Massimo cogliandro

 

 

 

Il regno del Prete Gianni

 

 

 

 

In numerosi scritti medioevali si parla di un misterioso regno cristiano che si sarebbe trovato in una lontana regione dell’Oriente, al di là dei territori dominati dall’Islam.

In realtà, questi testi non possono essere presi alla leggera alla stregua di semplici racconti mitici dal carattere nebulosamente fantastico, dal momento che molto spesso essi non fanno altro che riportare, sia pure con un linguaggio dal sapore mitico, le cronache di antichi viaggiatori, che hanno attraversato le terre d’Oriente fino agli estremi “confini del mondo”, il che fa pensare che la tesi secondo cui il Regno del Prete Gianni sia esistito realmente abbia un fondamento storico reale.

Il fatto poi che Giovanni da Hildesheim nella sua Historia trium Regum, attingendo a fonti apocrife di probabile origine manichea, affermi che i tre Magi “assegnarono in perpetuo, il Patriarca Tommaso e il Prete Gianni a tutti i re, principi, vescovi, preti e popoli, come loro signori e reggitori nello spirituale e nel temporale” ci spinge a trarre le seguenti conclusioni:

1.    se la tradizione riportata da queste fonti vede nei Magi, cioè nei sacerdoti della religione di Zarathustra, coloro che hanno messo a capo delle regioni d’Oriente la figura del Prete Gianni, allora non si può negare l’origine manichea della figura del Prete Gianni;

2.    Il Prete Gianni, come del resto il Patriarca Tommaso, non è stato una persona ben precisa, ma piuttosto una figura istituzionale della Chiesa Manichea, che aveva il compito di curare le relazioni politico-diplomatiche con le istituzioni statuali delle nazioni in cui la Chiesa della Luce agiva.

Un altro indizio decisivo per capire chi fosse e che cosa rappresentasse nel medioevo la figura del Prete Gianni proviene da quelle fonti medioevali, che affermano che “le armate dei mongoli furono scambiate dagli occidentali per le milizie del Prete Gianni, inviate contro gli europei per punirli dei loro peccati” (Massimo Centini).

Ormai possiamo tranquillamente dire di disporre elementi a sufficienza per svelare il mistero del favoloso regno orientale guidato dal Prete Gianni. Sappiamo, infatti, che:

1.    la figura del Prete Gianni era una figura tipica della religiosità manichea;

2.    il regno del Prete Gianni si trovava in un luogo abitato anche da popolazioni di origine mongola.

A questo punto ci viene alla mente un grande regno manicheo medioevale, che si è sviluppato proprio nelle regioni occidentali della Mongolia Interna: si tratta del Regno dell’Orkhon, un regno uiguro fondato nel 762 d. C. e divenuto manicheo, in seguito alla conversione del re (qaghan), nel 763 d. C.. E’ probabile che il re uiguro, subito dopo la conversione, abbia assunto la guida politica del movimento manicheo e, quindi, anche la carica manichea di “Prete Gianni”.

Intorno alla metà del IX secolo d. C., il grande regno uiguro è stato distrutto e al suo posto sono sorti numerosi principati uiguri in cui il manicheismo ha continuato ancora per molto tempo ad essere la religione ufficiale. E’ probabile che uno di questi principi si sia attribuito il ruolo di guida spirituale e politica dei manichei, abbia assunto la carica di “Prete Gianni” e la abbia trasmessa ai suoi eredi.

Uno di questi principi, che aveva assunto la carica manichea di “Prete Gianni”, intorno al 1165 d. C., spinto dalle difficoltà politico-militari in cui versava il proprio principato, ha scritto a Manuele Comneno, Imperatore Romano d’Oriente, a Federico Barbarossa e a papa Alessandro III, probabilmente in cerca di aiuti soprattutto di carattere militare.

E’ probabile, quindi, che testi finora considerati falsi come la lettera attribuita al Prete Gianni siano in realtà autentici.

Nel 1177 d. C. il papa e Federico Barbarossa hanno risposto alla lettera del Prete Gianni, ma “della spedizione incaricata dell’ambasciata, non si seppe più nulla e svanì per sempre nel deserto dell’Iraq”.

Il principato uiguro del Prete Gianni, come ci narra Marco Polo nel Milione, è stato distrutto all’inizio del XIII secolo d. C. dall’armata di Gengis Khan, dopo il rifiuto del Prete Gianni di dargli la figlia in moglie, e con esso è scomparso l’ultimo importante avamposto del manicheismo orientale:

 

 

Prima di scontrarsi con il nemico, Gengis Khan riunì “i suoi astronomi cristiani e saracini, e comandò che gli dicessero chi dovea vincere. Gli cristiani feciono venire una canna, e fessorla per mezzo, e dilungarono l’una dall’altra, e l’una missono dalla parte di Cinghys e l’altra dalla parte del Presto Giovanni. E missono il nome del Presto Giovanni sulla canna dal suo lato e il nome del Cinghys in sull’altra, e dissoro: Qual canna andrà in sull’altra, quegli sarà vincente, Cinghys Cane disse che questo egli voleva ben vedere, e disse che gliel mostrassero il più tosto che potessero. Quegli cristiani ebbero lo saltèro e lessoro certi versi e salmi e loro incantamenti: allora la canna ove era il nome di Cinghys montò sull’altra: e questo vidde ogni uomo che v’era. Quando Cinghys vidde questo, egli ebbe grande allegrezza, perché vidde gli cristiani veritieri. Gli saracini astrolagi di queste cose non seppero dire nulla […] Cinghys Cane vinse la Battaglia e fuvvi morto lo Presto Giovanni, e da quel dì innanzi perdeo sua terra tutta”.

 

 

L’ipotesi secondo cui il “Presto Giovanni” di cui parla Marco Polo sarebbe stato un principe uiguro che aveva assunto la carica manichea di Prete Gianni trova un riscontro preciso nella “Storia del conquistatore del mondo” di Djowéïnì ou Gouwaïnì, un autore islamico che nel 1257 si è recato alla corte dei re Mongoli. In questo scritto egli riferisce che proprio Gengis Khan ha sottomesso gli ultimi principati uiguri e riporta dei passi tratti da scritti religiosi di chiara impronta manichea in uso presso gli Uiguri sconfitti da Gengis Khan e passati sotto il dominio mongolo.

 

Roma, 19/8/2000

 

 

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