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Le Società, 1995, n.9 Editore Ipsoa, Milano _____________________________________ DOMANDA DI ESCLUSIONE PER GRAVI INADEMPIENZE E
REVOCA PER GIUSTA CAUSA CON PROVVEDIMENTO D'URGENZA DEL SOCIO
AMMINISTRATORE DI SOCIETA'
DI PERSONE 1) L'esclusione per gravi inadempienze
e la revoca per giusta causa del socio amministratore di società di persone Si ammette,
in genere, che il socio-amministratore di una società di persone può essere
non soltanto revocato dalla carica di amministratore per la violazione dei
doveri inerenti al mandato conferitogli, ma anche escluso dalla società ai
sensi dell'art.2286 c.c., nel caso in cui gli inadempimenti da lui posti in
essere si pongano in contrasto con i
fini della società (1). Indipendentemente
dagli obblighi che l'amministratore socio di una società di persone deve
adempiere in base al mandato che lo lega alla società, ai sensi dell'art.2260
c.c., sussiste sempre l'obbligo che gli deriva dalla sua qualità di socio di
non compiere atti in contrasto con le finalità della società e pertanto la
sua esclusione da quest'ultima, giustificata da un comportamento contrario ai
fini e agli interessi dell'ente, non può certo trovare ostacolo nella
circostanza che, rivestendo egli la carica di amministratore, il medesimo
comportamento integri anche la violazione degli specifici doveri inerenti al
mandato di amministrazione, sì da comportare la revoca e l'eventuale
esperimento dell'azione di responsabilità (2) Si suole in
particolare distinguere tra le inadempienze che attengono alle mansioni
amministrative e che pertanto legittimano la revoca del socio dalla carica di
amministratore e quelle stabilite dall'art.2286 c.c. che consentono
l'esclusione del socio dalla società (3), ritenendosi che l'esclusione sia un
rimedio speciale, interamente sostitutivo della risoluzione per inadempimento
prevista dall'art.1459 c.c. anche per i contratti plurilaterali con comunione
di scopo (4). La sanzione
della revoca è determinata dalle violazioni che il socio pone in essere
nell'ambito del rapporto gestorio e richiede la sussistenza di una giusta
causa, senza che tuttavia questa debba giungere ad integrare l'elemento
volontaristico della colpa imputabile, potendo anche dipendere da circostanze
estranee alla volontà dell'agente. Al riguardo,
è stato chiarito che l'adozione della sanzione appare giustificata dal
verificarsi di circostanze, dipendenti o meno dalla volontà del
socio-amministratore, anche obiettive, tali da scuotere la fiducia posta a
base del rapporto e da rendere legittima la reazione al comportamento che ne
abbia comportato la violazione, senza che tuttavia il venir meno della
fiducia ed il sorgere della situazione di ostacolo alla continuazione del
rapporto non siano state scientemente provocate dal comportamento unilaterale
di una delle parti (5). Più
precisamente, si è ritenuto che costituisce giusta causa ogni fatto o
comportamento che renda impossibile il naturale svolgimento del rapporto di
gestione, sia che ciò integri la violazione degli obblighi
dell'amministrazione in quanto tale, sia che si determini la materiale
impossibilità per l'amministratore di adempiere ai compiti che
l'amministrazione comporta. In questi
termini, sono state considerate ipotesi di giusta causa di revoca
dall'amministrazione la delega ad altri del potere di gestione (6), la
mancanza di fatto di un amministratore capace di espletare l'attività di
gestione (7), la violazione del divieto di concorrenza e la cessazione di
fatto dell'esercizio delle funzioni gestorie (8), la mancata redazione e
l'omesso deposito dei bilanci e dei conti profitti e perdite presso la sede
sociale, la loro mancata comunicazione ai soci non amministratori e l'aver
impedito a questi ultimi di esercitare il diritto di approvazione del
bilancio e di controllo della gestione sociale (9). In altre
occasioni si è preferito invece un'interpretazione restrittiva del concetto
di giusta causa, identificandosi la giusta causa della revoca
dell'amministratore unicamente con la violazione degli obblighi del mandato
ad amministrare (10). L'esclusione
dalla società nei riguardi del socio che di essa sia anche amministratore è
invece determinata da inadempimenti integranti atti in contrasto con gli
stessi fini sociali e che costituiscono insidia per la compagine della
società stessa. Tale
sanzione, producente la risoluzione del rapporto sociale, deriva dalla
violazione dell'essenziale obbligo di collaborazione attiva insito nella
struttura legale del rapporto di società (11), che costituisce il riflesso
dell'obbligo di fedeltà dei soci al patto sociale e si determina in presenza
di comportamenti che turbino l'intuitus personae in base al quale il
contratto sociale era stato stipulato e su cui si fondava l'affectio
societatis che è indispensabile per l'esercizio dell'attività sociale (12),
dovendo la reciproca fiducia caratterizzare, nella società di persone, tutti
i rapporti tra i vari componenti la compagine sociale (13). Quanto alla
gravità delle inadempienze del socio che, ai sensi dell'art.2286 primo comma
c.c., può giustificare la sua esclusione dalla società, si sostiene, al
riguardo, che non occorre anche che tali inadempimenti siano tali da impedire
del tutto il raggiungimento dello scopo sociale, ma è sufficiente che,
secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice del merito, abbiano inciso
negativamente sulla situazione della società, rendendone anche soltanto meno
agevole il perseguimento dei fini (14). E'
indifferente che l'inadempimento non sia suscettibile di arrecare un danno
immediato, effettivo e diretto, come nel caso in cui il socio abbia agito in
mancanza di poteri di amministrazione
od oltre i limiti di questi senza perciò riuscire a vincolare la società
all'adempimento delle obbligazioni assunte (15), essendo sufficiente che il
suo comportamento sia stato soltanto tendenzialmente diretto ad ostacolare
l'attività della società e sia di quella stessa gravità che, nei rapporti
negoziali di diritto civile, qualifica l'importanza dell'inadempimento per la
risoluzione del contratto ai sensi dell'art.1455 del codice civile (16). Nonostante
parte della giurisprudenza di merito abbia propeso per una netta separazione
tra gli obblighi che al socio competono come tale e quelli che, invece,
ineriscono alla sua qualità di amministratore (17), si ritengono ormai
tendenzialmente omogenee entrambe le posizioni. In effetti,
il fatto che non sia possibile ricondurre sotto l'ambito dell'art.2286 c.c.
le inadempienze che si riferiscono, in modo esclusivo, all'attività di
amministrazione e ogni eccesso dal mandato in cui sia incorso il
socio-amministratore, è circostanza che risponde ad un criterio indubbiamente
esatto, ma la sua applicazione, per discriminare le conseguenze
dell'irregolarità e degli eccessi dal mandato del socio-amministratore, non è
senza limiti e non giustifica il rigetto della domanda di esclusione quando
risulti che quest'ultimo, nello sconfinare dai limiti del mandato, abbia
svolto un'attività che sia di per sé contrastante con i fini sociali (18). Si delinea
allora quella violazione di doveri per cui può farsi luogo alla sanzione
prevista dall'art.2286 c.c., osservandosi infatti che, al di fuori e
indipendentemente dagli obblighi che l'amministratore socio incontra per il
mandato a lui conferito, vi è un obbligo fondamentale che deriva dalla sua
stessa qualità di socio, principalmente costituito dal dovere di non compiere
atti che, per essere in contrasto con i fini della società, costituiscono
insidia per la compagine di questa e pertanto quando la violazione dei doveri
inerenti alla qualità di amministratore non soltanto incide sugli obblighi
nascenti dal rapporto di mandato, ma assume altresì il carattere di
"grave inadempienza" delle obbligazioni derivanti dal contratto
sociale o dalla legge, dovrà ritenersi del tutto legittimo il ricorso alla
esclusione dalla società ai sensi della norma sopra citata (19). Essendo la
norma sancita dall'art.2259 c.c. che regola la revoca per giusta causa
dall'amministrazione e quella dell'art.2286 c.c. che disciplina l'esclusione
del socio dalla società per gravi inadempienze poste a tutela di due distinti
beni giuridici, quali rispettivamente l'interesse di ciascun socio a che
l'amministrazione si svolga in conformità a quel rapporto fiduciario che deve
intercorrere tra soci e amministratori e l'interesse all'adempimento del generico dovere di collaborazione per il
perseguimento del fine sociale, non sembra potersi ravvisare una netta e
certa separazione tra il campo di applicazione della revoca per giusta causa
del socio-amministratore e quello concernente l'esclusione dello stesso per
gravi inadempienze, poiché nelle società personali difetta in radice la
stessa sussistenza di una netta differenzazione tra il ruolo di socio e
quello di amministratore. Al riguardo,
è stato chiarito che le qualità di amministratore e di socio di una società in
nome collettivo, ancorché riunite in una medesima persona, non possono
assolutamente considerarsi divise e non può quìndi ritenersi che le
inadempienze compiute dall'amministratore, anche se così gravi da minare la
compagine sociale, siano ciò nonostante sempre insuscettibili di intaccare la
sua posizione di socio, come se si trattasse di due persone diverse ovvero
come se la carica di amministratore, per ciò solo, dispensasse dal dovere di
fedeltà cui è tenuto ciascun membro del nucleo sociale, determinando
l'insorgere, nei rispetti della posizione di socio, di una sorta di immunità
per il tradimento che questi realizzi avvalendosi della carica gestoria (20). Invero,
l'aver agito a danno della società tanto più risulta grave quanto più
fortemente legittima l'esclusione dalla compagine sociale, specialmente ed a
maggior ragione se a porre in essere l'inadempimento sia stato chi rivesta la
qualità di amministratore avvalendosi dei poteri e delle prerogative ad essa
inerenti (21). Intimamente
connesso a questo tema, si pone il problema dell'ammissibilità, nelle società
di persone, di amministratori non soci (22), in quanto è evidente che, se si
ammette la possibilità di conferire l'amministrazione della società a terzi
ad essa estranei, il rimedio della esclusione dalla società non accompagnata
anche dalla revoca per giusta causa dall'amministrazione risulterebbe
inidoneo a produrre, oltre alla espulsione del socio dalla società, anche la
privazione del suo potere di amministrazione. In tal caso,
ove nei confronti del socio-amministratore resosi responsabile di gravi
inadempienze in violazione non solo del rapporto di mandato, ma anche degli
interesse societari, fosse adottato il provvedimento di espulsione, quale
oggettiva sanzione di massima gravità producente la fuoriuscita dalla
compagine sociale, tale provvedimento si rivelerebbe del tutto inidoneo a
scongiurare il protrarsi della situazione di pericolo e pregiudizio agli
interessi societari, in quanto incapace di eliminare, da solo, il corrente
potere di amministrazione. E non vi è
dubbio che, in una simile fattispecie, assai verosimilmente il destinatario
del provvedimento di esclusione avrebbe più di un motivo, sia pure soltanto
per il probabile risentimento nei confronti degli altri componenti e per il disinteresse
sulle sorti della società, per avvalersi dei suoi poteri al fine di recare a
quest'ultima il maggior danno possibile. La soluzione
in questi termini della questione, com'è evidente, deriva da quella
concezione, che appare superata, secondo cui le posizioni di socio e
amministratore devono ritenersi separate, cosicché ove gli inadempimenti
posti in essere dall'amministratore siano di tale gravità anche e sopratutto
nei rispetti degli interessi della società determinandone irreparabile
pregiudizio, non potrebbe ritenersi superato il rimedio della revoca per
giusta causa dall'amministrazione dall'adozione del provvedimento di
esclusione, dovendo necessariamente essere attuati entrambi. In
conformità all'orientamento, che appare preferibile, secondo cui devono
ritenersi omogenee le posizioni di socio e di socio-amministratore, risulta
evidente l'incompatibilità tra la qualifica di amministratore e quella di
socio escluso, dovendo concludersi che mentre la perdita della qualità di
amministratore non determina automaticamente l'esclusione dalla società (23),
quest'ultima determina sempre anche la decadenza dall'amministrazione (24). La
soluzione, pur da ritenere esatta, incontra tuttavia alcuni ostacoli
rappresentati dalla difforme procedura che il codice prevede per la revoca
per giusta causa dall'amministrazione e per l'esclusione del socio, tenuto
conto che, se con il procedimento stabilito per quest'ultima si raggiungono
sostanzialmente gli effetti della prima, per essa tuttavia la legge
prescrive requisiti procedimentali più rigorosi. Secondo,
infatti, la prevalente interpretazione dell'art.2259 c.c., la revoca per
giusta causa dall'amministarzione richiede l'unanimità dei consensi (25),
mentre per l'esclusione è sufficiente una deliberazione a maggioranza. Fuori dei
casi in cui la pronuncia dell'esclusione sia stata richiesta direttamente
all'autorità giudiziaria potrebbe allora ritenersi, al fine di dare adeguata
soluzione al problema, che nell'ipotesi in cui la revoca dall'amministrazione
sia conseguenza diretta del provvedimento di esclusione non debba ritenersi
necessaria l'unanimità dei consensi oppure che nel caso in cui debba
escludersi un socio-amministratore, fermo che all'esclusione dalla compagine
sociale non potrà residuare la sopravvivenza del potere di amministrazione in
capo al socio escluso, il provvedimento di esclusione debba essere adottato
con il procedimento richiamato per la revoca nel rispetto dei requisiti
sanciti dall'art.2259 c.c. (26). In ordine al
procedimento di esclusione, si è osservato che mentre rispetto alle società
di capitali la legge prevede espressamente, per la formazione delle
deliberazioni sociali, inclusa quella attinente alla esclusione, il metodo
assembleare come sancito dagli articoli 2363 e seguenti del codice civile,
tale previsione manca nei riguardi delle società di persone, rispetto alle
cui deliberazioni nel codice civile si fa riferimento, come stabiliscono gli
articoli 2252 e 2275 c.c., sia al consenso di tutti i soci, sia a quello dei
soci-amministatori ai sensi dell'art.2258 primo comma c.c. e degli altri soci
previsto dagli articoli 2256 e 2301 c.c., sia infine al consenso della
maggioranza, secondo quanto prescritto dal comma secondo degli articoli 2258
e 2322 del codice civile. Da ciò si è
concluso che nelle società di persone non è necessaria la convocazione del
socio da escludere, dovendo considerarsi legittima la deliberazione adottata
dagli altri soci senza preventiva notizia al socio della sua esclusione(27). Nelle
società di persone manca infatti la previsione del metodo assembleare, tanto
che anche quando si tratti di adottare essenziali deliberazioni implicanti
una modifica del contratto sociale per le quali è necessario il consenso di
tutti i soci, come nel caso di proroga della società, la legge consente che
la volontà dei soci possa manifestarsi in qualunque modo, anche
implicitamente attraverso atti concludenti, senza necessità di una
deliberazione collegiale, come appunto si desume dall'art.2273 del codice
civile. Dall'assenza,
nelle società di persone, di un organo sociale quale l'assemblea dei soci,
deriva la circostanza che è da ritenere sufficiente il raccoglimento delle
singole volontà, anche separatamente, senza che occorra una deliberazione
unitaria in senso favorevole (28) e che, quando si deve deliberare a
maggioranza, non è necessaria la consultazione di tutti i soci, ma è
sufficiente consultare quanti ne occorre per formare la richiesta maggioranza
dei consensi, in quanto nelle società prive di personalità giuridica il
metodo collegiale non risulta essenziale alla formazione della maggioranza. Tutto questo
si riflette, evidentemente, anche sulla deliberazione di esclusione del
socio, non essendo stabilita dall'art.2287 la necessità di convocare il socio
da escludere, ma soltanto da essa previsto che la deliberazione di esclusione
del socio deve ad esso essere comunicata e che contro la deliberazione potrà
essere proposta opposizione davanti all'autorità giudiziaria. Nelle
società di persone dunque, il procedimento per la esclusione del socio si
configura come un procedimento, avviato mediante la deliberazione di
esclusione presa inaudita altera parte, con contraddittorio differito e
soltanto eventuale, subordinato alla proposizione dell'opposizione dinnanzi
all'autorità giudiziaria, da parte del socio escluso, entro trenta giorni
dalla comunicazione della deliberazione di esclusione determinante la
risoluzione del vincolo che unisce l'escluso alla società. Quel che
invece rimane essenziale e da cui non può in ogni caso prescindersi, è la
necessità della contestazione specifica, nella deliberazione di esclusione,
dei motivi dell'esclusione, onde consentire al socio escluso di valutarne la
fondatezza e di verificare l'opportunità di proporre l'opposizione (29). La
motivazione del provvedimento risponde ad un'esigenza di tutela del diritto
soggettivo del socio al permanere del rapporto sociale, tanto più forte nella
fattispecie in quanto non è
assicurata la sua partecipazione al procedimento che da luogo alla sua
esclusione; si ritiene inoltre che quest'ultima, quale ipotesi di risoluzione
contrattuale contro la volontà del socio affidata dalla legge all'autonomia
privata con controllo giudiziario futuro ed eventuale, deve adeguarsi per
quanto posssibile alle forme dei provvedimenti giurisdizionali, tra le quali
è fondamentale il requisito della motivazione (30). Quanto alla
sindacabilità del provvedimento da parte del giudice del merito, si è escluso
che il sindacato possa esercitarsi sulla discrezionalità della sua
opportunità, potendo tale sindacato concernere esclusivamente la legittimità
del provvedimento, verificando la sussistenza o meno delle inadempienze del
socio che hanno condotto all'esclusione (31). Trattasi,
invero, di un controllo di legittimità in senso ampio, non solo formale ma
anche sostanziale, diretto a verificare la gravità dell'inadempimento, in
analogia con quanto accade in tema di risoluzione del contratto per
inadempimento, ove al giudice del merito è demandato il controllo
dell'importanza dell'inadempimento al fine di decidere la legittimità o meno
della risoluzione. Si è dunque
osservato come nelle società di persone la violazione degli obblighi inerenti
alla qualità di amministratore, ove assuma anche il carattere di grave
inadempienza delle obbligazioni derivanti dal contratto sociale e dalla
legge, può giustificare non soltanto la revoca dall'amministrazione, ma anche
l'esclusione dalla società, rilevandosi altresì che, intervenuta
l'esclusione, decade ogni potere di amministrazione del socio-amministratore
escluso, essendo incompatibile l'esercizio di tale potere da parte di un
soggetto ormai divenuto estraneo alla società. Il quadro
non muta nel caso in cui la società sia composta da soli due soci
amministratori, dovendo soltanto, in tale ipotesi, esser richiesta al
Tribunale l'esclusione del socio (32) così come la sua revoca
dall'amministrazione (33). Determinando
l'accoglimento della domanda di esclusione del socio-amministratore
automaticamente anche la perdita del suo potere di amministrazione, non
occorrerà chiedere al giudice anche
la revoca di esso dall'amministrazione (34), salvo proporre tale domanda in
via subordinata affinché, nel caso in cui gli inadempimenti contestati non
risultassero effettivamente incidenti sulle obbligazioni derivanti dal contratto
sociale e dalla legge ma soltanto attinenti agli obblighi del mandato e
venisse perciò respinta la domanda di esclusione, sia comunque conseguire il
risultato della revoca dall'amministrazione. 2) La revoca del socio amministratore
con provvedimento d'urgenza e la domanda di esclusione per gravi inadempienze In tema di
revoca dall'amministrazione, generalmente si ammette che essa possa essere
disposta anche con provvedimento d'urgenza ai sensi dell'art.700 del codice
di procedura civile (35). Per le osservazioni
sopra enunciate è evidente che tale provvedimento potrà essere richiesto
tanto nel caso in cui l'oggetto dell'ordinario giudizio di cognizione sia in
effetti la revoca per giusta causa dell'amministratore, quanto nel caso in
cui nel giudizio di merit sia stata chiesta soltanto la esclusione del
socio-amministratore per gravi inadempienze agli obblighi derivanti dalla qualità di socio, dato che
la pronuncia di esclusione, come si è detto, implica anche l'automatica
decadenza del potere di amministrazione, la cui permanenza, in pendenza del
giudizio di esclusione, potrebbe tra l'altro determinare irreparabile
pregiudizio alla società. In
contrario, non potrebbe sostenersi che il provvedimento d'urgenza di cui
all'art.700 c.p.c. dovrebbe mirare unicamente alla conservazione di uno stato
di fatto esistente e non già alla sua modificazione, come invece sarebbe per
l'appunto nel caso di revoca dell'amministratore, poiché il provvedimento
d'urgenza può, al contrario, avere carattere innovativo ed essere diretto,
secondo i casi, al mutamento dello stato di fatto quando il suo perdurare
potrebbe rendere inoperante la successiva decisione di merito (36). Finalità
specifica dei provvedimenti d'urgenza è infatti quella di assicurare
provvisoriamente gli effetti della successiva decisione di merito evitando
che quest'ultima resti pregiudicata dal tempo necessario per attuarla (37) e,
come si è osservato, l'altro effetto della pronuncia di esclusione, oltre a
quello suo connaturale della fuoriuscita del socio dalla società, è la
decadenza del socio-amministratore dal potere di amministrazione, il che
legittima appunto la proposizione del ricorso cautelare diretto ad ottenere
in via provvisoria e strumentale uno degli effetti che avrà la successiva
pronuncia giudiziale di esclusione, quale l'eliminazione del potere di
amministrazione in capo al socio-amministratore del quale è stata richiesta
l'espulsione dalla compagine sociale. Il carattere
strumentale della tutela in via d'urgenza rispetto a quella richiesta in sede
di ordinario giudizio di cognizione, non implica poi che vi debba essere una
identica corrispondenza tra quanto richiesto in sede cautelare e quanto
richiesto nel giudizio di merito, nel senso che l'oggetto di quest'ultimo non
possa comprendere elementi ulteriori rispetto a quello del giudizio
cautelare, poiché il diritto fatto valere nell'ordinario giudizio di
cognizione può senz'altro avere una portata più estesa di quella sottoposta
all'esame del giudice del procedimento cautelare (38), come appunto si
verifica nel caso in cui sia richiesta in via d'urgenza la revoca
dall'amministrazione del socio-amministratore e sia domandata nel correlativo
giudizio di merito una misura di più ampia portata quale la sua esclusione
per gravi inadempienze dalla società. Né il
ricorso alla tutela cutelare potrebbe escludersi, come opinato dal giudice
istruttore del Tribunale di Pisa, sulla base della considerazione che il
socio-amministratore al quale fosse, in pendenza di giudizio di merito,
revocato il potere di amministrazione, si troverebbe a dover subire gli
effetti pregiudizevoli di atti ai quali egli non ha preso parte e che nella
società di persone ciò dovrebbe ritenersi inammissibile. Invero, non
vi è dubbio che anche in questo tipo di società il potere di amministrazione
può essere concesso soltanto ad una parte dei soci, con la conseguenza
naturale ed ovvia che gli altri si troveranno esposti alle conseguenze
derivanti dagli atti posti in essere da coloro ai quali è stata affidata la
gestione della società. La revoca
per giusta causa dall'amministrazione riconduce pertanto il
socio-amministratore nella categoria dei soci ai quali non è stata affidata
la gestione operativa della società e, come ad essi, spettera lui il diritto
di rendiconto previsto dall'art.2261 del codice civile. Tale diritto
spetta esclusivamente al socio che non risulta investito del potere di
amministrazione e che pertanto può pretendere da chi invece ha tale potere un
dettagliato rendiconto sulla gestione dell'attività sociale, mentre non
spetta al socio che risulti, anche solo formalmente, titolare della veste di
amministratore (39), sia pure di fatto si sia estraniato dall'amministrazione
(40). Il principio
non muta nelle società di persone composte ed amministrate da due soli
soci-amministratori, laddove se da una parte la revoca per giusta causa
dall'amministrazione dell'uno rende l'altro padrone assoluto delle sorti
della gestione sociale, d'altra parte attribuisce automaticamente al
socio-amministratore revocato il diritto di avere specifico periodico
rendiconto della gestione che, in precedenza, rivestendo egli la qualità di
amministratore oltre a quella di socio, non aveva, il che lo pone in grado di
ricorrere, quale socio, agli strumenti di tutela che l'ordinamento appresta
nei confronti di chi è rimasto amministratore ove emergano irregolarità o
gravi inadempienze nella gestione. Essendo
diretto il provvedimento di revoca per giusta causa dall'amministrazione in
via d'urgenza ai sensi dell'art.700 c.p.c. ad assicurare in via provvisoria e
strumentale l'effetto tipico della
pronuncia di merito di revoca per giusta causa o uno degli effetti
della sentenza di esclusione, quale la decadenza del potere di
amministrazione del socio-amministratore, senza tuttavia che il provvedimento
cautelare possa avere un oggetto più ampio di quello della causa di merito,
si è ritenuta inammissibile la nomina di un amministratore giudiziario in
luogo di quello revocato con il provvedimento cautelare, poiché quest'ultimo
non potrebbe avere, come si è detto, effetti più vasti di quelli che
produrrebbe l'accoglimento della domanda dell'ordinario giudizio di
cognizione, pena la violazione della propria funzione specificatamente
cautelare. Del resto,
nella disciplina delle società di persone non vi è alcuna norma che consente
al giudice di sostituire l'amministratore revocato per giusta causa, come
invece è stabilito dall'art.2409 c.c. per le società di capitali (41). Si è in
precedenza fatto cenno della strumentalità del ricorso cautelare rispetto al
giudizio di merito e della relativa identità che deve intercorrere tra la
domanda svolta nel procedimento ordinario e quella oggetto del provvedimento
d'urgenza e, al riguardo, si è tuttavia osservato che l'oggetto
dell'ordinario giudizio di cognizione potrà risultare anche più ampio di
quello del procedimento cautelare, come nel caso in cui con quest'ultimo sia
stata chiesta la revoca per giusta causa dall'amministrazione del
socio-amministratore e nel merito sia stata invece proposta domanda di
esclusione per gravi inadempienze. Si ritiene
infatti affetta da nullità insanabile la domanda di misura cautelare non
contenente la precisa indicazione dell'instaurando giudizio di merito (42). Premesso che
la nuova disciplina uniforme del procedimento cautelare delineata dagli
articoli 669 bis e seguenti c.p.c. non contiene una norma specifica che
indichi quello che dev'essere il contenuto della domanda cautelare, occorre
al riguardo richiamare l'osservanza dell'art.125 c.p.c., il quale, come norma
di carattere generale indicante il contenuto minimo sostanziale di ogni atto
(43), prescrive per il ricorso l'indicazione dell'ufficio giudiziario, delle
parti, dell'oggetto, delle ragioni della domanda e delle conclusioni o
l'istanza (44). L'esigenza
di indicare nel ricorso introduttivo la causa di merito che, in caso di
ricorso proposto ante causam, si intende successivamente instaurare, risulta
fondamentale per i provvedimenti cautelari aventi caratteristiche cosidette
anticipatorie, quali i provvedimenti d'urgenza, diretti ad ottenere dal
giudice i provvedimenti che appaiano, secondo le circostanze, più idonei ad
assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito, essendo
evidente che se in sede cautelare non si indica l'oggetto della successiva
causa di merito, non vi è alcuna possibilità per il resistente e per il
giudice, di valutare quelli che saranno gli effetti della decisione sul merito che il ricorrente intende
ottenere anticipatamente in via d'urgenza (45). La novella
che ha uniformato il procedimento cautelare ha poi posto esigenze specifiche
al cui assolvimento appare diretto l'onere della indicazione specifica nel
ricorso cautelare dell'oggetto della domanda di merito. Solo tale
indicazione consente infatti di verificare la competenza del giudice della
cautela il quale, ai sensi dell'art.669 ter c.p.c., è competente
all'emanazione del provvedimento cautelare in quanto sia competente anche per
il merito, nonché permette l'applicazione della regola della caducazione
della misura cautelare in ipotesi di mancato inizio del giudizio di merito
nel termine assegnato dal giudice o normativamente sancito, dato che, ai
sensi degli articoli 669 octies e novies, l'inefficacia del provvedimento
cautelare dipende dalla mancata o intempestiva proposizione non di un qualsiasi
giudizio di merito, ma soltanto di quello correlato all'azione cautelare, per
cui se in essa mancano gli elementi utili per individuare quello che sarà il
giudizio di merito, non potrà poi verificarsi se il giudizio successivamente
instaurato sia proprio quello connesso al provvedimento cautelare, sì da
escludere l'inefficacia di quest'ultimo per mancato inizio del giudizio di
cognizione nel termine assegnato dal giudice o dalla legge. L'esigenza di
una specifica indicazione della domanda di merito nel ricorso cautelare può
inoltre evincersi dalle norme attinenti al reclamo, alla modifica e alla
revoca del provvedimento, tenuto conto che il giudice adito per una
rimeditazione della questione inerente al provvedimento cautelare concesso o
negato potrà decidere in base ad un quadro concernente la situazione, per cui
il rimedio cautelare fu richiesto, il più possibile precisa e completa in
tutti i suoi elementi, considerato altresì in particolare che, nella
peculiare ipotesi di rigetto del ricorso cautelare, tanto più difficilmente
il ricorrente potrà riproporre l'istanza deducendo il sopravvenuto mutamento
delle circostanze che avevano determinato l'originaria domanda non accolta o
allegando nuove ragioni di fatto o di diritto (46), quanto più generica,
anche e sopratutto in relazione all'oggetto del giudizio di merito, sarà
stata l'enunciazione del contenuto del ricorso (47). Nell'ambito
dello schema regolamentare del nuovo procedimento cautelare uniforme
delineato dal riformato codice di rito si rinviene pertanto una notevole
serie di considerazioni di ordine sistematico da cui si ricava la necessità
per il ricorrente che agisce in via cautelare di indicare specificatamente
nel ricorso gli elementi della successiva causa di merito, con riguardo tanto
alla causa petendi quanto al petitum ed alle conclusioni (48), dovendo tale
incombenza essere attuata in modo tanto più rigoroso quanto maggiore è la
possibilità di intravedere dal quadro cautelare più di una correlativa azione
di merito e potendo, viceversa, tale incombenza esser eseguita in modo anche
estremamente generico laddove dal contenuto della richiesta cautelare non
possa che evincersi con sicurezza e univocità l'esistenza di una sola causa
di merito possibile. E' evidente
poi che la specifica indicazione nel ricorso cautelare della causa petendi,
del petitum e delle conclusioni della causa di merito costituirà un vincolo
dello stesso giudizio di cognizione ordinaria, tanto più intenso quanto
maggiormente specifica e precisa è stata l'indicazione dei suddetti elementi. Nel giudizio
di merito proposto dopo l'accoglimento del ricorso cautelare potrà infatti
esser proposta una domanda di contenuto più ampio rispetto a quello del
procedimento cautelare, ma non potranno essere invece proposte domande
diverse da quella in quest'ultimo avanzata, poiché altrimenti potrebbe essere
sancita l'inefficacia del provvedimento cautelare determinata dal
promuovimento di un giudizio di merito non correlativo al procedimento
cautelare quale circostanza perciò equivalente alla mancata instaurazione del
giudizio di merito nel termine fissato dal giudice o dalla legge (49). Né, in sede
di giudizio ordinario, potranno essere modificate o anche soltanto
ridimensionate le domande enunciate in via cautelare, pena la revocabilità o
modificabilità del provvedimento cautelare per mutamento delle circostanze ai
sensi dell'art.669 decies c.p.c. nel primo caso (50) e la decadenza della
parte della pronuncia cautelare non corrispondente alla domanda di merito
proposta in versione ridotta rispetto alla prima nella suddetta ipotesi di
ridimensionamento (51) L'ordinanza
del Tribunale di Pisa, giudice del reclamo, censura il provvedimento
dell'istruttore con il quale era stato respinto il ricorso cautelare diretto
ad ottenere in via d'urgenza la revoca dell'amministratore, osservando che
nel pendente giudizio di merito era in effetti stata chiesta non solo la sua
esclusione dalla società, ma anche, sia pure in via subordinata, la sua revoca
dall'amministrazione per giusta causa. Ciò
nonostante il collegio pisano ha ritenuto egualmente di non concedere la
tutela cautelare richiesta dal ricorrente, opinando che il patto di
amministrazione congiuntiva impedirebbe di escludere ad uno dei due soci il
potere di amministrazione per lo squilibrio che ciò determinerebbe a favore
dell'altro e prospettando, senza tuttavia alcuna convinzione, la possibilità,
in tale fattispecie, di richiedere la nomina di un amministratore
giudiziario. NOTE: (1) Galgano, Le
società di persone, Bologna, 1971, pag.121; Ferrara jr.,
Gli imprenditori e le società, Milano, 1971, pag.275; Cottino,
Diritto commerciale, vol.I, Padova, 1976, pag.470; Minervini, In
tema di esclusione di socio amministratore unico di collettiva, in
"Dir.e giur.", 1947, pag.249. Cass., 26 ottobre 1976, n.3938, in V.Buonocore -
G.Castellano - R.Costi, Casi materiali di dir.comm., Soc.di persone, Milano,
1978, pag.1165; Cass., 9
luglio 1973, n.1977, in "Giur.it.", 1973, I, 1, 1627; Cass., 17 gennaio
1956, n.103, in "Rep.Foro it.", 1956, v.Soc., n.408. Contra:
Cass., 14 aprile 1958, n.1204, in "Giur.it.", 1958, I, 1, 1434;
Appello Milano, 12 luglio 1974, in "Foro pad.", 1974, I, 403;
Appello Milano, 23 ottobre 1970, in "Giur.it.", 1971, I, 2, 913;
Tribunale di Napoli, 9 febbraio 1967, in "Foro it.", 1967, I, 1949. Ferri, Della
società, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Libro
V, Del Lavoro, artt.2247-2324, Bologna-Roma, 1969, pag.290. (2) Cass., 17
gennaio 1983, n.343, in "Soc.", 1983, 891; Cass., 16
febbraio 1981, n.935, in "Giust.civ.Mass.", 1981, 358; Cass., 30
gennaio 1980, n.710, in "Giur.comm.", 1980, II, 319. (3) Cass., 17
gennaio 1983, n.343, cit.; Cass., 30
gennaio 1980, n.710, cit.; Cass., 9
luglio 1973, n.1977, cit.; Cass., 17
gennaio 1956, n.103, cit.; Tribunale di
Milano 14 ottobre 1993, in "Giur.it.", 1994, I, 2, 305; Tribunale di
Milano, 22 ottobre 1990, in "Giur.comm.", 1992, II, 307. (4) Tribunale di
Milano, 22 ottobre 1990, in "Giur.comm.", 1992, II, 307. Costi-Di
Chio, Società in generale. Società di persone. Associazione in
partecipazione, in "Giur.sit.civ.e comm.", fondata da W.Bigiavi,
Torino, 1991, pag.689 e segg.. Contra:
Ferri, Le società, in Trattato di dir.civ.it., di F.Vassalli, 1985, pag.282;
secondo il quale la risoluzione per inadempimento può trovare autonoma
applicazione, accanto all'esclusione del socio, in tutte quelle ipotesi in
cui l'inadempimento sia intervenuto prima ancora della costituzione del fondo
sociale. Tribunale di
Milano, 2 giugno 1988, in "Giur.comm.", 1990, II, 699. (5) Santoro
Passarelli, in Noviss.Digesto, VII, v.Giusta causa, Torino, 1961, pag.1108. Cass., 22
giugno 1985, in "Foro it.", 1986, I, 1364; Cass., 2
novembre 1957, n.4240, in "Dir.fall.", 1958, II, 51. (6) Tribunale di
Caltanissetta, 19 giugno 1947, in "Giur.it.", 1948, I, 2, 319. (7) Pretura di
Mialno, 27 agosto 1961, in "Temi", 1962, 53. (8) Tribunale di
Genova, 13 novembre 1959, in "Foro it.", 1960, I, 1830. (9) Pretura di Piombino,
5 ottobre 1979, in "Giur.comm.", 1980, II, 765. (10) Tribunale di
Verona, 19 novembre 1971, in "Giur.it.", 1972, I, 2, 744. (11) Cass., 16
luglio 1953, n.2307, in "Dir.fall.", 1953, II, 695. (12) Tarantino, Revoca
ed esclusione del socio amministratore nelle società personali, in
"Giur.comm.", 1980, I, pag.303. (13) Tribunale di
Milano, 22 marzo 1990, in "Soc.", 1990, n.9, 1057. (14) Cass., 1
giugno 1991, n.6200, in "Giur.it.", 1991, I, 1, 886; Cass., 17 aprile
1982, n.2344, in "Dir.fall.", 1982, II, 859; Cass., 16
luglio 1953, n.2307, in "Giur.it.", 1954, I, 1, 718; Appello
Milano, 12 settembre 1974, in "Riv.not.", 1975, 939; Tribunale di
Torino, 15 dicembre 1986, in "Soc.", 1987, 597; Tribunale di
Napoli, 9 febbraio 1967, in "Foro it.", 1967, I, 1949. (15) Anche tale
comportamento costituirebbe inadempimento capace di legittimare l'esclusione
dalla società, alla quale sarebbe comunque riferibile un pregiudizio se non
altro rappresentato dal discredito commerciale e dalle incombenze ed oneri
necessari per resistere alle eventuali azioni dei creditori. Cass., 13
agosto 1960, n.2380, in "Mass.Giur.it.", 1960, 595. (16) Galgano,
Società di persone, in Tratt.dir.civ.comm., diretto da Cicu-Messineo, Milano,
1982, pag.326 e segg.; Cottino,
Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1987, pag.225 e segg.; Simonetto,
L'apporto nel contratto di società, in "Riv.dir.civ.", 1958, I,
pag.56; Di Francia,
Qualche considerazione in tema di esclusione del socio per gravi inadempienze,
in "Giur.merito", 1970, I, pag.164; Tarantino,
Revoca ed esclusione del socio amministratore nelle società personali, in
"Giur.comm.", 1980, II, pag.303. (17) Ferri, Delle
società, in Commentario, op.cit., p.290. Appello
Milano, 23 ottobre 1970, cit.; Tribunale di
Napoli, 9 febbraio 1967, cit.. (18) Cass., 17
gennaio 1956, n.103, cit.. (19) Cass., 9
luglio 1973, n.1977, cit.. (20) Cass., 26
ottobre 1976, n.3938, cit.. Contra:
Ferri, Della società semplice, in Commentario al codice civile a cura di
Scialoja e Branca, cit.. (21) Tribunale di
Milano, 28 ottobre 1993, in "Soc.", 1994, n.3, 368. (22) In senso
favorevole: Minervini, In tema di esclusione, op.cit., pag.254 e segg.;
Ferri, Le società, op.cit.. Contra: Galgano, Le società di persone, op.cit.,
pag.121; Ferrara jr., Gli imprenditori, op.cit., pag.250; Cottino, Diritto
commerciale, op.cit., pag.506 e segg.; V.Buonocore - G.Castellano - R.Costi,
Casi materiali, op.cit., pag.1367. (23) Costi-Di
Chio, Società in generale, op.cit.; Galgano,
Società di persone, op.cit., pag.328; Tarantino,
Revoca ed esclusione, op.cit., pag.303. Cass., 30
gennaio 1980, n.710, in "Giur.comm.", 1980, II, 319; Appello Bari,
31 ottobre 1977, in "Giur.comm.", 1980, II, 303 Appello Firenze,
7 dicembre 1955, in "Giur.tosc.", 1956, 250; Tribunale di
Firenze, 25 agosto 1950, in "Giur.tosc.", 1950, 294; (24) Tribunale di
Torino, 19 novembre 1977, in "Giur.comm.", 1979, II, 492. Cottino,
Diritto commerciale, op.cit., pag.470. Ferri, Le società,
op.cit., pag.229; secondo il quale, nonostante ritenga ammissibile
l'affidamento a non soci del potere di amministrazione, quest'ultimo deve
comunque considerarsi pur sempre posto essenzialmente in funzione del
rapporto sociale, di tal che se i soci non si avvalsero della facoltà di
conferire ad un terzo il potere di amministrazione, soltanto un esplicito
atto di volontà dei socie, coevo all'esclusione, potrebbe conservare al socio
escluso, divenuto perciò terzo rispetto alla società, quelle funzioni che nel
contratto sociale o nell'atto separato furono attribuiti al socio o nell'atto
separato furono attribuite al socio. Contra:
Minervini, In tema di esclusione, op.cit., pag.254 e segg.. (25) Cottino,
Diritto commerciale, op.cit., pag.418; (26) Boero,
Commento ad Appello Messina, 23 novembre 1977 ed a Tribunale di Torino, 19
novembre 1977, in "Giur.comm.", 1979, II, 492. (27) Ferri, Delle
società, op.cit.; Ruperto, Del
lavoro. Delle società, in Comm.cod.civ., V, 2, Torino, 1975, pag.244; Cottino,
Diritto commerciale, cit., pag.416 e segg.; Galgano, Il
principio di maggioranza nelle società personali, Padova, 1960, pag.223; Galgano, Il
contratto di società, Le società di persone, Bologna, 1972, pag.98; Venditti, Collegialità
e maggioranze nelle società di persone, Milano, 1955, pag.39; Venditti,
Nuove riflessioni sull'organizzazione collegiale delle società di persone, in
"Dir.e giur.", 1962, pag.385; Graziani-Minervini,
Manuale di diritto commerciale, Napoli, 1974, pag.87; Greco, Le
società nel sistema legislativo italiano, Torino, 1959, pag.253. Cass., 9
luglio 1973, n.1977, cit.; Cass., 16
luglio 1958, n.2603, in "Dir.fall.", 1958, II, 632; Cass., 26
marzo 1957, n.1037, in "Mass.Giur.it.", 1957, 226; Cass., 7 marzo
1955, n.664, in "Dir.fall.", 1955, II, 410; Cass., 25
gennaio 1954, n.186, in "Foro it.", 1954, I, 930; Cass., 6
marzo 1953, n.556, in "Foro it.", 1953, I, 474; Appello
Napoli, 14 febbraio1989, in "Dir.giur.", 1991, 688; Appello
Venezia, 3 giugno 1969, in "Temi", 1970, 31; Appello
Firenze, 7 dicembre 1955, in "Giur.tosc.", 1956, 250; Tribunale di
Milano, 4 marzo 1991, in "Foro it.", 1991, I, 3433; Tribunale di
Como, 12 marzo 1987, in "Riv.not.", 1987, 1205; Tribunale di
Napoli, 17 ottobre 1986, in "Giur.comm.", 1988, II, 654; Tribunale di
Torino, 19 novembre 1977, cit.; Tribunale di
Firenze, 18 luglio 1951, in "Dir.fall.", 1951, II, 386. Contra:
D'Onofrio, Partecipazione del socio da escludersi all'assemblea deliberante
sull'esclusione, in "Dir.fall.", 1951, II, pag.462; Brunori, In
tema di esclusione del socio, in "Foro it.", 1952, I, pag.481;
Bolaffi, La società semplice, Milano, 1947, pag.304; Romano-Pavoni, Le
delibere delle assemblee delle società, Milano, 1951, pag.242; Guerra, Nota
critica a Cass., 7 aprile 1950, n.942, in "Foro it.", 1950, I,
pag.692. Appello
Firenze, 29 marzo 1952, in "Foro it.", 1952, I, 1246; Appello
Firenze, 8 settembre 1951, in "Foro it.", 1952, I, 480; Tribunale
di Roma, 18 settembre 1952, in "Temi rom.", 1952,pag.273. (28) Galgano, Il
principio, op.cit., pag.208; Galgano, Il
contratto, op.cit., pag.98; Schlesinger,
L'approvazione del rendiconto annuale nelle società di persone, in
"Riv.soc.", 1965, pag.707. Cass., 19
gennaio 1973, n.196, in "Giur.it.", 1973, I, 1, 1444; Cass., 3
febbraio 1965, n.173, in "Giust.civ.", 1965, I, 715; Cass., 9
maggio 1962, n.931, in "Giur.it", 1963, I, 1, 636; Cass., 21
aprile 1956, n.1217, in "Riv.dir.comm.", 1957, II, 18; Appello
Bologna, 8 luglio 1966, in "Giur.it.", 1968, I, 2, 105; Tribunale di
Como, 12 marzo 1987, cit.; Tribunale di
Napoli, 17 ottobre 1986, cit.; Contra:
Auletta, Recensione al principio di maggioranza, in
"Riv.trim.dir.proc.civ.", 1961, pag.981; Ferrara jr., Gli
imprenditori, op.cit., pag.258; Grippo, nota ad Appello Milano, 23 ottobre
1970, in "Giur.it.", 1971, I, 2, pag.913. (29) Cass., 12
gennaio 1988, n.143, in "Giust.civ.", 1988, I, 959; Cass., 26
marzo 1957, n.1037, cit.; Cass., 7
marzo 1955, n.644, cit; Appello
Milano, 18 settembre 1962, in "Foro pad.", 1962, I, 1180; Tribunale di
Milano, 10 giugno 1991, in "Giur.it.", 1992, I, 2, 510; Tribunale di
Milano, 16 ottobre 1975, in "Giur.comm.", 1976, II, 518. Ghidini,
Società personali, Padova, 1972, pag.571 e segg.; secondo il quale la
contestazione specifica dei motivi potrebbe essere omessa nella sola ipotesi
che al socio da escludere fosse stato previamente contestato un unico e
determinato addebito. Contra:
Galgano, Il principio, op.cit., pag.208. Tribunale di
Bergamo, 10 giugno 1950, in "Dir.fall.", 1950, II, 362; secondo cui
il diritto del socio sarebbe comunque salvaguardato essendo a carico della
società, nel giudizio di opposizione, l'onere della prova della sussistenza
di motivi idonei a giustificare l'esclusione. Appello
Milano, 23 luglio 1948, in "Giur.it.", 1949, I, 2, 112. (30) Tribunale di
Milano, 16 ottobre 1975, cit.. (31) Cottino,
Diritto commerciale, op.cit., pag.471. Cass., 9
agosto 1991, n.8695, in "Dir.fall.", 1992, II, 369; Cass., 12
giugno 1973, n.1696, in "Dir.fall.", 1974, II, 94; Cass., 14
novembre 1959, n.3364, in "Foro it.", 1960, I, 1366; Cass., 4
maggio 1961, n.1015, in "Mass.Giur.it.", 1961, 293; Appello
Milano, 9 luglio 1976, in "Mon.trib.", 1976, 624; Appello
Milano, 5 aprile 1969, in "Giur.merito", 1970, I, 64. (32) Cass., 3
dicembre 1984, n.6302, in "Giust.civ.Rep.", 1984, v.Soc.di pers.,
n.22. (33) Cass., 10
marzo 1975, n.879, in "Giust.civ.", 1975, I, 1340; Cass., 9
luglio 1957, n.2735, in "Foro it.", 1957, I, 1416; Pretura di
Roma, 19 maggio 1977, in "Giur.comm.", 1978, II, 592; Tribunale di
Torino, 19 novembre 1977, cit.; Pretura di
Milano, 19 dicembre 1979, in "Giur.it.", 1981, I, 2, 487. (34) Tribunale di
Torino, 19 novembre 1977, cit.. (35) Cottino,
Diritto commerciale, op.cit., pag.420. Tribunale di
Napoli, 8 novembre 1989, in "Dir.e giur.", 1990, 122; Tribunale di
Napoli, 18 dicembre 1987, in "Dir.fall.", 1988, II, 580; Tribunale di
Torino, 19 novembre 1977, cit.; Tribunale di
Genova, 13 novembre 1959, in "Foro it.", 1960, I, 1830; Pretura di
Gubbio, 22 gennaio 1991, in "Giur.merito", 1993, I, 98; Pretura di
Genova, 19 aprile 1989, in "Foro it.", 1990, I, 2373; Pretura di
Busto Arsizio, 14 marzo 1985, in "Rep.Foro it.", 1986,
v.Provv.d'urg., n.156; Pretura di
Mirandola, 20 febbraio 1985, in
"Foro it.", 1985, I, 2797; Pretura di
Monza, 15 giugno 1983, in "Giur.comm.", 1984, II, 441; Pretura di
Piombino, 5 ottobre 1979, in "Giur.comm.", 1980, II, 765; Pretura di
Roma, 22 aprile 1977, in "Giur.comm.", 1978, II, 589; Pretura di Montebelluna,
30 gennaio 1975, in "Giur.comm.", 1977, II, 587. (36) Cass., 18
febbraio 1956, n.475, in "Rep.Foro it.", 1956, v.Provv.d'urg.,
n.16. (37) Cass., 27
dicembre 1993, n.12787, in "Mass.", 1993; Cass., 17
ottobre 1992, n.11417, in "Mass.", 1992; Cass., 27
settembre 1992, n.9008, in "Mass.", 1992; Cass., 28
aprile 1976, n.1494, in "Rep.Foro it.", 1976, v.Provv.d'urg., n.29; Cass., 22
febbraio 1968, n.618, in "Rep.Foro it.", 1968, v.Provv.d'urg., n.7; Cass., 4
agosto 1967, n.2074, in "Rep.Foro it.", 1967, v.Provv.d'urg., n.41. (38) Cass., 15
gennaio 1955, n.69, in "Rep.Foro it.", 1955, v.Provv.d'urg., n.10; Cass., 22
febbraio 1961, n.411, in "Rep.Foro it.", 1961, v.Provv.d'urg.,
n.24; (39) Schlesinger,
L'approvazione del rendiconto annuale nelle società di persone, in
"Riv.soc.", 1965, pag.809; Di Sabato,
Sul rendiconto e sul capitale di società personali, in "Giur.it.",
1965, I, 1, pag.566. Cass., 28
settembre 1973, n.2434, in "Giur.it.", 1975, I, 1, 994; Appello
Trieste, 5 luglio 1957, in "Giust.civ.Mass.", 1957, 32; Appello
Lecce, 26 marzo 1955, in "Corti Bari, Lecce e Potenza", 1955, 462; Appello
Firenze, 29 aprile 1949, in "Giur.it.", 1949, I, 2, 559. (40) Cass., 10
marzo 1975, n.879, cit.. (41) Costi-Di Chio,
Società di persone, op.cit., pag.302; Buonocore-Castellano-Costi,
Società di persone, op.cit., pag.550; Galgano, Le
società di persone, op.cit., pag.202 e s.. Tribunale di
Napoli, 12 dicembre 1987, cit.; Tribunale di
Ascoli Piceno, 5 luglio 1986, in "Foro it.Rep.", 1987, v.Soc.,
n.322; Tribunale di
Vigevano, 21 luglio 1966, in "Foro it.", 1966, I, 1868; Tribunale di
Genova, 13 novembre 1959, cit.; Pretura di
Milano, 23 marzo 1981, in "Giur.it.", 1982, I, 2, 487; Pretura di
Milano, 19 febbraio 1979, in "Giur.it.", 1982, I, 2, 487. Contra:
Cass., 7 maggio 1963, n.1113, in "Dir.fall.", 1963, II, 483;
Appello Napoli, 31 marzo 1987, in "Dir.fall.", 1987, I, 705;
Tribunale di Catania, 28 luglio 1970, in "Dir.fall.", 1980, II,
463; Pretura di Piombino, 5 ottobre 1970, cit.; Pretura di Roma, 22 aprile
1977, in "Giur.comm.", 1978, II, 589; Pretura di Udine, 2 aprile
1964, in "Giur.it.", 1964, I, 2, 529; Pretura di Milano, 27 agosto
1961, in "Giur.it.", 1963, I, 2, 189. (42) Frus,
"art.74/669-bis", in Le riforme del processo civile a cura di
Sergio Chiarloni, Bologna, 1992, pag.612 e segg.; Dalmotto, Sul
contenuto del ricorso cautelare nel procedimento uniforme, in
"Giur.it.", 1993, I, 2, pag.776 e segg.; Chiarloni,
Contro il formalismo in ordine al contenuto del ricorso cautelare nel
procedimento uniforme, in "Giur.it.", 1993, I, 2, pag.775 e segg.;
l'autore dubita tuttavia che la nullità sia da ritenere insanabile; Proto Pisani,
La nuova disciplina dei procedimenti cautelari in genere, in "Foro
it.", 1991, V, pag.57 e segg.; Consolo
(Luiso-Sassani), La riforma del processo civile, Milano, 1991, pag.338 e
segg.; Salvaneschi,
Provvedimenti urgenti per il processo civile, in Commentario a cura di Tarzia
e Cipriani, Padova, 1992, pag.296; Tommaseo,
Legge 26 novembre 1990 n.353, in "Corr.giur.", 1991, pag.97 e seg.; Verde-Di
Nanni, Codice di procedura civile, Torino, 1993, pag.460 e seg.. Tribunale di
Verona, 22 dicembre 1993, in "Giur.it.", 1993, I, 2, 1121; Pretura di
Frosinone, 23 marzo 1994, in "Nuovo dir.", 1994, 671; Pretura di
Alessandria, 16 marzo 1993, in "Giur.it.", 1993, I, 2, 775; Pretura di
Monza, 3 febbraio 1993, in "Foro it.", 1993, I, 693; Tribunale di
Catania, 26 agosto 1993, in "Giur.it.", 1994, I, 2, 675; secondo
cui tuttavia la domanda cautelare proposta con ricorso non contenente la
precisa indicazione della causa di merito non sarebbe nulla, ma invece
inammissibile. (43) Andrioli,
Commento al codice di procedura
civile, I, Napoli, 1957, pag.356. (44) Frus, "art.74/669-bis", op.cit., pag.612; Consolo
(Luiso-Sassani), La riforma, op.cit., pag.430; Oberto, Il
nuovo processo cautelare, Milano, 1993, pag.26 e seg.; Tommaseo,
Legge 26 novembre 1990 n.353, op.cit., pag.97; Salvaneschi,
Provvedimenti, op.cit., pag.296; Andolina, Profili della nuova disciplina dei
provvedimenti cautelari in genere, in "Foro it.", 1993, V, pag.72; Samorì,
"art.669-bis", in Commentario breve al codice di procedura civile,
Appendice di aggiornamento, Padova, 1991, pag.206; Mammone
(Dini-Mammone), I provvedimenti d'urgenza, Milano, 1993, pag.444; Proto Pisani,
La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, pag.338. (45) Tommaseo, I
provveimenti d'urgenza, Padova, 1983, pag.244 e segg.; Andrioli, I
provvedimenti d'urgenza: deviazioni e proposte, in La tutela d'urgenza, Atti
del XV convegno nazionale, 1986, pag.20; Carpi, La
tutela d'urgenza fra cautela, sentenza anticipata e giudizio di merito, in La
tutela d'urgenza, op.cit., pag.63; Salvaneschi,
I procedimenti cautelari, a cura di G.Tarzia, Milano, 190, pag.198 e segg.; Frus, "art.74/669-bis", op.cit., pag.614. (46) Proto Pisani,
La nuova disciplina dei procedimenti, op.cit.: l'autore ritiene che anche la
deduzione di fatti preesistenti non precedentemente allegati possa legittimare
la riproposizione dell'istanza cautelare. Tribunale di
Foggia, 12 luglio 1993, in "Foro it.", 1993, I, 2983; Tribunale di
Bari, 25 marzo 1993, in "Foro it.", 1993, I, 1680. (47) Pretura di
Alessandria, 16 marzo 1993, cit.. (48) Frus, "art.74/669-bis", op.cit., pag.614. Tommaseo,
Legge 26 novembre 1990 n.353, op.cit., pag.97; Andolina,
Profili, op.cit.; Samorì, "art.669-bis", op.cit.; Consolo
(Luiso-Sassani), La riforma, op.cit.; Oliveri, I
provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile, in
"Riv.dir.proc.", 1991, pag.700 e seg.. Il principio
vale anche in ipotesi di domanda cautelare proposta nel corso del giudizio di
merito da ritenere valida nella misura in cui sia identica nel proprio
oggetto alla domanda di merito del processo in cui viene inserita. Così:
Tribunale di Milano, 7 aprile 1993, in "Giust.civ.", 1993, I, 1633. (49) Frus, "art.74/669-bis", op.cit.. (50) Rapisarda-Sassoon,
Il nuovo processo cautelare, in Le riforme della giustizia civile a cura di
M.Taruffo, 1993, pag.512; Dalmotto, Sul
contenuto, op.cit., pag.782. Mauro Vanni
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