Impresa commerciale industriale, 1998, n.6, Editore Eti, Roma

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Mauro Vanni

 

FALSO IN BILANCIO E FRODE FISCALE

 

La configurazione dei reati di false comunicazioni sociali e di frode fiscale e le problematiche in ordine ai rapporti intercorrenti tra la disposizione sancita nel codice civile e la norma penale tributaria.

 

Sommario:

 

1) Lineamenti generali della disciplina penale in materia di falsità in atti;

2) Natura e configurazione normativa del  reato di false comunicazioni sociali;

3) L'elemento soggettivo del reato di falso in bilancio;

4) La disciplina penale tributaria delle falsità commesse a scopo di evasione;

5) Il reato di frode fiscale sancito dall'art.4 della legge 7 agosto 1982 n.516 nella

    disciplina anteriore e successiva alla riforma attuata con la legge 15 maggio 1991

    n.154;

6) Il dolo di frode fiscale;

7) Il rapporto tra falso in bilancio e frode fiscale;

8) Prospettive di riforma del reato di false comunicazioni sociali.

 

 

1) Lineamenti generali della disciplina penale in materia di falsità in atti

 

Nel sistema delineato dal codice penale i reati di falsità in atti, che rientrano nella più ampia categoria dei reati posti a tutela dell'interesse concernente la cosidetta fede pubblica, cioè quel rapporto di fiducia che viene ad instaurarsi tra i soggetti privati e tra questi e la pubblica autorità, in relazione a determinati segni, documenti o qualità personali (1), sono tra loro suddivisi a seconda che il falso riguardi l'aspetto materiale o ideologico del documento o che concerna un atto pubblico o di pubblica rilevanza ovvero un atto privato ed a seconda altresì che la falsità sia commessa dal pubblico ufficiale, da un soggetto addetto comunque ad un servizio di pubblica necessità o rilevanza oppure da un soggetto privato.

Rileva, precisamente, quel rapporto di fiducia, inteso come fenomeno collettivo, che intercorre tra i consociati e che può essere leso da tutti quei fatti che non solo tradiscono la fiducia individuale, ma sono altresì idonei a trarre in inganno la pubblica autorità o un indeterminato numero di persone (2).

In particolare, l'oggetto delle falsità in atti è costituito dalla protezione dell'interesse della pubblica fede documentale, cioè di quella fiducia che la collettività attribuisce ai documenti con i quali è stata data forma a manifestazioni o dichiarazioni di volontà o di scienza giuridicamente rilevanti.

Costituendo mezzo di prova di quanto ivi attestato, il documento da certezza a quei fatti in esso rappresentati, nel senso che, pur non potendo garantirne la sostanza e la veridicità, ineluttabilmente prova che essi furono così valutati e formalmente considerati, al fine di renderli rilevanti all'attenzione dei consociati (3).

Con il termine documento deve intendersi ogni scrittura fissata sopra un mezzo idoneo da un determinato autore, contenente manifestazioni di volontà ovvero attestazioni di verità idonee a suffragare una pretesa o a provare un fatto giuridicamente rilevante, in un rapporto giuridico (4).

Ogni altra cosa che non possegga tali requisiti e che tuttavia sia egualmente idonea a rappresentare un fatto non potrebbe qualificarsi come documento ai sensi della legge penale, con la conseguente inapplicabilità delle norme relative alla falsità in atti (5).

Quel che rileva è, perciò, innanzitutto l'elemento della scrittura o di altra espressione grafica.

La nozione di scrittura penalmente rilevante è, da un lato, più ampia di quella valevole per il diritto processuale, poiché comprende non solo tutti gli atti che ebbero origine in forma scritta, ma anche quelli che, esplicandosi oralmente, furono soltanto in un secondo momento fissati per iscritto e, dall'altro, appare anche più estesa di quella strettamente civilistica, in quanto includente non solo gli atti contenenti dichiarazioni o manifestazioni di volontà idonee a produrre la nascita, la modificazione o l'estinzione di un diritto soggettivo, ma qualsiasi scrittura che si riferisca a situazioni dalle quali possono derivare effetti giuridicamente rilevanti, vantaggiosi o dannosi per un determinato soggetto (6).

Non rilevano invece quelle scritture non qualificabili come documenti o la cui falsità non è comunque capace di ingannare la fede pubblica, come nel caso di quegli atti che, pur potendo certamente avere struttura e contenuto documentali, sono soltanto in grado, se falsati, di fuorviare il giudice nell'ambito del processo e che pertanto divengono oggetto di altro titolo di reato quale nella fattispecie quello di frode processuale, ai sensi dell'art.374 del codice penale (7).

Al di fuori peraltro dalla ristretta cerchia delle ipotesi descritte da quest'ultima disposizione di natura sussidiaria (8), secondo cui l'artificiosa immutazione penalmente rilevante dev'essere compiuta in un atto d'ispezione o di esperimento giudiziale o nell'esecuzione di una perizia, ricorre l'applicabilità delle norme in discorso ancorché il falso, concernente un atto configurabile come documento, sia principalmente diretto a trarre in inganno il giudice mediante la sua produzione in giudizio, non potendosi infatti escludere l'idoneità della falsificazione a tradire innanzitutto la pubblica fede documentale, divenendo così irrilevante che il vantaggio dell'agente sia conseguito o conseguibile soltanto previa produzione del documento in giudizio (9).

Per la configurabilità del reato è poi irrilevante l'osservanza della forma ad substantiam o ad probationem prescritta dalla legge o prevista dall'accordo delle parti.

Parimenti indifferente è il mezzo d'esecuzione della scrittura, ancorché sia normativamente prevista una particolare modalità (10), salvo la legge stessa sancisca, in difetto di essa, addirittura l'inesistenza dell'atto medesimo (11).

Esclude invece la ricorrenza del reato la circostanza che la falsificazione concerna segni diversi dallo scritto, non potendosi al riguardo parlare di vero e proprio documento oggetto di tutela penale.

Rimane così irrilevante, potendo tuttavia dar luogo ad altri titoli di reato, il falso concernente le cosidette taglie o tacche di contrassegno corrispondenti al contrassegno di riscontro, nonostante l'efficacia probatoria stabilita al riguardo dall'art.2713 del codice civile (12), i numeri di matricola impressi su determinati oggetti (13), i disegni, i plastici, i brani musicali e le riproduzioni fotografiche, salvo naturalmente  contengano scritturazioni o siano parti integranti di un documento (14).

Nemmeno rilevano, per la configurabilità del reato in questione, tutte quelle scritture non contenenti o non ancora includenti manifestazioni o dichiarazioni di volontà o attestati di verità, come ad esempio i biglietti da visita o in genere i moduli prestampati (15).

Indifferente è infine la materia sulla quale è raccolto lo scritto, purché essa sia idonea a conservare per un apprezzabile periodo la scrittura, come ad esempio ed innanzitutto la carta, la tela, la pergamena, ma anche il marmo, le pietre, i numeri, gli alberi, i monumenti, le strade, le lapidi e così via (16).

Rileva, invece, il fatto che la scrittura sia del tutto o in parte illeggibile, in modo che non sia possibile conoscerne il senso o individuare l'autore di essa, salvo che l'indecifrabilità riguardi la firma comunque nota come propria del sottoscrivente; in tal caso, infatti, la falsità si realizza non con l'imitazione del carattere, ma facendo apparire firmato da altra persona il documento sottoscritto (17).

Come si è detto, il codice penale distingue innanzitutto, agli effetti del falso, l'atto privato da quello pubblico, essendo quest'ultimo rappresentato da qualsiasi atto, anche di carattere interno (18), che sia posto in essere da un pubblico ufficiale o da un pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio e che sia destinato a provare un fatto giuridicamente rilevante compiuto dal suo autore o da lui percepito o che, comunque,costituisca o concorra a costituire un diritto o un obbligo per persone determinate, producendo effetti costitutivi, traslativi, dispositivi, modificativi od estintivi rispetto a situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica (19).

Rispetto alla nozione civilistica di atto pubblico, definita dall'art. 2699 del codice civile, quella penalistica appare del tutto autonoma, tutelandosi in questa sede non solo l'aspetto della genuinità e della veridicità del documento a fini probatori, ma anche l'atto stesso in sé, quale principale espressione del bene giuridico della fede pubblica (20).

La nozione penalistica è risultata altresì più ampia, andando a ricomprendere non solo gli atti formati dal notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede, ma anche quelli formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio nell'esercizio delle sue funzioni, attestanti fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza ed aventi l'attitudine ad assumere rilevanza giuridica (21).

L'atto privato è, invece, rappresentato da ogni scritto idoneo a provare un qualsiasi fatto o rapporto giuridico (22), formato dal privato senza l'intervento del pubblico ufficiale (23).

La nozione di scrittura privata, delineata dall'art. 485 del codice penale, comprende non solo tutti gli atti che possono costituire mezzo di prova ai sensi dell'art. 2702 e seguenti del codice civile, ma anche tutti quei documenti diversi dagli atti pubblici, che abbiano un contenuto volitivo o dichiarativo giuridicamente rilevante e rispetto ai quali venga in considerazione un interesse degno di tutela ai sensi della legge penale, sia esso riconosciuto o meno dalla legge civile (24).

Si distinguono altresì dall'atto pubblico vero e proprio i certificati e le autorizzazioni di cui all'art.477 c.p., consistenti in documenti con efficacia puramente dichiarativa tendente a documentare affermazioni di verità o di scienza, aventi carattere meramente dichiarativo o certificativo del contenuto di preesistenti atti pubblici (25), nonché la peculiare ipotesi delle registrazioni soggette all'autorità di pubblica sicurezza e delle notificazioni ad essa inerenti, delle operazioni industriali, commerciali o professionali svolte dall'agente, come previsto dall'art.484 del codice penale.

Altra principale linea di discrimine posta dal codice penale nell'ambito della falsità documentale è quella che separa i reati di falso materiale, presupponenti una divergenza tra autore apparente ed autore reale del documento o l'alterazione di esso dopo la sua definitiva formazione, da quelli di falso ideologico, ravvisabile allorquando nel documento siano state trasfuse attestazioni o dichiarazioni non veritiere (26).

Ricorre, tuttavia, sempre la falsità materiale nell'ipotesi in cui, pur non essendovi divergenza tra autore apparente ed autore reale, la falsità investa l'intero atto nella sua realtà fenomenica, nel senso di far apparire come venuto ad esistenza un atto che in realtà non è mai stato formato (27).

Elementi costitutivi della falsificazione materiale sono la formazione o la contraffazione e l'alterazione  dell'atto (28), senza che in alcun modo debbano anche ricorrere gli elementi dell'imitatio (29) e dell'immutatio (30).

La formazione totale o parziale (31) del documento deve avvenire ad opera di agente diverso da quello che appare pena, in caso contario, la ricorrenza del falso ideologico.

L'alterazione deve, inoltre, concernere un documento già formato in modo genuino o divenuto tale successivamente e può attuarsi con ogni mezzo idoneo a modificarne il significato, senza tuttavia occultarne il senso, ricorrendo altrimenti la fattispecie prevista dall'art. 490 del codice penale (32).

E', inoltre, necessario che la falsità sia idonea ad ingannare la pubblica fede e non sia invece tanto grossolana da essere immediatamente riconoscibile da chiunque, trattandosi in tal caso di reato impossibile (33).

Andando il falso documentale ad offendere una specifica situazione probatoria rilevante per un determinato soggetto e non soltanto, perciò, l'interesse della pubblica fede, quando manchi in concreto la possibilità di tale offesa, per l'inidoneità della condotta a produrla, deve escludersi in radice la configurabilità del delitto (34).

A determinare tale impossibilità dell'inganno è, di norma, la grossolanità della falsificazione, la quale si verifica allorché il falso è tanto evidente da essere percepito e percepibile icto octuli da chiunque e non soltanto da persone di particolare preparazione o competenza, dovendosi così escludere, con giudizio a posteriori (35) compiuto dal giudice del merito e sottratto al sindacato di legittimità se immune da vizi logici e giuridici (36), non solo la probabilità, ma anche la stessa possibilità dell'inganno per inidoneità dell'azione (37).

E' stata altresì esclusa la penale rilevanza del cosidetto falso innocuo, allorché la falsità non appaia comunque in grado di far conseguire all'atto uno scopo antigiuridico, in quanto, pur sussistendo la contraffazione, questa non è capace di influire sugli effetti dell'atto (38).

Come si è detto, la falsità ideologica, senza incidere sulla genuinità del documento, ne altera la veridicità, con l'attestazione di fatti giuridicamente rilevanti non rispondenti a verità o con l'omessa indicazione delle circostanze vere, determinando così la falsificazione non dell'essenza materiale di esso, ma del suo contenuto ideale (39).

La falsità ideologica è punibile soltanto in relazione a ciò che l'atto è destinato a provare, dovendo escludersi la configurabilità del reato, salvo ravvisarsi altre ipotesi criminose, qualora la falsificazione riguardi circostanze del tutto ininfluenti in ordine alla prova della verità (40).

Mentre l'atto pubblico può essere oggetto di falso tanto materiale quanto ideologico, quest'ultimo tipo di falsità è espressamente esclusa per la scrittura privata, stabilendo infatti l'art.485 del codice penale che risponde del reato de quo chiunque formi in tutto o in parte una scrittura privata falsa o alteri una scrittura privata vera e che si considerano alterazioni anche le aggiunte ad essa falsamente apposte dopo la sua definitiva formazione (41).

La genuinità del documento esclude che possa configurarsi la falsificazione nella semplice divergenza di quanto enunciato dall'autore rispetto alla realtà, potendo ciò semmai costituire mezzo esecutivo di altri reati, fra i quali quello di truffa costituisce senz'altro l'ipotesi più ricorrente (42).

Manca infatti, nella fattispecie della scrittura privata, qualsiasi offesa alla fede pubblica, essendo estraneo all'interesse giuridicamente protetto che il documento contenga attestazioni veritiere da parte del suo autore, ma invece essenziale soltanto che tale documento appartenga integralmente a colui che figura esserne l'autore e che né questi, né altri possano inficiarne gli effetti con aggiunte falsamente apposte dopo la sua definitiva formazione (43).

Eccezionalmente pertanto, in considerazione della rilevanza di alcuni atti che pubblici non sono, ma che tuttavia nemmeno possono identificarsi sic et simpliciter con le scritture private, il codice penale prevede a parte la punibilità del falso ideologico nei certificati di esercenti servizi di pubblilca necessità, quali i medici, gli avvocati ecc. e nelle registrazioni o notificazioni private per l'autorità di pubblica sicurezza, come previsto dagli articoli 481 e 484 del codice penale.

Tutti i reati in questione si caratterizzano per il momento consumativo, formale ed instantaneo, che si identifica con il momento ed il luogo della realizzazione del falso, senza che rilevi il conseguimento dello scopo prefissosi dall'agente, trattandosi di reati di pericolo e non di danno (44), né l'effettivo uso successivo del documento falsificato (45) e tantomeno il conseguimento del profitto (46).

Ciò è determinante, tra l'altro, per stabilire sia la competenza a giudicare del reato, dovendosi avere riguardo al momento della formazione dell'atto falso, sia la decorrenza del termine di prescrizione del reato.

A tale proposito si osserva che se, da un lato, l'uso da parte del falsario non costituisce un nuovo delitto di falsità documentale concorrente con quello di falsificazione, ma incide soltanto agli effetti della quantificazione della pena, dall'altro, deve ritenersi che allorquando il falsario abbia fatto successivamente uso del documento falsificato, trattandosi di reato eventualmente progressivo, il delitto si consumi nel momento in cui si verifica l'uso, decorrendo da questo il termine di prescrizione (47).

Soltanto la disposizione contenuta nell'art.478 c.p. subordina la punibilità al rilascio della copia falsificata rispetto all'originale del documento, mentre l'art.485 c.p., in deroga ai citati principi, pone l'uso della scrittura privata materialmente falsificata quale indispensabile presupposto per la configurabilità del reato.

In quest'ultimo caso, l'utilizzazione del documento è certamente elemento costitutivo del reato (48) che segna il momento consumativo dal quale decorre la prescrizione ed in relazione al quale si stabilisce la competenza a giudicare (49).

D'altra parte, tale delitto diverge in modo consistente dalle altre fattispecie, trattandosi di reato di pericolo ed eventualmente di danno, imputabile soltanto a titolo di di dolo specifico (50).

Il dolo generico, che accomuna invece tutte le altre ipotesi criminose (51), si caratterizza per la coscienza e volontà dell'azione (52) diretta, in ipotesi di falso materiale, a creare un documento falso o ad alterarne uno vero con conseguente inganno circa l'autore o il tenore del documento (53) e, in caso di falso ideologico, a documentare falsamente la rappresentazione della realtà (54).

Quel che, in tali casi, risulta sufficiente è quindi che l'agente abbia voluto l'inganno, preordinandolo od accettandone il verificarsi (55), senza che invece sia anche necessaria la presenza dell'animus nocendi o decipiendi (56), rilevando l'intenzione di arrecare danno ad altri o di conseguire un profitto soltanto per la predetta fattispecie di falso in scrittura privata (57).

 

2) Natura e configurazione normativa del reato di false comunicazioni sociali

 

In ordine alla configurazione del reato previsto dall'art.2621, n.1, del codice civile, secondo il quale i promotori, i soci fondatori, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori che nelle relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali, fraudolentemente espongono fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società o nascondono anche parzialmente fatti concernenti le condizioni medesime, sono puniti, se il fatto non costituisca più grave reato, con la reclusione da una a cinque anni e con la multa da due a venti milioni di lire (58), il risalente orientamento, che tendeva ad identificare nell'economia nazionale l'unico bene protetto dalla norma, sostenendo che gli interessi patrimoniali della società e gli altri interessi privati ad essi collegati, di nessun rilievo penale, fossero oggetto di una tutela soltanto riflessa (59), è stato ormai superato dalla tesi che attribuisce al delitto in questione natura plurioffensiva, in quanto ritenuto lesivo di molteplici interessi, tutti parimenti tutelati dall'ordinamento delle società commerciali (60).

Secondo quest'ultima impostazione, per la quale l'economia pubblica o collettiva è definita come la totalità dei beni patrimoniali esistenti nel paese, appartenenti a singoli individui o ad enti privati o pubblici, si è ritenuto che lo Stato, nel tutelare la ricchezza collettiva, protegge senz'altro anche gli interessi patrimoniali degli individui e degli enti ai quali appartengono i beni che la costituiscono e che, pertanto, posto che le condotte offensive di interessi patrimoniali di un numero indeterminato di persone arrecano pregiudizio all'economia della nazione, per cui è stata appunto introdotta la configurazione delle ipotesi di reato stabilite al capo ottavo del codice civile, non possono affatto contrapporsi gli interessi patrimoniali dei singoli a quelli economici della nazione, dato che i secondi vengono certamente pregiudicati con l'offesa arrecata ai primi (61).

La natura plurioffensiva di tali delitti in genere, tra cui in specie quello in esame, sarebbe inoltre derivata dal parallelismo con i reati contro l'incolumità pubblica, ritenuti lesivi di più beni, i quali avrebbero ad oggetto un insieme di rapporti che coinvolge gli interessi patrimoniali della società, quelli dei soci uti singuli, quelli dei terzi che possono intrattenere rapporti con la società tra cui, in particolare, i creditori sociali, nonché l'interesse generale dell'economia del paese.

In concreto, il bene giuridico tutelato è stato ravvisato nell'interesse primario della veridicità e completezza delle comunicazioni sociali come fonti di prova (62), della fede pubblica (63), del regolare funzionamento delle società commerciali (64) ovvero dell'economia nazionale (65), posto in relazione ai vari interessi specifici di ordine economico-patrimoniale della società, dei singoli soci, dei creditori e dei terzi che possono entrare in rapporto con l'ente collettivo all'adeguata affidabilità delle comunicazioni sociali (66).

Si tratterebbe, allora, di una tipica ipotesi di falsità ideologica in scrittura privata che, per la funzione che la legge gli assegna, risulta meritevole di particolare tutela, derivando la natura certamente plurioffensiva del reato, in quanto, da un lato, dall'offesa agli interessi economici alla cui tutela è sostanzialmente diretto l'ordinamento giuridico delle società commerciali e, dall'altro, dalla minaccia all'interesse pubblico del cittadino, per quanto concerne i bisogni inerenti alle esigenze della vita organizzata, di poter fare idoneo affidamento di determinati fatti particolarmente qualificati dalla legge come utili alla formulazione di un giudizio di certezza (67).

In precedenza, postulato che il delitto in esame avrebbe rappresentato, come si è detto, un'ipotesi di falsità ideologica in scrittura privata e costituito quindi una delle rare deroghe alla regola che consente di ravvisare in tali scritture soltanto il falso materiale (68), il bene giuridico protetto dalla norma era invece individuato nella fede pubblica (69) e più precisamente nella fede pubblica documentale, quale bene tipicamente indisponibile e, come tale, fuori della teoria del consenso dell'offeso (70).

Pur non mancando pronunce che, muovendo da una concezione unitaria del bene giuridico protetto, lo identificavano talora con l'interesse dei destinatari dell'informazione societaria alla veridicità e compiutezza della stessa (71) e, in altri casi, con l'interesse alla leale e fedele rappresentazione della situazione economica dell'impresa, onde evitare di essere indotti in errore da informazioni suscettibili di produrre decisioni pregiudizievoli (72), l'orientamento più recente ha costantemente individuato l'oggetto giuridico tutelato dalla norma non soltanto negli interessi patrimoniali dei soci e dei terzi, ma anche nell'interesse generale della collettività ad un'informazione veritiera e genuina circa la situazione patrimoniale delle società commerciali ed il loro regolare funzionamento nell'ambito dell'economia del paese e di un leale esercizio dell'attività economica (73), definitivamente qualificando il delitto previsto dall'art.2612, n.1, del codice civile quale crimine plurioffensivo, data la sua idoneità a ledere interessi eterogenei, interni o esterni, al rapporto sociale (74).

Consegue, da tale configurazione, la sua qualificazione come reato di pericolo, la cui sussistenza prescinde dal verificarsi e dall'accertamento di un risultato dannoso, essendo per contro sufficiente la descritta idoneità della falsa rappresentazione a trarre in inganno, ovvero la semplice possibilità del verificarsi di quest'ultimo per i soci o per i terzi, senza che possa attribuirsi rilevanza alcuna all'avvenuta diffusione o meno del contenuto delle comunicazioni sociali e senza che sia necessaria l'effettiva lesione dell'interesse protetto (75).

Esso si configura, inoltre, come delitto di mera condotta che si estrinseca nell'esposizione di fatti non rispondenti al vero o nel nascondimento di fatti veri, contenuta in una dichiarazione cui possa attribuirsi il valore di comunicazione sociale, per quanto concerne la costituzione o le condizioni economiche della società, a nulla valendo, per l'eventuale esclusione della fattispecie criminosa, stante il sopra precisato oggetto della tutela penale, che i soci fossero o meno a conoscenza delle irregolarità commesse o che i dati occultati in bilancio fossero conformi a quelli veritieri regolarmente registrati nelle scritture contabili (76) e precisandosi, invece, che oggetto della tutela normativa non è la situazione economica della società per se stessa, bensì la rappresentazione che di essa viene delineata nel bilancio, in quanto fondata sull'esposizione di fatti corrispondenti al vero (77).

Trattasi di reato proprio, potendo esso essere commesso soltanto da coloro che abbiano una determinata qualità o si trovino in una determinata relazione con la società, anche se, al riguardo, contrariamente all'avviso della giurisprudenza più remota e di parte della dottrina, secondo cui del reato non potevano essere chiamati a rispondere né l'agente estraneo alla società né i soggetti operanti nell'ambito di società di fatto non regolarmente costituite (78), si è andato consolidando l'orientamento che tende a ricomprendere fra i destinatari della norma anche coloro che, sia pure privi di una formale investitura organica, esercitano di fatto i poteri connessi alle relative qualifiche, avuto riguardo all'interesse protetto dalla legge in relazione alla particolare situazione personale e sociale da cui scaturisce l'obbligo di lealtà e correttezza nell'espletamento di tali funzioni (79), sino ad includervi coloro che si trovino ad operare in società irregolari, oltre a quelli che già lo stesso legislatore ha indicato quali possibili autori del reato, come per gli amministratori giudiziari e i commissari governativi ai sensi dell'art.2636 c.c., i dirigenti dei consorzi con attività esterna ai sensi dell'art.2615 bis c.c. e i dirigenti, i commissari e i liquidatori, nonché i membri degli organi di sorveglianza delle aziende e degli istituti di credito ai sensi dell'art.92 della legge bancaria, sempre naturalmente nel rispetto del principio fondamentale della responsabilità personale che non consente di incriminare il soggetto nel caso in cui la commissione del reato non sia in alcun modo riferibile alla sua condotta, come nell'ipotesi dell'amministratore rimasto assente alla deliberazione collegiale (80).

In tema di concorso di persone nel reato si è ritenuto punibile l'estraneo concorrente anche se il soggetto qualificato viene assolto per difetto dell'elemento psicologico (81), osservandosi tuttavia che il richiamo operato dall'art.117 c.p. alle condizioni e alle qualità personali del colpevole o ai suoi rapporti con l'offeso non si riferirebbe ad uno qualsiasi dei concorrenti, ma soltanto a quello che abbia agito in maniera analoga a quella che, nei casi di esecuzione monosoggettiva dell'illecito, contraddistingue l'autore, dovendo perciò differenziarsi la posizione del concorrente che agisce allo stesso modo in cui agirebbe si fosse l'autore esclusivo del fatto criminoso, nel qual caso opererebbe un mutamento del titolo del reato, dalla posizione del concorrente, il cui ruolo resta a livello subordinato e accessorio, nel qual caso la qualità di intraneo non determinerebbe alcuna modificazione sulla qualificazione giuridica del fatto (82).

Non esclude, poi, la penale responsabilità del concorrente estraneo il fatto che l'azione penale non sia stata esercitata nei confronti di colui che, al momento della redazione e del deposito del bilancio, rivestiva la qualifica di amministratore, sempreché risulti provata a suo carico l'esistenza di un idoneo e consapevole apporto causale alla lesione del bene giuridico tutelato dalla norma (83).

Il reato in esame si consuma nel momento in cui la falsa comunicazione è portata a conoscenza dei destinatari, ovvero, se trattasi di comunicazioni verbali, nel momento stesso della loro dichiarazione (84) o con quello del deposito nell'ipotesi di comunicazioni scritte che, con tale incombenza, acquistano carattere ufficiale (65), così che il delitto può perfezionarsi anche prima dell'approvazione di tali documenti (86).

Non vi è, in genere, ostacolo alla configurazione del tentativo, come nel caso del mancato deposito da parte degli amministratori di bilancio falso per effetto di rilievi dell'organo di controllo (87) e si ritengono senz'altro applicabili l'aggravante del danno di rilevante entità di cui all'art.2640 c.c., in caso di danno all'impresa, e quella stabilita all'art.61 n.7 c.p. in ipotesi di danni subiti da soggetti diversi da quest'ultima, avuto riguardo alla natura plurioffensiva del reato ed a quella di scrittura privata degli atti che ne formano oggetto (88), così come, per converso, si ritiene che trovi applicazione l'attenuante di cui all'art.62, n.4, c.p. in ipotesi di danno di speciale tenuità (89), né vi sono motivi per escludere l'applicabilità dell'aggravante stabilita dall'art.112, n.1, c.p., che opera anche in caso di organi collegiali, essendo l'operato del singolo componente di essi scindibile da quello degli altri, senza che i membri dell'organo collegiale possano essere considerati singolarmente allorquando la condotta criminosa risulti esser stata realizzata con deliberazione dell'organo collegiale stesso (90).

L'elemento materiale del reato è costituito dalla falsità delle comunicazioni sociali, che si ha sia nel caso di esposizione di fatti non veri quanto nell'ipotesi di occultamento di fatti veri, dovendosi ricomprendere nel concetto di comunicazione sociale qualsiasi comunicazione di contenuto economico, attuata in forma orale o scritta, da parte di soggetti ai quali sono attribuite specifiche funzioni nell'ambito della società (91), incluse quelle trasfuse negli atti contabili (92), senza necessità che tale comunicazioni sia diretta al pubblico o all'assemblea, come invece stabiliva l'antecedente disposizione di cui alla legge 4 giugno 1931 n.660 (93).

La configurazione del concetto di comunicazione sociale in termini così ampi ha portato ad includervi anche le informative di natura riservata, in quanto indirizzate ad un unico destinatario, come nel caso della rappresentazione della situazione patrimoniale societaria trasmessa alla banca per l'ampliamento o la concessione di finanziamenti (94), ovvero anche nell'ipotesi di dichiarazioni dirette all'ISVAP, quale organo di controllo delle società assicuratrici (95) o alla Consob ai sensi dell'art.18, comma secondo, della L.216/1974 (96).

Si è ritenuto di ravvisare altresì il reato nel caso in cui esponenti bancari, nelle segnalazioni periodiche dovute per legge alla Banca d'Italia e nei bilanci d'esercizio, abbiano scientemente dato a talune posizioni creditorie anomale una qualificazione diversa da quella prescritta dalla normativa secondaria emanata dalla Banca d'Italia stessa nell'esercizio della sua potestà regolamentare (97)

Non vi è dubbio che tra i documenti ai quali si riferisce la norma e che  possono includere le comunicazioni oggetto di reato rientrano le relazioni degli amministratori, così come quelle dei promotori (98) e, innanzitutto, i bilanci, dovendosi ricomprendere in tale termine, oltre al bilancio annuale previsto dagli artt.2423 e segg. del codice civile, anche quelli straordinari di cui agli artt.2277, 2446, 2453, 2498 e 2502 c.c., nonché il bilancio finale di liquidazione (99).

Per la configurazione del reato di falso in bilancio, occorre un'alterazione dello stato attivo e passivo della società (100), essendo a ciò sufficiente far figurare come credito liquido ed esigibile di banche sovventrici un credito, invece, illiquido e non documentato di un altro sovventore non nominato (101), ovvero nella contabilità della società crediti inesistenti o comunque dichiarazioni non veridiche dell'esistenza o dell'inesistenza di fatti concernenti le condizioni economiche della società ed aventi rilevanza giuridica agli effetti della valutazione della sua entità economica (102).

Rientra nella fattispecie anche la falsità compiuta nei bilanci non ufficiali privi di valore fiscale (103) e nel bilancio consolidato delle società capogruppo, essendo stato ritenuto, a tal ultimo riguardo, che esso non si estrinseca in un mero prospetto contabile od in insieme di elementi offerti alle società controllate acriticamente recepiti, ma serve a rappresentare la situazione patrimoniale e reddituale dell'intero gruppo societario (104), mentre invece per quanto concerne il bilancio cosidetto tipo o budget, quale documento contabile a carattere previsionale ed ipotetico in relazione al raggiungimento di obiettivi ottimali di gestione aziendale, da una parte, si è sostenuto che, pur non potendo essere qualificato bilancio in senso tecnico giuridico proprio, esso contiene dati e fatti attinenti alla situazione economica dell'impresa con riferimento ad un concreto esercizio finanziario ed è perciò da configurare come vera e propria comunicazione sociale (105) e, da altra, si è invece osservato che il bilancio tipo non sarebbe riconducibile né alla categoria delle valutazioni, risolvendosi in un mero conteggio elaborato in via di previsione e di ipotesi, né tantomeno a quella di comunicazioni sociali, in considerazione del fatto che lo stesso concetto di comunicare, espresso dalla norma, non può che fare riferimento soltanto ad una realtà già in atto (106).

La disposizione in questione prevede due tipiche condotte delittuose costituite, in primo luogo, dall'esposizione, nei citati documento, di fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società e, in secondo luogo, dal nascondimento, in tutto o in parte, di fatti concernenti le condizioni medesime.

In ordine alla prima, secondo alcuni, le semplici valutazioni non potrebbero rientrare nella nozione di fatti, intesi come accadimento, in quanto insuscettibili di formare oggetto di un giudizio di verità o falsità, dovendosi allora escludere che l'adozione di criteri soggettivi, anche discutibili, per le valutazioni in bilancio di taluni cespiti o per il calcolo di talune parti sia sufficiente ad integrare il delitto in questione (107), mentre, per altro avviso, tali valutazioni, sebbene non rientrano precisamente nella categoria dogmatica dei fatti, meriterebbero comunque un identico trattamento agli effetti dei crimini stabiliti dagli artt.2621, n.1, c.c. e 233, comma secondo, n.1, della legge fallimentare, dal momento che anche il senso comune attribuisce la qualifica di falso  ad un giudizio contrario ai canoni universali di verità, nella specie identificabili nei canoni legali di valutazione della attività o passività da iscrivere al bilancio societario (108).

La tesi dominante in giurisprudenza, validamente è quella che include anche le valutazioni nella nozione di fatti non rispondenti al vero sancita dall'art.2621, n.1, c.c. (109) e in dottrina, più precisamente, da una parte, si osserva che le valutazioni non potrebbero mai essere vere o false (110), mentre dall'altra si argomenta che le valutazioni altro non potrebbero essere che dei veri e propri fatti, dovendosi intendere quest'ultimo concetto nel contesto in cui la norma lo cala e concludere, allora, che se il reato tratta di comunicazioni rese da alcuni soggetti ad altri, i fatti non possono che rilevare per come i compilatori del documento li rappresentano, trattandosi di fatti psichici, ma pur sempre suscettibili della qualificazioni di vero e di falso, laddove al termine vero deve assegnarsi il significato di vero legale e cioè di verità relativa cui si perviene attenendosi ai principi ed ai criteri offerti dalla disciplina del bilancio (111).

L'opinione prevalente è, comunque, quella che le valutazioni formulate dagli amministratori nella stima delle poste contabili non possono tradursi in un insindacabile arbitrio, ma vanno contenute nel principio di ragionevolezza, in mancanza del quale andrebbero a costituire una valutazione artificiosa, così che l'ipotesi all'erronea valutazione dell'attività nel bilancio sociale, se normalmente non rientra nel campo delle falsità di bilancio previste dall'art.2621, n.1, c.c., stante l'apprezzamento discrezionale che la valutazione necessariamente implica, in questo campo senz'altro rientra, invece, allorquando oltrepassi il limite della ragionevolezza, non potendo più parlarsi, allora, di discrezionalità, ma di valutazione artificiosa diretta ad occultare gli utili realizzati od a rappresentare utili mai effettivamente conseguiti (112).

In tema di riserve occulte, si è osservato che non tutte le riserve indicate mediante sottovalutazione delle attività sociali od ipervalutazione delle passività danno luogo al reato in questione, ma unicamente quelle conseguenti a stime arbitrariamente effettuate, nelle quali la discrezionalità nella valutazione del patrimonio sociale abbia oltrepassato il limite naturale del principio della ragionevolezza, facendo così ad esempio risultare come esistenti utili in effetti non conseguiti (113), così come il reato è anche da escludere quando le riserve occulte siano state costituite da una società, le cui azioni siano possedute tutte da altra società  e quest'ultima sia al corrente della gestione anche riservata della società controllata (114), sostenendosi, da una parte, che l'attività intesa a costituire accantonamenti non palesi non può essere valutata disgiuntamente rispetto all'interesse protetto dalla norma in esame e diviene penalmente rilevante soltanto ove diretta ad offendere tale interesse (115).

La seconda ipotesi di condotta delittuosa, costituita dal nascondimento anche parziale di fatti concernenti le condizioni economiche societarie, è configurata da alcuni come un reato omissivo proprio che include tutti i casi di falsità omissiva, purché concernenti le suddette condizioni, al riguardo osservandosi che l'obbligo degli amministratori d'informare i soci sarebbe limitato alle notizie rilevanti ai fini della delibera ed escluso in tutti i casi in cui il danno che può derivare alla società sia realmente maggiore di quello derivante ai soci dalla reticenza (116) e che, inoltre, gli obblighi di precisione e di chiarezza imposti dall'art.2423 c.c. agli amministratori nella redazione dei bilanci richiederebbero che ogni debito, anche futuro ma di certa pretesa, come per quelli di natura fiscale, debba risultare negli atti societari e nei bilanci, all'occorrenza con chiarimenti e critiche nella relazione che deve accompagnarli, in quanto le omissioni al riguardo nei bilanci  succedutisi e fino a quello di liquidazione configurano la violazione dell'art.2621, n.1, c.c. ed integrano il reato di cui all'art.223 della legge fallimentare (117).

Per il caso, infine, dell'omessa esposizione nelle scritture contabili di proventi ed attività ricavate da azioni delittuose, è stato escluso che una simile ipotesi, formalmente riconducibile alla previsione normativa, vada ricompresa nell'ambito di applicazione della norma in esame, tenuto conto del principio che nessuno può considerarsi obbligato ad effettuare una sorta di autodenuncia, con la scritturazione dei libri sociali, dei reati posti in essere (118).

Le condizioni economiche della società oggetto di esposizione non corrispondente al vero riguardano non solo l'entità delle poste attive da indicare nell'attivo e nel passivo del bilancio ai sensi dell'art.2424 c.c. ed i dati relativi ai risultati economici dell'esercizio, ma anche tutti quegli elemento che sono rilevanti ai fini della valutazione della potenzialità economica della società (119), dovendosi aver riguardo non soltanto  alle comunicazioni sociali che concernono lo stato patrimoniale della stessa, ma anche a quelle che attengono alla società medesima, incluse quelle relative alla modifica dell'atto costitutivo e, in genere, a tutte le modificazioni degli elementi indicati nell'art.2518, posto che anche di tali variazioni debbono essere informati i soci ed i creditori attuali e futuri ed in genere ogni terzo interessato (120).

 

 

 

 

3) L'elemento soggettivo del reato di falso in bilancio

 

In ordine all'elemento psicologico richiesto per la configurazione del reato di cui all'art.2621 c.c., se ne è affermata la natura in termini di dolo specifico.

Com'è noto, secondo i principi dell'ordinamento giuridico del sistema penale, questa forma dell'elemento soggettivo si distingue dal dolo generico, rappresentato dalla previsione e dalla volizione dell'evento da parte dell'agente quale conseguenza della sua azione od omissione ai sensi dell'art.43 c.p., per esser esso costituito dal particolare motivo o dallo scopo speciale propostosi dal soggetto attivo del reato (121)

Non per questo, in ogni caso in cui la norma penale contempla un motivo od un determinato fine specifico per qualificare come penalmente rilevante l'azione o l'omissione criminosa, ci troviamo conseguentemente di fronte ad una ipotesi di dolo specifico.

Laddove la norma non da rilevanza al fine propostosi dal soggetto agente , così come nel caso in cui postula un determinato fine per rendere punibile un fatto che altrimenti non lo sarebbe, si resta nel campo del solo dolo generico, seppure particolarmente qualificato (122).

Funzione peculiare del dolo specifico è perciò quella di contraddistinguere tutti quei reati che apparirebbero identici quanto a materialità e dolo generico.

La sua presenza consente ad esempio di distinguere il furto dalla violenza o dal danneggiamento, laddove chi si impossessò della cosa lo fece per trarne profitto e non invece per farsi ragione di un proprio diritto o per danneggiarla semplicemente.

Agli effetti dell'art.2612, n.1, c.c., si è dapprima ritenuto che il riferimento operato dalla norma alla frode, nel senso di assegnare alla condotta dell'agente una caratterizzazione nel segno della fraudolenza, essendo appunto richiesta una fraudolenta esposizione di fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società od omissione anche parziale di fatti concernenti tali condizioni, non può essere interpretato nel senso che sia sufficiente la sola intenzione di porre in essere l'inganno, occorrendo invece che, al fine realizzare quest'ultimo sulla reale condizione dell'organismo sociale si riconnetta la volontà dell'offesa al bene giuridico tutelato, costituito dall'interesse all'integrità e normalità della società stessa ed alla difesa di legittime aspettative dei soci e dei terzi e concorra, quindi, lo scopo di procurare a sè o ad altri un vantaggio o arrecare un pregiudizio agli interessi della società, dei soci o di chiunque altro possa venire in rapporto con l'ente collettivo (123)

E, con questo, è stato allora escluso il reato in questione, per mancanza di dolo specifico, nel caso in cui l'amministratore sia stato determinato alla commissione del reato dalla necessità di salvare la società e di impedire che la reale esposizione delle condizioni sociali provocasse grave e maggior danno ai creditori (124), ovvero esclusivamente dallo scopo di frodare il Fisco, essendo questo comportamento criminoso previsto da altre specifiche norme poste a tutela dell'erario (125).

La successiva evoluzione di tale orientamento ha poi condotto ad accantonare il requisito dell'animus nocendi e ad identificare il dolo specifico richiesto dalla norma del codice civile essenzialmente nella volontà di trarre in inganno i titolari degli interessi protetti dalla norma medesima, accompagnata dal proposito di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, senza che occorra anche l'intento di cagionare un danno (126), dovendosi perciò interpretare il riferimento normativo alla frode che deve caratterizzare la condotta dell'agente nel senso della sussistenza di una sua volontà di trarre in inganno, ovvero di determinare un errore nei soci o nei terzi sulla effettiva situazione patrimoniale della società, unitamente al proposito di conseguire, attraverso l'inganno, un vantaggio, senza che debba però esservi anche una volontà di arrecare ad altri un danno (127).

E' stato, al riguardo, più precisamente osservato che l'avverbio "fraudolentemente", utilizzato dal legislatore nella formulazione della norma al fine di sancire la caratterizzazione della condotta penalmente rilevante, starebbe piuttosto ad indicare il proposito di frode, quale misto di inganno e di intento di conseguire con esso un vantaggio, ma non anche di recare danno ad altri, in quanto è senz'altro possibile che l'agente possa anche essere stato animato dal proposito di frode senza affatto volere il danno ad alcuno, ma auspicando anzi che esso non si verifichi, di tal che non necessiterebbe che l'intento di danno si accompagni allo scopo di profitto, essendo sufficiente che l'agente abbia avuto previsione del danno come correlativo al profitto e, tuttavia, tale previsione non lo abbia distolto dall'azione (128).

Ad integrare il dolo specifico richiesto dalla norma, è stata per giunta ritenuta sufficiente la sola volontà di determinare un errore negli organi sociali, nei soci o nei terzi, allo scopo di indurli a tenere comportamenti diversi da quelli che avrebbero tenuto se fossero stati a conoscenza della realtà della situazione e dei rischi effettivi, con la conseguente delineazione dell'elemento soggettivo del reato in modo indipendente dalla rappresentazione, anche sotto il profilo della semplice possibilità in termini di dolo eventuale, del danno cagionabile al terzo a seguito del compimento o dell'omissione di quegli atti in vista dei quali sono state poste in essere le false comunicazioni sociali (129).

A questo modo, la possibilità del verificarsi del danno, con conseguente rappresentazione dell'elemento psicologico del reato in termini di dolo eventuale, sarebbe requisito non più necessario ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo, per cui sarebbe sufficiente l'intentio decipiendi e l'animus lucrandi (130), giungendosi per di più, da parte di un'autorevole dottrina, a ritenere superfluo anche quest'ultimo requisito, con conseguente eliminazione dello stesso carattere specifico del dolo richiesto dalla norma (131).

 

 

 

4) La disciplina penale tributaria delle falsità commesse a scopo di evasione

 

Nell'ambito dei documenti che possono essere oggetto di falsità, certamente si pongono anche quelli fiscalmente rilevanti idonei non solo a dar prova dei rapporti intercosi tra le parti, ma anche a documentare all'Amministrazione finanziaria le operazioni effettuate dal contribuente ai fini dell'applicazione del tributo.

Data l'evidente importanza e delicatezza del ruolo di tali documenti nel meccanismo impositivo, il legislatore ha criminalizzato ad hoc la falsificazione di tali atti, sottraendoli all'applicabilità della disciplina comune, laddove il falso sia commesso al fine di evasione.

L'art.4 della legge 7 agosto 1982 n.516 punisce infatti con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da cinque a dieci milioni di lire chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l'imposta sul valore aggiunto o di conseguire un indebito rimborso ovvero di consentire l'evasione o indebito rimborso a terzi, falsifica ideologicamente o materialmente i documenti indicati nelle lettere a),c),d),e) ed f) della norma citata o distrugge od occulta le scritture o i documenti indicati nella lettera b) della stessa disposizione.

Con tale norma, da un lato, si è specializzata l'incriminazione rispetto a quelle ipotesi che sarebbero ricadute nell'ambito di applicazione delle norme penali codicistiche e, dall'altro, si sono rese penalmente rilevanti le condotte di falso ideologico che la disciplina di diritto comune esclude dalla punibilità (132).

Il dolo specifico richiesto dall'art.4 della legge 7 agosto 1982 n.516 (133) non consente di estendere la punibilità del falso oltre i casi nei quali l'obiettivo dell'agente appaia costituito dal fine evasivo, senza così interferire con la normativa del codice penale ed evitando l'ampliamento delle fattispecie criminose ivi previste .

Per contro, difettando tale peculiare elemento soggettivo, nella fattispecie concreta potrà essere ravvisata la configurabilità di altro reato (134) ed anche di quelli stessi concernenti le falsità documentali (135), così come invece essa potrà rimanere penalmente irrilevante (136) o risultare comunque non punibile (137).

Ciascuna lettera della suindicata disposizione normativa contiene un'autonoma previsione incriminatrice (138), caratterizzandosi così, tale disposizione, come tipico esempio di disposizione a più norme (139), dal che consegue che allorquando l'agente ponga in essere una o più condotte che integrino più di una delle ipotesi criminose dalla norma descritte, esso realizza la commissione di più reati, il cui rigore sanzionatorio potrà soltanto essere mitigato in forza dell'art.81 c.p. (140).

Non rileva, invece, che l'agente abbia posto in essere contestualmente più comportamenti descritti da una singola lettera della predetta multipla disposizione normativa, non potendo costituire le diverse previsioni comportamentali stabilite da ciascuna di tali lettere, a loro volta, una pluralità di illeciti, trattandosi esclusivamente di modalità della condotta criminale alternativamente previste (141).

L'ultima disposizione della norma in oggetto, contraddistinta dalla lettera f), pone il reato a carico di chi indichi nella dichiarazione dei redditi ovvero nel bilancio o rendiconto ad esso allegato, al di fuori dei casi previsti dall'art.1, ricavi, proventi od altri componenti positivi di reddito, ovvero spese od altri componenti negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva, utilizzando documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero, ovvero ponendo in essere altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamneto dei fatti materiali.

La condotta criminale, nella fattispecie, è innanzitutto costituita dalla suddetta indicazione non veritiera, alla quale si accompagna l'utilizzazione di documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero.

La norma è pertanto diretta a colpire non solo la allegazione di quei documenti che siano ideologicamente falsi, per i quali la legge prescriva appunto l'allegazione alla dichiarazione o al bilancio o comunque l'esibizione alle autorità competenti, ma anche la semplice utilizzazione di qualsiasi documento ideologicamente falso, che venga comunque a trovarsi inserito nella contabilità, rilevando come supporto probatorio della dichiarazione o del bilancio (142).

Oggetto del falso ideologico non potranno che essere tutti quei documenti che, consistendo essenzialmente in scritture, abbiamo già visto esser rilevanti per le falsità documentali regolate dal codice penale, dovendosi invece escludere tutte le altre cose che, pur idonee a rappresentare un fatto, quali le riproduzioni fonografiche, fotografiche, cinematografiche ecc., non possono farsi rientrare nel concetto di falsità documentale, ma essendo semmai in grado di rilevare, ai fini del reato in questione, quali comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento di fatti materiali a cui fa cenno l'ultima parte della disposizione (143).

Al riguardo rileva, tuttavia, un concetto di documento di più stretta portata, rispetto a quello di diritto comune valevole per le falsità documentali, sia perché sono ovviamente esclusi tutti quei documenti non suscettibili di rilievo tributario, sia perché risultano estranei all'oggetto del reato tanto il documento di bilancio o rendiconto nel quale sia riportata la falsa indicazione richiamata nella dichiarazione, quanto le scritture contabili obbligatorie richiamate dalle lettere a) e b) del secondo comma dell'art.1 della legge 7 agosto 1982 n.516.

In forza dell'inciso contenuto nella stessa lettera f) dell'art.4, che esclude dall'ambito di operatività della norma i casi previsti dall'art.1, né il bilancio né tali scritture contabili obbligatorie riportanti dati non veritieri possono rilevare ai fini del reato di frode fiscale.

Per ravvisarsi quest'ultimo deve perciò trattarsi di bilancio che, senza contenere la falsa indicazione, sia comunque di essa supporto probatorio, come nel caso in cui il documento contabile, falsamente redatto, concerna una società controllata, ovvero deve trattarsi di scritture contabili che non siano quelle obbligatorie alle quali fanno cenno le citate lettere dell'art.1.

Nel caso in esame, le difficoltà di concepire un'ipotesi di concorso con le falsità documentali di diritto comune sono anzitutto dovute al fatto che, trattandosi di falso ideologico, la concorrenza sarebbe astrattamente ravvisabile solo in ipotesi che l'atto falsificato sia qualificabile come atto pubblico.

 

 

 

 

5) Il reato di frode fiscale sancito dall'art.4 della legge 7 agosto 1982 n.516 nella disciplina anteriore e successiva alla riforma attuata con la legge 15 maggio 1991 n.154

 

Prima della riforma attuata dalla legge 15 maggio 1991 n.154, l'art.4, comma primo, n.7, della legge 7 agosto 1982 n.516 prevedeva tutta una serie di comportamenti alternativi facenti parte di un unico procedimento nel quale la dichiarazione dei redditi, presentata e redatta in modo da dissimulare i componenti positivi o da simulare quelli negativi del reddito, andava a costituire il nucleo centrale del reato (144).

Disponeva, infatti, la norma, la reclusione da sei mesi a cinque anni e la multa da cinque a dieci milioni di lire nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l'imposta sul valore aggiunto o di conseguire un indebito rimborso ovvero di consentire l'evasione o l'indebito rimborso a terzi, essendo titolare di redditi di lavoro autonomo o di impresa, redige le scritture contabili obbligatorie, la dichiarazione annuale dei redditi ovvero il bilancio o rendiconto ad essa allegato dissimulando componenti positivi o simulando componenti negativi di reddito, tali da alterare in misura rilevante il risultato della dichiarazione.

Soggetti attivi del reato erano i titolari di redditi di lavoro autonomo o di impresa (145), dovendosi, secondo alcuni, escludere gli amministratori di società di capitali, per non poter essere questi considerati titolari di quest'ultimo tipo di reddito, spettante invece alle società da essi rappresentate (146), mentre invece, per altro avviso, anch'essi avrebbero ben potuto rientrare tra i soggetti attivi del reato in base la rilievo secondo cui il riferimento del reddito alla sfera soggettiva avrebbe dovuto essere inteso nel senso di materiale disponibilità del reddito stesso, così non vi sarebbe stato ostacolo alcuno per ritenere gli amministratori di società di capitali quali titolari del reddito di impresa conseguito dalla società rappresentata, nel segno di una concezione del possesso quale autonoma disponibilità, coincidente pertanto con quella tipica penale (147).

La condotta punibile era rappresentata dalla redazione delle scritture contabili obbligatorie o della dichiarazione dei redditi ovvero del bilancio o rendiconto ad essa allegato, con la dissimulazione di componenti positivi o la simulazione di componenti negativi del redditi, ritenendosi sufficiente ad integrare il reato, da parte di alcuni, il semplice occultamento di componenti positivi, quale fattispecie simulatoria, o la falsa esposizione di componenti negativi, per la fattispecie della dissimulazione, senza bisogno di alcun particolare artificio (148), mentre per la prevalente dottrina vi sarebbe stata, per il perfezionamento dell'elemento materiale del reato, necessità di veri e propri artifici giuridici e contabili idonei ad ingannare l'amministrazione finanziaria, senza i quali la mera esposizione di costi fittizi od il semplice l'occultamento di altri ricavi conseguiti avrebbe determinato soltanto una dichiarazione infedele, ma certamente non fraudolenta agli effetti dell'applicazione della norma penale tributaria (149).

Modificando l'orientamento al riguardo espresso in precedenza (150), peraltro oggetto di vivaci critiche (151) e sostanzialmente accogliendo il diverso principio espresso in merito dalla Corte Costituzionale (152), la Suprema Corte pareva aver accolto la tesi della necessità di un quid pluris, rispetto alla mera indicazione dei dati alteranti la veridicità della dichiarazione, costituito da una qualsiasi mezzo artificioso o astuto espediente giuridico, normalmente sostanziato da una delle condotte descritte nei precedenti sei numeri dell'art.4, comma primo, della legge 7 agosto 1982 n.516 (153) e le stesse sezioni unite, sia pure seguendo l'indirizzo sostenuto dal risalente orientamento e seguito dalla prevalente giurisprudenza di merito, avevano in seguito sostanzialmente denunciato l'insufficienza della mera falsità ideologica nella dichiarazione per l'integrazione della condotta punibile e la necessità, invece, di un qualcosa di più, rappresentato dall'allegazione, a riscontro probatorio della falsa dichiarazione, dei documenti ideologicamente falsi, con conseguente connotazione della condotta in termini oggettivamente fraudolenti corrispondenti a quelli necessari per l'integrazione delle altre ipotesi criminose delineate nei precedenti numeri della disposizione.

Ritenuta tuttavia la sentenza diretta a sciogliere il contrasto interpretativo come sostanzialmente confermativa del risalente orientamento, per il quale il semplice mendacio avrebbe integrato l'ipotesi di reato sancita dall'art.4, comma primo, n.7 della legge 7 agosto 1982 n.516, la Corte Costituzionale, rilevatane l'incompatibilità con gli artt.3 e 25 della Costituzione, ne dichiarava l'illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevedeva che la dissimulazione di componenti positivi o la simulazione di componenti negativi del reddito dovesse essere attuata in forme artificiose (154).

Secondo alcuni, inoltre, nell'ambito della condotta penalmente rilevante avrebbero dovuto includersi anche le false valutazioni, quanto meno del valore delle rimanenze finali (155) e, in genere delle valutazioni in materia di redazione dei bilanci (156).

Con la riforma apportata dalla legge 15 maggio 1991 n.154, la disposizione è stata mutata, con l'introduzione della lettera f) in luogo dell'originario n.7 allo stesso suo comma, stabilendosi la reclusione da sei mesi a cinque anni e la multa da cinque a dieci milioni di lire nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l'imposta sul valore aggiunto o di conseguire un indebito rimborso ovvero di consentire l'evasione o l'indebito rimborso a terzi nei confronti di chi indica nella dichiarazione dei redditi ovvero nel bilancio o rendiconto ad essa allegato, al di fuori dei casi previsti dall'art.1, ricavi, proventi od altri componenti positivi di reddito, ovvero spese od altri componenti negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva utilizzando documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero ovvero ponendo in essere altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento di fatti materiali, sancita, infine, l'applicazione della più lieve pena della reclusione fino a sei mesi o della multa fino a cinque milioni di lire se il fatto è di lieve entità, con espressa esclusione della ricorrenza dell'ipotesi lieve in caso di importi superiori a cinquanta milioni di lire.

La nuova disposizione mantiene la previsione di una serie molteplice di comportamenti alternativi, anch'essi incentrati sulla presentazione di una dichiarazione dei redditi ideologicamente falsa fondata su comportamenti fraudolenti idonei a rappresentare fatti materiali non corrispondenti al vero o ad ostacolare l'accertamento di fatti materiali incidenti su componenti di reddito e, anche se l'oggetto materiale della condotta incriminata può ben esser costituito non soltanto dalla dichiarazione dei redditi ma anche dal bilancio o rendiconto ad essa allegato, al di fuori dei casi previsti dall'art.1, ciò nonostante tanto il bilancio quanto il rendiconto assumono rilevanza soltanto in quanto presentati con la dichiarazione cui debbono essere allegati e quindi il loro rilievo penale è dato dal carattere integrativo della dichiarazione che tali documenti, per legge, possiedono.

Com'è stato opportunamente rilevato, allora, per stabilire la sussistenza dell'idoneità della condotta a conseguire l'evento finalisticamente perseguito attraverso il dolo specifico richiesto (157) la falsificazione anche cadente soltanto sul bilancio, deve essere valutata non in relazione a tale documento, in sé e per sé considerato, ma con riguardo alla dichiarazione alla quale esso è allegato (158).

La modifica ha, inoltre, ampliato la sfera dei soggetti attivi del reato, sancendo che esso può essere commesso da chiunque e non più quindi soltanto, come stabiliva la disposizione antecedente, dai titolari di reddito di lavoro autonomo e di impresa, il che ha tolto al delitto in questione l'originario connotato di reato proprio.

Prevedendo che la condotta criminale si attui mediante l'indicazione nella dichiarazione dei redditi ovvero nel bilancio o rendiconto ad essa allegato di componenti positivi o negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva utilizzando documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero oppure ponendo in essere altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento di fatti materiali, la nuova norma esclude ogni riferimento, contenuto invece nella previgente disposizione, alle scritture contabili, definendo la dichiarazione dei redditi ovvero il bilancio o il rendiconto ad essa allegato come i soli documenti che possono costituire oggetto di reato.

Il legislatore della riforma ha poi sancito l'esclusione dell'operatività della disposizione in ordine ai casi stabiliti dall'art.1 della stessa legge 7 agosto 1982 n.516, dovendosi intendere tale esclusione nel senso di estromettere dall'ipotesi di frode fiscale le condotte di omesse o incomplete annotazioni o fatturazioni contabili descritte ai punti a) e b) del comma secondo di tale norma, se automaticamente traslate e riprodotte in dichiarazioni dei redditi conformemente mendaci (159) senza aggiunta alcuna di forme artificiose rappresentate dalla utilizzazione di documenti, diversi dal bilancio, attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero o dalla realizzazione di altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento di fatti materiali (160)

La nuova disposizione richiede, poi, come sopra si è detto, che innanzitutto l'indicazione dei componenti di reddito in misura diversa da quella effettiva avvenga utilizzando documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero.

Si è osservato che il concetto di utlizzazione espresso dal legislatore nella formulazione della norma penale tributaria non può corrispondere a quello di allegazione, con la conseguenza di attribuire rilevanza giuridica ai soli documenti per i quali l'ordinamento prevede l'acclusione alla dichiarazione o al bilancio ovvero a quelli che comunque debbono essere esibiti alle autorità competenti, estromettendo tutti gli altri, anche se contenenti dati fiscali rilevanti (161) in quanto non si può innanzitutto, in concreto, escludere una utilizzazione consistente nel semplice inserimento in contabilità di un documento falso che vada ad incidere sulla quantificazione dei componenti di reddito (162).

L'obiezione si fonda, inoltre, sulla stessa lettera della legge che, richiamando l'uso di un atto falso realizzantesi in qualsiasi impiego giuridicamente rilevante del documento diretto allo scopo per cui la falsità è commessa, pare proprio aver voluto escludere dal comportamento normativamente descritto soltanto la mera detenzione o conservazione del documento stesso ed è, infine supportata sia dal rilievo che la stessa norma dell'art.4 della legge 7 agosto 1982 n.516, alla lettera a), prevede le ipotesi di allegazione e di esibizione di documenti contraffatti o alterati in termini del tutto autonomi come species delo genus utilizzazione così come altrettanto autonomamente la successiva lettera d) della medesima disposizione si riferisce all'utilizzazione di fatture o di altri documenti nel senso certamente non riduttivo delle sole allegazioni o esibizioni (163) sia dalla stessa ratio normativa che, per integrare il reato, richiede soltanto una forma artificiosa diretta alla realizzazione del comportamento fraudolento idoneo, così che l'utilizzazione dei documenti appaia strumentalmente utile all'indicazione di componenti di reddito in misura diversa da quella effettiva senza che possa rilevare la circostanza che essi posseggano i requisiti da renderne obbligatoria l'allegazione.

Il concetto di utilizzazione enunciato nella disposizione in questione avrebbe il più ampio significato di ricomprendere tutti quei documenti che possano avere una qualche determinante rilevanza fiscale ed una incidenza nella redazione della dichiarazione o del bilancio

Non vi è dubbio che tra i documenti oggetto della suindicata utilizzazione rientra ogni scrittura che abbia rilievo tributario, inclusi lo stesso bilancio ed il rendiconto allegato alla dichiarazione, a condizione naturalmente che tale bilancio non contenga esso stesso la falsa indicazione, ma sia invece allegato a supporto probatorio di quest'ultima, riguardando magari una gestione collegata, ma diversa, da quella oggetto della dichiarazione, come ad esempio in caso di allegazione di un bilancio falso di una società controllata, poiché se, invece, si trattasse di bilancio contenente esso medesimo la falsa indicazione richiamata nella dichiarazione, con funzione pertanto solo informativa del risultato di gestione contabile riportato nella dichiarazione, non potrebbe ricomprendersi tra i documenti diretti a provare la falsa indicazione, dovendo questi ultimi essere costituiti da atti del tutto diversi da quelli contenenti la stessa falsa indicazione causata dal pedissequo riporto dei risultati della contabilità tenuta in violazione dell'art.1, comma secondo, lett. a ) e b) della L.516/82 che fa parte dei casi espressamente esclusi dall'ambito applicativo della disposizione in questione (164).

Eguale osservazione vale anche per le scritture contabili sulla base delle quali il bilancio o rendiconto è stato redatto, che rientrano senza alcun dubbio tra i documenti che possono essere oggetto di utlizzazione agli effetti della norma, escluse tuttavia le scritture contabili obbligatorie richiamate dal precedente art.1, comma secondo, lett. a) e b), stante l'inciso normativo che rende ad esse inapplicabile la disposizione, impedendo che tali scritture possano essere utlizzate come supporto probatorio di una dichiarazione e di un bilancio allegato ideologicamente falsi in conseguenza delle stesse omilsioni e false indicazioni.

Quanto agli altri comportamento fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento dei fatti materiali, essi devono consistere in atti compiuti artificiosamente al fine di impedire che gli organi preposti all'accertamento dei redditi vengano a conoscenza di ulteriori e maggiori componenti positivi di reddito rispetto a quelli dichiarati.

 

 

6) Il dolo di frode fiscale

 

In ordine all'elemento psicologico del reato, esso è individuato, al pari di tutte le altre ipotesi contenute nei numeri precedenti della disposizione, nel dolo specifico dovendo la condotta dell'agente risultare diretta al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto o di conseguire un indebito rimborso ovvero di consentire l'evasione o l'indebito rimborso di terzi.

In genere, la natura specifica del dolo consente, non soltanto, come già si è detto, di contraddistinguere tutti quei reati che apparirbbero identici quanto a materialità e dolo generico, ma anche di specializzare altresì la tutela normativa, come per l'appunto nell'ipotesi di alterazione e contraffazione dei documenti fiscali prevista dalla lettera a) del primo comma dell'art.4 della L.07.08.1982 n.516, differenziando la condotta incriminata rispetto a tutte quelle altre  riconducibili altrimenti alla falsità materiale in scrittura privata ai sensi dell'art.495 c.p..

In altri casi, come ad esempio per le falsità ideologiche, la previsione del dolo specifico sancita dalla norma tributaria rende penalmente rilevante un fatto che altrimenti non lo sarebbe (165).

Trattasi pertanto di vero e proprio elemento costitutivo del reato con valenza eminentemente differenziatrice rispetto a consimili figure criminose od a fattispecie penalmente indifferenti.

Nè la sua funzione appare svalutata o superflua in ambito penale tributario, dovendo ritenersi priva di rilievo quella tesi che ne predica l'ininfluenza assumendo il carattere ovviamente doloso delle relative fattispecie criminose (166).

Diversamente ragionando, non potrebbe che ravvisarsi infatti l'applicabilità della norma comune del codice penale sul falso materiale per chi, tenendo il comportamento descritto dalla lettera a) del primo comma dell'art.4 L.07.08.1982 n.516, alleghi alla dichiarazione annuale dei redditi, dell'imposta sul valore aggiunto o di sostituto d'imposta od esibisca agli uffici finanziari o agli ufficiali od agenti della polizia tributaria o comunque rilasci o utilizzi documenti contraffatti o alterati.

Non distinguendo tra atti pubblici e scritture private, la norma penale tributaria costituirebbe per l'appunto disposizione generale, destinata perciò a segnare il passo dinnanzi a quella codicistica in ipotesi di concorso apparente di norme.

Verrebbero inoltre puniti comportamenti che nulla hanno a che vedere con l'evasione, come nel caso di emissione od utilizazione di fatture false per simulare a terzi l'esistenza di crediti ingenti (167).

L'accoglimento della tesi della irrilevanza del dolo specifico trasformerebbe infine i reati penal tributari in discussione da reati di pericolo in reati di sospetto.

Finirebbe quindi per divenire penalmente rilevante, ai sensi dell'art.4 L.07.08.1982 n.516, qualsiasi fatto nel quale fosse dato ravvisare una qualunque delle condotte descritte dalla norma, a prescindere da ogni collegamento con una evasione ancora da compiere o da consentire ad un terzo o con un indebito rimborso da conseguire.

Il reato sarebbe perciò sempre e comunque ravvisabile, sia nell'ipotesi in cui esso appaia effettivamente preordinato al raggiungimento di uno degli obiettivi suindicati, sia nel caso in cui esso sia stato commesso per tutt'altri motivi od anche per coprire un'evasione od un indebito rimborso già conseguiti (168).

Come pertanto nei reati di mero sospetto, il comportamento incriminato costituirebbe indice sintomatico di un fatto criminoso pregresso e non accertato.

Il problema è stato in particolare affrontato in relazione all'ipotesi di contraffazione od alterazione dei documenti fiscali delineata dalla citata lettera a) del primo comma dell'art.4 della L.07.08.1982 n.516, avendo la giurisprudenza di merito più volte escluso il dolo specifico, e perciò la configurabilità stessa del reato, nel caso in cui il documento alterato sia stato esibito agli agenti o agli uffici finanziari o giudiziari non in modo spontaneo dal contribuente, ma invece su specifico invito od ordine degli stessi (169).

Più cautamente, la dottrina ha circoscritto le ipotesi di non configurabilità del delitto in questione ai casi in cui l'esibizione sia effettuata su invito del giudice o della polizia giudiziaria immediatamente prima dell'esecuzione del decreto di perquisizione o di sequestro (170) o addirittura alla sola ipotesi del rinvenimento del documento contraffatto durante le ricerche effettuate dagli organi indaganti (171).

Con accortezza, si osservato al riguardo che, se da un lato integra giustamente il dolo specifico richiesto dalla norma l'esibizione del documento alterato da parte del contribuente per contrastare accertamenti già effettuati o in corso, non potrebbe egualmente sostenersi validamente l'implicita permanenza della suddetta finalità evasiva, senz'altro ben presente all'atto dell'alterazione documentale, in ogni successivo comportamento dell'agente, potendo l'esibizione del documento configurare il reato sopra citato soltanto in presenza di un'attuale finalità evasiva del contribuente (172).

La giurisprudenza della Suprema Corte, che ha di frequente analizzato il problema in occasione di contestate alterazioni dei documenti fiscali effettuate dal contribuente durante la verifica degli agenti tributari allo scopo di ristabilire in senso veritiero i dati falsamente indicati in precedenza, ha in alcuni casi escluso la finalità evasiva, e pertanto la configurabilità del delitto, ritenendo diretto il comportamento del soggetto ad uno scopo nettamente opposto rispetto a quello originario d'evasione, sia pure per il semplice motivo di evitare l'applicazione della sanzione (173).

Di recente ha sul punto mutato indirizzo e ravvisato il reato in occasione della constatata alterazione dei documenti accompagnatori della merce trasportata durante le operazioni di controllo degli agenti tributari, ritenendo di poter anticipare la condotta tipica già al momento dell'iniziale alterazione eseguita prima del trasporto con indubbia finalità evasiva (174).

Parimenti, in altre ipotesi concernenti l'utilizzazione di bolle di accompagnamento alterate al fine di evadere le imposte ed esibite all'ufficio finanziario successivamente al periodo di imposta ad esse riferito, la Suprema Corte ha ritenuto configurarsi il reato, assumendo ravvisabile anche il tal caso il dolo specifico per esser stata la condotta comunque finalizzata a render perfetta l'evasione già consumata (175).

In altre ipotesi ancora, la necessaria sussistenza del dolo specifico è stata ribadita per distinguere la fattispecie criminosa dell'esibizione agli uffici finanziari e alla polizia tributaria di documenti contraffatti e alterati prevista dall'art.4 primo comma lett.a) della L.07.08.1982 n.516 da quella stabilita invece dall'ultimo comma dell'art.7 del D.P.R. 06.10.1978 n.627 concernente la contraffazione o l'alterazione e uso degli appositi moduli stampati sui quali debbbono essere compilati i documenti di accompagnamento dei beni viaggianti (176).

Dato comune degli orientamenti giurisprudenziali citati è che la verifica della sussistenza del fine evasivo ha costantemente costituito il fondamentale presupposto normativo e logico per decidere sulla sussistenza o meno del reato.

Invero, analizzando la ratio stessa della disposizione legislativa in esame, non può prescindersi dall'osservazione che essa, trasformando radicalmente la precedente disciplina in ordine alle ipotesi di frode fiscale, ha modificato le previsioni incriminatrici concernenti le imposte dirette e l'imposta sul valore aggiunto svincolandole sì da ogni collegamento con l'evasione dell'imposta, ma soltanto per ancorare la punibilità alla configurazione di condotte costituenti il mero pericolo dell'evasione (177).

Non ha quindi di certo inteso il legislatore del 1982 escludere qualsiasi riferimento all'evasione ma, dotando di notevole più efficacia la portata della disciplina, semplicemente arretrare la soglia di punibilità ad un momento antecedente, ritenendo sufficiente, ma pur sempre necessario, che la condotta criminosa sia proiettata verso la finalità evasiva.

Resta pertanto ben saldo il legame di ordine psicologico tra le condotte criminose descritte dalla norma e l'interesse ulteriore dello Stato alla repressione dell'evasione (178).

Com'è stato puntualmente rilevato, il dolo del reato in esame concorre ad esprimere non soltanto una relazione tra la psiche dell'agente ed il fatto commesso, ma caratterizza lo stesso comportamento illecito, contribuendo ad integrare la fattispecie tipica alla stessa stregua degli elementi obiettivi (179).

Laddove la norma orienta le condotte incriminate verso un particolare scopo, si instaura indissolubilmente un collegamento funzionale e strumentale, mancando il quale la condotta risulterebbe del tutto priva del carattere di offensività e per questo non punibile ai sensi dell'art.49 secondo comma c.p. (180).

La tesi della essenzialità del dolo specifico di evasione consente pertanto di arginare nella categoria dei reati di pericolo sia pure presunto le figure criminose in oggetto, evitando quelle storture e quelle conclusioni aberranti che senza alcun dubbio non corrispondono alla ratio della disciplina ed alla intenzione del legislatore.

E, così ragionando, debbono perciò escludersi dall'ambito di operatività dell'art.4 L.07.08.1982 n.516 tutte quelle condotte che, seppure identiche dal lato materiale a quelle tipizzate dalla norma, non appaiano sorrette né adeguatamente qualificate da una delle finalità evasive descritte nella prima parte di essa, dovendo in tali casi ritenersi affatto configurabile il delitto de quo per mancanza del prescritto dolo specifico.

 

 

 

7) Il rapporto tra falso in bilancio e frode fiscale

 

Anteriormente all'entrata in vigore della legge di riforma tributaria n.516 del 7 agosto 1982, la giurisprudenza ha sempre negato che potessero essere punite, ai sensi dell'art.2621 n.1 del codice civile, le false comunicazioni sociali poste in essere al fine esclusivo di eludere le imposizioni fiscali, sul rilievo che un intento del genere non fosse compatibile con l'elemento soggettivo del delitto in esame (181) e, più in generale, con il principio di specialità di cui all'art.15 del codice penale, che comporta l'applicazione esclusiva della fattispecie incriminatrice della frode fiscale.

E' stato, al riguardo, osservato che l'esposizione di fatti non rispondenti al vero da parte di amministratori delle società soggette a registrazione all'unico scopo di frodare il fisco non costituisce il delitto previsto dall'art.2621 c.c., trattandosi di un comportamento punto da altre specifiche disposizioni normative apprestate a tutela dell'erario (182) e che  la possibilità di configurare un concorso materiale tra i diversi reati è subordinata all'ipotesi che sia stata riconosciuta in concreto l'intenzione di ingannare, oltre l'amministrazione finanziaria, anche altri destinatari della comunicazione sociale (183).

Originariamente, le disposizioni contenute nell'art. 35 della legge 5 gennaio 1955 n.1, nell'art.252 del D.P.R. 29 gennaio 1958 n.645 e nel D.P.R. 29 settembre 1973 n.600 punivano con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da lire duecentomila  altre due milioni, salva l'applicazione di altre eventuali sanzioni, chiunque, essendo a conoscenza che negli inventari, bilanci o rendiconti è stata omessa l'iscrizione di attività o sono state iscritte passività inesistenti ovvero sono state formulate scritture o documenti fittizi o sono state alterate le scritture contabili, avesse sottoscritto le dichiarazioni di cui al primo comma senza rettificare i dati conseguenti rilevanti ai fini della determinazione dell'imponibile ed inoltre chiunque, al di fuori dei suddetti casi, avesse indicato nella dichiarazione di cui al primo comma passività inesistenti rilevanti ai fini della determinazione dell'imponibile, oltre a coloro che, nelle dichiarazioni prescritte dall'art.7, avessero indicato nomi immaginari o comunque diversi da quelli veri in modo da renderne impedita od ostacolata l'identificazione degli effettivi percipiendi ed a chiunque nei certificati di cui all'art.3 avesse indicato somme al lordo delle ritenute inferiori a quelle effettivamente corrisposte, nonché a coloro che, infine, avessero commesso fatti fraudolenti al fine di sottrarre redditi alle imposte sul reddito.

Il falso in bilancio era, quindi, strettamente collegato con la violazione tributaria e diveniva rilevante quando la dichiarazione dei redditi risultava sottoscritta senza la rettifica dei dati del bilancio ad essa allegato, con la conseguenza di considerare tale adempimento quale condotta finalizzata alla sottrazione di somme all'imponibile da dichiarare (184), potendosi distinguere le due fattispecie criminose soltanto per il diverso fine che avevano indotto l'agente alla commissione del reato.

I rapporti tra falso in bilancio e frode fiscale venivano risolti, nell'ambito del rapporto di specialità di cui all'art.15 c.p., limitando l'ipotesi di un concorso materiale di reati ai soli casi in cui l'agente fosse stato mosso dallo scopo di trarre in inganno anche altri soggetti, oltre l'amministrazione finanziaria, dovendosi escludere il reato di cui alla norma del codice civile nell'ipotesi in cui il falso in bilancio fosse stato determinato dal fine esclusivo di frodare il Fisco (185).

Si riteneva, infatti, che la tutela di quest'ultimo non apparteneva ai beni giuridici tutelati dai reati societari e che l'economia pubblica, tutelata da tali norme, non poteva essere indentificata nella potenzialità economica dello stato fiscale, con la conseguenza che, mancando la volontà di offendere gli interessi sociali, quelli dei creditori e quelli dei soci, veniva meno l'elemento soggettivo necessario all'integrazione della fattispecie.

Non potendo gli interessi dell'erario essere ricompresi, sia pure in via indiretta, tra quelli tutelati dalla norma, il Fisco non risultava incluso tra i soggetti passivi tutelati da quest'ultima e, allora, il falso in bilancio finalizzato all'evasione fiscale trovava la sua tutela in un autonomo sistema di norme amministrative, con la conseguenza che l'alterazione di dati contabili effettuata esclusivamente ai fini fiscali, mediante la falsificazione ideologica delle comunicazioni sociali e dei bilanci, escludeva l'applicabilità delle fattispecie criminali del codice civile, poiché si sarebbe trattato di un concorso apparente tra norma incriminatrice del falso in bilancio e norma incriminatrice della frode fiscale, concorso risolto con la prevalenza di quest'ultima disposizione qualificata come speciale ai sensi dell'art.15 c.p., almeno sotto il profilo della specialità in concreto della fattispecie (186).

Tutto ciò implicava, in conclusione, la sostanziale impunità per il reato di false comunicazioni sociali, in quanto, nella vigenza della pregiudiziale tributaria, era divenuto ormai uso comune degli imputati, chiamati a rispondere del reato societario, sostenere di aver agito allo scopo di ingannare il Fisco, con la conseguenza dell'elusione della sanzione stabilita dall'art.2621 c.c. e della stessa sanzione prevista dalla norma penale tributaria, dati i tempi di norma necessari per la decisione in sede amministrativa (187).

L'intervento dell'art.4 della legge 7 agosto 1982 n.516 pareva aver consentito l'ammissibilità del concorso tra frode fiscale e falso in bilancio, stante il mutamento delle condotte penalmente sanzionate con riferimento alla frode fiscale che, escludendo la coincidenza dell'elemento oggettivo tra le due fattispecie, aveva reso non più necessario il ricorso al criterio di specialità contenuto nel citato art.15 del codice penale (188), residuandone l'applicabilità soltanto nelle ipotesi di coincidenza di condotte materiali ed in quelle tipizzate da un dolo esclusivamente finalizzato all'evasione delle imposte sul reddito.

Si era allora affermato un orientamento giurisprudenziale secondo il quale la tutela delle esigenze finanziarie dello Stato non poteva ritenersi inclusa tra le finalità per le quali era stato introdotto l'art.2621 c.c., diretto ad assicurare interessi diversi, quali quelli della società, dei soci e dei creditori, potendosi ipotizzare il concorso soltanto allorquando l'agente non fosse strato mosso dall'esclusiva anzidetta finalità di trarre in inganno il Fisco (189).

Come si è detto, la modifica apportata dalla legge 15 maggio 1994 n.154 ha poi allargato il campo dei soggetti attivi del reato, originariamente identificati nei titolari di reddito di lavoro autonomo o di impresa, includendovi chiunque venga  a trovarsi nelle situazioni oggettive descritte dalla norma, senza più alcun riferimento alle scritture contabili obbligatorie, sia pure mantenendo uno stretto collegamento con l'obbligo, ai fini dell'individuazione del soggetto attivo, della presentazione di una dichiarazione dei redditi

Sul punto della portata della disposizione circa i soggetti e i rispettivi interessi alla tutela dei quali essa è stata posta, da una parte, si è sostenuto che non vi sarebbe ragione di escludere l'erario dai soggetti passivi del reato di falso in bilancio, in quanto mancherebbe ogni previsione normativa escludente la presenza di una particolare offesa pubblica e, in particolare, lo Stato, quale percettore dei tributi, tra i soggetti passivi di tale fattispecie normativa, difettando ogni incompatibilità logica ostativa all'inclusione dell'erario tra tali soggetti ed essendo incongruente ritenere che lo Stato, nella rappresentazione delle sue più disparate amministrazioni e funzioni, può senz'altro essere sempre parte offesa di reati di falso in bilancio mentre, allorquando appare in condizione di erario, tale non possa più essere ritenuto (190).

Secondo questa tesi, l'ipotesi di cui all'art.4, lettera f) della legge 7 agosto 1982 n.516 sarebbe allora norma speciale rispetto al delitto di false comunicazioni sociali, di tal che nei casi in cui non fosse possibile applicare la specifica norma penale tributaria, prevalente sulla norma comune e quindi sul reato di falso in bilancio, dovrebbe ravvisarsi quest'ultimo nelle fattispecie caratterizzate da frode fiscale consumata mediante valutazioni di bilancio falsamente effettuate, con la conclusione che tutte le condotte di falso riconducibili nella sfera di operatività dell'art.2621 c.c. poste ai danni del Fisco, altro non potrebbero costituire che falsa comunicazione sociale in tutti i casi non vi fossero gli estremi della frode fiscale.

E' stato, al riguardo, osservato come, per quest'avviso, in primo luogo, le false comunicazioni sociali dirette a trarre in inganno il Fisco altro non potrebbero rappresentare che delle species del genus costituito dalle false comunicazioni sociali, per cui anche il fatto di aver dolosamente omesso l'annotazione di proventi inferiori alla soglia di punibilità, stabilita dall'art.1 della legge 7 agosto 1982 n.516 in cinquanta milioni di lire, potrebbe essere sufficiente ad integrare una falsa comunicazione sociale, in quanto il conto economico risulterebbe sicuramente falsato da un fatturato inferiore a quello reale, senza contare che anche l'eventuale dichiarazione dei redditi priva dei corrispettivi occultati ben potrebbe costituire una comunicazione sociale falsa e quindi punibile ai sensi della norma contenuta nel codice civile (191).

Qualsiasi dichiarazione mendace effettuata allo scopo di ottenere un'evasione d'imposta potrebbe così definirsi come comunicazione sociale dato che, essendo il Fisco interessato alle informazioni di carattere economico ed accertata la divergenza di essa rispetto alla situazione effettiva e reale, senz'altro la condotta tipica criminale risulterebbe sempre perfettamente integrata (192) e, allo stesso modo, non potrebbe ritenersi insussistente il dolo richiesto per le false comunicazioni sociali nell'ipotesi si credesse di porre il Fisco al pari di tutti gli altri soggetti destinatari dell'informazione societaria, così che il dolo di evasione non si differenzierebbe concretamente da quello di aggressione degli interessi economici degli altri creditori.

Tutto l'apparato normativo di carattere penale tributario risulterebbe, allora, praticamente superfluo ed inutile, almeno per quelle fattispecie che, per essere integrate, presuppongono pure la mendacità del bilancio o la falsità di una qualche comunicazione derivante dalla società, poiché la normativa penale tributaria avrebbe, al più, potuto svolgere un qualche ruolo nei confronti di soggetti diversi dalle società soggette a registrazione, mentre per queste il mendacio rivolto al Fisco, così come quello rivolto al creditore o al socio, avrebbe sempre costituto una falsa comunicazione sociale (193).

Anche nei casi delle false comunicazioni inserite in questionari fiscali e della falsa risposta data, sia pure oralmente (194) ma comunque ufficialmente, dall'amministratore di società al funzionario della pubblica amministrazione, pur non costituendo illecito rilevante ai sensi di alcuna disposizione della legge 7 agosto 1982 n.516, potrebbe ritenersi integrato il delitto di false comunicazioni sociali, specie in considerazione del fatto che il principio di specialità non opera tra illecito penale ed illecito amministrativo tributario per la preclusione dell'applicabilità dell'art.9 della legge 24 novembre 1981 n.689 sancita dall'art.39 della stessa legge (195).

Nel caso di omessa annotazione di ricavi, sussisterebbe l'applicabilità del falso fintanto che la condotta evasiva restasse sotto la soglia dei cinquanta milioni di lire, superata la quale interverrebbe la norma prevista dall'art. 1, comma secondo, della legge 7 agosto 1982 n.516, che andrebbe praticamente a sostituire un grave delitto con una semplice contravvenzione oblazionabile, con la conseguenza, inoltre, che un'evasione di novantanove milioni sarebbe sostanzialmente equiparabile ad un illecito amministrativo, mentre la medesima condotta di evasione effettuata per importi anche assai inferiori andrebbe a costituire un grave delitto, così che l'intero sistema penale tributario fungerebbe da normativa agevolativa nei confronti degli evasori.

Dovendo interpretarsi la disciplina posta dalla legge 7 agosto 1982 n.516 come sistema normativo speciale rispetto al delitto di false comunicazioni sociali, si dovrebbe concludere che esso lo è nel senso di favorire chi evade, con la paradossale conseguenza che qualunque organo di società sottoposta all'obbligo di registrazione che decidesse di mentire al Fisco, dovrebbe auspicare di integrare sempre un illecito penale a carattere tipicamente tributario al fine di sottrarsi ai più gravi pregiudizi derivanti dall'applicazione dell'art.2621 del codice civile (196).

A conferma, invece, della contraria tesi, secondo la quale, se non può porsi in discussione il fatto che la lettera di tale norma non esclude espressamente l'erario dai soggetti tutelati appare altrettanto indiscutibile che ad una eguale conclusione può agevolmente giungersi semplicemente mediante una lettura sistematica di entrambe le norme in esame, può trarsi quanto è ricavabile dall'analisi del comma quinto dell'art.1 del DPR 20 gennaio 1992 n.23 che stabilisce l'amnistia dei reati previsti dall'art.2621 c.c., ove tali crimini siano stati commessi per eseguire od occultare taluno dei reati previsti in materia di imposte (197).

Con tale norma è stata, infatti, concessa amnistia ai delitti di false comunicazioni sociali commessi per occultare un precedente reato fiscale, in situazione quindi di coesistenza del reato tributario e del reato societario, di tal che risulta evidente che il beneficio concerne tutti i casi nei quali il reo ha agito in base a due distinti impulsi delittuosi, per aver aggredito tanto gli interessi del Fisco quanto quelli dei soci, creditori e terzi a questi parificati, con l'aggravante del nesso teleologico stabilita dall'art.61 n.2 del codice penale.

Posto che la norma contenuta nel codice civile e quella penale tributaria si differenziano, oltre che per il diverso elemento soggettivo, anche con riferimento a quello oggettivo (198), in quanto la seconda appare diretta a sanzionare soltanto i fatti materiali, mentre la prima occupa un campo d'azione senz'altro assai più ampio, prendendo in considerazione qualsiasi fatto in genere, le conseguenze dell'interpretazione che pone l'erario nella posizione di parte offesa nel delitto di falso in bilancio sarebbero, secondo l'anzidetto orientamento,  che le valutazioni mendaci non punibili a titolo di frode fiscale, diverrebbero sanzionabili, anche se commesse con esclusiva finalità di frode al Fisco, a titolo di falso in bilancio, in aperto contrasto con la precisa intenzione del legislatore il quale, con la legge 15 maggio 1991 n.154, aveva sicuramente voluto escludere la rilevanza penale delle valutazioni mendaci a titolo di frode fiscale (199)

L'incongruenza, rappresentata dal fatto che allora gli evasori fiscali rischierebbero di essere rinviati a giudizio per il reato di cui all'art.2621 c.c., chiamati a rispondere per condotte non sanzionate dalla norma speciale contenuta nell'art.4, lettera f), della legge 516/82, potrebbe, ad avviso di alcuni, comporsi includendo anche le false valutazioni del magazzino o di beni strumentali nel concetto di fatti materiali sanzionati da quest'ultima disposizione, in quanto essa andrebbe così a coprire ogni ipotesi di sottovalutazione o sopravalutazione finalizzata all'evasione, residuando l'applicabilità della disposizione del codice civile soltanto laddove ne fosse ravvisabile il suo tipico elemento soggettivo (200).

Se, invece, in tali fatti materiali non possano includersi le valutazioni infedeli (201), è evidente che il problema resta aperto, dovendosi decidere se ciò che non è sanzionato dalla norma penale tributaria, configurata come disposizione speciale rispetto a quella civilistica, rientra o meno nell'ambito di operatività di quest'ultima.

E' facile osservare che se le false valutazioni dirette a scopo di evasione non possono includersi nell'ambito di applicazione dell'art.4, lettera f), della legge 516/82, ciò potrebbe costituire una prezioso escamotage per gli imputati ai quali, onde conseguire in concreto l'impunità, sarebbe sufficiente dichiarare, nei casi in cui tali false valutazioni fossero state effettivamente dirette a trarre in inganno soci e terzi, che le falsità erano invece dirette ad ingannare il Fisco (202).

Posto che l'elemento soggettivo che caratterizza la norma penale tributaria, non vi è dubbio che esso è costituito dal dolo specifico, rappresentato dallo scopo di realizzare un'evasione delle imposte sui redditi o dell'imposta sul valore aggiunto o il conseguimento di un indebito rimborso, ovvero di consentire l'evasione o l'indebito rimborso di terzi, quando allora il fine perseguito dall'agente risulterà essere esclusivamente quello di trarre in inganno il Fisco, dovrà necessariamente farsi ricorso all'art.4, lettera f), della legge 7 agosto 1982 n.516, delineandosi un'ipotesi di concorso apparente di norme da risolvere, mediante l'applicazione dell'art.15 c.p., nel senso della specialità del reato di frode fiscale quando il falso in bilancio è stato compiuto al solo fine di frodare il Fisco (203), posto comunque che le due fattispecie possono senz'altro concorrere in tutti i casi in cui il soggetto attivo del reato sia stato determinato a porre in essere la condotta delittuosa da un animus decipiendi rivolto non soltanto nei confronti dell'erario, ma anche nei rispetti di altri soggetti (204).

 

 

 

8) Prospettive di riforma del reato di false comunicazioni sociali

 

La riforma dell'art.2621, n.1, del codice civile, in senso parzialmente depenalizzante, costituisce allo stato l'oggetto del disegno di legge n.43340, che propone, tra l'altro, l'inserimento delle c.d. note integrative tra gli oggetti della falsità, in conseguenza della riforma della relativa normativa civilistica e la sostituzione dell'avverbio "fraudolentemente" con la nuova espressione "con intenzione fraudolenta".

Tale ultima modifica sarebbe diretta ad evidenziare, fugando ogni equivoco al riguardo, che per l'integrazione dell'elemento soggettivo del reato occorre un vero e proprio dolo specifico di frode, senza tuttavia giungere a chiarire finalmente quali sarebbero i soggetti nei rispetti dei quali la frode dovrebbe dirigersi, se la società soltanto o anche i soci e i terzi o pure il Fisco.

Scompare, inoltre, la fattispecie dell'esposizione di fatti non rispondenti al vero sulla costituzione della società, rilevando esclusivamente l'esposizione o l'occultamento di fatti concernenti le condizioni economiche di questa, mentre il mantenimento del riferimento ai fatti che debbono essere oggetto di esposizione o di occultamento lascia irrisolto, salvo orientarsi con le argomentazioni offerte dall'anzidetta giurisprudenza sul punto, il problema riguardante le valutazioni, non chiarendosi se queste possano esservi incluse o meno.

La riforma attribuisce poi rilievo penale esclusivamente a quei fatti che risultino effettivamente idonei a falsare la rappresentazione delle condizioni economiche della società, introducendo, con ciò, un requisito del tutto vago ed incerto, quale quello della rilevanza dei fatti rappresentati od omessi.

Pur essendo evidente il tentativo di evitare l'incriminazione per quelle ipotesi di fatti marginali e secondari, non implicanti una effettiva alterazione della rappresentazione delle condizioni economiche sociali, l'introduzione del concetto, per l'interpretazione del quale è lasciata larga discrezionalità al giudice, rischia di riproporre gli stessi equivoci e le medesime controversie interpretative che caratterizzarono, almeno sino all'intervento chiarificatore operato sul punto dalla Corte Costituzionale, quello del tutto analogo contenuto nell'abrogato n.7 dell'art.4 della legge 7 agosto 1982 n.516 (205)

 

 

 

NOTE:

 

(1)

Finzi, I reati di falso, II, Torino, 1920,71-240;

Antolisei, Sull'essenza dei delitti contro la fede pubblica. Studi in memoria di Arturo Rocco, I, Milano, 1952, 95 e s.;

Proto, Il problema dell'antigiuridicità del falso documentale, Palermo, 1951, 25-48.

 

(2)

Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Vol.VI, Cap.XXIII, Torino, 1983, 503;

 

(3)

Carnelutti, Teoria del falso, Padova, 1935,138 e s.;

Lombardi, Delitti contro la fede pubblica, Milano, 1935, 223 e s.;

Copelli, Il delitto di falso documentale, Bologna, 1911, 118 s.

  

(4)

Borettini, Il documento nel diritto penale, Padova, 1936;

Mirto, La falsità in atti, Milano, 1955, 87 e s.;

Malinverni, Teoria del falso documentale, Milano, 1958, 8 e s..

 

(5)

Manzini, Trattato, op.cit., Vol.VI, Cap.XXIII, op.cit., 681;

Contra: Carnelutti, Teoria, op.cit.,139. Secondo l'autore per documento dovrebbe intendersi qualunque cosa idonea alla rappresentazione di un fatto.

 

(6)

Cass.,Sez V, 8 ottobre 1986, in "Cass.pen.", 1988, 442;

Cass.,Sez V, 19 marzo 1980, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 1203;

Cass.,Sez V, 25 ottobre 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 419;

Cass.,Sez V, 19 maggio 1978, in "Giust.pen.", 1979, II, 403;

Cass.,Sez V, 13 marzo 1975, in "Cass.pen.Mass.", 1976, 364.

 

(7)

Il falso in giudizio determina il reato di falsità in atti solo se ha ad oggetto un documento, sempreché non ricorra la fattispecie dell'art.374 c.p.

 

(8)

Cass.,Sez.III, 24 gennaio 1979, in "Giust.pen.", 1979, 1543.

 

(9)

Cass.,Sez.V, 17 marzo 1978, in "Giust.pen.", 1979, II, 94.

 

(10)

Come prevedono ad esempio l'art.67 del regolamento 10 settembre 1914 n.1326 ed il D.L. 19 dicembre 1936 n.2380 in ordine all'uso dell'inchiostro indelebile per la redazione degli atti originali da parte dei notai ed alla consistenza degli inchiostri da utilizzarsi per la redazione di alcuni atti ricevuti da notai o da altri pubblici ufficiali.

 

 

(11)

Sull'uso della dattilografia vedasi gli artt.25 e 28 dell'ordinamento dello stato civile 9 luglio 1939 n.1238 ed il D.M. 18 novembre 1967.

 

(12)

Pretura di Ascoli Satriano, 17 marzo 1978, in "Riv. it. dir. proc.pen.", 1928, 479.

 

(13)

Franceschielli, Il principio generale della protezione dei segni di identificazione delle cose, in "Riv.it.sc.giur.", 1938, 120 e s..

 

(14)

Cass., 25 febbraio 1937, in "Riv.pen", 1937, 746;

Cass., 27 ottobre 1933, in "Giust.pen.", 1934, II, 174.

Quanto ai disegni, ricorre la falsità allorché la firma apposta sulla riproduzione, costituente perciò scrittura agli effetti del falso documentale, ha il fine di provare che la creazione o la sua riproduzione appartiene all'autore originale; così: Cass.,Sez V, 19 maggio 1978, cit..

Quanto alle planimetrie redatte da liberi professionisti necessarie per il rilascio della concessione edilizia, la esecuzione non corrispondente alla realtà integra il falso ideologico ai sensi dell'art.481 c.p. ascrivibile a carico del professionista, quale soggetto esercente un servizio di pubbllica necessità. Così: Tribunale di Torino, 22 ottobre 1981, in "Giur.it.", 1982, II, 362; Pretura di Torino, 22 ottobre 1981, in "Riv.notar.", 1982, 871; contra: Cass.,Sez V, 28 giugno 1978, in "Giur.it.", 1979, II, 390.

Del reato è chiamato a rispondere il privato, ai sensi degli artt. 48 e 480 c.p., allorquando esibisca a corredo della domanda una falsa planimetria, inducento così in inganno il pubblico ufficilale; così: Cass.,Sez V, 2 luglio 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 418. In tal caso, senza la rilevanza dell'errore, il privato non potrebbe rispondere del reato, essendo ravvisabile a suo carico soltanto una falsità ideologica in scrittura privata e come tale non  punibile. Così: Cass.,Sez V, 3 dicembre 1976, in "Giust.pen.", 1977, II, 416; cfr.: Nizzoli, Sulla responsabilità nella falsità ideologica determinata da inganno, in "Cass.pen.", 1994, 1484.

 

 

(15)

Cass., 16 luglio 1934, in "Giust.pen.", 1935, II, 343:

Nel senso che il rilascio di una carta d'identità in bianco non è punibile a titolo di falso documentale, se pure vi sia stata l'apposizione della fotografia e del timbro municipale: Cass., 13 novembre 1961, in "Cass.pen.Mass.", 1962, 218.

 

(16)

Cass., 14 agosto 1919, in "Giur.it", 1919, I, 1, 1045.

 

(17)

Cass., 17 ottobre 1973, in "Cass.pen.Mass.", 1974, 782;

Cass., 9 novembre 1942, in "Giust.pen.", 1943, II, 191;

Cass., 22 marzo 1939, in "Giust.pen.", 1940, II, 113;

Cass., 13 luglio 1934, in "Giust.pen.", 1935, II, 343.

 

(18)

Cass.,Sez.V, 25 settembre 1980, in "Giust.pen.", 1981, II, 295.

 

(19)

Cass.,Sez.V, 1 febbraio 1984, in "Mass.uff.", 1984, m.153629;

Cass.,Sez.V, 16 ottobre 1984, in "Mass.uff.", 1984, m.166728;

Cass., Sez.Un., 10 ottobre 1981, in "Giust.pen.", 1982, II, 65;

Cass., Sez.I, 28 settembre 1978, in "Giust.pen.", 1979, II, 459;

Cass.,Sez.V, 24 novembre 1978, in "Cass.pen.Mass.", 1980, 694.

 

(20)

Dinacci, Profili sistematici del falso documentale, 1979, 69 e 91;

Nappi, Documenti pubblici e delitti di falso, in "Giur.it.", 1982, II, c.193;

Cass., Sez.Un., 10 ottobre 1981, cit.;

Cass.,Sez.V, 7 ottobre 1984, in "Mass.uff.", 1984, m.163725.

 

(21)

Cass.,Sez.V, 6 ottobre 1977, in "Giur.it.", 1979, II, 279;

Cass.,Sez.V, 5 maggio 1976, in "Giust.pen.", 1977, II, 258.

Contra: Cass.,Sez.V, 13 novembre 1980, in "Giur.it.", 1982, II, 194.

 

(22)

Cass., 19 marzo 1980, cit.;

Cass., 13 marzo 1975, cit.;

Cass., 20 dicembre 1939, in "Giust.pen.", 1940, II, 390;

Cass., 16 ottobre 1934, in "Giust.pen.", 1934, II, 140.

 

(23)

Cass., 8 ottobre 1986, cit..

 

(24)

Cass., 19 marzo 1980, cit.;

Cass.,Sez.V, 13 marzo 1975, cit.;

Cass., 6 dicembre 1940, in "Riv.pen.", 1941, m.84;

Cass., 16 aprile 1934, in "Giust.pen.", 1934, II, 982;

Copelli, Il delitto, op.cit., 404-413;

Lombardi, Delitti, op.cit., Milano, 1935, 143;

Mirto, La falsità, op.cit., p.258;

Galiani, Falsità in scrittura privata, Napoli, 1970.

 

(25)

Cass.,Sez.V, 8 aprile 1983, in "Giust.pen.", 1984, II, 219;

Cass.,Sez.V, 11 febbraio 1983, in "Cass.pen.", 1984, 1116;

Cass.,Sez.V, 17 novembre 1982, in "Giust.pen.", 1983, II, 493;

Cass.,Sez.V, 6 luglio 1981, in "Cass.pen.", 1982, 1972;

Cass.,Sez.V, 19 giugno 1981, in "Cass.pen.", 1982, 1974;

Cass.,Sez.V, 7 maggio 1981, in "Giust.pen.", 1982, II, 333;

Cass.,Sez.V, 6 novembre 1975, in "Giust.pen.", 1976, II, 508;

Cass.,Sez.V, 26 marzo 1975, in "Cass.pen.Mass.", 1976, 1028;

Cass.,Sez.V, 6 ottobre 1977, cit..

 

(26)

Cass.,Sez.III, 24 marzo 1986, in "Mass.uff.", 1986, m.172716;

Cass.,Sez.III, 19 febbraio 1982, in "Cass.pen.", 1983, 1124;

Cass.,Sez.III, 27 aprile 1982, in "Riv.it.dir. e proc.pen.", 1983, 1145.

 

(27)

Filié, Ancora in tema di differenze tra falso materiale e falso ideologico, in "Riv.it.dir. e proc.pen.", 1983, 1146.

Cass.,Sez.V, 1 giugno 1984, in "Mass.uff.", 1984, m.165367.

 

(28)

Ancorché tali azioni s'identifichino nel concetto di falsificazione, costituendo identico titolo di reato, si tratta indubbiamente di fatti in se stessi diversi: contestata perciò l'accusa di contraffazione, potrà certo seguire condanna per alterazione, rappresentando quest'ultima una contraffazione parziale, ma contestato il fatto dell'alterazione, non potrà seguire condanna per contraffazione senza l'osservanza del secondo comma dell'art.521 del codice di procedura penale. Ove invece il fatto contestato rimanga identico alla contestazione di falsità in atto pubblico potrà seguire condanna per falsità in scrittura privata o viceversa, trattandosi solo di diversa definizione giuridica del fatto ammessa dal primo comma della citata disposizione. Cfr. Manzini, Trattato, op.cit., Vol.VI, Cap.XXIII, op.cit., 844.

 

(29)

Cass.,Sez.V, 19 maggio 1978, cit.;

Cass., 14 ottobre 1975, in "Cass.pen.Mass.", 1976, 1030;

Cass., 21 gennaio 1961, in "Giust.pen.", 1961, II, 918;

Cass., 11 dicembre 1954, in "Giust.pen.", 1955, II, 463;

Cass., 9 novembre 1942, cit.;

Cass., 3 aprile 1940, in "Riv.pen.", 1940, m.501;

Cass., 7 dicembre 1925, in "Giust.pen.", 1926, 217.

 

 

(30)

Manzini, Trattato, op.cit., Vol.VI, Cap.XXIII, op.cit., p.825.

L'immutazione del vero rileva solo in senso strettamente materiale, restando del tutto esclusa nel caso della formazione ex novo del documento falsificato ove non preesiste alcuna realtà da poter immutare.

 

(31)

Cass.,Sez.V, 8 marzo 1977, in "Cass.pen.Mass.", 1978, 991;

 

(32)

Cass., 30 ottobre 1958, in "Riv.it.dir.proc.pen.", 1959, 952;

 

(33)

Cass.,Sez.VI, 9 aprile 1992, in "Cass.pen.Mass.", 1992, fasc.9,99;

Cass.,Sez.V, 24 novembre 1983, in "Mass.uff.", 1984, m.162428;

Cass.,Sez.II, 27 ottobre 1982, in "Mass.uff.", 1983, m.164356;

Cass., 23 maggio 1980, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 1991;

Cass., 22 maggio 1975, in "Cass.pen.Mass.", 1976, 1027;

Cass., 5 dicembre 1959, in "Riv.pen.", 1960, II, 286.

 

(34)

Cass.,Sez.V, 3 luglio 1989, in "Cass.pen.", 1991, 560;

Cass.,Sez.V, 3 luglio 1984, in "Cass.pen.", 1985, 640.

 

(35)

Cass.,Sez.V, 2 ottobre 1990, in "Giust.pen.", 1991, II, 552;

Cass.,Sez.V, 18 dicembre 1987, in "Mass.uff.", 1988, m.179615;

Cass.,Sez.V, 31 ottobre 1986, in "Mass.uff.", 1986, m.176627;

Cass.,Sez.II, 30 gennaio 1986, in "Mass.uff.", 1986, m.173257;

Cass.,Sez.V, 29 maggio 1985, in "Mass.uff.", 1985, m.170781;

Cass.,Sez.V, 17 maggio 1985, in "Giust.pen.", 1985, II, 664;

Cass.,Sez.III, 29 ottobre 1981, in "Giust.pen.", 1983, II, 95;

Cass.,Sez.V, 2 febbraio 1979, in "Riv.pen.", 1980, 45.

 

(36)

Cass.,Sez.V, 5 aprile 1978, in "Giust.pen.", 1979, II, 606;

Cass.,Sez.V, 13 dicembre 1974, in "Giust.pen.", 1976, II, 40.

 

(37)

Cass.,Sez.V, 3 luglio 1989, cit.;

Cass.,Sez.II, 30 settembre 1986, in "Mass.uff.", 1987, m.175102;

Appello Milano, 17 ottobre 1988, in "Rass.trib.", 1989, II, 356.

Cass.,Sez.V, 17 aprile 1986, in "Cass.pen.", 1987, 726;

Cass.,Sez.VI, 31 ottobre 1986,cit.;

Cass.,Sez.V, 17 gennaio 1985, in "Giust.pen.", 1985, II, 604;

Cass.,Sez.II, 27 ottobre 1983, in "Mass.uff.", 1984, m.164356;

Cass.,Sez.VI, 19 marzo 1980, cit.;

Cass.,Sez.V, 28 ottobre 1980, in "Cass.pen.", 1982, 932;

Cass.,Sez.V, 9 maggio 1980, in "Giust.pen.", 1981, II, 296;

Cass.,Sez.V, 10 luglio 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 417;

Cass.,Sez.V, 14 marzo 1978, in "Giust.pen.", 1979, II, 93;

E' stato ritenuto che anche in caso di falso ideologico in atto pubblico può configurarsi l'ipotesi di reato impossibile per assoluta inidoneità dell'azione. Così: Cass.,Sez.V, 24 novembre 1983, in "Giust.pen.", 1984, II, 477; contra: Appello di Bologna, 3 maggio 1983, in "Crit.pen.", 1985, 68.

 

 

(38)

Tribunale di Vercelli, 12 dicembre 1992, in "Giur.merito", 1994, II, 339;

Cass.,Sez.V, 5 luglio 1990, in "Giust.pen.", 1991, II, 468;

Cass.,Sez.V, 13 maggio 1987, in "Cass.pen.", 1988, 2073;

Cass.,Sez.V, 22 novembre 1975, in "Cass.pen.Mass.", 1977, 73;

Cass.,Sez.V, 5 marzo 1974, in "Cass.pen.Mass.", 1976, II, 364.

E' il caso in cui ad esempio sia aggiunta una firma falsa ad un documento già idoneo a conseguire il suo scopo per la presenza di precedente genuina sottoscrizione o sia alterato il testo di un atto senza tuttavia alcuna modifica del suo significato e della sua portata originari.

E' stata tuttavia sostenuta l'inconcepibilità del falso innocuo per i documenti pubblici, essendo in tal caso indefettibile il pregiudizio del bene giuridico tutelato, a meno che esso non incida su un documento inesistente o assolutamente nullo. Così: Cass.,Sez.V, 3 novembre 1988, in "Giur.it.", 1990, II, 100.

 

(39)

Manzini, Trattato, op.cit., Vol.VI, Cap.XXIII, op.cit., pagg.868 e 869;

Carnelutti, Teoria, op.cit., p.157;

Copelli, Il delitto, op.cit., p.194 e s.;

Lanza, Falso ideologico, in "Giust.pen.", XIV, 1908, fasc.34-35;

Battaglini, Osservazioni sulla falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, in "Giust.pen.", 1956, II, 362;

Malinverni, Falso ideologico in protesto cambiario, in "Riv.it.dir.pen.", 1956, 167;

Ramacci, La falsità ideologica nel sistema del falso documentale, Napoli, 1965.

 

(40)

Cass., 7 aprile 1979, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 527;

Cass., 22 novembre 1979, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 1021;

Cass., 11 giugno 1959, in "Giust.pen.", 1960, II, 7.

Negli atti pubblici a contenuto dispositivo, includenti cioè non l'attestazione dell'attività compiuta dal pubblico ufficiale ma soltanto una manifestazione di volontà in ordine ad un determinato oggetto, il falso ideologico è configurabile esclusivamente allorquando la falsità cada su di un necessario presupposto di fatto che, come tale, rientra anch'esso nella funzione probatoria del documento e nel correlativo obbligo di veridicità del pubblico ufficiale. Così:

Cass.,Sez.V, 25 marzo 1992, in "Giust.pen.", 1992, II, 588;

Cass.,Sez.V, 7 marzo 1989, in "Cass.pen.", 1991, I, 1774;

Cass.,Sez.V, 4 febbraio 1987, in "Giust.pen.", 1987, II, 159;

Cass.,Sez.V, 16 dicembre 1986, in "Cass.pen.", 1988, 1018;

Cass.,Sez.V, 24 giugno 1984, in "Giust.pen.", 1984, II, 219;

Cass.,Sez.V, 30 settembre 1983, in "Giur.it.", 1985, II, 29;

Cass.,Sez.V, 25 febbraio 1983, in "Giust.pen.", 1984, II, 32.

 

 

(41)

Cass., 27 ottobre 1978, in "Cass.pen.Mass.", 1980, 362;

Cass., 3 dicembre 1976, cit.;

Cass., 2 luglio 1965, in "Cass.pen.Mass.", 1966, 376.

 

(42)

Cass., 5 marzo 1951, in "Giust.pen.", 1951, II, 735.

In caso di falsità materiale potrà aversi concorso tra le due fattispecie criminose. Così: Cass.,Sez.III, 16 dicembre 1988, in "Cass.pen.", 1990, I, 1510.

 

(43)

Cass., 28 gennaio 1980, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 762;

Cass., 18 febbraio 1957, in "Giust.pen.", 1957, II, 422.

 

 

(44)

Cass., 24 febbraio 1949, in "Riv.pen.", 1949, 533;

Cass., 21 dicembre 1942, in "Riv.pen.", 1943, 120;

Cass., 6 dicembre 1939, in "Giust.pen.", 1940, II, 456.

Il legislatore del 1930 ha eliminato la condizione di punibilità del fatto costituito dalla possibilità di pubblico o privato nocumento stabilita nel previgente codice del 1889 considerandola superflua dato che, trattandosi sempre di scrittura giuridicamente rilevante, la possibilità di pubblico o privato nocumento inerisce sempre e necessariamente alla falsità.

 

(45)

Cass.,Sez.V, 9 dicembre 1987, in "Giust.pen.", 1989, II, 25;

Cass., 14 maggio 1962, in "Cass.pen.Mass.", 1962, 1072;

Cass., 4 dicembre 1961, in "Cass.pen.Mass.", 1962, 423;

Cass., 26 gennaio 1956, in "Giust.pen.", 1956, II, 400;

Cass., 8 febbraio 1929, in "Riv.it.dir.pen.", 1929, 576.

 

(46)

Cass., 27 gennaio 1955, in "Riv.pen.", CIII, 28.

 

(47)

Cass., 25 giugno 1975, in "Cass.pen.Mass.", 1976, 1029;

Cass., 27 maggio 1925, in "Riv.pen.", CIII, 28;

 

(48)

Cass.,Sez.II, 24 ottobre 1983, in "Mass.uff.", 1984, m.163365;

Cass.,Sez.V, 16 giugno 1983, in "Cass.pen.", 1985, 79;

Cass.,Sez.V, 7 luglio 1978, in "Cass.pen.Mass.", 1980, 364.

Cass.,Sez.V, 8 febbraio 1977, in "Cass.pen.Mass.", 1978, 353;

 

(49)

Cass., 14 ottobre 1981, in "Giust.pen.", 1982, II, 649;

Cass., 2 ottobre 1979, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 1024;

Cass., 21 novembre 1959, in "Riv.it.dir.proc.pen.", 1960, 1241;

Cass., 27 luglio 1929, in "Riv.it.dir.pen.", 1930, 42;

Cass., 11 luglio 1957, in "Giust.pen.", 1958, II, 48.

 

(50)

Cass.,Sez.V, 24 marzo 1993, in "Cass.pen.", 1994, 1843;

Cass.,Sez.V, 26 giugno 1984, in "Mass.uff.", 1984, m.163019.

Cass.,Sez.V, 11 ottobre 1979, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 1022;

Cass.,Sez.V, 6 giugno 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 220;

 

(51)

De Marsico, Il dolo nei reati di falsità in atti, in Scritti in memoria di E.Massari, Napoli 1937;

Antolisei, Sull'essenza, op.cit.,625;

Sabatini, Orientamenti circa il dolo nei delitti di falsità in atti, in "Giust.pen.", 1955, II, 97;

Cordero, Appunti sui concetti di danno e di dolo in tema di falso in atto pubblico, in "Giur.it.", 1935, II, 19;

Della Valle, Appunti sul dolo nei delitti di falsità in atti pubblici, in "Giur.compl.cass.pen.", 1954, 3in "Giust.pen.", 17;

Conti, Dolo e immutatio veri nel falso in atto pubblico, in "Giur.it.", 1955, II, 305;

Pannain, Appunti in tema di dolo e di oggettività giuridica nella falsità in atti, in Studi Antolisei, Vol.I, Milano, 1965, p.413 e s.;

Padovani, La coscienza dell'offesa nel dolo di falso: un requisito ad pompam?, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 1542 e s..

Cass.,Sez.V, 27 gennaio 1993, in "Cass.pen.", 1994, 1847;

Cass.,Sez.V, 14 aprile 1992, in "Cass.pen.", 1993, 300;

 

(52)

Nel senso che la condotta omissiva è configurabile solo nella falsità ideologica e non nel falso materiale, salvo il caso previsto dall'art.40 secondo comma del codice penale: Cass., 24 aprile 1940, in "Riv.pen.", 1940, m.563 e Cass.,Sez.VI, 11 gennaio 1974, in "Foro it.", 1981, 527.

 

(53)

Cass.,Sez.V, 25 novembre 1986, in "Mass.uff.", 1987, m.176320;

Cass.,Sez.V, 20 novembre 1984, in "Mass.uff.", 1985, m.167838;

Cass.,Sez.V, 27 ottobre 1981, in "Cass.pen.", 1983, II, 288;

Cass.,Sez.V, 17 ottobre 1980, in "Cass.pen.", 1982, 251;

Cass.,Sez.V, 18 maggio 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 281;

Cass.,Sez.V, 13 giugno 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 281.

 

(54)

Cass.,Sez.V, 10 ottobre 1984, in "Giust.pen.", 1985, II, 626;

Cass.,Sez.V, 10 dicembre 1982, in "Mass.uff.", 1983, m.157653;

Cass.,Sez.V, 20 giugno 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 281;

Cass.,Sez.V, 2 febbraio 1978, in "Cass.pen.Mass.", 1979, 806.

 

(55)

Cass.,Sez.V, 16 giugno 1983, in "Giust.pen.", 1984, II, 220;

Cass.,Sez.V, 24 marzo 1982, in "Giust.pen.", 1983, II, 231;

Cass., 2 giugno 1940, in "Riv.pen.", 1940, Mass.719;

Cass., 26 gennaio 1934, in "Giust.pen.", 1934, II, 992.

 

(56)

Cass.,Sez.V, 19 ottobre 1992, in "Cass.pen.", 1993, 1708;

Cass.,Sez.V, 21 maggio 1992, in "Cass.pen.", 1992, fasc.12, 71;

Cass.,Sez.V, 19 ottobre 1992, in "Cass.pen.", 1993, 1708;

Cass.,Sez.V, 28 novembre 1991, in "Cass.pen.", 1993, 304;

Cass.,Sez.V, 22 novembre 1988, in "Giust.pen.", 1989, II, 682;

Cass.,Sez.VI, 24 maggio 1988, in "Cass.pen.", 1989, 1465;

Cass.,Sez.V, 19 febbraio 1987, in "Cass.pen.", 1988, 1019;

Cass.,Sez.V, 20 marzo 1984, in "Mass.uff.", 1984, m.164740;

Cass.,Sez.V, 27 ottobre 1981, cit.;

Cass.,Sez.V, 17 ottobre 1980, cit.;

Cass.,Sez.V, 24 giugno 1980, in "Giust.pen.", 1980, II, 297;

Cass.,Sez.VI, 5 novembre 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 700;

Cass.,Sez.V, 13 giugno 1979, in "Cass.pen.Mass.", 1980, 1535;

Cass.,Sez.V, 4 ottobre 1979, in "Riv.notar.", 1980, 459;

Cass.,Sez.V, 2 febbraio 1978, in "Giust.pen.", 1978, II, 584.

 

(57)

Cass.,Sez.V, 25 gennaio 1979, in "Cass.pen.Mass.", 1980, 1280;

Cass.,Sez.V, 23 maggio 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 170;

Cass.,Sez.V, 6 novembre 1975, in "Giust.pen.", 1976, II, 427.

 

(58)

Azzariti, Le disposizioni penali relative alle società commerciali, in "Ann.dir.proc.pen.", 1932, 22;

Rende, Disposizioni penali in materia di società e di consorzi, in "Commentario al codice civile" a cura di Scialoja e Branca, Bologna,1947;

Dezzani, Falso in bilancio. Elemento materiale del reato: falso tecnico, in "Impresa", 1990, 1951;

Pisapia, Il reato di false comunicazioni sociali, in "Riv.it.dir.pen.", 1954, 768;

Zuccalà, Il delitto di false comunicazioni sociali, Padova, 1954;

Mirto, Il diritto penale delle società, Milano, 1954;

Tondo, Il delitto di falso nei bilanci, nelle realzioni od in altre comunicazioni sociali, in "Rass.giur.umbra". 1955, 3;

Pedrazzi, Un concetto controverso: le 'comunicazioni sociali', in "Riv.it.dir.pen.", 1956, 519;

Pisapia, Il dolo nel reato di falsità in bilancio, in "Riv.it.dir.pen.", 1956, 519;

Zuccalà, Precisazioni e rilievi sul delitto di false comunicazioni sociali, in "Riv.soc.", 1964, 293;

Pedrazzi, Economia pubblica, industria e commercio (delitti contro la), in "Enc.dir.", XIV, Milano, 1965;

Bartulli, Tecnica di redazione del bilancio e norme incriminatrici, in "Riv.it.dir.e proc.pen.", 1970, 297;

Morselli, Il reato di false comunicazioni sociali, Napoli, 1974;

Musco, Bilanci 'anomali' e false comunicazioni sociali: identificazione inevitabile, in "Giur.comm.", 1981, II, 499;

Mazzacuva, False comunicazioni sociali e bene giuridico protetto, in "Foro it.", 1984, II, 304;

Tagliarini, Le disposizioni penali in materia di società e consorzi, in "Trattato di diritto privato", diretto da Rescigno, XVII, Torino, 1985;

La Monica, voce Reati societari, in "Enc.dir.", XXXVIII, Milano, 1987;

Conti, Disposizioni penali in materia di società e di consorzi, in "Commentario al codice civile" a cura di Scialoja e Branca, Bologna,1988;

Zanotti, False comunicazioni sociali, una controversia in via di soluzione, in "Giur.comm.", 1988, I, 85;

Zuccalà, Le false comunicazioni sociali. Problemi antichi e nuovi, in "Riv.trim.dir.pen.ec.", 1989, 722;

Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari. I reati ed illeciti depenalizzati fallimentari, societari e bancari, Milano, 1990, 317;

Palladio-Sassani, Brevi note in tema di false comunicazini sociali (c.d. falso in bilancio), in "Impresa", 1991, 2273;

Azzali, Caratteri e problemi del delitto di false comunicazioni sociali, in "Dir.pen.ec.", 1992, 365;

Di Raimo, Unicità del bene giuridico e dolo di frode nel reato di false comunicazioni sociali, in "Cass.pen.", 1992, 291;

Sette, Problemi attuali in tema di false comunicazioni sociali, in "Cass.pen.", 1994, 1365;

Sette, In tema di false comunicazioni sociali, in "Cass.pen.", 1996, 1614;

Corciulo, False comunicazioni sociali e titpcità dell'illecito, in "Riv.pen.ec.", 1996, 244;

Graziano, Il reato di 'falso in bilancio (consolidato)', in "Soc.", 1996, 1126;

Superti Furga, Il falso in bilancio nella prospettiva economico-aziendale, in "Giur.comm.", 1996, I, 217;

Bellini, Note sul falso in bilancio negli elementi valutativi, in "Riv.pen.", 1996, 283;

Colombo, La 'moda' dell'accusa di faso in bilancio nelle indagini delle Procure della Repubblica, in "Riv.soc.", 1996, 713;

Pezzuto, Valutazioni di bilancio e falsità penalmente rilevanti nelle comunicazioni sociali, in "Impresa comm.ind.", 1998, 205;

Gallo, La responsabilità penale degli amministratori delle holding in relazione all'ipotesi di falso in bilancio, ivi, 220.

 

 

(59)

Rende, Disposizioni, op.cit., 464;

Zuccalà, Il delitto, op.cit., 91;

Fais, Falsità nei bilanci e nelle scritture commerciali, Milano, 1958, 71.

Contra: Spasari, Fede pubblica e prova nel sistema del falso documentale, Milano, 1963, 97; Patalano, Bene giuridico e dolo nel delitto di false comunicazioni sociali, in "Foro pen.", 1968, 224; La Monica, voce Reati societari, op.cit., 952.

Nel senso che le fattispecie considerate nel codice civile sarebbero reati contro il patrimonio, complementari alle figure del codice penale, estrinsecantesi  in fatti di infedele amministrazione posti in violazione o minaccia della situazione patrimoniale della società: Rovelli, Disciplina penale dell'impresa, Milano, 1953

Nel senso che il reato sarebbe lesivo dell'interesse patrimoniale per la garanzia dei creditori socieli: Nuvolone, L'infedeltà patrimoniale nel diritto penale, Milano, 1942, 109; per lo stesso autore più tardi, il reato sarà ritenuto diretto a pregiudicare invece il bene dell'economia pubblica: Nuvolone, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955.

 

(60)

Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, op.cit.;

Conti, Disposizioni, op.cit., 191;

Tagliarini, Le disposizioni, op.cit., 958.

Cass., 20 novembre 1995, in "Cass.pen.", 1996, 2383;

Cass., 26 settembre 1994, in "Riv.trim.dir.pen.ec.", 1996, 692;

Cass., 27 aprile 1988, in "Riv.trim.dir.pen.ec.", 1989, 595;

Cass., 11 dicembre 1984, "Riv.trim.dir.pen.ec.", 1988, 399;

Cass., 1 dicembre 1982, in "Cass.pen.", 1984, 719;

Cass., 5 ottobre 1979, in "Fall.", 1980, 212;

Cass., 13 dicembre 1978, in "Cass.pen.", 1980, 1228;

Cass., 11 maggio 1965, in "Giust.pen.", 1965, I, 790;

Cass., 15 novembre 1963, in "Giust.pen.", 1964, II, 582;

Cass., 13 novembre 1962, in "Giust.pen.", 1963, II, 117.

 

 

(61)

Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, op.cit., 320.

 

(62)

Cass., 27 aprile 1988, cit.;

Cass., 11 dicembre 1984, cit.;

Cass., 1 dicembre 1982, cit.;

 

(63)

Cass, 15 novembre 1963, cit.;

Cass., 13 gennaio 1981, in "Giust.pen.", 1981, II, 648

 

(64)

Cass., 25 ottobre 1990, in "Dir.pen.ec.", 1992, 836;

Cass., 28 febbraio 1991, in "Dir.pen.econ.", 1992, 1252;

Cass., 15 novembre 1982, in "Riv.pen.", 1983, 1024;

Cass., 22 febbraio 1984, in "Giur.it.", 1985, II, 334.

 

(65)

Cass., 28 febbraio 1991, cit.;

Cass., 25 ottobre 1990, cit.;

Cass., 22 febbraio 1984, cit.;

Cass., 28 novembre 1966, in "Giust.pen.", 1967, II, 686;

 

(66)

Cass., 13 gennaio 1981, cit.

 

(67)

Mazzacuva, False comunicazioni, op.cit., 334.

Cass., 15 novembre 1982, cit.;

Cass., 29 aprile 1980, in "Riv.pen." 1981, 155;

Cass., 13 novembre 1962, cit..

 

(68)

Cass., 9 febbraio 1961, in "Giust.pen.", 1961, II, 605.

 

(69)

Rocco, Il dolo nella falsità dei bilanci delle società commerciali, in "Riv.pen.", 1941, I, 2;

Manzini, Trattato, op.cit., Vol.VI, Cap.XXIII, op.cit., 731;

Cass., 15 novembre 1963, cit.

 

(70)

Cass., 13 gennaio 1981, cit.

 

(71)

Cass., 13 dicembre 1983, in "Giur.it.", 1985, II, 66.

 

(72)

Cass., 18 novembre 1980, in "Giust.pen.", 1981, 398;

Cass., 13 dicembre 1978, cit.

 

(73)

Cass., 27 aprile 1988, cit..

 

(74)

Pedrazzi, Reati ed illeciti depenalizzati in materia di società, Torino, 1980, 209 e s.;

Conti, Diritto penale commerciale, I, Torino, 1980, 209 e s.;

Antolisei, Manuale di diritto penale commerciale, Parte speciale, II, ed.IX, Milano, 1986, 320 e s.;

Corrias Lucente, Il delitto di false comunicazioni sociali e le informazioni all'organo di vigilanza, in "Riv.trim.dir.proc.pen.econ.", 1990, 841.

Cass., 21 gennaio 1992, in "Riv.pen.", 1992, 637;

Cass., 28 febbraio 1991, cit.;

Cass., 8 novembre 1989, ivi, 1990, 841.

 

(75)

Cass., 8 novembre 1989, cit.;

Cass.,2 aprile 1988, in Riv.trim.dir.pen.econ.", 1989, 595;

Cass., 22 febbraio 1984, cit.

 

(76)

Alitalia, Sul rilievo penale della falsità del bilancio, nell'ipotesi di non conformità a scritture contabili genuine, in "Cass.pen.", 1997, 225.

Cass., 12 gennaio 1995, in "Cass.pen.", 1997, 223;

Cass., 27 aprile 1988, cit.;

Cass., 1 dicembre 1982, cit.;;

Cass., 5 ottobre 1979, cit.;

Cass., 18 giugno 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 356;

 

(77)

Cass., 12 luglio 1997, in "Il Sole 24Ore Guida al Diritto", 1997, n.37, 63.

 

(78)

Lanzi, Le false comunicazioni sociali nella giurisprudenza degli ultimi quindici anni (1960-1974), in "Ind.pen.", 1975, 277 e s.;

Nuvolone, Il bilancio delle società di fronte alla legge penale, Bilancio d'esercizio ed amministrazione delle imprese, in Studi in onore di P.Onida, Milano, 1981, 565.

Cass., 9 luglio 1962, in "Cass.pen.Mass.ann.", 1962, 1195;

Cass., 30 aprile 1958, in "Riv.pen.", 1959, II, 18.

 

(79)

Conti-Bruti Liberati, Esercizio di fatto dei poteri d'amministrazione e responsabilità penali nell'ambito delle società irregolari. Il diritto penale delle società commerciali, Milano, 1971, 127 e s.;

La Monica, Il delitto di false comunicazioni sociali, in "Riv.it.dir.proc.pen.", 1985, 129 e s.

Cass., 19 dicembre 1986, in "Riv.pen.", 1988, 91;

Cass., 8 novembre 1983, in "Riv.pen.", 1984, 652;

Cass., 21 ottobre 1976, in "Riv.pen.", 1977, 387;

Cass., 11 novembre 1975, in "Riv.pen.", 1977, 223;

Cass., 8 maggio 1964, in "Cass.pen.Mass.ann.", 1965, 131;

 

(80)

Tribunale di Roma, 22 luglio 1959, in "Foro it.", 1960, II, 211.

 

(81)

Cass., 19 aprile 1978, in "Cass.pen.Mass.ann.", 1980, 1230.

Tribunale di Roma, 7 maggio 1971, in "Foro it.", 1971, II, 597.

 

(82)

Cass., 19 marzo 1992, in "Cass.pen.", 1994, 1512.

 

(83)

Cass., 12 novembre 1992, in "Giust.pen.", 1993, II, 578.

 

(84)

Cass., 5 aprile 1966, in "Dir.fall.", 1967, II, 317.

 

(85)

Cass., 11 dicembre 1984, cit..

Tribunale di Roma, 19 aprile 1980, cit.

 

(86)

Cass., 22 febbraio 1971, in "Giur.it.", 1973, II, 73.

Tribunale di Roma, 29 aprile 1980, in "Foro it.Rep.", 1982, v.Soc., 284.

 

(87)

Mirto, Il diritto, op.cit., 155.

Cass., 13 novembre 1962, cit.

 

(88)

Cass., 9 marzo 1995, in "Giur.it.", 1996, II, 289;

Cass., 19 maggio 1983, in "Foro it.", 1984, II, 304.

 

(89)

Antolisei, Manuale di dirito penale. Leggi complementari, op.cit., 387.

 

(90)

Tribunale di Caltanissetta, 3 giugno 1985, in "Giust.pen.", 1987, II, 348.

 

(91)

Cass., 28 febbraio 1991, cit.;

Cass., 29 aprile 1980, cit.;

Cass., 16 ottobre 1978, in "Riv.pen.", 1979, 522;

Cass., 30 aprile 1958, cit.

 

(92)

Cass., 27 aprile 1992, in "Cass.pen.", 1992, 2624;

Cass., 15 novembre 1982, cit..

 

(93)

Cass., 29 aprile 1980,cit.;

Cass., 18 giugno 1979, cit..

 

 

(94)

Cass., 10 maggio 1996, in "Cass.pen.", 1996, 314;

Cass., 29 aprile 1980, cit.;

Cass., 16 ottobre 1978, cit.;

Cass., 14 novembre 1975, in "Foro it.", 1977, II, 171.

Contra: Pedrazzi, Un concetto, op.cit., 1567.

 

(95)

Cass., 8 novembre 1989, cit..

Contra: Pedrazzi, Profili penali dell'informazione societaria, in L'informazione societaria a cura di Alvisi, Balzarini, Calcano, Atti del convegno tenuto a Venezia, 1981, Milano, 1982, 1139.

 

(96)

Cass., 28 febbraio 1991, cit.

Tribunale di Milano, 28 novembre 1987, in "Banca, borsa, tit.cred.", 1989, II, 622.

Contra: Appello, Milano, 13 giugno 1990, in "Giur.di merito", 1991, 304; Crespi, La falsità nel prospetto informativo inviato alla Consob ex art.18 l. 7 giugno 1974, n.216, in "Riv.soc.", 1989, 1; Napoleoni, Falso in prospetto da sollecitazioni al pubblico risparmio: delitto o contravvenzione?, in "Cass.pen.", 1991, 2058.

 

(97)

Tribunale di Venezia, 9 ottobre 1996, in "Cass.pen.", 1997, 2265.

 

(98)

Cass., 28 novembre 1966, cit.

 

(99)

Musco, Bilanci e false comunicazioni sociali: identificazione inevitabile?, in "Giur.comm.", 1981, II, 500.

La Monica, Il delitto, op.cit., 471.

Tribunale di Milano, 23 febbraio 1970, in "Temi", 1970, 45.

 

(100)

Cass., 8 ottobre 1987, in "Inf.prev.", 1988, 1332.

 

(101)

Cass., 4 marzo 1968, in "Giust.pen.", 1969, II, 581.

 

(102)

Cass., 15 novembre 1982, cit.

 

(103)

Pedrazzi, Un concetto, op.cit., 1570;

Mazza, Bilancio tipo, sistema budgettario e false comunicazioni sociali, in "Giur.di merito", 1979, II, 968.

Cass., 1 luglio 1957, in "Riv.it.dir.proc.pen.", 1957, 1001.

 

(104)

Spolidoro, Conseguenze giuridiche della falsità o irregolarità del bilancio consolidato, in "Resp.civ.", 1993, 252 e s.

Cass., 9 luglio 1992, in "Cass.pen.", 1993, 2108;

Cass., 28 febbraio 1991, cit.

Cass., 8 febbraio 1989, in "Cass.pen.", 1991, 1627.

 

(105)

Tribunale di Roma, 29 marzo 1980, in "Foro it.", 1980, II, 326;

Tribunale di Roma, 11 aprile 1978, in "Foro it.", 1979, II, 251.

 

(106)

Alifuoco, Riflessioni sul bilancio tipo ed il delitto di false comunicazioni sociali, in "Giur.di merito", 1983, 715.

Appello, Roma, 14 ottobre 1981, in "Temi romana", 1982, 363.

 

(107)

Nuvolone, Il bilancio, op.cit., 648.

Lanzi, Le false comunicazioni, op.cit., 268.

Tribunale di Roma, 19 aprile 1980, in "Temi romana", 1980, 355.

 

(108)

Cass., 5 dicembre 1995, in "Cass.pen.", 1996, 2780.

Appello, Napoli, 5 dicembre 1988, in "Impresa", 1991, 391.

 

(109)

Cass., 19 giugno 1992, in "Cass.pen.", 1994, 403;

Cass., 11 dicembre 1991, in "Cass.pen.", 1993, 2177.

Contra: Cass., 14 dicembre 1994, in "Cass.pen.", 1995, 2695; Tribunale di Venezia, 2 febbraio 1994, in "Giur.it.", 1995, II, 268.

 

(110)

Antolisei, Manuale di diritto penale.Leggi complementari, op.cit., 289;

Fortuna, Manuale di diritto penale dell'economia, Padova, 1994, 157;

Perini, Valutazioni di bilancio e false comunicazioni sociali, in "Riv.trim.dir.pen.ec.", 1995, 535;

Siniscalchi, Operatori bancari. I reati connessi alla valutazione dei crediti e delle partecipazioni in imprese industriali, in "Riv.pen.econ.", 1995, I, 172.

 

 

(111)

Zuccalà, Il delitto, op.cit.;

Zuccalà, Le false comunicazioni, op.cit., 717.

Conti, Diritto, op.cit., 220;

Napoleoni, I reati societari, falsità nelle comunicazioni sociali e aggiotaggio societario, Milano, 1996, 168 e s.;

Napoleoni, Valutazioni di bilancio e false comunicazioni scociali: lineamenti di un'indagine dopo l'attuazione della IV direttiva Cee, in "Cass.pen.", 1994, 414;

Mazzacuva, I reati societari e la tutela del mercato mobiliare, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale, a cura di Bricola e Zagrebelsky, Torino, 1990, 37.

Di D'amato, Diritto penale dell'impresa, Milano, 1992, 116;

Musco, False comunicazioni sociali, in Trattato delle società per azioni, vol.IX, a cura di Colombo e Portale, Torino, 1994, 249.

 

(112)

Bartulli, Tre studi sulle falsità di bilancio ed altri scritti di diritto penale societario, Milano, 1980, 305

Zuccalà, Le false comunicazioni, op.cit., 733.

Cass., 14 maggio 1976, in "Riv.pen.", 1977

Cass., 13 febbraio 1969 n.484, in "Dir.fall.", 1969, 484;

Cass., 15 maggio 1953 n.1825, in "Foro it.", 1960, I, 1796.

Appello Napoli, 5 dicembre 1988, cit..

 

(113)

Cass., 14 maggio 1976, cit.

Tribunale di Roma, 19 aprile 1980, cit.

 

(114)

Tribunale di Roma, 29 aprile 1980, cit.

 

(115)

La Monica, Il delitto, op.cit., 477.

Tribunale di Cremona, 3 giugno 1983, in Rassegna di diritto societario (1981-1984), Disposizioni penali in materia di società e consorzi a cura di Crespi, "Riv.soc.", 1986, 88 e s.; Tribunale di Roma, 31 dicembre 1982, ivi; Tribunale di Verbania, 23 gennaio 1981, ivi.

Nel senso che in ipotesi di falso in bilancio mediante il quale vengono costituite tali riserve non sussisterebbe il reato per mancanza di dolo, se con la costituzione di tali accantonamenti sia stato perseguito un interesse sociale: Cass., 26 giugno 1962, in "Giust.pen.", 1963, II, 551. Nel senso che non sussisterebbe il reato per omessa indicazione nelle poste di bilancio di un istituto bancario di riserve aziendali, ove l'accantonamento sia stato effettuato allo scopo di salvaguardare la compagine finanziaria dello steso istituto senza finalità di profitto personale o di terzi da parte di soggetti agenti: Tribunale di Roma, 16 febbraio 1974, in "Temi romana", 1974, 286.

 

(116)

Zuccalà, Le false comunicazioni, op.cit., 721.

 

(117)

Appello, Napoli, 1 febbraio 1988, in "Riv.pen.econ.", 1989, fasc.2, 791.

 

(118)

Zanotti, Nemo tenetur se detegere: profili sostanziali, in "Riv.it.dir.proc.pen.", 1989, 174.

Cass., 14 marzo 1989, in "Cass.pen.", 1990, 29;

Cass., 21 gennaio 1987, in "Cass.pen.", 1988, 379.

Nel senso che comunque il principio nemo tenetur se detegere non vale ai giustificare la violazione di regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pretesa punitiva, come nel caso in cui l'omessa indicazione in bilancio della concessione di un pegno sia stata giustificata dal rilievo che l'adempimento dell'obbligo avrebbe comportato l'autoincrimnazione dell'amministratore per il delitto di cui all'art.2624 c.c.: Cass., 5 dicembre 1995, cit..

 

 

(119)

Cass., 11 dicembre 1991, cit..

Nel senso che il reato sussisterebbe nel caso di omessa menzione in bilancio dell'esistenza di un pegno su beni sociali in quanto realizza una falsità realtiva alle condizioni economiche delle società destinata ad alterare i risultati economici dell'esercizio: Cass., 15 novembre 1982, cit..

Nel senso che il reato sussiste anche se tutti i soci sono consapevoli della falsità delle comunicazioni, delle realzioni e del bilancio: Cass., 18 giugno 1979, cit.

 

(120)

Cass., 21 gennaio 1992, cit.

Il reato sarebbe ravvisabile nell'ipotesi in cui il sindaco di una società a responsabilità limitata abbia attestato, nell'atto notarile con il quale detta società veniva trasformata in accomandita semplice, che il capitale sociale della prima era interamente versato, mentre in realtà esso era del tutto eliso per perdite, occultando così una situazione che costituiva scioglimento della società, come stabilito dall'art.2448, n.4, c.c. e che avrebbe impedito la trasformazione, non essendo omologabile la realtiva delibera per l'intervenuta perdita totale del capitale: Cass., 18 febbraio 1992, in "Cass.pen.", 1993, 2120.

Poiché la trasfrormazione deve essere deliberata sottostando al regime previsto per la società trasformanda, ma rispettando le regole stabilite per l'esistenza della società del tipo risultante dalla trasformazione, l'atto deve indicare i conferimenti dei soci ed il loro valore, ai sensi dell'art.2295, n.6, c.c., di tal che facendo figurare in luogo di tale indicazione l'imputazione del capitale della società a responsabilità limitata versato, ma ormai non più effettivamente sussistente, si attribuisce surrettiziamente una consistenza diversa dalla situazione patrimoniale della società da trasformare e, contemporaneamente, si crea un'immagine fuorviante anche sui conferimenti apportati alla società destinata a sopravvivere e, quindi, anche sulle relative garanzie a tutela dei terzi e dei soci, integarndo ciò il reato di false comunicazioni sociali: Cass., 27 aprile 1988, cit.; Cass., 15 novembre 1982, cit..

 

 

(121)

Manzini, Trattato, op.cit., I, cap.X, pag.772.

 

(122)

Malinverni, Scopo e movente nel diritto penale, Torino, 1955, pag.151;

Bettiol, Diritto penale, Padova, 1978, pag.447;

Frosali, Sistema penale italiano, Torino, 1958, vol.I, pag.486;

Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 1975, pag.284.

 

(123)

Cristiani, Appunti sul dolo nel reato di false comunicazioni sociali, in "Temi", 1960, 466.

Cass., 4 maggio 1964, in "Foro it.", 1965, II, 486;

Cass., 7 novembre 1961, in "Foro pen.", 1962, II, 400;

Cass., 16 ottobre 1958, in "Temi", 1960, 466.

 

(124)

Cass., 26 gennnaio 1961, in "Riv.pen.", 1961, II, 137.

 

(125)

Rocco, Il dolo, op.cit., 33-4;
Nuvolone, Il bilancio, op.cit.;

Zuccalà, Le false comunicazioni, op.cit., 749.

 

(126)

Cass., 12 luglio 1996, in "Cass.pen.", 1997, 867;

Cass., 21 gennaio 1992, cit.;

Cass., 17 dicembre 1982, in "Cass.pen.", 1984, 1260;

Cass., 21 ottobre 1982, in "Cass.pen.", 1984, 1821.

 

(127)

Cass., 8 marzo 1988, in "Riv.pen.", 1989, 318;

Cass., 22 febbraio 1984, cit.;

Cass., 1 dicembre 1982, cit.;

Cass., 3 aprile 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 270;

 

 

(128)

Cass., 22 aprile 1990, in "Cass.pen.", 1991, I, 642;

Cass., 8 marzo 1988, cit.

 

(129)

Cass., 10 maggio 1995, cit.;

Cass., 9 marzo 1995, cit.;

Cass., Sez.V, 25 maggio 1993;

Cass., 11 dicembre 1991, cit..

Tribunale di Milano, 28 aprile 1994, in "Riv.pen.ec.", 1996, 78.

 

 

(130)

Cass., 12 luglio 1996, cit.;

Cass., 25 maggio 1993, cit.;

Cass., 19 giugno 1992, cit.

 

(131)

Conti, Diritto, op.cit., 261;

Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, op.cit.;

Mazzacuva, La tutela penale della informazione societaria. Diritto penale societario, II, Reati societari, 1990, 581.

 

(132)

A.D'Avirro - E.Di Nicola - G.Flora - C.F.Grosso - T.Padovani, Responsabilità e processo penale nei reati tributari, Milano, 1992, 196;

Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, op.cit., 672; 

Assumma, I delitti tributari, in La disciplina penale in materia di imposte dirette ed IVA, Firenze, 1985, 119;

Serao - Piccioli, La disciplina sulla frode fiscale, Padova, 1990, 55;

Traversi, I reati tributari in materia di imposte dirette e IVA, Milano, 1986, 519.

 

(133)

Cass., Sez.III, 8 luglio 1993, in "Giur.imp.", 1993, n.219, 772;

Cass., Sez.III,  2 luglio 1992, in "Giur.imp.", 1993, n.130, 462;

Cass., Sez.III, 15 aprile 1991, in "Corr.trib.", 1991, n.21, 1561;

Cass., 18 ottobre 1991, in "Giur.imp.", 1991, n.229, 962;

Cass., Sez.III, 29 dicembre 1990, in "Corr.trib.", 1991, n.43, 3233;

Cass., 17 febbraio 1989, in "Corr.trib.", 1989, n.38, 2657;

Cass., Sez.I, 13 luglio 1989, in "Giur.imp.", 1989, n.198, 872;

Cass., Sez.III, 8 luglio 1986, in "Giur.imp.", 1988, n.267, 1298;

Cass., 2 dicembre 1986, in "Giur.imp.", 1988, n.268, 1302.

Appello Torino, 25 ottobre 1991, in "Il fisco", 1992, n.24, 6153;

Appello Trento, 23 aprile 1987, in "Corr.trib.", 1987, n.20, 1504;

Tribunale di Treviso, 18 ottobre 1991, in "Corr.trib.", 1991, 291;

Tribunale di Bari, 24 settembre 1991, in "Il fisco", 1992, n.36, 8769;

Tribunale di Udine, 16 novembre 1990, in "Giur.comm.", 1992, II, 1033;

 

 

(134)

L'ipotesi che comunemente ricorre allorquando manchi il dolo specifico d'evasione è quella di truffa, che ha trovato frequente applicazione specialmente in tema di leasing laddove spesso lo scopo di ottenere in locazione il bene produttivo cela il vero obiettivo di ottenere un finanziamento non altrimenti acquisibile.

In tema cfr: V.Renne, Il leasing e l'imposizione diretta, in "Speciale leasing", in "Il fisco", 1988, n.23, 3633;

C.Giordanengo-A.Piccatti, Ipotesi anomale di leasing. Truffa, reati fiscali e societari, in "Il fisco", 1987, n.43, 6632;

J.Troise-F.Ardito, Utlizzazione patologica del contratto di leasing, in "Il fisco", 1990, n.40, 6413;

Imperato, Commento a sentenza di appello Torino 25 ottobre 1991, in "Il fisco" 1992, n.24, 6153; Serao-Piccioli, La disciplina, op.cit., 298.

Peraltro, in ordine alla truffa, in presenza anche del fine evasivo, essa concorre materialmente con il reato di frode fiscale, essendo insussistente l'identità del bene giuridico e perciò non configurabile il rapporto di specialità di cui all'art.15 del codice penale. Così: Cass.,Sez.II, 31 ottobre 1988, in "Giust.pen.", 1989, II, 419.

 

 

(135)

Si pensi al caso in cui il destinatario falsifichi una fattura nella sola parte descrittiva dei materiali forniti al solo fine di ostacolare la richiesta di pagamento dell'emittente deducendo la mancata consegna di alcuni beni o la consegna di beni diversi.

 

(136)

E' il caso in cui si emettano una serie di fatture relative a prestazioni di servizi resi con importi più elevati rispetto a quelli pattuiti al fine di supportarne la pretesa in giudizio.

 

(137)

Si pensi al caso in cui, nell'ipotesi descritta alla nota precedente, l'emittente, venuto in possesso della fattura falsificata dal destinatario trascuri di proporre querela nel termine di legge ai sensi dell'art.493 bis del codice penale.

 

(138)

Cass., 22 giugno 1990, in "Cass.pen.", 1991, 113;

 

(139)

Padovani, Problemi generali e analisi delle fattispecie previste dalle lett. a),b),c),d),e) dell'art.4, legge n.516/1982 (mod.dalla legge n.154 del 1991), in Responsabilità e processo penale, op.cit., 180-190;

Fiandaca-Musco, Diritto penale tributario, Milano, 1992, 235.

 

(140)

Traversi, I reati tributari, op.cit., p.450.

Contra: Grosso, Gli aspetti sostanziali della nuova normativa di cui alla l. n.516/1982, in "Il fisco", 1984, 292.

Tribunale di Viterbo, 28 maggio 1987, in "Il fisco", 1987, 3038.

 

(141)

Padovani, Probleni generali, op.cit., p.191;

Patrono-Tinti, Contravvenzioni e delitti tributari nella l. 7 agosto 1982 n.516, Torino, 1988, p.293.

 

(142)

Drigani, Le modifiche alla legge 516; problemi e prospettive, in "Corr.trib.", 1991, p.644 e s..

 

(143)

Padovani, Probleni generali, op.cit., p.353;

 

(144)

Traversi, I nuovi reati tributari, Milano, 1982, 123;

Fenizia, Le fattispecie incriminatrici, i reati relativi alla contabilità, in "Corr.trib.", 1983, 205;

Izzo, La frode fiscale del titolare di reddito autonomo e di impresa, in "Giust.pen.", 1983, II, 437;

Romano, Osservazioni sul nuovo diritto penale tributario,  in "Dir.e prat.trib.", 1983, I, 751;

Caraccioli, Il bilancio di esercizio e la dichiarazione dei redditi. Le sanzioni penali, in "Il fisco", 1985, 2261:

Facchini, I reati di frode fiscale, in "Il fisco", 1985, 55;

Traversi, I reati tributari, op.cit., 489 e s.

Contra: Assumma, I delitti, op.cit., 161 e s.; D'Avirro-Nannucci, I reati nella legislazione tributaria, Padova, 1984, 407 e s.; Dell'Anno, Simulazione e dissimulazione: una possibile chiave di lettura dell'art.4, n.7, legge n.516/1982, in "Giust.pen.", 1985, II, 49; Gallo, Tecnica legislativa e interesse protetto nei nuovi reati tributari: considerazioni di un tributarista, in "Giur.comm.", 1984, I, 279; Santamaria, Attività fraudolenta e frode fiscale, in "Dir.e prat.trib.", 1989, I, 680 e s.; Tagliarini, I delitti in materia tributaria, in "Ind.pen.", 1984, 13 e s.

 

 

(145)

Serao-Piccioli, La disciplina, op.cit., 590 e s.

 

(146)

Lanzi, Falso in bilancio e frode fiscale nella nuova legislazione tributaria, in "Giur.comm.", 1983, 62.

Izzo, La frode fiscale nel titolare, op.cit.;

Gallo, La responsabilità del professionista in materia tributaria, in "Bol.trib.", 1985, 291 e s.

Falsitta, La responsabilità penale del contribuente, in "Il fisco", 1983, 2525;

Rosati, Occultamento di elementi positivi di reddito e simulazione di passivo nell'ambito di organismi societari, in "Corr.trib.", 1985, 96.

 

(147)

Caraccioli, Aspetti sostanziali della legge n.516/1982, in "Il fisco", 1983, 3541;

Caratozzolo, La frode fiscale, in "Dir.e prat.trib.", I, 1983, 103;
Grosso, Gli aspetti, op.cit., 26;

Gallo, Tecnica, op.cit.,;

Padovani, Itinerari della riforma penale tributaria, in "Leg.pen.", 1984, 297;

Romano, Osservazioni, op.cit.

Cass., 14 dicembre 1989, in "Foro it.", 1990, II, 225;

Cass., 11 marzo 1987, in "Cass.pen.", 1988, 702.

 

(148)
Dell'Anno, Simulazione, op.cit.;

Fauri, L'omessa annotazione dei corrispettivi e le ipotesi di frode fiscale, in "Corr.trib.", 1986, 1021;

Patrono-Tinti, Contravvenzioni, op.cit.,  256;

Polvani, Appunti su un caso di frode fiscale, in "Giust.pen.", 1986, II, 34;
Salafia, Modifiche al sistema penale tributario, Relazione di sintesi, Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 1983, 73.

 

(149)

Assumma, I delitti, op.cit., 158;

Caraccioli, Scritture contabili e dichiarazioni. La responsabilità penale tributaria, in "Il fisco", 1986, 1130;

Caratozzolo, La frode, op.cit., 105;

Furia, Il falso, op.cit., 291;

Insolera-Zanotti, Il reato di infedele dichiarazione dei redditi, Milano, 1988;

Izzo, La frode fiscale nel titolare, op.cit.;

Lemme, La frode fiscale, Napoli, 1984, 291;

Nuvolone, Il nuovo diritto penale tributario, in "Ind.pen.", 1984, 458 e s.;

Tagliarini, I delitti, op.cit., 26;

Flora, Scelta di valore e vincoli di natura costituzionale nell'interpretazione della norma sulla frode fiscale per 'dissimulazione' o 'simulaizone' art.4, comma1°, n.7, legge n.516 del 1982, in "Leg.pen.", 1983, 33;

Padovani, Itinerari, op.cit., 307;

Padovani, Dissimulazione e omissione: un nodo al pettine dei rapporti tra frode fiscale e contravvenzioni nella legge penale tributaria, in "Riv.it.dir.proc.pen.", 1987, 24 e s.;

Traversi, I reati tributari, op.cit., 495 e ss.

 

(150)

Cass., 3 luglio 1989, in cit..

Cass., 11 marzo 1987, cit.

 

(151)

Sulla prima delle pronuncie citate alla nota precedente vedasi in dottrina: Insolera-Zanotti, La prima sentenza della Cassazione in tema di frode fiscale: deluse le aspettative di un chiarimento, in "Dir.e prat.trib.", 1988, II, 79; Assumma, La dissimulazione di componenti positivi di reddito nell'opinione della Cassazione, in "Il fisco", 1987, 5242; Barbensi, Dissimulazione o omessa o infedele annotazione di redditi, in "Cass.pen.", 1987; 829; Corso, Note a margine della prima sentenza della Cassazione sull'art.4, n.7, in "Corr.trib.", 1987, 2527; D'Avirro, Problemi attuali in tema di frode fiscale e dichiarazione infedele, in "Dir.pen.econ.", 1981, 181; Natoli, La frode fiscale (art.4, n.7, legge 1982, n.516), in "Dir.e prat.trib.", 1988, I, 1330 e s. E, invece, sulla seconda pronuncia: Insolera-Zanotti, Dal reato di infedele dichiarazioni dei redditi al reato di infedeltà fiscale, in "Foro it.", 1990, II, 91.

 

(152)

Corte Costituzionale, 22 febbraio 1989, in "Cass.pen.", 1989, 1652.

Tito, Principio di determinatezza e c.d. frode fiscale. Prime note alla pronuncia della Corte Costituzionale, ivi, 1662 e s.; Insolera-Zanotti, L'intervento interpretativo della Corte Costituzionale sulle ipotesi di frode fiscale ex art.4, n.7, legge n.516 del 1982, in "Foro it.", 1989, I, 1685; Glendi, Il reato di frode fiscale al vaglio della Corte Costituzionale: un rilevante tentativo di razionalizzare che tuttavia non risolve il contrasto giurisprudenziale in atto, in "Dir e prat.trib.", 1990, II, 51; Corso, Alterzione rilevante della dichiarazione: assolto il legislatore, in "Corr.trib.", 1989, 1513; Flora, Prime impressioni sulla sentenza costituzionale in materia di frode fiscale: davvero riuscita l'operazione di 'ortopedia' giuridica, in "Riv.trim.dir.pen.econ.",1989, 403; Furia, Dell'alterazione in misura rilevante nonché della dissimulazione ex art.4, n.7, della legge n.516/1982b secondo la sentenza n.247/1989 della Corte Costituzionale, in "Boll.trib.", 1989, 1375; Piccioli, Osservazioni sulla sentenza della Corte Costituzionale. Per una nozione unitaria di frode fiscale, in "Il fisco", 1989, 4522; Tencati, Il risultato della dichiarazione dei redditi alterata in misura rilevante nel pensiero della Consulta, in "Il fisco", 1989, 6107.

 

(153)

Cass., 14 dicembre 1989, cit.

Insolera-Zanotti, Frode fiscale, Art.4, n.7, legge n.516/82: una controversia in via di soluzione, ivi; Piccioli, Nuovo indirizzo della Corte di Cassazione: la frode fiscale richiede il 'quid pluris', in "Dir.e prat.trib.", 1990, II, 373.

 

(154)

Corte Costituzionale, 28 gennaio 1991, n.35, in "Foro it.", 1991, I, 1353.

 

(155)

D'Avirro-Nannucci, I reati, op.cit., 421 e s.

 

(156)

Caraccioli, Il bilancio e le sanzioni, op.cit., 1855 e s.;

Caraccioli, Il bilancio di esercizio, op.cit., 2260;

Conti, Responsabilità penale tributaria degli amministratori, sindaci e direttori delle società commerciali, in "Boll.trib.", 1985, 273 e s.

Contra, Salafia, Modifiche, op.cit., 82; Caratozzolo, La frode, op.cit., 106.

 

(157

Padovani, La Frode fiscale, in Responsabilità e processo penale, op.cit..

 

(158)

Di Nicola, Responsabilità, op.cit., 335.

 

(159)

Drigani, La nuova frode fiscale trascina le modifiche alla 516, in "Corr.trib.", 1991, 1759.

 

(160)

Brusco-Monetti, Le norme tributarie tra interventi della Corte Costituzionale e provvedimenti governativi, in "Foro it.", 1991, I, 1353.

 

(161)

Izzo, La frode fiscale nel passaggio dall'art.4 n.7, all'art.4, lett. f) della legge n.516/82, in "Il fisco", 1991, 1399 e s.

 

(162)

Di Nicola, Responsabilità, op.cit., 351.

 

(163)

Drigani, La nuova frode, op.cit.;

Cass., 30 gennaio 1991, in "Corr.trib.", 1991, 758.

 

(164)

Di Nicola, Responsabilità, op.cit., 354.

 

(165)

A.D'Avirro - E.Di Nicola - G.Flora - C.F.Grosso - T.Padovani, Responsabilità e processo penale, op.cit., 196;

Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, op.cit.,672; 

B.Assumma, I delitti, op.cit.,119;

Serao - Piccioli, La disciplina, op.cit., 55;

Traversi, I reati tributari, op.cit., 519.

 

(166)

Stortoni, La nuova disciplina dei reati tributari, in "Giur.comm.", 1983, I, 396;

Caraccioli, Aspetti sostanziali, op.cit., 3539.

 

(167)

A.D'Avirro - E.Di Nicola - G.Flora - C.F.Grosso - T.Padovani, Responsabilità e processo penale, op. cit.,197.

 

(168)

De Vero, Le fattispecie di frode fiscale previste dai nn.1-6 dell'art. 4 legge 7 agosto 1982 n.516, in Problemi di diritto penale tributario, a cura di G. Fiandaca, Milano, 1990, 110 s.;

 

(169)

Tribunale di Rovigo, G.I.P., 18. giugno 1993 n.51, in "Riv.di dir.trib.", 1993, II, 763;

Tribunale di Roma 28 aprile 1989, in "Il fisco", 1990, 1669;763.

Tribunale di Firenze, 25 febbraio 1988, in "Il fisco", 1988, 3955;

 

(170)

Caraccioli-Giorda- Lanzi, Diritto e procedura penale tributaria, Padova, 1989,180;

Patrono-Tinti, Contravvenzioni, op.cit., 171 s..

 

(171)

Giuliani, Violazioni e sanzioni delle leggi tributarie, vol.II, terza ediz., Milano, 1986, 57.

 

(172)

Fiandaca-Musco, Diritto penale, op.cit., 143;

Padovani, Problemi generali e analisi delle fattispecie previste dalle lett. a),b),c),d,e) dell'art.4, legge n.516/1982 (mod.dalla legge n.154 del 1991, in "Responsabilità e processo penale", op.cit.,213;

Traversi, Falsificazione di bolle di accompagnamento: E' reato o illecito amministrativo?, in " Il fisco", 1985,4766.

 

(173)

Cass., 17 febbraio 1989, cit..

Cass., 6 maggio 1988, in "Il fisco", 1990, 1236;

Cass., Sez.III, 4 agosto 1987, in "Cass.pen.", 1988, 2157;

 

(174)

Cass., Sez.III, 5 luglio 1991, in "Corr.trib.", 1991, 2535.

Cass., 21 ottobre 1988, in "Il fisco", 1990, 1698;

 

(175)

Cass., Sez.III, 13 gennaio 1992, in "Comm.trib.centr.", 1992, II, 737.

 

(176)

Cass., Sez.III, 16 gennaio 1991, in "Riv.pen.", 1991, 626;

Cass., Sez.III, 26 febbraio 1991, in "Comm.trib.centr.", 1991, II, 1742.

 

(177)

Padovani, Problemi generali, op.cit., 180-181;

Romano, Osservazioni, op.cit., 783;

Nuvolone, Il nuovo diritto, op.cit., 449 s.;

Tagliarini, I delitti, op.cit.,  14;

Padovani, Itinerari, op.cit.,  297;

Lanzi, Lezioni di diritto tributario. Parte generale, Parma, 1985, 11 s.;

Traversi, I reati tributari, op.cit, 9;

Serao-Piccioli, La disciplina, op.cit., 1.

 

(178)

Gallo, Tecnica, op.cit., 280;

Succio, Frode fiscale e dolo specifico, in "Il fisco", 1994, n.18, 4526.

 

(179)

Padovani, Problemi generali, op.cit., 196;

Bersani, Il nuovo diritto penale tributario a tre anni dall'intervento di riforma tra dottrina e giurisprudenza, in "Il fisco" 1994, n.29, 7016.

 

(180)

Romano, Osservazioni, op.cit., 747.

 

(181)

Cass., 4 luglio 1980, in "Giust.pen.", 1981, II, 417;

 

(182)

Musco, Disposizioni penali in materia di società e consorzi, in "Giur.comm.", 1979, I, 394. Contra: Conti, Diritto, op.cit., 1980, 274.

Cass., 3 aprile 1979, cit.;

Cass., 8 aprile 1975, in "Riv.pen.", 1976, 588;

Appello, Milano, 25 maggio 1979, in "Ind.pen.", 1979, 287.

 

(183)

Lanzi, Falso, op.cit., 62.

Cass., 3 aprile 1979, cit.

 

(184)

Di Nicola, Responsabilità, op.cit., 381.

 

(185)

Sforzi, Le false comunicazioni sociali, in "Trattato di diritto penale dell'impresa, Padova, 1992, 91 e s.;

Nannucci, Falso in bilancio e reati societari, in "Il fisco", 1995, 3343 e s.

 

(186)

Di Nicola, Responsabilità, op.cit., 382

 

(187)

Bersani, I rapporti tra la frode fiscale e il falso in bilancio. Vecchi problemi e nuove prospettive, in "Il fisco", 1998, 3300;

Di Nicola, Responsabilità, op.cit., 382.

 

(188)

Caraccioli, Il bilancio e le sanzioni penali, in "Il fisco", 1985, 2260;

Furia, Il falso in bilancio e la frode fiscale, in "Boll.trib.", 1985, 283 e s.

 

(189)

Cass., Sez.III, 18 dicembre 1990, in "Cass.pen.", 1992, 1046.

Contra: Appello, Roma, 11 ottobre 1982, in "Cass.pen.", 1983, 1230.

 

 

(190)

Tinti, I rapporti tra la fattispecie di frode fiscale previste dalle lettere d), e) ed f) dell'art.4 della L.n.516/1982 ed il reato di cui all'art.2621 del codice civile, in "Il fisco", 1997, 4264.

 

(191)

Perini, Ancora sui rapporti tra frode fiscale e false comunicazioni sociali, in "Il fisco", 1997, 11471.

 

(192)

Napoleoni, I reati societari,  op.cit., 443 e s.

 

(193)

Cass., 9 febbraio 1923, in "Giust.pen.", 1923, 502.

Appello, Roma, 11 ottobre 1982, cit.

 

(194)

Nuvolone, Il diritto, op.cit., 299;

Conti, Diritto, op.cit.,  215;

Zuccalà, Le false comunicazioni, op.cit., 722;

Conti, Disposizioni, op.cit., 61;

Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, I, Milano, 1994, 123;

Napoleoni, I reati societari, op.cit., 103 e s.

Cass., 28 febbraio 1991, cit.;

Cass., 8 novembre 1989, cit.;

Cass., 8 marzo 1985, in "Mass.", 1985, 168204;

Cass., 15 novembre 1982, cit.;

Appello, Ancona, 7 ottobre, 1994, in "Foro it.", 1996, II, 37.

Contra: Alibrandi, Reati societari, 1993, 196; Mirto, Il diritto, op.cit., 146; Morselli, Il reato, op.cit., 163.

 

(195)

Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, II, Milano, 1995, 323.

 

(196)

Perini, Ancora sui rapporti, op.cit., 11472.

 

(197)

Caraccioli, L'amnistia per il falso in bilancio, in "Il fisco", 1991, 7453;

Nordio, Tangentopoli: evasione e falso in bilancio, in "Corr.trib.", 1993, 2516;

Santacroce, Falso in bilancio ed amnistia: Ipotesi concrete prospettabili, in "Il fisco", 1992, 3273.

Contra: Tencati, Profili penal-fiscali del bilancio falso, in "Impresa comm.ind.", 1996, 2172.

 

(198)

Dell'Anno-Tito, I reati tributari in materia di imposte dirette e Iva, Milano, 1992, 521 e s.;

Pollari, I reati tributari in materia di imposta sul valore aggiunto, Milano, 1996, 68.

 

(199)

Caraccioli, I rapporti fra bilancio e frode fiscale, in "Il fisco", 1997, 11469;

Perini, Ancora sui rapporti, op.cit., 11471.

 

(200)

Bersani, I rapporti, op.cit., 3304.

Nel senso che in materia di false comunicazioni sociali il falso deve avere rigorosamente ad oggetto i fatti e non mere valutazioni, poiché la tutela ha per oggetto non un giudizio economico relativo alla società, ma l'aspetto documentale delle comunicazioni sociali, in relazione al quale soltanto è ravvisabile un affidamento ragionevole dei destinatari, soci o terzi che siano: Cass., Sez.V, 14 dicembre 1994, cit..

Nel senso che invece i fatti non sarebbero rappresentati soltanto dalle singole componenti dell'attivo o del passivo, ma anche le loro valutazioni, cosicché come il biulancio, anche le sue singole componenti debbono essere considerate vere non nella misura in cui rispecchiano i valori effettivi dei singoli elementi del patrimonio sociale, ma nella misura in cui sono redatti e rappresentati in conformità ai criteri legali di valutazione: Cass., Sez.V, 25 maggio 1993, cit.; Cass., Sez.V, 19 giugno 1992, cit.

 

(201)

Nannucci, Falso, op.cit., 3445;

Mambriani, La frode fiscale ex art.4 lettera f) L.n.516/1982. Ipotesi di concorso con i reati societari, in "Quaderni del C.S.M.", n.86, I, 214 e s.

 

(202)

Bersani, I rapporti, op.cit., 3304.

 

(203)

La Monica, Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 1993, 674.

Cass., 25 gennaio 1991, in "Rass.imp.", 1991, 814.

 

(204)

Sforzi, Le false comunicazioni, op.cit., 97.

 

 

(205)

Caraccioli, Il delitto di false comunicazioni sociali non può "sfuggire" alla depenalizzazione, in "Guida al Diritto. Il Sole 24Ore", 1998, n.16, 8.