo, era "coraggioso", mentre l'altro, cioè Gesù ben Pantera, era "trepidante": abbiamo qui addirittura una descrizione del diverso carattere dei due personaggi ed un loro confronto;
3) uno dei due Messia, probabilmente Cristo, ha "sofferto la Passione", cioè è stato ucciso, l'altro, cioè Gesù, è "risuscitato" o, meglio, non è mai nè morto nè risuscitato, ma, "sottrattosi alla folla" dopo il processo, ha continuato a vivere e ad insegnare tranquillamente ai suoi discepoli ancora per parecchi anni dopo la morte di Cristo.

Il carattere estremamente preciso delle informazioni che Valentino aveva ricevuto indica che nella metà del II° secolo giravano ancora nella comunità cristiana documenti che descrivevano in maniera estremamente dettagliata la vita e l'insegnamento dei due Messia. Probabilmente, Valentino è entrato in possesso di questi documenti per il ruolo di primo piano che aveva rivestito nella chiesa di Roma (si pensi che non è stato eletto Papa solo per pochissimi voti).

 


VI

 

Conclusioni

 

Gesù Barabba è morto non prima del 44 d. C. e non oltre il 60 d. C. se prestiamo fede alla cronologia tradizionale della nascita e della morte di Cristo, cioè almeno undici anni dopo la morte di Cristo, probabilmente di morte naturale.

In questi undici anni, ha continuato a diffondere i suoi insegnamenti all’interno della comunità essena assistito solo da alcuni dei suoi discepoli di un tempo, segnatamente da Maria Maddalena, Tomaso e Filippo.

E’ possibile che una parte dei detti di Gesù presenti nei primi tre libri di Pistis Sophia siano stati effettivamente pronunciati da Gesù Barabba.

Se questa ipotesi un giorno troverà dei riscontri, non si potrà negare l’origine essena dello gnosticismo e l’influenza esercitata dalla cultura egiziana sulla formazione di Gesù Barabba.

 

Roma, 24/6/2000

 


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