Le Società, 1995, n.9 Editore Ipsoa, Milano

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           Mauro Vanni

 

DOMANDA DI ESCLUSIONE PER GRAVI INADEMPIENZE E REVOCA PER GIUSTA CAUSA CON PROVVEDIMENTO D'URGENZA DEL SOCIO AMMINISTRATORE  DI  SOCIETA'  DI  PERSONE

 

 

1) L'esclusione per gravi inadempienze e la revoca per giusta causa del socio amministratore di società di persone

 

Si ammette, in genere, che il socio-amministratore di una società di persone può essere non soltanto revocato dalla carica di amministratore per la violazione dei doveri inerenti al mandato conferitogli, ma anche escluso dalla società ai sensi dell'art.2286 c.c., nel caso in cui gli inadempimenti da lui posti in essere si pongano in contrasto  con i fini della società (1).

Indipendentemente dagli obblighi che l'amministratore socio di una società di persone deve adempiere in base al mandato che lo lega alla società, ai sensi dell'art.2260 c.c., sussiste sempre l'obbligo che gli deriva dalla sua qualità di socio di non compiere atti in contrasto con le finalità della società e pertanto la sua esclusione da quest'ultima, giustificata da un comportamento contrario ai fini e agli interessi dell'ente, non può certo trovare ostacolo nella circostanza che, rivestendo egli la carica di amministratore, il medesimo comportamento integri anche la violazione degli specifici doveri inerenti al mandato di amministrazione, sì da comportare la revoca e l'eventuale esperimento dell'azione di responsabilità (2)

Si suole in particolare distinguere tra le inadempienze che attengono alle mansioni amministrative e che pertanto legittimano la revoca del socio dalla carica di amministratore e quelle stabilite dall'art.2286 c.c. che consentono l'esclusione del socio dalla società (3), ritenendosi che l'esclusione sia un rimedio speciale, interamente sostitutivo della risoluzione per inadempimento prevista dall'art.1459 c.c. anche per i contratti plurilaterali con comunione di scopo (4).

La sanzione della revoca è determinata dalle violazioni che il socio pone in essere nell'ambito del rapporto gestorio e richiede la sussistenza di una giusta causa, senza che tuttavia questa debba giungere ad integrare l'elemento volontaristico della colpa imputabile, potendo anche dipendere da circostanze estranee alla volontà dell'agente.

Al riguardo, è stato chiarito che l'adozione della sanzione appare giustificata dal verificarsi di circostanze, dipendenti o meno dalla volontà del socio-amministratore, anche obiettive, tali da scuotere la fiducia posta a base del rapporto e da rendere legittima la reazione al comportamento che ne abbia comportato la violazione, senza che tuttavia il venir meno della fiducia ed il sorgere della situazione di ostacolo alla continuazione del rapporto non siano state scientemente provocate dal comportamento unilaterale di una delle parti (5).

Più precisamente, si è ritenuto che costituisce giusta causa ogni fatto o comportamento che renda impossibile il naturale svolgimento del rapporto di gestione, sia che ciò integri la violazione degli obblighi dell'amministrazione in quanto tale, sia che si determini la materiale impossibilità per l'amministratore di adempiere ai compiti che l'amministrazione comporta.

In questi termini, sono state considerate ipotesi di giusta causa di revoca dall'amministrazione la delega ad altri del potere di gestione (6), la mancanza di fatto di un amministratore capace di espletare l'attività di gestione (7), la violazione del divieto di concorrenza e la cessazione di fatto dell'esercizio delle funzioni gestorie (8), la mancata redazione e l'omesso deposito dei bilanci e dei conti profitti e perdite presso la sede sociale, la loro mancata comunicazione ai soci non amministratori e l'aver impedito a questi ultimi di esercitare il diritto di approvazione del bilancio e di controllo della gestione sociale (9).

In altre occasioni si è preferito invece un'interpretazione restrittiva del concetto di giusta causa, identificandosi la giusta causa della revoca dell'amministratore unicamente con la violazione degli obblighi del mandato ad amministrare (10).

L'esclusione dalla società nei riguardi del socio che di essa sia anche amministratore è invece determinata da inadempimenti integranti atti in contrasto con gli stessi fini sociali e che costituiscono insidia per la compagine della società stessa.

Tale sanzione, producente la risoluzione del rapporto sociale, deriva dalla violazione dell'essenziale obbligo di collaborazione attiva insito nella struttura legale del rapporto di società (11), che costituisce il riflesso dell'obbligo di fedeltà dei soci al patto sociale e si determina in presenza di comportamenti che turbino l'intuitus personae in base al quale il contratto sociale era stato stipulato e su cui si fondava l'affectio societatis che è indispensabile per l'esercizio dell'attività sociale (12), dovendo la reciproca fiducia caratterizzare, nella società di persone, tutti i rapporti tra i vari componenti la compagine sociale (13).

Quanto alla gravità delle inadempienze del socio che, ai sensi dell'art.2286 primo comma c.c., può giustificare la sua esclusione dalla società, si sostiene, al riguardo, che non occorre anche che tali inadempimenti siano tali da impedire del tutto il raggiungimento dello scopo sociale, ma è sufficiente che, secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice del merito, abbiano inciso negativamente sulla situazione della società, rendendone anche soltanto meno agevole il perseguimento dei fini (14).

E' indifferente che l'inadempimento non sia suscettibile di arrecare un danno immediato, effettivo e diretto, come nel caso in cui il socio abbia agito in mancanza di poteri  di amministrazione od oltre i limiti di questi senza perciò riuscire a vincolare la società all'adempimento delle obbligazioni assunte (15), essendo sufficiente che il suo comportamento sia stato soltanto tendenzialmente diretto ad ostacolare l'attività della società e sia di quella stessa gravità che, nei rapporti negoziali di diritto civile, qualifica l'importanza dell'inadempimento per la risoluzione del contratto ai sensi dell'art.1455 del codice civile (16).

Nonostante parte della giurisprudenza di merito abbia propeso per una netta separazione tra gli obblighi che al socio competono come tale e quelli che, invece, ineriscono alla sua qualità di amministratore (17), si ritengono ormai tendenzialmente omogenee entrambe le posizioni.

In effetti, il fatto che non sia possibile ricondurre sotto l'ambito dell'art.2286 c.c. le inadempienze che si riferiscono, in modo esclusivo, all'attività di amministrazione e ogni eccesso dal mandato in cui sia incorso il socio-amministratore, è circostanza che risponde ad un criterio indubbiamente esatto, ma la sua applicazione, per discriminare le conseguenze dell'irregolarità e degli eccessi dal mandato del socio-amministratore, non è senza limiti e non giustifica il rigetto della domanda di esclusione quando risulti che quest'ultimo, nello sconfinare dai limiti del mandato, abbia svolto un'attività che sia di per sé contrastante con i fini sociali (18).

Si delinea allora quella violazione di doveri per cui può farsi luogo alla sanzione prevista dall'art.2286 c.c., osservandosi infatti che, al di fuori e indipendentemente dagli obblighi che l'amministratore socio incontra per il mandato a lui conferito, vi è un obbligo fondamentale che deriva dalla sua stessa qualità di socio, principalmente costituito dal dovere di non compiere atti che, per essere in contrasto con i fini della società, costituiscono insidia per la compagine di questa e pertanto quando la violazione dei doveri inerenti alla qualità di amministratore non soltanto incide sugli obblighi nascenti dal rapporto di mandato, ma assume altresì il carattere di "grave inadempienza" delle obbligazioni derivanti dal contratto sociale o dalla legge, dovrà ritenersi del tutto legittimo il ricorso alla esclusione dalla società ai sensi della norma sopra citata (19).

Essendo la norma sancita dall'art.2259 c.c. che regola la revoca per giusta causa dall'amministrazione e quella dell'art.2286 c.c. che disciplina l'esclusione del socio dalla società per gravi inadempienze poste a tutela di due distinti beni giuridici, quali rispettivamente l'interesse di ciascun socio a che l'amministrazione si svolga in conformità a quel rapporto fiduciario che deve intercorrere tra soci e amministratori e l'interesse all'adempimento del  generico dovere di collaborazione per il perseguimento del fine sociale, non sembra potersi ravvisare una netta e certa separazione tra il campo di applicazione della revoca per giusta causa del socio-amministratore e quello concernente l'esclusione dello stesso per gravi inadempienze, poiché nelle società personali difetta in radice la stessa sussistenza di una netta differenzazione tra il ruolo di socio e quello di amministratore.

Al riguardo, è stato chiarito che le qualità di amministratore e di socio di una società in nome collettivo, ancorché riunite in una medesima persona, non possono assolutamente considerarsi divise e non può quìndi ritenersi che le inadempienze compiute dall'amministratore, anche se così gravi da minare la compagine sociale, siano ciò nonostante sempre insuscettibili di intaccare la sua posizione di socio, come se si trattasse di due persone diverse ovvero come se la carica di amministratore, per ciò solo, dispensasse dal dovere di fedeltà cui è tenuto ciascun membro del nucleo sociale, determinando l'insorgere, nei rispetti della posizione di socio, di una sorta di immunità per il tradimento che questi realizzi avvalendosi della carica gestoria (20).

Invero, l'aver agito a danno della società tanto più risulta grave quanto più fortemente legittima l'esclusione dalla compagine sociale, specialmente ed a maggior ragione se a porre in essere l'inadempimento sia stato chi rivesta la qualità di amministratore avvalendosi dei poteri e delle prerogative ad essa inerenti (21).

Intimamente connesso a questo tema, si pone il problema dell'ammissibilità, nelle società di persone, di amministratori non soci (22), in quanto è evidente che, se si ammette la possibilità di conferire l'amministrazione della società a terzi ad essa estranei, il rimedio della esclusione dalla società non accompagnata anche dalla revoca per giusta causa dall'amministrazione risulterebbe inidoneo a produrre, oltre alla espulsione del socio dalla società, anche la privazione del suo potere di amministrazione.

In tal caso, ove nei confronti del socio-amministratore resosi responsabile di gravi inadempienze in violazione non solo del rapporto di mandato, ma anche degli interesse societari, fosse adottato il provvedimento di espulsione, quale oggettiva sanzione di massima gravità producente la fuoriuscita dalla compagine sociale, tale provvedimento si rivelerebbe del tutto inidoneo a scongiurare il protrarsi della situazione di pericolo e pregiudizio agli interessi societari, in quanto incapace di eliminare, da solo, il corrente potere di amministrazione.

E non vi è dubbio che, in una simile fattispecie, assai verosimilmente il destinatario del provvedimento di esclusione avrebbe più di un motivo, sia pure soltanto per il probabile risentimento nei confronti degli altri componenti e per il disinteresse sulle sorti della società, per avvalersi dei suoi poteri al fine di recare a quest'ultima il maggior danno possibile.

La soluzione in questi termini della questione, com'è evidente, deriva da quella concezione, che appare superata, secondo cui le posizioni di socio e amministratore devono ritenersi separate, cosicché ove gli inadempimenti posti in essere dall'amministratore siano di tale gravità anche e sopratutto nei rispetti degli interessi della società determinandone irreparabile pregiudizio, non potrebbe ritenersi superato il rimedio della revoca per giusta causa dall'amministrazione dall'adozione del provvedimento di esclusione, dovendo necessariamente essere attuati entrambi.

In conformità all'orientamento, che appare preferibile, secondo cui devono ritenersi omogenee le posizioni di socio e di socio-amministratore, risulta evidente l'incompatibilità tra la qualifica di amministratore e quella di socio escluso, dovendo concludersi che mentre la perdita della qualità di amministratore non determina automaticamente l'esclusione dalla società (23), quest'ultima determina sempre anche la decadenza dall'amministrazione (24).

La soluzione, pur da ritenere esatta, incontra tuttavia alcuni ostacoli rappresentati dalla difforme procedura che il codice prevede per la revoca per giusta causa dall'amministrazione e per l'esclusione del socio, tenuto conto che, se con il procedimento stabilito per quest'ultima si raggiungono sostanzialmente gli effetti della prima, per essa tuttavia  la legge  prescrive requisiti procedimentali più rigorosi.

Secondo, infatti, la prevalente interpretazione dell'art.2259 c.c., la revoca per giusta causa dall'amministarzione richiede l'unanimità dei consensi (25), mentre per l'esclusione è sufficiente una deliberazione a maggioranza.

Fuori dei casi in cui la pronuncia dell'esclusione sia stata richiesta direttamente all'autorità giudiziaria potrebbe allora ritenersi, al fine di dare adeguata soluzione al problema, che nell'ipotesi in cui la revoca dall'amministrazione sia conseguenza diretta del provvedimento di esclusione non debba ritenersi necessaria l'unanimità dei consensi oppure che nel caso in cui debba escludersi un socio-amministratore, fermo che all'esclusione dalla compagine sociale non potrà residuare la sopravvivenza del potere di amministrazione in capo al socio escluso, il provvedimento di esclusione debba essere adottato con il procedimento richiamato per la revoca nel rispetto dei requisiti sanciti dall'art.2259 c.c. (26).

In ordine al procedimento di esclusione, si è osservato che mentre rispetto alle società di capitali la legge prevede espressamente, per la formazione delle deliberazioni sociali, inclusa quella attinente alla esclusione, il metodo assembleare come sancito dagli articoli 2363 e seguenti del codice civile, tale previsione manca nei riguardi delle società di persone, rispetto alle cui deliberazioni nel codice civile si fa riferimento, come stabiliscono gli articoli 2252 e 2275 c.c., sia al consenso di tutti i soci, sia a quello dei soci-amministatori ai sensi dell'art.2258 primo comma c.c. e degli altri soci previsto dagli articoli 2256 e 2301 c.c., sia infine al consenso della maggioranza, secondo quanto prescritto dal comma secondo degli articoli 2258 e 2322 del codice civile.

Da ciò si è concluso che nelle società di persone non è necessaria la convocazione del socio da escludere, dovendo considerarsi legittima la deliberazione adottata dagli altri soci senza preventiva notizia al socio della sua esclusione(27).

Nelle società di persone manca infatti la previsione del metodo assembleare, tanto che anche quando si tratti di adottare essenziali deliberazioni implicanti una modifica del contratto sociale per le quali è necessario il consenso di tutti i soci, come nel caso di proroga della società, la legge consente che la volontà dei soci possa manifestarsi in qualunque modo, anche implicitamente attraverso atti concludenti, senza necessità di una deliberazione collegiale, come appunto si desume dall'art.2273 del codice civile.

Dall'assenza, nelle società di persone, di un organo sociale quale l'assemblea dei soci, deriva la circostanza che è da ritenere sufficiente il raccoglimento delle singole volontà, anche separatamente, senza che occorra una deliberazione unitaria in senso favorevole (28) e che, quando si deve deliberare a maggioranza, non è necessaria la consultazione di tutti i soci, ma è sufficiente consultare quanti ne occorre per formare la richiesta maggioranza dei consensi, in quanto nelle società prive di personalità giuridica il metodo collegiale non risulta essenziale alla formazione della maggioranza.

Tutto questo si riflette, evidentemente, anche sulla deliberazione di esclusione del socio, non essendo stabilita dall'art.2287 la necessità di convocare il socio da escludere, ma soltanto da essa previsto che la deliberazione di esclusione del socio deve ad esso essere comunicata e che contro la deliberazione potrà essere proposta opposizione davanti all'autorità giudiziaria.

Nelle società di persone dunque, il procedimento per la esclusione del socio si configura come un procedimento, avviato mediante la deliberazione di esclusione presa inaudita altera parte, con contraddittorio differito e soltanto eventuale, subordinato alla proposizione dell'opposizione dinnanzi all'autorità giudiziaria, da parte del socio escluso, entro trenta giorni dalla comunicazione della deliberazione di esclusione determinante la risoluzione del vincolo che unisce l'escluso alla società.

Quel che invece rimane essenziale e da cui non può in ogni caso prescindersi, è la necessità della contestazione specifica, nella deliberazione di esclusione, dei motivi dell'esclusione, onde consentire al socio escluso di valutarne la fondatezza e di verificare l'opportunità di proporre l'opposizione (29).

La motivazione del provvedimento risponde ad un'esigenza di tutela del diritto soggettivo del socio al permanere del rapporto sociale, tanto più forte nella fattispecie in quanto non  è assicurata la sua partecipazione al procedimento che da luogo alla sua esclusione; si ritiene inoltre che quest'ultima, quale ipotesi di risoluzione contrattuale contro la volontà del socio affidata dalla legge all'autonomia privata con controllo giudiziario futuro ed eventuale, deve adeguarsi per quanto posssibile alle forme dei provvedimenti giurisdizionali, tra le quali è fondamentale il requisito della motivazione (30).

Quanto alla sindacabilità del provvedimento da parte del giudice del merito, si è escluso che il sindacato possa esercitarsi sulla discrezionalità della sua opportunità, potendo tale sindacato concernere esclusivamente la legittimità del provvedimento, verificando la sussistenza o meno delle inadempienze del socio che hanno condotto all'esclusione (31).

Trattasi, invero, di un controllo di legittimità in senso ampio, non solo formale ma anche sostanziale, diretto a verificare la gravità dell'inadempimento, in analogia con quanto accade in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, ove al giudice del merito è demandato il controllo dell'importanza dell'inadempimento al fine di decidere la legittimità o meno della risoluzione.

Si è dunque osservato come nelle società di persone la violazione degli obblighi inerenti alla qualità di amministratore, ove assuma anche il carattere di grave inadempienza delle obbligazioni derivanti dal contratto sociale e dalla legge, può giustificare non soltanto la revoca dall'amministrazione, ma anche l'esclusione dalla società, rilevandosi altresì che, intervenuta l'esclusione, decade ogni potere di amministrazione del socio-amministratore escluso, essendo incompatibile l'esercizio di tale potere da parte di un soggetto ormai divenuto estraneo alla società.

Il quadro non muta nel caso in cui la società sia composta da soli due soci amministratori, dovendo soltanto, in tale ipotesi, esser richiesta al Tribunale l'esclusione del socio (32) così come la sua revoca dall'amministrazione (33).

Determinando l'accoglimento della domanda di esclusione del socio-amministratore automaticamente anche la perdita del suo potere di amministrazione, non occorrerà chiedere al giudice  anche la revoca di esso dall'amministrazione (34), salvo proporre tale domanda in via subordinata affinché, nel caso in cui gli inadempimenti contestati non risultassero effettivamente incidenti sulle obbligazioni derivanti dal contratto sociale e dalla legge ma soltanto attinenti agli obblighi del mandato e venisse perciò respinta la domanda di esclusione, sia comunque conseguire il risultato della revoca dall'amministrazione.

 

2) La revoca del socio amministratore con provvedimento d'urgenza e la domanda di esclusione per gravi inadempienze

 

In tema di revoca dall'amministrazione, generalmente si ammette che essa possa essere disposta anche con provvedimento d'urgenza ai sensi dell'art.700 del codice di procedura civile (35).

Per le osservazioni sopra enunciate è evidente che tale provvedimento potrà essere richiesto tanto nel caso in cui l'oggetto dell'ordinario giudizio di cognizione sia in effetti la revoca per giusta causa dell'amministratore, quanto nel caso in cui nel giudizio di merit sia stata chiesta soltanto la esclusione del socio-amministratore per gravi inadempienze agli obblighi  derivanti dalla qualità di socio, dato che la pronuncia di esclusione, come si è detto, implica anche l'automatica decadenza del potere di amministrazione, la cui permanenza, in pendenza del giudizio di esclusione, potrebbe tra l'altro determinare irreparabile pregiudizio alla società.

In contrario, non potrebbe sostenersi che il provvedimento d'urgenza di cui all'art.700 c.p.c. dovrebbe mirare unicamente alla conservazione di uno stato di fatto esistente e non già alla sua modificazione, come invece sarebbe per l'appunto nel caso di revoca dell'amministratore, poiché il provvedimento d'urgenza può, al contrario, avere carattere innovativo ed essere diretto, secondo i casi, al mutamento dello stato di fatto quando il suo perdurare potrebbe rendere inoperante la successiva decisione di merito (36).

Finalità specifica dei provvedimenti d'urgenza è infatti quella di assicurare provvisoriamente gli effetti della successiva decisione di merito evitando che quest'ultima resti pregiudicata dal tempo necessario per attuarla (37) e, come si è osservato, l'altro effetto della pronuncia di esclusione, oltre a quello suo connaturale della fuoriuscita del socio dalla società, è la decadenza del socio-amministratore dal potere di amministrazione, il che legittima appunto la proposizione del ricorso cautelare diretto ad ottenere in via provvisoria e strumentale uno degli effetti che avrà la successiva pronuncia giudiziale di esclusione, quale l'eliminazione del potere di amministrazione in capo al socio-amministratore del quale è stata richiesta l'espulsione dalla compagine sociale.

Il carattere strumentale della tutela in via d'urgenza rispetto a quella richiesta in sede di ordinario giudizio di cognizione, non implica poi che vi debba essere una identica corrispondenza tra quanto richiesto in sede cautelare e quanto richiesto nel giudizio di merito, nel senso che l'oggetto di quest'ultimo non possa comprendere elementi ulteriori rispetto a quello del giudizio cautelare, poiché il diritto fatto valere nell'ordinario giudizio di cognizione può senz'altro avere una portata più estesa di quella sottoposta all'esame del giudice del procedimento cautelare (38), come appunto si verifica nel caso in cui sia richiesta in via d'urgenza la revoca dall'amministrazione del socio-amministratore e sia domandata nel correlativo giudizio di merito una misura di più ampia portata quale la sua esclusione per gravi inadempienze dalla società.

Né il ricorso alla tutela cutelare potrebbe escludersi, come opinato dal giudice istruttore del Tribunale di Pisa, sulla base della considerazione che il socio-amministratore al quale fosse, in pendenza di giudizio di merito, revocato il potere di amministrazione, si troverebbe a dover subire gli effetti pregiudizevoli di atti ai quali egli non ha preso parte e che nella società di persone ciò dovrebbe ritenersi inammissibile.

Invero, non vi è dubbio che anche in questo tipo di società il potere di amministrazione può essere concesso soltanto ad una parte dei soci, con la conseguenza naturale ed ovvia che gli altri si troveranno esposti alle conseguenze derivanti dagli atti posti in essere da coloro ai quali è stata affidata la gestione della società.

La revoca per giusta causa dall'amministrazione riconduce pertanto il socio-amministratore nella categoria dei soci ai quali non è stata affidata la gestione operativa della società e, come ad essi, spettera lui il diritto di rendiconto previsto dall'art.2261 del codice civile.

Tale diritto spetta esclusivamente al socio che non risulta investito del potere di amministrazione e che pertanto può pretendere da chi invece ha tale potere un dettagliato rendiconto sulla gestione dell'attività sociale, mentre non spetta al socio che risulti, anche solo formalmente, titolare della veste di amministratore (39), sia pure di fatto si sia estraniato dall'amministrazione (40).

Il principio non muta nelle società di persone composte ed amministrate da due soli soci-amministratori, laddove se da una parte la revoca per giusta causa dall'amministrazione dell'uno rende l'altro padrone assoluto delle sorti della gestione sociale, d'altra parte attribuisce automaticamente al socio-amministratore revocato il diritto di avere specifico periodico rendiconto della gestione che, in precedenza, rivestendo egli la qualità di amministratore oltre a quella di socio, non aveva, il che lo pone in grado di ricorrere, quale socio, agli strumenti di tutela che l'ordinamento appresta nei confronti di chi è rimasto amministratore ove emergano irregolarità o gravi inadempienze nella gestione.

Essendo diretto il provvedimento di revoca per giusta causa dall'amministrazione in via d'urgenza ai sensi dell'art.700 c.p.c. ad assicurare in via provvisoria e strumentale l'effetto tipico della  pronuncia di merito di revoca per giusta causa o uno degli effetti della sentenza di esclusione, quale la decadenza del potere di amministrazione del socio-amministratore, senza tuttavia che il provvedimento cautelare possa avere un oggetto più ampio di quello della causa di merito, si è ritenuta inammissibile la nomina di un amministratore giudiziario in luogo di quello revocato con il provvedimento cautelare, poiché quest'ultimo non potrebbe avere, come si è detto, effetti più vasti di quelli che produrrebbe l'accoglimento della domanda dell'ordinario giudizio di cognizione, pena la violazione della propria funzione specificatamente cautelare.

Del resto, nella disciplina delle società di persone non vi è alcuna norma che consente al giudice di sostituire l'amministratore revocato per giusta causa, come invece è stabilito dall'art.2409 c.c. per le società di capitali (41).

Si è in precedenza fatto cenno della strumentalità del ricorso cautelare rispetto al giudizio di merito e della relativa identità che deve intercorrere tra la domanda svolta nel procedimento ordinario e quella oggetto del provvedimento d'urgenza e, al riguardo, si è tuttavia osservato che l'oggetto dell'ordinario giudizio di cognizione potrà risultare anche più ampio di quello del procedimento cautelare, come nel caso in cui con quest'ultimo sia stata chiesta la revoca per giusta causa dall'amministrazione del socio-amministratore e nel merito sia stata invece proposta domanda di esclusione per gravi inadempienze.

Si ritiene infatti affetta da nullità insanabile la domanda di misura cautelare non contenente la precisa indicazione dell'instaurando giudizio di merito (42).

Premesso che la nuova disciplina uniforme del procedimento cautelare delineata dagli articoli 669 bis e seguenti c.p.c. non contiene una norma specifica che indichi quello che dev'essere il contenuto della domanda cautelare, occorre al riguardo richiamare l'osservanza dell'art.125 c.p.c., il quale, come norma di carattere generale indicante il contenuto minimo sostanziale di ogni atto (43), prescrive per il ricorso l'indicazione dell'ufficio giudiziario, delle parti, dell'oggetto, delle ragioni della domanda e delle conclusioni o l'istanza (44).

L'esigenza di indicare nel ricorso introduttivo la causa di merito che, in caso di ricorso proposto ante causam, si intende successivamente instaurare, risulta fondamentale per i provvedimenti cautelari aventi caratteristiche cosidette anticipatorie, quali i provvedimenti d'urgenza, diretti ad ottenere dal giudice i provvedimenti che appaiano, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito, essendo evidente che se in sede cautelare non si indica l'oggetto della successiva causa di merito, non vi è alcuna possibilità per il resistente e per il giudice, di valutare quelli che saranno gli effetti della decisione  sul merito che il ricorrente intende ottenere anticipatamente in via d'urgenza (45).

La novella che ha uniformato il procedimento cautelare ha poi posto esigenze specifiche al cui assolvimento appare diretto l'onere della indicazione specifica nel ricorso cautelare dell'oggetto della domanda di merito.

Solo tale indicazione consente infatti di verificare la competenza del giudice della cautela il quale, ai sensi dell'art.669 ter c.p.c., è competente all'emanazione del provvedimento cautelare in quanto sia competente anche per il merito, nonché permette l'applicazione della regola della caducazione della misura cautelare in ipotesi di mancato inizio del giudizio di merito nel termine assegnato dal giudice o normativamente sancito, dato che, ai sensi degli articoli 669 octies e novies, l'inefficacia del provvedimento cautelare dipende dalla mancata o intempestiva proposizione non di un qualsiasi giudizio di merito, ma soltanto di quello correlato all'azione cautelare, per cui se in essa mancano gli elementi utili per individuare quello che sarà il giudizio di merito, non potrà poi verificarsi se il giudizio successivamente instaurato sia proprio quello connesso al provvedimento cautelare, sì da escludere l'inefficacia di quest'ultimo per mancato inizio del giudizio di cognizione nel termine assegnato dal giudice o dalla legge.

L'esigenza di una specifica indicazione della domanda di merito nel ricorso cautelare può inoltre evincersi dalle norme attinenti al reclamo, alla modifica e alla revoca del provvedimento, tenuto conto che il giudice adito per una rimeditazione della questione inerente al provvedimento cautelare concesso o negato potrà decidere in base ad un quadro concernente la situazione, per cui il rimedio cautelare fu richiesto, il più possibile precisa e completa in tutti i suoi elementi, considerato altresì in particolare che, nella peculiare ipotesi di rigetto del ricorso cautelare, tanto più difficilmente il ricorrente potrà riproporre l'istanza deducendo il sopravvenuto mutamento delle circostanze che avevano determinato l'originaria domanda non accolta o allegando nuove ragioni di fatto o di diritto (46), quanto più generica, anche e sopratutto in relazione all'oggetto del giudizio di merito, sarà stata l'enunciazione del contenuto del ricorso (47).

Nell'ambito dello schema regolamentare del nuovo procedimento cautelare uniforme delineato dal riformato codice di rito si rinviene pertanto una notevole serie di considerazioni di ordine sistematico da cui si ricava la necessità per il ricorrente che agisce in via cautelare di indicare specificatamente nel ricorso gli elementi della successiva causa di merito, con riguardo tanto alla causa petendi quanto al petitum ed alle conclusioni (48), dovendo tale incombenza essere attuata in modo tanto più rigoroso quanto maggiore è la possibilità di intravedere dal quadro cautelare più di una correlativa azione di merito e potendo, viceversa, tale incombenza esser eseguita in modo anche estremamente generico laddove dal contenuto della richiesta cautelare non possa che evincersi con sicurezza e univocità l'esistenza di una sola causa di merito possibile.

E' evidente poi che la specifica indicazione nel ricorso cautelare della causa petendi, del petitum e delle conclusioni della causa di merito costituirà un vincolo dello stesso giudizio di cognizione ordinaria, tanto più intenso quanto maggiormente specifica e precisa è stata l'indicazione dei suddetti elementi.

Nel giudizio di merito proposto dopo l'accoglimento del ricorso cautelare potrà infatti esser proposta una domanda di contenuto più ampio rispetto a quello del procedimento cautelare, ma non potranno essere invece proposte domande diverse da quella in quest'ultimo avanzata, poiché altrimenti potrebbe essere sancita l'inefficacia del provvedimento cautelare determinata dal promuovimento di un giudizio di merito non correlativo al procedimento cautelare quale circostanza perciò equivalente alla mancata instaurazione del giudizio di merito nel termine fissato dal giudice o dalla legge (49).

Né, in sede di giudizio ordinario, potranno essere modificate o anche soltanto ridimensionate le domande enunciate in via cautelare, pena la revocabilità o modificabilità del provvedimento cautelare per mutamento delle circostanze ai sensi dell'art.669 decies c.p.c. nel primo caso (50) e la decadenza della parte della pronuncia cautelare non corrispondente alla domanda di merito proposta in versione ridotta rispetto alla prima nella suddetta ipotesi di ridimensionamento (51)

L'ordinanza del Tribunale di Pisa, giudice del reclamo, censura il provvedimento dell'istruttore con il quale era stato respinto il ricorso cautelare diretto ad ottenere in via d'urgenza la revoca dell'amministratore, osservando che nel pendente giudizio di merito era in effetti stata chiesta non solo la sua esclusione dalla società, ma anche, sia pure in via subordinata, la sua revoca dall'amministrazione per giusta causa.

Ciò nonostante il collegio pisano ha ritenuto egualmente di non concedere la tutela cautelare richiesta dal ricorrente, opinando che il patto di amministrazione congiuntiva impedirebbe di escludere ad uno dei due soci il potere di amministrazione per lo squilibrio che ciò determinerebbe a favore dell'altro e prospettando, senza tuttavia alcuna convinzione, la possibilità, in tale fattispecie, di richiedere la nomina di un amministratore giudiziario.

 

 

NOTE:

 

(1)

Galgano, Le società di persone, Bologna, 1971, pag.121;

Ferrara jr., Gli imprenditori e le società, Milano, 1971, pag.275;

Cottino, Diritto commerciale, vol.I, Padova, 1976, pag.470;

Minervini, In tema di esclusione di socio amministratore unico di collettiva, in "Dir.e giur.", 1947, pag.249.

Cass.,  26 ottobre 1976, n.3938, in V.Buonocore - G.Castellano - R.Costi, Casi materiali di dir.comm., Soc.di persone, Milano, 1978, pag.1165;

Cass., 9 luglio 1973, n.1977, in "Giur.it.", 1973, I, 1, 1627;

Cass., 17 gennaio 1956, n.103, in "Rep.Foro it.", 1956, v.Soc., n.408.

Contra: Cass., 14 aprile 1958, n.1204, in "Giur.it.", 1958, I, 1, 1434; Appello Milano, 12 luglio 1974, in "Foro pad.", 1974, I, 403; Appello Milano, 23 ottobre 1970, in "Giur.it.", 1971, I, 2, 913; Tribunale di Napoli, 9 febbraio 1967, in "Foro it.", 1967, I, 1949.

Ferri, Della società, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Libro V, Del Lavoro, artt.2247-2324, Bologna-Roma, 1969, pag.290.

 

(2)

Cass., 17 gennaio 1983, n.343, in "Soc.", 1983, 891;

Cass., 16 febbraio 1981, n.935, in "Giust.civ.Mass.", 1981, 358;

Cass., 30 gennaio 1980, n.710, in "Giur.comm.", 1980, II, 319.

 

(3)

Cass., 17 gennaio 1983, n.343, cit.;

Cass., 30 gennaio 1980, n.710, cit.;

Cass., 9 luglio 1973, n.1977, cit.;

Cass., 17 gennaio 1956, n.103, cit.;

Tribunale di Milano 14 ottobre 1993, in "Giur.it.", 1994, I, 2, 305;

Tribunale di Milano, 22 ottobre 1990, in "Giur.comm.", 1992, II, 307.

 

(4)

Tribunale di Milano, 22 ottobre 1990, in "Giur.comm.", 1992, II, 307.

Costi-Di Chio, Società in generale. Società di persone. Associazione in partecipazione, in "Giur.sit.civ.e comm.", fondata da W.Bigiavi, Torino, 1991, pag.689 e segg..

Contra: Ferri, Le società, in Trattato di dir.civ.it., di F.Vassalli, 1985, pag.282; secondo il quale la risoluzione per inadempimento può trovare autonoma applicazione, accanto all'esclusione del socio, in tutte quelle ipotesi in cui l'inadempimento sia intervenuto prima ancora della costituzione del fondo sociale.

Tribunale di Milano, 2 giugno 1988, in "Giur.comm.", 1990, II, 699.

 

(5)

Santoro Passarelli, in Noviss.Digesto, VII, v.Giusta causa, Torino, 1961, pag.1108.

Cass., 22 giugno 1985, in "Foro it.", 1986, I, 1364;

Cass., 2 novembre 1957, n.4240, in "Dir.fall.", 1958, II, 51.

 

 

 

(6)

Tribunale di Caltanissetta, 19 giugno 1947, in "Giur.it.", 1948, I, 2, 319.

 

(7)

Pretura di Mialno, 27 agosto 1961, in "Temi", 1962, 53.

 

(8)

Tribunale di Genova, 13 novembre 1959, in "Foro it.", 1960, I, 1830.

 

(9)

Pretura di Piombino, 5 ottobre 1979, in "Giur.comm.", 1980, II, 765.

 

(10)

Tribunale di Verona, 19 novembre 1971, in "Giur.it.", 1972, I, 2, 744.

 

(11)

Cass., 16 luglio 1953, n.2307, in "Dir.fall.", 1953, II, 695.

 

(12)

Tarantino, Revoca ed esclusione del socio amministratore nelle società personali, in "Giur.comm.", 1980, I, pag.303.

 

(13)

Tribunale di Milano, 22 marzo 1990, in "Soc.", 1990, n.9, 1057.

 

(14)

Cass., 1 giugno 1991, n.6200, in "Giur.it.", 1991, I, 1, 886;

Cass., 17 aprile 1982, n.2344, in "Dir.fall.", 1982, II, 859;

Cass., 16 luglio 1953, n.2307, in "Giur.it.", 1954, I, 1, 718;

Appello Milano, 12 settembre 1974, in "Riv.not.", 1975, 939;

Tribunale di Torino, 15 dicembre 1986, in "Soc.", 1987, 597;

Tribunale di Napoli, 9 febbraio 1967, in "Foro it.", 1967, I, 1949.

 

(15)

Anche tale comportamento costituirebbe inadempimento capace di legittimare l'esclusione dalla società, alla quale sarebbe comunque riferibile un pregiudizio se non altro rappresentato dal discredito commerciale e dalle incombenze ed oneri necessari per resistere alle eventuali azioni dei creditori.

Cass., 13 agosto 1960, n.2380, in "Mass.Giur.it.", 1960, 595.

 

(16)

Galgano, Società di persone, in Tratt.dir.civ.comm., diretto da Cicu-Messineo, Milano, 1982, pag.326 e segg.;

Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1987, pag.225 e segg.;

Simonetto, L'apporto nel contratto di società, in "Riv.dir.civ.", 1958, I, pag.56;

Di Francia, Qualche considerazione in tema di esclusione del socio per gravi inadempienze, in "Giur.merito", 1970, I, pag.164;

Tarantino, Revoca ed esclusione del socio amministratore nelle società personali, in "Giur.comm.", 1980, II, pag.303.

 

 

(17)

Ferri, Delle società, in Commentario, op.cit., p.290.

Appello Milano, 23 ottobre 1970, cit.;

Tribunale di Napoli, 9 febbraio 1967, cit..

 

(18)

Cass., 17 gennaio 1956, n.103, cit..

 

(19)

Cass., 9 luglio 1973, n.1977, cit..

 

(20)

Cass., 26 ottobre 1976, n.3938, cit..

Contra: Ferri, Della società semplice, in Commentario al codice civile a cura di Scialoja e Branca, cit..

 

(21)

Tribunale di Milano, 28 ottobre 1993, in "Soc.", 1994, n.3, 368.

 

(22)

In senso favorevole: Minervini, In tema di esclusione, op.cit., pag.254 e segg.; Ferri, Le società, op.cit.. Contra: Galgano, Le società di persone, op.cit., pag.121; Ferrara jr., Gli imprenditori, op.cit., pag.250; Cottino, Diritto commerciale, op.cit., pag.506 e segg.; V.Buonocore - G.Castellano - R.Costi, Casi materiali, op.cit., pag.1367.

 

(23)

Costi-Di Chio, Società in generale, op.cit.;

Galgano, Società di persone, op.cit., pag.328;

Tarantino, Revoca ed esclusione, op.cit., pag.303.

Cass., 30 gennaio 1980, n.710, in "Giur.comm.", 1980, II, 319;

Appello Bari, 31 ottobre 1977, in "Giur.comm.", 1980, II, 303

Appello Firenze, 7 dicembre 1955, in "Giur.tosc.", 1956, 250;

Tribunale di Firenze, 25 agosto 1950, in "Giur.tosc.", 1950, 294;

 

(24)

Tribunale di Torino, 19 novembre 1977, in "Giur.comm.", 1979, II, 492.

Cottino, Diritto commerciale, op.cit., pag.470.

Ferri, Le società, op.cit., pag.229; secondo il quale, nonostante ritenga ammissibile l'affidamento a non soci del potere di amministrazione, quest'ultimo deve comunque considerarsi pur sempre posto essenzialmente in funzione del rapporto sociale, di tal che se i soci non si avvalsero della facoltà di conferire ad un terzo il potere di amministrazione, soltanto un esplicito atto di volontà dei socie, coevo all'esclusione, potrebbe conservare al socio escluso, divenuto perciò terzo rispetto alla società, quelle funzioni che nel contratto sociale o nell'atto separato furono attribuiti al socio o nell'atto separato furono attribuite al socio.

Contra: Minervini, In tema di esclusione, op.cit., pag.254 e segg..

 

(25)

Cottino, Diritto commerciale, op.cit., pag.418;

 

 

 

(26)

Boero, Commento ad Appello Messina, 23 novembre 1977 ed a Tribunale di Torino, 19 novembre 1977, in "Giur.comm.", 1979, II, 492.

 

(27)

Ferri, Delle società, op.cit.;

Ruperto, Del lavoro. Delle società, in Comm.cod.civ., V, 2, Torino, 1975, pag.244;

Cottino, Diritto commerciale, cit., pag.416 e segg.;

Galgano, Il principio di maggioranza nelle società personali, Padova, 1960, pag.223;

Galgano, Il contratto di società, Le società di persone, Bologna, 1972, pag.98;

Venditti, Collegialità e maggioranze nelle società di persone, Milano, 1955, pag.39;

Venditti, Nuove riflessioni sull'organizzazione collegiale delle società di persone, in "Dir.e giur.", 1962, pag.385;

Graziani-Minervini, Manuale di diritto commerciale, Napoli, 1974, pag.87;

Greco, Le società nel sistema legislativo italiano, Torino, 1959, pag.253.

Cass., 9 luglio 1973, n.1977, cit.;

Cass., 16 luglio 1958, n.2603, in "Dir.fall.", 1958, II, 632;

Cass., 26 marzo 1957, n.1037, in "Mass.Giur.it.", 1957, 226;

Cass., 7 marzo 1955, n.664, in "Dir.fall.", 1955, II, 410;

Cass., 25 gennaio 1954, n.186, in "Foro it.", 1954, I, 930;

Cass., 6 marzo 1953, n.556, in "Foro it.", 1953, I, 474;

Appello Napoli, 14 febbraio1989, in "Dir.giur.", 1991, 688;

Appello Venezia, 3 giugno 1969, in "Temi", 1970, 31;

Appello Firenze, 7 dicembre 1955, in "Giur.tosc.", 1956, 250;

Tribunale di Milano, 4 marzo 1991, in "Foro it.", 1991, I, 3433;

Tribunale di Como, 12 marzo 1987, in "Riv.not.", 1987, 1205;

Tribunale di Napoli, 17 ottobre 1986, in "Giur.comm.", 1988, II, 654;

Tribunale di Torino, 19 novembre 1977, cit.;

Tribunale di Firenze, 18 luglio 1951, in "Dir.fall.", 1951, II,  386.

Contra: D'Onofrio, Partecipazione del socio da escludersi all'assemblea deliberante sull'esclusione, in "Dir.fall.", 1951, II, pag.462; Brunori, In tema di esclusione del socio, in "Foro it.", 1952, I, pag.481; Bolaffi, La società semplice, Milano, 1947, pag.304; Romano-Pavoni, Le delibere delle assemblee delle società, Milano, 1951, pag.242; Guerra, Nota critica a Cass., 7 aprile 1950, n.942, in "Foro it.", 1950, I, pag.692.

Appello Firenze, 29 marzo 1952, in "Foro it.", 1952, I, 1246; Appello Firenze, 8 settembre 1951, in "Foro it.", 1952, I, 480; Tribunale di Roma, 18 settembre 1952, in "Temi rom.",  1952,pag.273.


(28)

Galgano, Il principio, op.cit., pag.208;

Galgano, Il contratto, op.cit., pag.98;

Schlesinger, L'approvazione del rendiconto annuale nelle società di persone, in "Riv.soc.", 1965, pag.707.

Cass., 19 gennaio 1973, n.196, in "Giur.it.", 1973, I, 1, 1444;

Cass., 3 febbraio 1965, n.173, in "Giust.civ.", 1965, I, 715;

Cass., 9 maggio 1962, n.931, in "Giur.it", 1963, I, 1, 636;

Cass., 21 aprile 1956, n.1217, in "Riv.dir.comm.", 1957, II, 18;

Appello Bologna, 8 luglio 1966, in "Giur.it.", 1968, I, 2, 105;

Tribunale di Como, 12 marzo 1987, cit.;

Tribunale di Napoli, 17 ottobre 1986, cit.;

Contra: Auletta, Recensione al principio di maggioranza, in "Riv.trim.dir.proc.civ.", 1961, pag.981; Ferrara jr., Gli imprenditori, op.cit., pag.258; Grippo, nota ad Appello Milano, 23 ottobre 1970, in "Giur.it.", 1971, I, 2, pag.913.

 

 (29)

Cass., 12 gennaio 1988, n.143, in "Giust.civ.", 1988, I, 959;

Cass., 26 marzo 1957, n.1037, cit.;

Cass., 7 marzo 1955, n.644, cit;

Appello Milano, 18 settembre 1962, in "Foro pad.", 1962, I, 1180;

Tribunale di Milano, 10 giugno 1991, in "Giur.it.", 1992, I, 2, 510;

Tribunale di Milano, 16 ottobre 1975, in "Giur.comm.", 1976, II, 518.

Ghidini, Società personali, Padova, 1972, pag.571 e segg.; secondo il quale la contestazione specifica dei motivi potrebbe essere omessa nella sola ipotesi che al socio da escludere fosse stato previamente contestato un unico e determinato addebito.

Contra: Galgano, Il principio, op.cit., pag.208.

Tribunale di Bergamo, 10 giugno 1950, in "Dir.fall.", 1950, II, 362; secondo cui il diritto del socio sarebbe comunque salvaguardato essendo a carico della società, nel giudizio di opposizione, l'onere della prova della sussistenza di motivi idonei a giustificare l'esclusione.

Appello Milano, 23 luglio 1948, in "Giur.it.", 1949, I, 2, 112.

 

(30)

Tribunale di Milano, 16 ottobre 1975, cit..

 

(31)

Cottino, Diritto commerciale, op.cit., pag.471.

Cass., 9 agosto 1991, n.8695, in "Dir.fall.", 1992, II, 369;

Cass., 12 giugno 1973, n.1696, in "Dir.fall.", 1974, II, 94;

Cass., 14 novembre 1959, n.3364, in "Foro it.", 1960, I, 1366;

Cass., 4 maggio 1961, n.1015, in "Mass.Giur.it.", 1961, 293;

Appello Milano, 9 luglio 1976, in "Mon.trib.", 1976, 624;

Appello Milano, 5 aprile 1969, in "Giur.merito", 1970, I, 64.

 

(32)

Cass., 3 dicembre 1984, n.6302, in "Giust.civ.Rep.", 1984, v.Soc.di pers., n.22.

 

 

(33)

Cass., 10 marzo 1975, n.879, in "Giust.civ.", 1975, I, 1340;

Cass., 9 luglio 1957, n.2735, in "Foro it.", 1957, I, 1416;

Pretura di Roma, 19 maggio 1977, in "Giur.comm.", 1978, II, 592;

Tribunale di Torino, 19 novembre 1977, cit.;

Pretura di Milano, 19 dicembre 1979, in "Giur.it.", 1981, I, 2, 487.

 

(34)

Tribunale di Torino, 19 novembre 1977, cit..

 

(35)

Cottino, Diritto commerciale, op.cit., pag.420.

Tribunale di Napoli, 8 novembre 1989, in "Dir.e giur.", 1990, 122;

Tribunale di Napoli, 18 dicembre 1987, in "Dir.fall.", 1988, II, 580;

Tribunale di Torino, 19 novembre 1977, cit.;

Tribunale di Genova, 13 novembre 1959, in "Foro it.", 1960, I, 1830;

Pretura di Gubbio, 22 gennaio 1991, in "Giur.merito", 1993, I, 98;

Pretura di Genova, 19 aprile 1989, in "Foro it.", 1990, I, 2373;

Pretura di Busto Arsizio, 14 marzo 1985, in "Rep.Foro it.", 1986, v.Provv.d'urg., n.156;

Pretura di Mirandola,  20 febbraio 1985, in "Foro it.", 1985, I, 2797;

Pretura di Monza, 15 giugno 1983, in "Giur.comm.", 1984, II, 441;

Pretura di Piombino, 5 ottobre 1979, in "Giur.comm.", 1980, II, 765;

Pretura di Roma, 22 aprile 1977, in "Giur.comm.", 1978, II, 589;

Pretura di Montebelluna, 30 gennaio 1975, in "Giur.comm.", 1977, II, 587.

 

(36)

Cass., 18 febbraio 1956, n.475, in "Rep.Foro it.", 1956, v.Provv.d'urg., n.16.

 

(37)

Cass., 27 dicembre 1993, n.12787, in "Mass.", 1993;

Cass., 17 ottobre 1992, n.11417, in "Mass.", 1992;

Cass., 27 settembre 1992, n.9008, in "Mass.", 1992;

Cass., 28 aprile 1976, n.1494, in "Rep.Foro it.", 1976, v.Provv.d'urg., n.29;

Cass., 22 febbraio 1968, n.618, in "Rep.Foro it.", 1968, v.Provv.d'urg., n.7;

Cass., 4 agosto 1967, n.2074, in "Rep.Foro it.", 1967, v.Provv.d'urg., n.41.

 

(38)

Cass., 15 gennaio 1955, n.69, in "Rep.Foro it.", 1955, v.Provv.d'urg., n.10;

Cass., 22 febbraio 1961, n.411, in "Rep.Foro it.", 1961, v.Provv.d'urg., n.24;

 

(39)

Schlesinger, L'approvazione del rendiconto annuale nelle società di persone, in "Riv.soc.", 1965, pag.809;

Di Sabato, Sul rendiconto e sul capitale di società personali, in "Giur.it.", 1965, I, 1, pag.566.

Cass., 28 settembre 1973, n.2434, in "Giur.it.", 1975, I, 1, 994;

Appello Trieste, 5 luglio 1957, in "Giust.civ.Mass.", 1957, 32;

Appello Lecce, 26 marzo 1955, in "Corti Bari, Lecce e Potenza", 1955, 462;

Appello Firenze, 29 aprile 1949, in "Giur.it.", 1949, I, 2, 559.

 

(40)

Cass., 10 marzo 1975, n.879, cit..

 

(41)

Costi-Di Chio, Società di persone, op.cit., pag.302;

Buonocore-Castellano-Costi, Società di persone, op.cit., pag.550;

Galgano, Le società di persone, op.cit., pag.202 e s..

Tribunale di Napoli, 12 dicembre 1987, cit.;

Tribunale di Ascoli Piceno, 5 luglio 1986, in "Foro it.Rep.", 1987, v.Soc., n.322;

Tribunale di Vigevano, 21 luglio 1966, in "Foro it.", 1966, I, 1868;

Tribunale di Genova, 13 novembre 1959, cit.;

Pretura di Milano, 23 marzo 1981, in "Giur.it.", 1982, I, 2, 487;

Pretura di Milano, 19 febbraio 1979, in "Giur.it.", 1982, I, 2, 487.

Contra: Cass., 7 maggio 1963, n.1113, in "Dir.fall.", 1963, II, 483; Appello Napoli, 31 marzo 1987, in "Dir.fall.", 1987, I, 705; Tribunale di Catania, 28 luglio 1970, in "Dir.fall.", 1980, II, 463; Pretura di Piombino, 5 ottobre 1970, cit.; Pretura di Roma, 22 aprile 1977, in "Giur.comm.", 1978, II, 589; Pretura di Udine, 2 aprile 1964, in "Giur.it.", 1964, I, 2, 529; Pretura di Milano, 27 agosto 1961, in "Giur.it.", 1963, I, 2, 189.

 

(42)

Frus, "art.74/669-bis", in Le riforme del processo civile a cura di Sergio Chiarloni, Bologna, 1992, pag.612 e segg.;

Dalmotto, Sul contenuto del ricorso cautelare nel procedimento uniforme, in "Giur.it.", 1993, I, 2, pag.776 e segg.;

Chiarloni, Contro il formalismo in ordine al contenuto del ricorso cautelare nel procedimento uniforme, in "Giur.it.", 1993, I, 2, pag.775 e segg.; l'autore dubita tuttavia che la nullità sia da ritenere insanabile;

Proto Pisani, La nuova disciplina dei procedimenti cautelari in genere, in "Foro it.", 1991, V, pag.57 e segg.;

Consolo (Luiso-Sassani), La riforma del processo civile, Milano, 1991, pag.338 e segg.;

Salvaneschi, Provvedimenti urgenti per il processo civile, in Commentario a cura di Tarzia e Cipriani, Padova, 1992, pag.296;

Tommaseo, Legge 26 novembre 1990 n.353, in "Corr.giur.", 1991, pag.97 e seg.;

Verde-Di Nanni, Codice di procedura civile, Torino, 1993, pag.460 e seg..

Tribunale di Verona, 22 dicembre 1993, in "Giur.it.", 1993, I, 2, 1121;

Pretura di Frosinone, 23 marzo 1994, in "Nuovo dir.", 1994, 671;

Pretura di Alessandria, 16 marzo 1993, in "Giur.it.", 1993, I, 2, 775;

Pretura di Monza, 3 febbraio 1993, in "Foro it.", 1993, I, 693;

Tribunale di Catania, 26 agosto 1993, in "Giur.it.", 1994, I, 2, 675; secondo cui tuttavia la domanda cautelare proposta con ricorso non contenente la precisa indicazione della causa di merito non sarebbe nulla, ma invece inammissibile.

 

(43)

Andrioli, Commento al codice di procedura  civile, I, Napoli, 1957, pag.356.

 

(44)

Frus, "art.74/669-bis", op.cit., pag.612;

Consolo (Luiso-Sassani), La riforma, op.cit., pag.430;

Oberto, Il nuovo processo cautelare, Milano, 1993, pag.26 e seg.;

Tommaseo, Legge 26 novembre 1990 n.353, op.cit., pag.97;

Salvaneschi, Provvedimenti, op.cit., pag.296;

Andolina, Profili della nuova disciplina dei provvedimenti cautelari in genere, in "Foro it.", 1993, V, pag.72;

Samorì, "art.669-bis", in Commentario breve al codice di procedura civile, Appendice di aggiornamento, Padova, 1991, pag.206;

Mammone (Dini-Mammone), I provvedimenti d'urgenza, Milano, 1993, pag.444;

Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, pag.338.

 

(45)

Tommaseo, I provveimenti d'urgenza, Padova, 1983, pag.244 e segg.;

Andrioli, I provvedimenti d'urgenza: deviazioni e proposte, in La tutela d'urgenza, Atti del XV convegno nazionale, 1986, pag.20;

Carpi, La tutela d'urgenza fra cautela, sentenza anticipata e giudizio di merito, in La tutela d'urgenza, op.cit., pag.63;

Salvaneschi, I procedimenti cautelari, a cura di G.Tarzia, Milano, 190, pag.198 e segg.;

Frus, "art.74/669-bis", op.cit., pag.614.

 

(46)

Proto Pisani, La nuova disciplina dei procedimenti, op.cit.: l'autore ritiene che anche la deduzione di fatti preesistenti non precedentemente allegati possa legittimare la riproposizione dell'istanza cautelare.

Tribunale di Foggia, 12 luglio 1993, in "Foro it.", 1993, I, 2983;

Tribunale di Bari, 25 marzo 1993, in "Foro it.", 1993, I, 1680.

 

(47)

Pretura di Alessandria, 16 marzo 1993, cit..

 

(48)

Frus, "art.74/669-bis", op.cit., pag.614.

Tommaseo, Legge 26 novembre 1990 n.353, op.cit., pag.97;

Andolina, Profili, op.cit.;

Samorì, "art.669-bis", op.cit.;

Consolo (Luiso-Sassani), La riforma, op.cit.;

Oliveri, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile, in "Riv.dir.proc.", 1991, pag.700 e seg..

Il principio vale anche in ipotesi di domanda cautelare proposta nel corso del giudizio di merito da ritenere valida nella misura in cui sia identica nel proprio oggetto alla domanda di merito del processo in cui viene inserita. Così: Tribunale di Milano, 7 aprile 1993, in "Giust.civ.", 1993, I, 1633.

 

(49)

Frus, "art.74/669-bis", op.cit..

 

(50)

Rapisarda-Sassoon, Il nuovo processo cautelare, in Le riforme della giustizia civile a cura di M.Taruffo, 1993, pag.512;

Dalmotto, Sul contenuto, op.cit., pag.782.

 

 

 

 

  Mauro Vanni