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Impresa commerciale
industriale, 1998, n.6, Editore Eti,
Roma ___________________________________________________ FALSO IN BILANCIO E FRODE FISCALE La configurazione dei reati di false comunicazioni sociali e di frode fiscale e le problematiche in ordine ai rapporti intercorrenti tra la disposizione sancita nel codice civile e la norma penale tributaria. Sommario: 1) Lineamenti generali della disciplina
penale in materia di falsità in atti; 2) Natura e configurazione normativa
del reato di false comunicazioni
sociali; 3) L'elemento soggettivo del reato di
falso in bilancio; 4) La disciplina penale tributaria
delle falsità commesse a scopo di evasione; 5) Il reato di frode fiscale sancito
dall'art.4 della legge 7 agosto 1982 n.516 nella
disciplina anteriore e successiva alla riforma attuata con la legge 15
maggio 1991
n.154; 6) Il dolo di frode fiscale; 7) Il rapporto tra falso in bilancio e
frode fiscale; 8) Prospettive di riforma del reato di
false comunicazioni sociali. 1) Lineamenti generali della disciplina
penale in materia di falsità in atti Nel sistema delineato dal codice penale
i reati di falsità in atti, che rientrano nella più ampia categoria dei reati
posti a tutela dell'interesse concernente la cosidetta fede pubblica, cioè
quel rapporto di fiducia che viene ad instaurarsi tra i soggetti privati e
tra questi e la pubblica autorità, in relazione a determinati segni,
documenti o qualità personali (1), sono tra loro suddivisi a seconda che il
falso riguardi l'aspetto materiale o ideologico del documento o che concerna
un atto pubblico o di pubblica rilevanza ovvero un atto privato ed a seconda
altresì che la falsità sia commessa dal pubblico ufficiale, da un soggetto
addetto comunque ad un servizio di pubblica necessità o rilevanza oppure da
un soggetto privato. Rileva, precisamente, quel rapporto di
fiducia, inteso come fenomeno collettivo, che intercorre tra i consociati e
che può essere leso da tutti quei fatti che non solo tradiscono la fiducia
individuale, ma sono altresì idonei a trarre in inganno la pubblica autorità
o un indeterminato numero di persone (2). In particolare, l'oggetto delle falsità
in atti è costituito dalla protezione dell'interesse della pubblica fede
documentale, cioè di quella fiducia che la collettività attribuisce ai
documenti con i quali è stata data forma a manifestazioni o dichiarazioni di
volontà o di scienza giuridicamente rilevanti. Costituendo mezzo di prova di quanto
ivi attestato, il documento da certezza a quei fatti in esso rappresentati,
nel senso che, pur non potendo garantirne la sostanza e la veridicità,
ineluttabilmente prova che essi furono così valutati e formalmente
considerati, al fine di renderli rilevanti all'attenzione dei consociati (3). Con il termine documento deve
intendersi ogni scrittura fissata sopra un mezzo idoneo da un determinato
autore, contenente manifestazioni di volontà ovvero attestazioni di verità
idonee a suffragare una pretesa o a provare un fatto giuridicamente
rilevante, in un rapporto giuridico (4). Ogni altra cosa che non possegga tali
requisiti e che tuttavia sia egualmente idonea a rappresentare un fatto non potrebbe
qualificarsi come documento ai sensi della legge penale, con la conseguente
inapplicabilità delle norme relative alla falsità in atti (5). Quel che rileva è, perciò, innanzitutto
l'elemento della scrittura o di altra espressione grafica. La nozione di scrittura penalmente
rilevante è, da un lato, più ampia di quella valevole per il diritto
processuale, poiché comprende non solo tutti gli atti che ebbero origine in
forma scritta, ma anche quelli che, esplicandosi oralmente, furono soltanto
in un secondo momento fissati per iscritto e, dall'altro, appare anche più
estesa di quella strettamente civilistica, in quanto includente non solo gli
atti contenenti dichiarazioni o manifestazioni di volontà idonee a produrre
la nascita, la modificazione o l'estinzione di un diritto soggettivo, ma
qualsiasi scrittura che si riferisca a situazioni dalle quali possono
derivare effetti giuridicamente rilevanti, vantaggiosi o dannosi per un
determinato soggetto (6). Non rilevano invece quelle scritture
non qualificabili come documenti o la cui falsità non è comunque capace di
ingannare la fede pubblica, come nel caso di quegli atti che, pur potendo
certamente avere struttura e contenuto documentali, sono soltanto in grado,
se falsati, di fuorviare il giudice nell'ambito del processo e che pertanto
divengono oggetto di altro titolo di reato quale nella fattispecie quello di
frode processuale, ai sensi dell'art.374 del codice penale (7). Al di fuori peraltro dalla ristretta
cerchia delle ipotesi descritte da quest'ultima disposizione di natura
sussidiaria (8), secondo cui l'artificiosa immutazione penalmente rilevante
dev'essere compiuta in un atto d'ispezione o di esperimento giudiziale o
nell'esecuzione di una perizia, ricorre l'applicabilità delle norme in
discorso ancorché il falso, concernente un atto configurabile come documento,
sia principalmente diretto a trarre in inganno il giudice mediante la sua
produzione in giudizio, non potendosi infatti escludere l'idoneità della
falsificazione a tradire innanzitutto la pubblica fede documentale, divenendo
così irrilevante che il vantaggio dell'agente sia conseguito o conseguibile
soltanto previa produzione del documento in giudizio (9). Per la configurabilità del reato è poi
irrilevante l'osservanza della forma ad substantiam o ad probationem
prescritta dalla legge o prevista dall'accordo delle parti. Parimenti indifferente è il mezzo
d'esecuzione della scrittura, ancorché sia normativamente prevista una
particolare modalità (10), salvo la legge stessa sancisca, in difetto di
essa, addirittura l'inesistenza dell'atto medesimo (11). Esclude invece la ricorrenza del reato
la circostanza che la falsificazione concerna segni diversi dallo scritto,
non potendosi al riguardo parlare di vero e proprio documento oggetto di
tutela penale. Rimane così irrilevante, potendo
tuttavia dar luogo ad altri titoli di reato, il falso concernente le
cosidette taglie o tacche di contrassegno corrispondenti al contrassegno di
riscontro, nonostante l'efficacia probatoria stabilita al riguardo dall'art.2713
del codice civile (12), i numeri di matricola impressi su determinati oggetti
(13), i disegni, i plastici, i brani musicali e le riproduzioni fotografiche,
salvo naturalmente contengano
scritturazioni o siano parti integranti di un documento (14). Nemmeno rilevano, per la
configurabilità del reato in questione, tutte quelle scritture non contenenti
o non ancora includenti manifestazioni o dichiarazioni di volontà o attestati
di verità, come ad esempio i biglietti da visita o in genere i moduli prestampati
(15). Indifferente è infine la materia sulla
quale è raccolto lo scritto, purché essa sia idonea a conservare per un
apprezzabile periodo la scrittura, come ad esempio ed innanzitutto la carta,
la tela, la pergamena, ma anche il marmo, le pietre, i numeri, gli alberi, i
monumenti, le strade, le lapidi e così via (16). Rileva, invece, il fatto che la
scrittura sia del tutto o in parte illeggibile, in modo che non sia possibile
conoscerne il senso o individuare l'autore di essa, salvo che l'indecifrabilità
riguardi la firma comunque nota come propria del sottoscrivente; in tal caso,
infatti, la falsità si realizza non con l'imitazione del carattere, ma
facendo apparire firmato da altra persona il documento sottoscritto (17). Come si è detto, il codice penale
distingue innanzitutto, agli effetti del falso, l'atto privato da quello
pubblico, essendo quest'ultimo rappresentato da qualsiasi atto, anche di
carattere interno (18), che sia posto in essere da un pubblico ufficiale o da
un pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio e che sia destinato
a provare un fatto giuridicamente rilevante compiuto dal suo autore o da lui
percepito o che, comunque,costituisca o concorra a costituire un diritto o un
obbligo per persone determinate, producendo effetti costitutivi, traslativi,
dispositivi, modificativi od estintivi rispetto a situazioni giuridiche
soggettive di rilevanza pubblicistica (19). Rispetto alla nozione civilistica di
atto pubblico, definita dall'art. 2699 del codice civile, quella penalistica
appare del tutto autonoma, tutelandosi in questa sede non solo l'aspetto
della genuinità e della veridicità del documento a fini probatori, ma anche
l'atto stesso in sé, quale principale espressione del bene giuridico della
fede pubblica (20). La nozione penalistica è risultata
altresì più ampia, andando a ricomprendere non solo gli atti formati dal
notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica
fede, ma anche quelli formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato
incaricato di un pubblico servizio nell'esercizio delle sue funzioni,
attestanti fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza ed aventi
l'attitudine ad assumere rilevanza giuridica (21). L'atto privato è, invece, rappresentato
da ogni scritto idoneo a provare un qualsiasi fatto o rapporto giuridico
(22), formato dal privato senza l'intervento del pubblico ufficiale (23). La nozione di scrittura privata,
delineata dall'art. 485 del codice penale, comprende non solo tutti gli atti
che possono costituire mezzo di prova ai sensi dell'art. 2702 e seguenti del
codice civile, ma anche tutti quei documenti diversi dagli atti pubblici, che
abbiano un contenuto volitivo o dichiarativo giuridicamente rilevante e
rispetto ai quali venga in considerazione un interesse degno di tutela ai
sensi della legge penale, sia esso riconosciuto o meno dalla legge civile
(24). Si distinguono altresì dall'atto
pubblico vero e proprio i certificati e le autorizzazioni di cui all'art.477
c.p., consistenti in documenti con efficacia puramente dichiarativa tendente
a documentare affermazioni di verità o di scienza, aventi carattere meramente
dichiarativo o certificativo del contenuto di preesistenti atti pubblici
(25), nonché la peculiare ipotesi delle registrazioni soggette all'autorità di
pubblica sicurezza e delle notificazioni ad essa inerenti, delle operazioni
industriali, commerciali o professionali svolte dall'agente, come previsto
dall'art.484 del codice penale. Altra principale linea di discrimine
posta dal codice penale nell'ambito della falsità documentale è quella che
separa i reati di falso materiale, presupponenti una divergenza tra autore
apparente ed autore reale del documento o l'alterazione di esso dopo la sua
definitiva formazione, da quelli di falso ideologico, ravvisabile allorquando
nel documento siano state trasfuse attestazioni o dichiarazioni non veritiere
(26). Ricorre, tuttavia, sempre la falsità
materiale nell'ipotesi in cui, pur non essendovi divergenza tra autore
apparente ed autore reale, la falsità investa l'intero atto nella sua realtà
fenomenica, nel senso di far apparire come venuto ad esistenza un atto che in
realtà non è mai stato formato (27). Elementi costitutivi della
falsificazione materiale sono la formazione o la contraffazione e
l'alterazione dell'atto (28), senza
che in alcun modo debbano anche ricorrere gli elementi dell'imitatio (29) e
dell'immutatio (30). La formazione totale o parziale (31)
del documento deve avvenire ad opera di agente diverso da quello che appare
pena, in caso contario, la ricorrenza del falso ideologico. L'alterazione deve, inoltre, concernere
un documento già formato in modo genuino o divenuto tale successivamente e
può attuarsi con ogni mezzo idoneo a modificarne il significato, senza tuttavia
occultarne il senso, ricorrendo altrimenti la fattispecie prevista dall'art.
490 del codice penale (32). E', inoltre, necessario che la falsità
sia idonea ad ingannare la pubblica fede e non sia invece tanto grossolana da
essere immediatamente riconoscibile da chiunque, trattandosi in tal caso di
reato impossibile (33). Andando il falso documentale ad
offendere una specifica situazione probatoria rilevante per un determinato
soggetto e non soltanto, perciò, l'interesse della pubblica fede, quando manchi
in concreto la possibilità di tale offesa, per l'inidoneità della condotta a
produrla, deve escludersi in radice la configurabilità del delitto (34). A determinare tale impossibilità
dell'inganno è, di norma, la grossolanità della falsificazione, la quale si
verifica allorché il falso è tanto evidente da essere percepito e percepibile
icto octuli da chiunque e non soltanto da persone di particolare preparazione
o competenza, dovendosi così escludere, con giudizio a posteriori (35)
compiuto dal giudice del merito e sottratto al sindacato di legittimità se
immune da vizi logici e giuridici (36), non solo la probabilità, ma anche la
stessa possibilità dell'inganno per inidoneità dell'azione (37). E' stata altresì esclusa la penale
rilevanza del cosidetto falso innocuo, allorché la falsità non appaia
comunque in grado di far conseguire all'atto uno scopo antigiuridico, in
quanto, pur sussistendo la contraffazione, questa non è capace di influire
sugli effetti dell'atto (38). Come si è detto, la falsità ideologica,
senza incidere sulla genuinità del documento, ne altera la veridicità, con
l'attestazione di fatti giuridicamente rilevanti non rispondenti a verità o
con l'omessa indicazione delle circostanze vere, determinando così la
falsificazione non dell'essenza materiale di esso, ma del suo contenuto
ideale (39). La falsità ideologica è punibile
soltanto in relazione a ciò che l'atto è destinato a provare, dovendo
escludersi la configurabilità del reato, salvo ravvisarsi altre ipotesi
criminose, qualora la falsificazione riguardi circostanze del tutto
ininfluenti in ordine alla prova della verità (40). Mentre l'atto pubblico può essere
oggetto di falso tanto materiale quanto ideologico, quest'ultimo tipo di
falsità è espressamente esclusa per la scrittura privata, stabilendo infatti
l'art.485 del codice penale che risponde del reato de quo chiunque formi in
tutto o in parte una scrittura privata falsa o alteri una scrittura privata
vera e che si considerano alterazioni anche le aggiunte ad essa falsamente apposte
dopo la sua definitiva formazione (41). La genuinità del documento esclude che
possa configurarsi la falsificazione nella semplice divergenza di quanto
enunciato dall'autore rispetto alla realtà, potendo ciò semmai costituire
mezzo esecutivo di altri reati, fra i quali quello di truffa costituisce
senz'altro l'ipotesi più ricorrente (42). Manca infatti, nella fattispecie della
scrittura privata, qualsiasi offesa alla fede pubblica, essendo estraneo
all'interesse giuridicamente protetto che il documento contenga attestazioni
veritiere da parte del suo autore, ma invece essenziale soltanto che tale
documento appartenga integralmente a colui che figura esserne l'autore e che
né questi, né altri possano inficiarne gli effetti con aggiunte falsamente
apposte dopo la sua definitiva formazione (43). Eccezionalmente pertanto, in
considerazione della rilevanza di alcuni atti che pubblici non sono, ma che
tuttavia nemmeno possono identificarsi sic et simpliciter con le scritture
private, il codice penale prevede a parte la punibilità del falso ideologico
nei certificati di esercenti servizi di pubblilca necessità, quali i medici,
gli avvocati ecc. e nelle registrazioni o notificazioni private per
l'autorità di pubblica sicurezza, come previsto dagli articoli 481 e 484 del
codice penale. Tutti i reati in questione si
caratterizzano per il momento consumativo, formale ed instantaneo, che si
identifica con il momento ed il luogo della realizzazione del falso, senza
che rilevi il conseguimento dello scopo prefissosi dall'agente, trattandosi
di reati di pericolo e non di danno (44), né l'effettivo uso successivo del
documento falsificato (45) e tantomeno il conseguimento del profitto (46). Ciò è determinante, tra l'altro, per
stabilire sia la competenza a giudicare del reato, dovendosi avere riguardo
al momento della formazione dell'atto falso, sia la decorrenza del termine di
prescrizione del reato. A tale proposito si osserva che se, da
un lato, l'uso da parte del falsario non costituisce un nuovo delitto di
falsità documentale concorrente con quello di falsificazione, ma incide
soltanto agli effetti della quantificazione della pena, dall'altro, deve
ritenersi che allorquando il falsario abbia fatto successivamente uso del
documento falsificato, trattandosi di reato eventualmente progressivo, il
delitto si consumi nel momento in cui si verifica l'uso, decorrendo da questo
il termine di prescrizione (47). Soltanto la disposizione contenuta
nell'art.478 c.p. subordina la punibilità al rilascio della copia falsificata
rispetto all'originale del documento, mentre l'art.485 c.p., in deroga ai
citati principi, pone l'uso della scrittura privata materialmente falsificata
quale indispensabile presupposto per la configurabilità del reato. In quest'ultimo caso, l'utilizzazione
del documento è certamente elemento costitutivo del reato (48) che segna il
momento consumativo dal quale decorre la prescrizione ed in relazione al
quale si stabilisce la competenza a giudicare (49). D'altra parte, tale delitto diverge in
modo consistente dalle altre fattispecie, trattandosi di reato di pericolo ed
eventualmente di danno, imputabile soltanto a titolo di di dolo specifico
(50). Il dolo generico, che accomuna invece
tutte le altre ipotesi criminose (51), si caratterizza per la coscienza e
volontà dell'azione (52) diretta, in ipotesi di falso materiale, a creare un
documento falso o ad alterarne uno vero con conseguente inganno circa
l'autore o il tenore del documento (53) e, in caso di falso ideologico, a
documentare falsamente la rappresentazione della realtà (54). Quel che, in tali casi, risulta
sufficiente è quindi che l'agente abbia voluto l'inganno, preordinandolo od
accettandone il verificarsi (55), senza che invece sia anche necessaria la
presenza dell'animus nocendi o decipiendi (56), rilevando l'intenzione di
arrecare danno ad altri o di conseguire un profitto soltanto per la predetta
fattispecie di falso in scrittura privata (57). 2) Natura e configurazione normativa
del reato di false comunicazioni sociali In ordine alla configurazione del reato
previsto dall'art.2621, n.1, del codice civile, secondo il quale i promotori,
i soci fondatori, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i
liquidatori che nelle relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni
sociali, fraudolentemente espongono fatti non rispondenti al vero sulla
costituzione o sulle condizioni economiche della società o nascondono anche
parzialmente fatti concernenti le condizioni medesime, sono puniti, se il
fatto non costituisca più grave reato, con la reclusione da una a cinque anni
e con la multa da due a venti milioni di lire (58), il risalente
orientamento, che tendeva ad identificare nell'economia nazionale l'unico
bene protetto dalla norma, sostenendo che gli interessi patrimoniali della
società e gli altri interessi privati ad essi collegati, di nessun rilievo
penale, fossero oggetto di una tutela soltanto riflessa (59), è stato ormai
superato dalla tesi che attribuisce al delitto in questione natura
plurioffensiva, in quanto ritenuto lesivo di molteplici interessi, tutti
parimenti tutelati dall'ordinamento delle società commerciali (60). Secondo quest'ultima impostazione, per
la quale l'economia pubblica o collettiva è definita come la totalità dei
beni patrimoniali esistenti nel paese, appartenenti a singoli individui o ad
enti privati o pubblici, si è ritenuto che lo Stato, nel tutelare la
ricchezza collettiva, protegge senz'altro anche gli interessi patrimoniali
degli individui e degli enti ai quali appartengono i beni che la
costituiscono e che, pertanto, posto che le condotte offensive di interessi
patrimoniali di un numero indeterminato di persone arrecano pregiudizio
all'economia della nazione, per cui è stata appunto introdotta la
configurazione delle ipotesi di reato stabilite al capo ottavo del codice civile,
non possono affatto contrapporsi gli interessi patrimoniali dei singoli a
quelli economici della nazione, dato che i secondi vengono certamente
pregiudicati con l'offesa arrecata ai primi (61). La natura plurioffensiva di tali
delitti in genere, tra cui in specie quello in esame, sarebbe inoltre
derivata dal parallelismo con i reati contro l'incolumità pubblica, ritenuti
lesivi di più beni, i quali avrebbero ad oggetto un insieme di rapporti che
coinvolge gli interessi patrimoniali della società, quelli dei soci uti
singuli, quelli dei terzi che possono intrattenere rapporti con la società
tra cui, in particolare, i creditori sociali, nonché l'interesse generale
dell'economia del paese. In concreto, il bene giuridico tutelato
è stato ravvisato nell'interesse primario della veridicità e completezza
delle comunicazioni sociali come fonti di prova (62), della fede pubblica
(63), del regolare funzionamento delle società commerciali (64) ovvero
dell'economia nazionale (65), posto in relazione ai vari interessi specifici
di ordine economico-patrimoniale della società, dei singoli soci, dei
creditori e dei terzi che possono entrare in rapporto con l'ente collettivo
all'adeguata affidabilità delle comunicazioni sociali (66). Si tratterebbe, allora, di una tipica
ipotesi di falsità ideologica in scrittura privata che, per la funzione che
la legge gli assegna, risulta meritevole di particolare tutela, derivando la
natura certamente plurioffensiva del reato, in quanto, da un lato,
dall'offesa agli interessi economici alla cui tutela è sostanzialmente
diretto l'ordinamento giuridico delle società commerciali e, dall'altro,
dalla minaccia all'interesse pubblico del cittadino, per quanto concerne i
bisogni inerenti alle esigenze della vita organizzata, di poter fare idoneo
affidamento di determinati fatti particolarmente qualificati dalla legge come
utili alla formulazione di un giudizio di certezza (67). In precedenza, postulato che il delitto
in esame avrebbe rappresentato, come si è detto, un'ipotesi di falsità
ideologica in scrittura privata e costituito quindi una delle rare deroghe
alla regola che consente di ravvisare in tali scritture soltanto il falso
materiale (68), il bene giuridico protetto dalla norma era invece individuato
nella fede pubblica (69) e più precisamente nella fede pubblica documentale,
quale bene tipicamente indisponibile e, come tale, fuori della teoria del
consenso dell'offeso (70). Pur non mancando pronunce che, muovendo
da una concezione unitaria del bene giuridico protetto, lo identificavano
talora con l'interesse dei destinatari dell'informazione societaria alla
veridicità e compiutezza della stessa (71) e, in altri casi, con l'interesse
alla leale e fedele rappresentazione della situazione economica dell'impresa,
onde evitare di essere indotti in errore da informazioni suscettibili di
produrre decisioni pregiudizievoli (72), l'orientamento più recente ha
costantemente individuato l'oggetto giuridico tutelato dalla norma non
soltanto negli interessi patrimoniali dei soci e dei terzi, ma anche
nell'interesse generale della collettività ad un'informazione veritiera e
genuina circa la situazione patrimoniale delle società commerciali ed il loro
regolare funzionamento nell'ambito dell'economia del paese e di un leale
esercizio dell'attività economica (73), definitivamente qualificando il
delitto previsto dall'art.2612, n.1, del codice civile quale crimine
plurioffensivo, data la sua idoneità a ledere interessi eterogenei, interni o
esterni, al rapporto sociale (74). Consegue, da tale configurazione, la
sua qualificazione come reato di pericolo, la cui sussistenza prescinde dal
verificarsi e dall'accertamento di un risultato dannoso, essendo per contro
sufficiente la descritta idoneità della falsa rappresentazione a trarre in
inganno, ovvero la semplice possibilità del verificarsi di quest'ultimo per i
soci o per i terzi, senza che possa attribuirsi rilevanza alcuna all'avvenuta
diffusione o meno del contenuto delle comunicazioni sociali e senza che sia
necessaria l'effettiva lesione dell'interesse protetto (75). Esso si configura, inoltre, come
delitto di mera condotta che si estrinseca nell'esposizione di fatti non
rispondenti al vero o nel nascondimento di fatti veri, contenuta in una
dichiarazione cui possa attribuirsi il valore di comunicazione sociale, per
quanto concerne la costituzione o le condizioni economiche della società, a
nulla valendo, per l'eventuale esclusione della fattispecie criminosa, stante
il sopra precisato oggetto della tutela penale, che i soci fossero o meno a conoscenza
delle irregolarità commesse o che i dati occultati in bilancio fossero
conformi a quelli veritieri regolarmente registrati nelle scritture contabili
(76) e precisandosi, invece, che oggetto della tutela normativa non è la
situazione economica della società per se stessa, bensì la rappresentazione
che di essa viene delineata nel bilancio, in quanto fondata sull'esposizione
di fatti corrispondenti al vero (77). Trattasi di reato proprio, potendo esso
essere commesso soltanto da coloro che abbiano una determinata qualità o si
trovino in una determinata relazione con la società, anche se, al riguardo,
contrariamente all'avviso della giurisprudenza più remota e di parte della
dottrina, secondo cui del reato non potevano essere chiamati a rispondere né l'agente
estraneo alla società né i soggetti operanti nell'ambito di società di fatto
non regolarmente costituite (78), si è andato consolidando l'orientamento che
tende a ricomprendere fra i destinatari della norma anche coloro che, sia
pure privi di una formale investitura organica, esercitano di fatto i poteri
connessi alle relative qualifiche, avuto riguardo all'interesse protetto
dalla legge in relazione alla particolare situazione personale e sociale da
cui scaturisce l'obbligo di lealtà e correttezza nell'espletamento di tali
funzioni (79), sino ad includervi coloro che si trovino ad operare in società
irregolari, oltre a quelli che già lo stesso legislatore ha indicato quali
possibili autori del reato, come per gli amministratori giudiziari e i commissari
governativi ai sensi dell'art.2636 c.c., i dirigenti dei consorzi con
attività esterna ai sensi dell'art.2615 bis c.c. e i dirigenti, i commissari
e i liquidatori, nonché i membri degli organi di sorveglianza delle aziende e
degli istituti di credito ai sensi dell'art.92 della legge bancaria, sempre
naturalmente nel rispetto del principio fondamentale della responsabilità
personale che non consente di incriminare il soggetto nel caso in cui la
commissione del reato non sia in alcun modo riferibile alla sua condotta,
come nell'ipotesi dell'amministratore rimasto assente alla deliberazione
collegiale (80). In tema di concorso di persone nel
reato si è ritenuto punibile l'estraneo concorrente anche se il soggetto
qualificato viene assolto per difetto dell'elemento psicologico (81),
osservandosi tuttavia che il richiamo operato dall'art.117 c.p. alle
condizioni e alle qualità personali del colpevole o ai suoi rapporti con
l'offeso non si riferirebbe ad uno qualsiasi dei concorrenti, ma soltanto a
quello che abbia agito in maniera analoga a quella che, nei casi di
esecuzione monosoggettiva dell'illecito, contraddistingue l'autore, dovendo
perciò differenziarsi la posizione del concorrente che agisce allo stesso
modo in cui agirebbe si fosse l'autore esclusivo del fatto criminoso, nel
qual caso opererebbe un mutamento del titolo del reato, dalla posizione del
concorrente, il cui ruolo resta a livello subordinato e accessorio, nel qual
caso la qualità di intraneo non determinerebbe alcuna modificazione sulla qualificazione
giuridica del fatto (82). Non esclude, poi, la penale
responsabilità del concorrente estraneo il fatto che l'azione penale non sia
stata esercitata nei confronti di colui che, al momento della redazione e del
deposito del bilancio, rivestiva la qualifica di amministratore, sempreché
risulti provata a suo carico l'esistenza di un idoneo e consapevole apporto
causale alla lesione del bene giuridico tutelato dalla norma (83). Il reato in esame si consuma nel
momento in cui la falsa comunicazione è portata a conoscenza dei destinatari,
ovvero, se trattasi di comunicazioni verbali, nel momento stesso della loro
dichiarazione (84) o con quello del deposito nell'ipotesi di comunicazioni
scritte che, con tale incombenza, acquistano carattere ufficiale (65), così
che il delitto può perfezionarsi anche prima dell'approvazione di tali
documenti (86). Non vi è, in genere, ostacolo alla
configurazione del tentativo, come nel caso del mancato deposito da parte
degli amministratori di bilancio falso per effetto di rilievi dell'organo di
controllo (87) e si ritengono senz'altro applicabili l'aggravante del danno
di rilevante entità di cui all'art.2640 c.c., in caso di danno all'impresa, e
quella stabilita all'art.61 n.7 c.p. in ipotesi di danni subiti da soggetti diversi
da quest'ultima, avuto riguardo alla natura plurioffensiva del reato ed a
quella di scrittura privata degli atti che ne formano oggetto (88), così
come, per converso, si ritiene che trovi applicazione l'attenuante di cui
all'art.62, n.4, c.p. in ipotesi di danno di speciale tenuità (89), né vi
sono motivi per escludere l'applicabilità dell'aggravante stabilita
dall'art.112, n.1, c.p., che opera anche in caso di organi collegiali,
essendo l'operato del singolo componente di essi scindibile da quello degli
altri, senza che i membri dell'organo collegiale possano essere considerati
singolarmente allorquando la condotta criminosa risulti esser stata
realizzata con deliberazione dell'organo collegiale stesso (90). L'elemento materiale del reato è
costituito dalla falsità delle comunicazioni sociali, che si ha sia nel caso
di esposizione di fatti non veri quanto nell'ipotesi di occultamento di fatti
veri, dovendosi ricomprendere nel concetto di comunicazione sociale qualsiasi
comunicazione di contenuto economico, attuata in forma orale o scritta, da
parte di soggetti ai quali sono attribuite specifiche funzioni nell'ambito
della società (91), incluse quelle trasfuse negli atti contabili (92), senza
necessità che tale comunicazioni sia diretta al pubblico o all'assemblea,
come invece stabiliva l'antecedente disposizione di cui alla legge 4 giugno
1931 n.660 (93). La configurazione del concetto di
comunicazione sociale in termini così ampi ha portato ad includervi anche le
informative di natura riservata, in quanto indirizzate ad un unico
destinatario, come nel caso della rappresentazione della situazione
patrimoniale societaria trasmessa alla banca per l'ampliamento o la
concessione di finanziamenti (94), ovvero anche nell'ipotesi di dichiarazioni
dirette all'ISVAP, quale organo di controllo delle società assicuratrici (95)
o alla Consob ai sensi dell'art.18, comma secondo, della L.216/1974 (96). Si è ritenuto di ravvisare altresì il
reato nel caso in cui esponenti bancari, nelle segnalazioni periodiche dovute
per legge alla Banca d'Italia e nei bilanci d'esercizio, abbiano scientemente
dato a talune posizioni creditorie anomale una qualificazione diversa da
quella prescritta dalla normativa secondaria emanata dalla Banca d'Italia
stessa nell'esercizio della sua potestà regolamentare (97) Non vi è dubbio che tra i documenti ai
quali si riferisce la norma e che
possono includere le comunicazioni oggetto di reato rientrano le
relazioni degli amministratori, così come quelle dei promotori (98) e, innanzitutto,
i bilanci, dovendosi ricomprendere in tale termine, oltre al bilancio annuale
previsto dagli artt.2423 e segg. del codice civile, anche quelli straordinari
di cui agli artt.2277, 2446, 2453, 2498 e 2502 c.c., nonché il bilancio
finale di liquidazione (99). Per la configurazione del reato di
falso in bilancio, occorre un'alterazione dello stato attivo e passivo della
società (100), essendo a ciò sufficiente far figurare come credito liquido ed
esigibile di banche sovventrici un credito, invece, illiquido e non documentato
di un altro sovventore non nominato (101), ovvero nella contabilità della
società crediti inesistenti o comunque dichiarazioni non veridiche
dell'esistenza o dell'inesistenza di fatti concernenti le condizioni
economiche della società ed aventi rilevanza giuridica agli effetti della
valutazione della sua entità economica (102). Rientra nella fattispecie anche la
falsità compiuta nei bilanci non ufficiali privi di valore fiscale (103) e
nel bilancio consolidato delle società capogruppo, essendo stato ritenuto, a
tal ultimo riguardo, che esso non si estrinseca in un mero prospetto
contabile od in insieme di elementi offerti alle società controllate
acriticamente recepiti, ma serve a rappresentare la situazione patrimoniale e
reddituale dell'intero gruppo societario (104), mentre invece per quanto
concerne il bilancio cosidetto tipo o budget, quale documento contabile a
carattere previsionale ed ipotetico in relazione al raggiungimento di
obiettivi ottimali di gestione aziendale, da una parte, si è sostenuto che,
pur non potendo essere qualificato bilancio in senso tecnico giuridico
proprio, esso contiene dati e fatti attinenti alla situazione economica
dell'impresa con riferimento ad un concreto esercizio finanziario ed è perciò
da configurare come vera e propria comunicazione sociale (105) e, da altra,
si è invece osservato che il bilancio tipo non sarebbe riconducibile né alla
categoria delle valutazioni, risolvendosi in un mero conteggio elaborato in
via di previsione e di ipotesi, né tantomeno a quella di comunicazioni
sociali, in considerazione del fatto che lo stesso concetto di comunicare,
espresso dalla norma, non può che fare riferimento soltanto ad una realtà già
in atto (106). La disposizione in questione prevede
due tipiche condotte delittuose costituite, in primo luogo, dall'esposizione,
nei citati documento, di fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o
sulle condizioni economiche della società e, in secondo luogo, dal
nascondimento, in tutto o in parte, di fatti concernenti le condizioni
medesime. In ordine alla prima, secondo alcuni,
le semplici valutazioni non potrebbero rientrare nella nozione di fatti,
intesi come accadimento, in quanto insuscettibili di formare oggetto di un
giudizio di verità o falsità, dovendosi allora escludere che l'adozione di
criteri soggettivi, anche discutibili, per le valutazioni in bilancio di
taluni cespiti o per il calcolo di talune parti sia sufficiente ad integrare
il delitto in questione (107), mentre, per altro avviso, tali valutazioni,
sebbene non rientrano precisamente nella categoria dogmatica dei fatti,
meriterebbero comunque un identico trattamento agli effetti dei crimini
stabiliti dagli artt.2621, n.1, c.c. e 233, comma secondo, n.1, della legge
fallimentare, dal momento che anche il senso comune attribuisce la qualifica
di falso ad un giudizio contrario ai
canoni universali di verità, nella specie identificabili nei canoni legali di
valutazione della attività o passività da iscrivere al bilancio societario
(108). La tesi dominante in giurisprudenza,
validamente è quella che include anche le valutazioni nella nozione di fatti
non rispondenti al vero sancita dall'art.2621, n.1, c.c. (109) e in dottrina,
più precisamente, da una parte, si osserva che le valutazioni non potrebbero
mai essere vere o false (110), mentre dall'altra si argomenta che le
valutazioni altro non potrebbero essere che dei veri e propri fatti,
dovendosi intendere quest'ultimo concetto nel contesto in cui la norma lo
cala e concludere, allora, che se il reato tratta di comunicazioni rese da
alcuni soggetti ad altri, i fatti non possono che rilevare per come i
compilatori del documento li rappresentano, trattandosi di fatti psichici, ma
pur sempre suscettibili della qualificazioni di vero e di falso, laddove al
termine vero deve assegnarsi il significato di vero legale e cioè di verità
relativa cui si perviene attenendosi ai principi ed ai criteri offerti dalla
disciplina del bilancio (111). L'opinione prevalente è, comunque,
quella che le valutazioni formulate dagli amministratori nella stima delle
poste contabili non possono tradursi in un insindacabile arbitrio, ma vanno
contenute nel principio di ragionevolezza, in mancanza del quale andrebbero a
costituire una valutazione artificiosa, così che l'ipotesi all'erronea valutazione
dell'attività nel bilancio sociale, se normalmente non rientra nel campo
delle falsità di bilancio previste dall'art.2621, n.1, c.c., stante
l'apprezzamento discrezionale che la valutazione necessariamente implica, in
questo campo senz'altro rientra, invece, allorquando oltrepassi il limite
della ragionevolezza, non potendo più parlarsi, allora, di discrezionalità,
ma di valutazione artificiosa diretta ad occultare gli utili realizzati od a
rappresentare utili mai effettivamente conseguiti (112). In tema di riserve occulte, si è
osservato che non tutte le riserve indicate mediante sottovalutazione delle
attività sociali od ipervalutazione delle passività danno luogo al reato in
questione, ma unicamente quelle conseguenti a stime arbitrariamente effettuate,
nelle quali la discrezionalità nella valutazione del patrimonio sociale abbia
oltrepassato il limite naturale del principio della ragionevolezza, facendo
così ad esempio risultare come esistenti utili in effetti non conseguiti
(113), così come il reato è anche da escludere quando le riserve occulte
siano state costituite da una società, le cui azioni siano possedute tutte da
altra società e quest'ultima sia al
corrente della gestione anche riservata della società controllata (114),
sostenendosi, da una parte, che l'attività intesa a costituire accantonamenti
non palesi non può essere valutata disgiuntamente rispetto all'interesse
protetto dalla norma in esame e diviene penalmente rilevante soltanto ove
diretta ad offendere tale interesse (115). La seconda ipotesi di condotta
delittuosa, costituita dal nascondimento anche parziale di fatti concernenti
le condizioni economiche societarie, è configurata da alcuni come un reato
omissivo proprio che include tutti i casi di falsità omissiva, purché
concernenti le suddette condizioni, al riguardo osservandosi che l'obbligo
degli amministratori d'informare i soci sarebbe limitato alle notizie
rilevanti ai fini della delibera ed escluso in tutti i casi in cui il danno
che può derivare alla società sia realmente maggiore di quello derivante ai
soci dalla reticenza (116) e che, inoltre, gli obblighi di precisione e di
chiarezza imposti dall'art.2423 c.c. agli amministratori nella redazione dei
bilanci richiederebbero che ogni debito, anche futuro ma di certa pretesa, come
per quelli di natura fiscale, debba risultare negli atti societari e nei
bilanci, all'occorrenza con chiarimenti e critiche nella relazione che deve
accompagnarli, in quanto le omissioni al riguardo nei bilanci succedutisi e fino a quello di liquidazione
configurano la violazione dell'art.2621, n.1, c.c. ed integrano il reato di
cui all'art.223 della legge fallimentare (117). Per il caso, infine, dell'omessa
esposizione nelle scritture contabili di proventi ed attività ricavate da
azioni delittuose, è stato escluso che una simile ipotesi, formalmente
riconducibile alla previsione normativa, vada ricompresa nell'ambito di
applicazione della norma in esame, tenuto conto del principio che nessuno può
considerarsi obbligato ad effettuare una sorta di autodenuncia, con la
scritturazione dei libri sociali, dei reati posti in essere (118). Le condizioni economiche della società
oggetto di esposizione non corrispondente al vero riguardano non solo
l'entità delle poste attive da indicare nell'attivo e nel passivo del
bilancio ai sensi dell'art.2424 c.c. ed i dati relativi ai risultati
economici dell'esercizio, ma anche tutti quegli elemento che sono rilevanti
ai fini della valutazione della potenzialità economica della società (119),
dovendosi aver riguardo non soltanto
alle comunicazioni sociali che concernono lo stato patrimoniale della
stessa, ma anche a quelle che attengono alla società medesima, incluse quelle
relative alla modifica dell'atto costitutivo e, in genere, a tutte le
modificazioni degli elementi indicati nell'art.2518, posto che anche di tali
variazioni debbono essere informati i soci ed i creditori attuali e futuri ed
in genere ogni terzo interessato (120). 3) L'elemento soggettivo del reato di
falso in bilancio In ordine all'elemento psicologico
richiesto per la configurazione del reato di cui all'art.2621 c.c., se ne è
affermata la natura in termini di dolo specifico. Com'è noto, secondo i principi
dell'ordinamento giuridico del sistema penale, questa forma dell'elemento
soggettivo si distingue dal dolo generico, rappresentato dalla previsione e
dalla volizione dell'evento da parte dell'agente quale conseguenza della sua
azione od omissione ai sensi dell'art.43 c.p., per esser esso costituito dal
particolare motivo o dallo scopo speciale propostosi dal soggetto attivo del
reato (121) Non per questo, in ogni caso in cui la
norma penale contempla un motivo od un determinato fine specifico per
qualificare come penalmente rilevante l'azione o l'omissione criminosa, ci
troviamo conseguentemente di fronte ad una ipotesi di dolo specifico. Laddove la norma non da rilevanza al
fine propostosi dal soggetto agente , così come nel caso in cui postula un
determinato fine per rendere punibile un fatto che altrimenti non lo sarebbe,
si resta nel campo del solo dolo generico, seppure particolarmente
qualificato (122). Funzione peculiare del dolo specifico è
perciò quella di contraddistinguere tutti quei reati che apparirebbero
identici quanto a materialità e dolo generico. La sua presenza consente ad esempio di
distinguere il furto dalla violenza o dal danneggiamento, laddove chi si
impossessò della cosa lo fece per trarne profitto e non invece per farsi
ragione di un proprio diritto o per danneggiarla semplicemente. Agli effetti dell'art.2612, n.1, c.c.,
si è dapprima ritenuto che il riferimento operato dalla norma alla frode, nel
senso di assegnare alla condotta dell'agente una caratterizzazione nel segno
della fraudolenza, essendo appunto richiesta una fraudolenta esposizione di fatti
non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche
della società od omissione anche parziale di fatti concernenti tali
condizioni, non può essere interpretato nel senso che sia sufficiente la sola
intenzione di porre in essere l'inganno, occorrendo invece che, al fine
realizzare quest'ultimo sulla reale condizione dell'organismo sociale si
riconnetta la volontà dell'offesa al bene giuridico tutelato, costituito
dall'interesse all'integrità e normalità della società stessa ed alla difesa
di legittime aspettative dei soci e dei terzi e concorra, quindi, lo scopo di
procurare a sè o ad altri un vantaggio o arrecare un pregiudizio agli
interessi della società, dei soci o di chiunque altro possa venire in
rapporto con l'ente collettivo (123) E, con questo, è stato allora escluso
il reato in questione, per mancanza di dolo specifico, nel caso in cui
l'amministratore sia stato determinato alla commissione del reato dalla
necessità di salvare la società e di impedire che la reale esposizione delle
condizioni sociali provocasse grave e maggior danno ai creditori (124),
ovvero esclusivamente dallo scopo di frodare il Fisco, essendo questo
comportamento criminoso previsto da altre specifiche norme poste a tutela
dell'erario (125). La successiva evoluzione di tale
orientamento ha poi condotto ad accantonare il requisito dell'animus nocendi
e ad identificare il dolo specifico richiesto dalla norma del codice civile
essenzialmente nella volontà di trarre in inganno i titolari degli interessi
protetti dalla norma medesima, accompagnata dal proposito di procurare a sé o
ad altri un ingiusto profitto, senza che occorra anche l'intento di cagionare
un danno (126), dovendosi perciò interpretare il riferimento normativo alla
frode che deve caratterizzare la condotta dell'agente nel senso della
sussistenza di una sua volontà di trarre in inganno, ovvero di determinare un
errore nei soci o nei terzi sulla effettiva situazione patrimoniale della
società, unitamente al proposito di conseguire, attraverso l'inganno, un
vantaggio, senza che debba però esservi anche una volontà di arrecare ad
altri un danno (127). E' stato, al riguardo, più precisamente
osservato che l'avverbio "fraudolentemente", utilizzato dal
legislatore nella formulazione della norma al fine di sancire la
caratterizzazione della condotta penalmente rilevante, starebbe piuttosto ad
indicare il proposito di frode, quale misto di inganno e di intento di
conseguire con esso un vantaggio, ma non anche di recare danno ad altri, in
quanto è senz'altro possibile che l'agente possa anche essere stato animato
dal proposito di frode senza affatto volere il danno ad alcuno, ma auspicando
anzi che esso non si verifichi, di tal che non necessiterebbe che l'intento
di danno si accompagni allo scopo di profitto, essendo sufficiente che
l'agente abbia avuto previsione del danno come correlativo al profitto e,
tuttavia, tale previsione non lo abbia distolto dall'azione (128). Ad integrare il dolo specifico
richiesto dalla norma, è stata per giunta ritenuta sufficiente la sola
volontà di determinare un errore negli organi sociali, nei soci o nei terzi,
allo scopo di indurli a tenere comportamenti diversi da quelli che avrebbero
tenuto se fossero stati a conoscenza della realtà della situazione e dei
rischi effettivi, con la conseguente delineazione dell'elemento soggettivo
del reato in modo indipendente dalla rappresentazione, anche sotto il profilo
della semplice possibilità in termini di dolo eventuale, del danno
cagionabile al terzo a seguito del compimento o dell'omissione di quegli atti
in vista dei quali sono state poste in essere le false comunicazioni sociali
(129). A questo modo, la possibilità del
verificarsi del danno, con conseguente rappresentazione dell'elemento
psicologico del reato in termini di dolo eventuale, sarebbe requisito non più
necessario ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo, per cui
sarebbe sufficiente l'intentio decipiendi e l'animus lucrandi (130),
giungendosi per di più, da parte di un'autorevole dottrina, a ritenere superfluo
anche quest'ultimo requisito, con conseguente eliminazione dello stesso
carattere specifico del dolo richiesto dalla norma (131). 4) La disciplina penale tributaria
delle falsità commesse a scopo di evasione Nell'ambito dei documenti che possono
essere oggetto di falsità, certamente si pongono anche quelli fiscalmente
rilevanti idonei non solo a dar prova dei rapporti intercosi tra le parti, ma
anche a documentare all'Amministrazione finanziaria le operazioni effettuate
dal contribuente ai fini dell'applicazione del tributo. Data l'evidente importanza e
delicatezza del ruolo di tali documenti nel meccanismo impositivo, il
legislatore ha criminalizzato ad hoc la falsificazione di tali atti,
sottraendoli all'applicabilità della disciplina comune, laddove il falso sia
commesso al fine di evasione. L'art.4 della legge 7 agosto 1982 n.516
punisce infatti con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da
cinque a dieci milioni di lire chiunque, al fine di evadere le imposte sui
redditi o l'imposta sul valore aggiunto o di conseguire un indebito rimborso
ovvero di consentire l'evasione o indebito rimborso a terzi, falsifica
ideologicamente o materialmente i documenti indicati nelle lettere
a),c),d),e) ed f) della norma citata o distrugge od occulta le scritture o i
documenti indicati nella lettera b) della stessa disposizione. Con tale norma, da un lato, si è
specializzata l'incriminazione rispetto a quelle ipotesi che sarebbero
ricadute nell'ambito di applicazione delle norme penali codicistiche e, dall'altro,
si sono rese penalmente rilevanti le condotte di falso ideologico che la
disciplina di diritto comune esclude dalla punibilità (132). Il dolo specifico richiesto dall'art.4
della legge 7 agosto 1982 n.516 (133) non consente di estendere la punibilità
del falso oltre i casi nei quali l'obiettivo dell'agente appaia costituito
dal fine evasivo, senza così interferire con la normativa del codice penale
ed evitando l'ampliamento delle fattispecie criminose ivi previste . Per contro, difettando tale peculiare
elemento soggettivo, nella fattispecie concreta potrà essere ravvisata la
configurabilità di altro reato (134) ed anche di quelli stessi concernenti le
falsità documentali (135), così come invece essa potrà rimanere penalmente
irrilevante (136) o risultare comunque non punibile (137). Ciascuna lettera della suindicata
disposizione normativa contiene un'autonoma previsione incriminatrice (138),
caratterizzandosi così, tale disposizione, come tipico esempio di disposizione
a più norme (139), dal che consegue che allorquando l'agente ponga in essere
una o più condotte che integrino più di una delle ipotesi criminose dalla
norma descritte, esso realizza la commissione di più reati, il cui rigore
sanzionatorio potrà soltanto essere mitigato in forza dell'art.81 c.p. (140). Non rileva, invece, che l'agente abbia
posto in essere contestualmente più comportamenti descritti da una singola
lettera della predetta multipla disposizione normativa, non potendo
costituire le diverse previsioni comportamentali stabilite da ciascuna di
tali lettere, a loro volta, una pluralità di illeciti, trattandosi
esclusivamente di modalità della condotta criminale alternativamente previste
(141). L'ultima disposizione della norma in
oggetto, contraddistinta dalla lettera f), pone il reato a carico di chi
indichi nella dichiarazione dei redditi ovvero nel bilancio o rendiconto ad
esso allegato, al di fuori dei casi previsti dall'art.1, ricavi, proventi od
altri componenti positivi di reddito, ovvero spese od altri componenti
negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva, utilizzando
documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero, ovvero
ponendo in essere altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare
l'accertamneto dei fatti materiali. La condotta criminale, nella
fattispecie, è innanzitutto costituita dalla suddetta indicazione non
veritiera, alla quale si accompagna l'utilizzazione di documenti attestanti
fatti materiali non corrispondenti al vero. La norma è pertanto diretta a colpire
non solo la allegazione di quei documenti che siano ideologicamente falsi,
per i quali la legge prescriva appunto l'allegazione alla dichiarazione o al
bilancio o comunque l'esibizione alle autorità competenti, ma anche la
semplice utilizzazione di qualsiasi documento ideologicamente falso, che
venga comunque a trovarsi inserito nella contabilità, rilevando come supporto
probatorio della dichiarazione o del bilancio (142). Oggetto del falso ideologico non
potranno che essere tutti quei documenti che, consistendo essenzialmente in
scritture, abbiamo già visto esser rilevanti per le falsità documentali
regolate dal codice penale, dovendosi invece escludere tutte le altre cose
che, pur idonee a rappresentare un fatto, quali le riproduzioni fonografiche,
fotografiche, cinematografiche ecc., non possono farsi rientrare nel concetto
di falsità documentale, ma essendo semmai in grado di rilevare, ai fini del
reato in questione, quali comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare
l'accertamento di fatti materiali a cui fa cenno l'ultima parte della
disposizione (143). Al riguardo rileva, tuttavia, un
concetto di documento di più stretta portata, rispetto a quello di diritto
comune valevole per le falsità documentali, sia perché sono ovviamente esclusi
tutti quei documenti non suscettibili di rilievo tributario, sia perché
risultano estranei all'oggetto del reato tanto il documento di bilancio o
rendiconto nel quale sia riportata la falsa indicazione richiamata nella
dichiarazione, quanto le scritture contabili obbligatorie richiamate dalle
lettere a) e b) del secondo comma dell'art.1 della legge 7 agosto 1982 n.516. In forza dell'inciso contenuto nella
stessa lettera f) dell'art.4, che esclude dall'ambito di operatività della
norma i casi previsti dall'art.1, né il bilancio né tali scritture contabili
obbligatorie riportanti dati non veritieri possono rilevare ai fini del reato
di frode fiscale. Per ravvisarsi quest'ultimo deve perciò
trattarsi di bilancio che, senza contenere la falsa indicazione, sia comunque
di essa supporto probatorio, come nel caso in cui il documento contabile,
falsamente redatto, concerna una società controllata, ovvero deve trattarsi
di scritture contabili che non siano quelle obbligatorie alle quali fanno
cenno le citate lettere dell'art.1. Nel caso in esame, le difficoltà di
concepire un'ipotesi di concorso con le falsità documentali di diritto comune
sono anzitutto dovute al fatto che, trattandosi di falso ideologico, la
concorrenza sarebbe astrattamente ravvisabile solo in ipotesi che l'atto
falsificato sia qualificabile come atto pubblico. 5) Il reato di frode fiscale sancito
dall'art.4 della legge 7 agosto 1982 n.516 nella disciplina anteriore e
successiva alla riforma attuata con la legge 15 maggio 1991 n.154 Prima della riforma attuata dalla legge
15 maggio 1991 n.154, l'art.4, comma primo, n.7, della legge 7 agosto 1982
n.516 prevedeva tutta una serie di comportamenti alternativi facenti parte di
un unico procedimento nel quale la dichiarazione dei redditi, presentata e
redatta in modo da dissimulare i componenti positivi o da simulare quelli
negativi del reddito, andava a costituire il nucleo centrale del reato (144). Disponeva, infatti, la norma, la
reclusione da sei mesi a cinque anni e la multa da cinque a dieci milioni di
lire nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o
l'imposta sul valore aggiunto o di conseguire un indebito rimborso ovvero di
consentire l'evasione o l'indebito rimborso a terzi, essendo titolare di
redditi di lavoro autonomo o di impresa, redige le scritture contabili
obbligatorie, la dichiarazione annuale dei redditi ovvero il bilancio o
rendiconto ad essa allegato dissimulando componenti positivi o simulando
componenti negativi di reddito, tali da alterare in misura rilevante il
risultato della dichiarazione. Soggetti attivi del reato erano i
titolari di redditi di lavoro autonomo o di impresa (145), dovendosi, secondo
alcuni, escludere gli amministratori di società di capitali, per non poter
essere questi considerati titolari di quest'ultimo tipo di reddito, spettante
invece alle società da essi rappresentate (146), mentre invece, per altro
avviso, anch'essi avrebbero ben potuto rientrare tra i soggetti attivi del
reato in base la rilievo secondo cui il riferimento del reddito alla sfera
soggettiva avrebbe dovuto essere inteso nel senso di materiale disponibilità
del reddito stesso, così non vi sarebbe stato ostacolo alcuno per ritenere
gli amministratori di società di capitali quali titolari del reddito di
impresa conseguito dalla società rappresentata, nel segno di una concezione
del possesso quale autonoma disponibilità, coincidente pertanto con quella
tipica penale (147). La condotta punibile era rappresentata
dalla redazione delle scritture contabili obbligatorie o della dichiarazione
dei redditi ovvero del bilancio o rendiconto ad essa allegato, con la
dissimulazione di componenti positivi o la simulazione di componenti negativi
del redditi, ritenendosi sufficiente ad integrare il reato, da parte di
alcuni, il semplice occultamento di componenti positivi, quale fattispecie
simulatoria, o la falsa esposizione di componenti negativi, per la
fattispecie della dissimulazione, senza bisogno di alcun particolare
artificio (148), mentre per la prevalente dottrina vi sarebbe stata, per il
perfezionamento dell'elemento materiale del reato, necessità di veri e propri
artifici giuridici e contabili idonei ad ingannare l'amministrazione
finanziaria, senza i quali la mera esposizione di costi fittizi od il
semplice l'occultamento di altri ricavi conseguiti avrebbe determinato
soltanto una dichiarazione infedele, ma certamente non fraudolenta agli
effetti dell'applicazione della norma penale tributaria (149). Modificando l'orientamento al riguardo
espresso in precedenza (150), peraltro oggetto di vivaci critiche (151) e
sostanzialmente accogliendo il diverso principio espresso in merito dalla
Corte Costituzionale (152), la Suprema Corte pareva aver accolto la tesi
della necessità di un quid pluris, rispetto alla mera indicazione dei dati
alteranti la veridicità della dichiarazione, costituito da una qualsiasi
mezzo artificioso o astuto espediente giuridico, normalmente sostanziato da
una delle condotte descritte nei precedenti sei numeri dell'art.4, comma
primo, della legge 7 agosto 1982 n.516 (153) e le stesse sezioni unite, sia
pure seguendo l'indirizzo sostenuto dal risalente orientamento e seguito
dalla prevalente giurisprudenza di merito, avevano in seguito sostanzialmente
denunciato l'insufficienza della mera falsità ideologica nella dichiarazione
per l'integrazione della condotta punibile e la necessità, invece, di un
qualcosa di più, rappresentato dall'allegazione, a riscontro probatorio della
falsa dichiarazione, dei documenti ideologicamente falsi, con conseguente
connotazione della condotta in termini oggettivamente fraudolenti
corrispondenti a quelli necessari per l'integrazione delle altre ipotesi
criminose delineate nei precedenti numeri della disposizione. Ritenuta tuttavia la sentenza diretta a
sciogliere il contrasto interpretativo come sostanzialmente confermativa del
risalente orientamento, per il quale il semplice mendacio avrebbe integrato
l'ipotesi di reato sancita dall'art.4, comma primo, n.7 della legge 7 agosto
1982 n.516, la Corte Costituzionale, rilevatane l'incompatibilità con gli
artt.3 e 25 della Costituzione, ne dichiarava l'illegittimità costituzionale
nella parte in cui non prevedeva che la dissimulazione di componenti positivi
o la simulazione di componenti negativi del reddito dovesse essere attuata in
forme artificiose (154). Secondo alcuni, inoltre, nell'ambito
della condotta penalmente rilevante avrebbero dovuto includersi anche le
false valutazioni, quanto meno del valore delle rimanenze finali (155) e, in
genere delle valutazioni in materia di redazione dei bilanci (156). Con la riforma apportata dalla legge 15
maggio 1991 n.154, la disposizione è stata mutata, con l'introduzione della
lettera f) in luogo dell'originario n.7 allo stesso suo comma, stabilendosi
la reclusione da sei mesi a cinque anni e la multa da cinque a dieci milioni
di lire nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi
o l'imposta sul valore aggiunto o di conseguire un indebito rimborso ovvero
di consentire l'evasione o l'indebito rimborso a terzi nei confronti di chi
indica nella dichiarazione dei redditi ovvero nel bilancio o rendiconto ad
essa allegato, al di fuori dei casi previsti dall'art.1, ricavi, proventi od
altri componenti positivi di reddito, ovvero spese od altri componenti
negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva utilizzando
documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero ovvero
ponendo in essere altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare
l'accertamento di fatti materiali, sancita, infine, l'applicazione della più
lieve pena della reclusione fino a sei mesi o della multa fino a cinque
milioni di lire se il fatto è di lieve entità, con espressa esclusione della
ricorrenza dell'ipotesi lieve in caso di importi superiori a cinquanta
milioni di lire. La nuova disposizione mantiene la
previsione di una serie molteplice di comportamenti alternativi, anch'essi
incentrati sulla presentazione di una dichiarazione dei redditi
ideologicamente falsa fondata su comportamenti fraudolenti idonei a
rappresentare fatti materiali non corrispondenti al vero o ad ostacolare
l'accertamento di fatti materiali incidenti su componenti di reddito e, anche
se l'oggetto materiale della condotta incriminata può ben esser costituito
non soltanto dalla dichiarazione dei redditi ma anche dal bilancio o
rendiconto ad essa allegato, al di fuori dei casi previsti dall'art.1, ciò
nonostante tanto il bilancio quanto il rendiconto assumono rilevanza soltanto
in quanto presentati con la dichiarazione cui debbono essere allegati e
quindi il loro rilievo penale è dato dal carattere integrativo della
dichiarazione che tali documenti, per legge, possiedono. Com'è stato opportunamente rilevato,
allora, per stabilire la sussistenza dell'idoneità della condotta a
conseguire l'evento finalisticamente perseguito attraverso il dolo specifico
richiesto (157) la falsificazione anche cadente soltanto sul bilancio, deve
essere valutata non in relazione a tale documento, in sé e per sé
considerato, ma con riguardo alla dichiarazione alla quale esso è allegato (158). La modifica ha, inoltre, ampliato la
sfera dei soggetti attivi del reato, sancendo che esso può essere commesso da
chiunque e non più quindi soltanto, come stabiliva la disposizione antecedente,
dai titolari di reddito di lavoro autonomo e di impresa, il che ha tolto al
delitto in questione l'originario connotato di reato proprio. Prevedendo che la condotta criminale si
attui mediante l'indicazione nella dichiarazione dei redditi ovvero nel
bilancio o rendiconto ad essa allegato di componenti positivi o negativi di
reddito in misura diversa da quella effettiva utilizzando documenti
attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero oppure ponendo in
essere altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento di
fatti materiali, la nuova norma esclude ogni riferimento, contenuto invece
nella previgente disposizione, alle scritture contabili, definendo la
dichiarazione dei redditi ovvero il bilancio o il rendiconto ad essa allegato
come i soli documenti che possono costituire oggetto di reato. Il legislatore della riforma ha poi
sancito l'esclusione dell'operatività della disposizione in ordine ai casi
stabiliti dall'art.1 della stessa legge 7 agosto 1982 n.516, dovendosi
intendere tale esclusione nel senso di estromettere dall'ipotesi di frode
fiscale le condotte di omesse o incomplete annotazioni o fatturazioni
contabili descritte ai punti a) e b) del comma secondo di tale norma, se
automaticamente traslate e riprodotte in dichiarazioni dei redditi
conformemente mendaci (159) senza aggiunta alcuna di forme artificiose
rappresentate dalla utilizzazione di documenti, diversi dal bilancio,
attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero o dalla realizzazione
di altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento di
fatti materiali (160) La nuova disposizione richiede, poi,
come sopra si è detto, che innanzitutto l'indicazione dei componenti di
reddito in misura diversa da quella effettiva avvenga utilizzando documenti
attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero. Si è osservato che il concetto di
utlizzazione espresso dal legislatore nella formulazione della norma penale
tributaria non può corrispondere a quello di allegazione, con la conseguenza
di attribuire rilevanza giuridica ai soli documenti per i quali l'ordinamento
prevede l'acclusione alla dichiarazione o al bilancio ovvero a quelli che
comunque debbono essere esibiti alle autorità competenti, estromettendo tutti
gli altri, anche se contenenti dati fiscali rilevanti (161) in quanto non si
può innanzitutto, in concreto, escludere una utilizzazione consistente nel
semplice inserimento in contabilità di un documento falso che vada ad
incidere sulla quantificazione dei componenti di reddito (162). L'obiezione si fonda, inoltre, sulla
stessa lettera della legge che, richiamando l'uso di un atto falso
realizzantesi in qualsiasi impiego giuridicamente rilevante del documento
diretto allo scopo per cui la falsità è commessa, pare proprio aver voluto
escludere dal comportamento normativamente descritto soltanto la mera
detenzione o conservazione del documento stesso ed è, infine supportata sia
dal rilievo che la stessa norma dell'art.4 della legge 7 agosto 1982 n.516,
alla lettera a), prevede le ipotesi di allegazione e di esibizione di
documenti contraffatti o alterati in termini del tutto autonomi come species
delo genus utilizzazione così come altrettanto autonomamente la successiva
lettera d) della medesima disposizione si riferisce all'utilizzazione di
fatture o di altri documenti nel senso certamente non riduttivo delle sole
allegazioni o esibizioni (163) sia dalla stessa ratio normativa che, per
integrare il reato, richiede soltanto una forma artificiosa diretta alla
realizzazione del comportamento fraudolento idoneo, così che l'utilizzazione
dei documenti appaia strumentalmente utile all'indicazione di componenti di
reddito in misura diversa da quella effettiva senza che possa rilevare la
circostanza che essi posseggano i requisiti da renderne obbligatoria
l'allegazione. Il concetto di utilizzazione enunciato
nella disposizione in questione avrebbe il più ampio significato di
ricomprendere tutti quei documenti che possano avere una qualche determinante
rilevanza fiscale ed una incidenza nella redazione della dichiarazione o del
bilancio Non vi è dubbio che tra i documenti
oggetto della suindicata utilizzazione rientra ogni scrittura che abbia
rilievo tributario, inclusi lo stesso bilancio ed il rendiconto allegato alla
dichiarazione, a condizione naturalmente che tale bilancio non contenga esso
stesso la falsa indicazione, ma sia invece allegato a supporto probatorio di
quest'ultima, riguardando magari una gestione collegata, ma diversa, da
quella oggetto della dichiarazione, come ad esempio in caso di allegazione di
un bilancio falso di una società controllata, poiché se, invece, si trattasse
di bilancio contenente esso medesimo la falsa indicazione richiamata nella
dichiarazione, con funzione pertanto solo informativa del risultato di
gestione contabile riportato nella dichiarazione, non potrebbe ricomprendersi
tra i documenti diretti a provare la falsa indicazione, dovendo questi ultimi
essere costituiti da atti del tutto diversi da quelli contenenti la stessa
falsa indicazione causata dal pedissequo riporto dei risultati della
contabilità tenuta in violazione dell'art.1, comma secondo, lett. a ) e b)
della L.516/82 che fa parte dei casi espressamente esclusi dall'ambito
applicativo della disposizione in questione (164). Eguale osservazione vale anche per le
scritture contabili sulla base delle quali il bilancio o rendiconto è stato
redatto, che rientrano senza alcun dubbio tra i documenti che possono essere
oggetto di utlizzazione agli effetti della norma, escluse tuttavia le
scritture contabili obbligatorie richiamate dal precedente art.1, comma
secondo, lett. a) e b), stante l'inciso normativo che rende ad esse
inapplicabile la disposizione, impedendo che tali scritture possano essere
utlizzate come supporto probatorio di una dichiarazione e di un bilancio
allegato ideologicamente falsi in conseguenza delle stesse omilsioni e false
indicazioni. Quanto agli altri comportamento
fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento dei fatti materiali, essi
devono consistere in atti compiuti artificiosamente al fine di impedire che
gli organi preposti all'accertamento dei redditi vengano a conoscenza di
ulteriori e maggiori componenti positivi di reddito rispetto a quelli
dichiarati. 6) Il dolo di frode fiscale In ordine all'elemento psicologico del
reato, esso è individuato, al pari di tutte le altre ipotesi contenute nei
numeri precedenti della disposizione, nel dolo specifico dovendo la condotta
dell'agente risultare diretta al fine di evadere le imposte sui redditi o sul
valore aggiunto o di conseguire un indebito rimborso ovvero di consentire
l'evasione o l'indebito rimborso di terzi. In genere, la natura specifica del dolo
consente, non soltanto, come già si è detto, di contraddistinguere tutti quei
reati che apparirbbero identici quanto a materialità e dolo generico, ma
anche di specializzare altresì la tutela normativa, come per l'appunto
nell'ipotesi di alterazione e contraffazione dei documenti fiscali prevista
dalla lettera a) del primo comma dell'art.4 della L.07.08.1982 n.516,
differenziando la condotta incriminata rispetto a tutte quelle altre riconducibili altrimenti alla falsità
materiale in scrittura privata ai sensi dell'art.495 c.p.. In altri casi, come ad esempio per le
falsità ideologiche, la previsione del dolo specifico sancita dalla norma
tributaria rende penalmente rilevante un fatto che altrimenti non lo sarebbe
(165). Trattasi pertanto di vero e proprio
elemento costitutivo del reato con valenza eminentemente differenziatrice
rispetto a consimili figure criminose od a fattispecie penalmente
indifferenti. Nè la sua funzione appare svalutata o
superflua in ambito penale tributario, dovendo ritenersi priva di rilievo
quella tesi che ne predica l'ininfluenza assumendo il carattere ovviamente
doloso delle relative fattispecie criminose (166). Diversamente ragionando, non potrebbe
che ravvisarsi infatti l'applicabilità della norma comune del codice penale
sul falso materiale per chi, tenendo il comportamento descritto dalla lettera
a) del primo comma dell'art.4 L.07.08.1982 n.516, alleghi alla dichiarazione
annuale dei redditi, dell'imposta sul valore aggiunto o di sostituto
d'imposta od esibisca agli uffici finanziari o agli ufficiali od agenti della
polizia tributaria o comunque rilasci o utilizzi documenti contraffatti o
alterati. Non distinguendo tra atti pubblici e
scritture private, la norma penale tributaria costituirebbe per l'appunto
disposizione generale, destinata perciò a segnare il passo dinnanzi a quella
codicistica in ipotesi di concorso apparente di norme. Verrebbero inoltre puniti comportamenti
che nulla hanno a che vedere con l'evasione, come nel caso di emissione od
utilizazione di fatture false per simulare a terzi l'esistenza di crediti
ingenti (167). L'accoglimento della tesi della
irrilevanza del dolo specifico trasformerebbe infine i reati penal tributari
in discussione da reati di pericolo in reati di sospetto. Finirebbe quindi per divenire
penalmente rilevante, ai sensi dell'art.4 L.07.08.1982 n.516, qualsiasi fatto
nel quale fosse dato ravvisare una qualunque delle condotte descritte dalla
norma, a prescindere da ogni collegamento con una evasione ancora da compiere
o da consentire ad un terzo o con un indebito rimborso da conseguire. Il reato sarebbe perciò sempre e
comunque ravvisabile, sia nell'ipotesi in cui esso appaia effettivamente
preordinato al raggiungimento di uno degli obiettivi suindicati, sia nel caso
in cui esso sia stato commesso per tutt'altri motivi od anche per coprire
un'evasione od un indebito rimborso già conseguiti (168). Come pertanto nei reati di mero
sospetto, il comportamento incriminato costituirebbe indice sintomatico di un
fatto criminoso pregresso e non accertato. Il problema è stato in particolare
affrontato in relazione all'ipotesi di contraffazione od alterazione dei
documenti fiscali delineata dalla citata lettera a) del primo comma
dell'art.4 della L.07.08.1982 n.516, avendo la giurisprudenza di merito più
volte escluso il dolo specifico, e perciò la configurabilità stessa del
reato, nel caso in cui il documento alterato sia stato esibito agli agenti o
agli uffici finanziari o giudiziari non in modo spontaneo dal contribuente,
ma invece su specifico invito od ordine degli stessi (169). Più cautamente, la dottrina ha circoscritto
le ipotesi di non configurabilità del delitto in questione ai casi in cui
l'esibizione sia effettuata su invito del giudice o della polizia giudiziaria
immediatamente prima dell'esecuzione del decreto di perquisizione o di
sequestro (170) o addirittura alla sola ipotesi del rinvenimento del
documento contraffatto durante le ricerche effettuate dagli organi indaganti
(171). Con accortezza, si osservato al
riguardo che, se da un lato integra giustamente il dolo specifico richiesto
dalla norma l'esibizione del documento alterato da parte del contribuente per
contrastare accertamenti già effettuati o in corso, non potrebbe egualmente
sostenersi validamente l'implicita permanenza della suddetta finalità
evasiva, senz'altro ben presente all'atto dell'alterazione documentale, in
ogni successivo comportamento dell'agente, potendo l'esibizione del documento
configurare il reato sopra citato soltanto in presenza di un'attuale finalità
evasiva del contribuente (172). La giurisprudenza della Suprema Corte,
che ha di frequente analizzato il problema in occasione di contestate
alterazioni dei documenti fiscali effettuate dal contribuente durante la
verifica degli agenti tributari allo scopo di ristabilire in senso veritiero
i dati falsamente indicati in precedenza, ha in alcuni casi escluso la
finalità evasiva, e pertanto la configurabilità del delitto, ritenendo
diretto il comportamento del soggetto ad uno scopo nettamente opposto
rispetto a quello originario d'evasione, sia pure per il semplice motivo di
evitare l'applicazione della sanzione (173). Di recente ha sul punto mutato
indirizzo e ravvisato il reato in occasione della constatata alterazione dei
documenti accompagnatori della merce trasportata durante le operazioni di
controllo degli agenti tributari, ritenendo di poter anticipare la condotta
tipica già al momento dell'iniziale alterazione eseguita prima del trasporto
con indubbia finalità evasiva (174). Parimenti, in altre ipotesi concernenti
l'utilizzazione di bolle di accompagnamento alterate al fine di evadere le
imposte ed esibite all'ufficio finanziario successivamente al periodo di
imposta ad esse riferito, la Suprema Corte ha ritenuto configurarsi il reato,
assumendo ravvisabile anche il tal caso il dolo specifico per esser stata la
condotta comunque finalizzata a render perfetta l'evasione già consumata
(175). In altre ipotesi ancora, la necessaria
sussistenza del dolo specifico è stata ribadita per distinguere la
fattispecie criminosa dell'esibizione agli uffici finanziari e alla polizia
tributaria di documenti contraffatti e alterati prevista dall'art.4 primo
comma lett.a) della L.07.08.1982 n.516 da quella stabilita invece dall'ultimo
comma dell'art.7 del D.P.R. 06.10.1978 n.627 concernente la contraffazione o
l'alterazione e uso degli appositi moduli stampati sui quali debbbono essere
compilati i documenti di accompagnamento dei beni viaggianti (176). Dato comune degli orientamenti
giurisprudenziali citati è che la verifica della sussistenza del fine evasivo
ha costantemente costituito il fondamentale presupposto normativo e logico
per decidere sulla sussistenza o meno del reato. Invero, analizzando la ratio stessa
della disposizione legislativa in esame, non può prescindersi
dall'osservazione che essa, trasformando radicalmente la precedente disciplina
in ordine alle ipotesi di frode fiscale, ha modificato le previsioni
incriminatrici concernenti le imposte dirette e l'imposta sul valore aggiunto
svincolandole sì da ogni collegamento con l'evasione dell'imposta, ma
soltanto per ancorare la punibilità alla configurazione di condotte
costituenti il mero pericolo dell'evasione (177). Non ha quindi di certo inteso il
legislatore del 1982 escludere qualsiasi riferimento all'evasione ma, dotando
di notevole più efficacia la portata della disciplina, semplicemente
arretrare la soglia di punibilità ad un momento antecedente, ritenendo
sufficiente, ma pur sempre necessario, che la condotta criminosa sia
proiettata verso la finalità evasiva. Resta pertanto ben saldo il legame di
ordine psicologico tra le condotte criminose descritte dalla norma e
l'interesse ulteriore dello Stato alla repressione dell'evasione (178). Com'è stato puntualmente rilevato, il
dolo del reato in esame concorre ad esprimere non soltanto una relazione tra
la psiche dell'agente ed il fatto commesso, ma caratterizza lo stesso
comportamento illecito, contribuendo ad integrare la fattispecie tipica alla
stessa stregua degli elementi obiettivi (179). Laddove la norma orienta le condotte
incriminate verso un particolare scopo, si instaura indissolubilmente un
collegamento funzionale e strumentale, mancando il quale la condotta
risulterebbe del tutto priva del carattere di offensività e per questo non
punibile ai sensi dell'art.49 secondo comma c.p. (180). La tesi della essenzialità del dolo
specifico di evasione consente pertanto di arginare nella categoria dei reati
di pericolo sia pure presunto le figure criminose in oggetto, evitando quelle
storture e quelle conclusioni aberranti che senza alcun dubbio non
corrispondono alla ratio della disciplina ed alla intenzione del legislatore. E, così ragionando, debbono perciò
escludersi dall'ambito di operatività dell'art.4 L.07.08.1982 n.516 tutte
quelle condotte che, seppure identiche dal lato materiale a quelle tipizzate
dalla norma, non appaiano sorrette né adeguatamente qualificate da una delle
finalità evasive descritte nella prima parte di essa, dovendo in tali casi
ritenersi affatto configurabile il delitto de quo per mancanza del prescritto
dolo specifico. 7) Il rapporto tra falso in bilancio e
frode fiscale Anteriormente all'entrata in vigore
della legge di riforma tributaria n.516 del 7 agosto 1982, la giurisprudenza
ha sempre negato che potessero essere punite, ai sensi dell'art.2621 n.1 del
codice civile, le false comunicazioni sociali poste in essere al fine
esclusivo di eludere le imposizioni fiscali, sul rilievo che un intento del
genere non fosse compatibile con l'elemento soggettivo del delitto in esame
(181) e, più in generale, con il principio di specialità di cui all'art.15 del
codice penale, che comporta l'applicazione esclusiva della fattispecie
incriminatrice della frode fiscale. E' stato, al riguardo, osservato che
l'esposizione di fatti non rispondenti al vero da parte di amministratori
delle società soggette a registrazione all'unico scopo di frodare il fisco
non costituisce il delitto previsto dall'art.2621 c.c., trattandosi di un
comportamento punto da altre specifiche disposizioni normative apprestate a
tutela dell'erario (182) e che la
possibilità di configurare un concorso materiale tra i diversi reati è
subordinata all'ipotesi che sia stata riconosciuta in concreto l'intenzione
di ingannare, oltre l'amministrazione finanziaria, anche altri destinatari
della comunicazione sociale (183). Originariamente, le disposizioni
contenute nell'art. 35 della legge 5 gennaio 1955 n.1, nell'art.252 del
D.P.R. 29 gennaio 1958 n.645 e nel D.P.R. 29 settembre 1973 n.600 punivano
con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da lire
duecentomila altre due milioni, salva
l'applicazione di altre eventuali sanzioni, chiunque, essendo a conoscenza
che negli inventari, bilanci o rendiconti è stata omessa l'iscrizione di
attività o sono state iscritte passività inesistenti ovvero sono state
formulate scritture o documenti fittizi o sono state alterate le scritture
contabili, avesse sottoscritto le dichiarazioni di cui al primo comma senza
rettificare i dati conseguenti rilevanti ai fini della determinazione
dell'imponibile ed inoltre chiunque, al di fuori dei suddetti casi, avesse
indicato nella dichiarazione di cui al primo comma passività inesistenti
rilevanti ai fini della determinazione dell'imponibile, oltre a coloro che,
nelle dichiarazioni prescritte dall'art.7, avessero indicato nomi immaginari
o comunque diversi da quelli veri in modo da renderne impedita od ostacolata
l'identificazione degli effettivi percipiendi ed a chiunque nei certificati
di cui all'art.3 avesse indicato somme al lordo delle ritenute inferiori a
quelle effettivamente corrisposte, nonché a coloro che, infine, avessero
commesso fatti fraudolenti al fine di sottrarre redditi alle imposte sul
reddito. Il falso in bilancio era, quindi,
strettamente collegato con la violazione tributaria e diveniva rilevante
quando la dichiarazione dei redditi risultava sottoscritta senza la rettifica
dei dati del bilancio ad essa allegato, con la conseguenza di considerare
tale adempimento quale condotta finalizzata alla sottrazione di somme
all'imponibile da dichiarare (184), potendosi distinguere le due fattispecie
criminose soltanto per il diverso fine che avevano indotto l'agente alla
commissione del reato. I rapporti tra falso in bilancio e
frode fiscale venivano risolti, nell'ambito del rapporto di specialità di cui
all'art.15 c.p., limitando l'ipotesi di un concorso materiale di reati ai
soli casi in cui l'agente fosse stato mosso dallo scopo di trarre in inganno
anche altri soggetti, oltre l'amministrazione finanziaria, dovendosi
escludere il reato di cui alla norma del codice civile nell'ipotesi in cui il
falso in bilancio fosse stato determinato dal fine esclusivo di frodare il
Fisco (185). Si riteneva, infatti, che la tutela di
quest'ultimo non apparteneva ai beni giuridici tutelati dai reati societari e
che l'economia pubblica, tutelata da tali norme, non poteva essere
indentificata nella potenzialità economica dello stato fiscale, con la
conseguenza che, mancando la volontà di offendere gli interessi sociali,
quelli dei creditori e quelli dei soci, veniva meno l'elemento soggettivo
necessario all'integrazione della fattispecie. Non potendo gli interessi dell'erario
essere ricompresi, sia pure in via indiretta, tra quelli tutelati dalla
norma, il Fisco non risultava incluso tra i soggetti passivi tutelati da
quest'ultima e, allora, il falso in bilancio finalizzato all'evasione fiscale
trovava la sua tutela in un autonomo sistema di norme amministrative, con la
conseguenza che l'alterazione di dati contabili effettuata esclusivamente ai
fini fiscali, mediante la falsificazione ideologica delle comunicazioni
sociali e dei bilanci, escludeva l'applicabilità delle fattispecie criminali
del codice civile, poiché si sarebbe trattato di un concorso apparente tra
norma incriminatrice del falso in bilancio e norma incriminatrice della frode
fiscale, concorso risolto con la prevalenza di quest'ultima disposizione
qualificata come speciale ai sensi dell'art.15 c.p., almeno sotto il profilo
della specialità in concreto della fattispecie (186). Tutto ciò implicava, in conclusione, la
sostanziale impunità per il reato di false comunicazioni sociali, in quanto,
nella vigenza della pregiudiziale tributaria, era divenuto ormai uso comune
degli imputati, chiamati a rispondere del reato societario, sostenere di aver
agito allo scopo di ingannare il Fisco, con la conseguenza dell'elusione della
sanzione stabilita dall'art.2621 c.c. e della stessa sanzione prevista dalla
norma penale tributaria, dati i tempi di norma necessari per la decisione in
sede amministrativa (187). L'intervento dell'art.4 della legge 7 agosto
1982 n.516 pareva aver consentito l'ammissibilità del concorso tra frode
fiscale e falso in bilancio, stante il mutamento delle condotte penalmente
sanzionate con riferimento alla frode fiscale che, escludendo la coincidenza
dell'elemento oggettivo tra le due fattispecie, aveva reso non più necessario
il ricorso al criterio di specialità contenuto nel citato art.15 del codice
penale (188), residuandone l'applicabilità soltanto nelle ipotesi di
coincidenza di condotte materiali ed in quelle tipizzate da un dolo
esclusivamente finalizzato all'evasione delle imposte sul reddito. Si era allora affermato un orientamento
giurisprudenziale secondo il quale la tutela delle esigenze finanziarie dello
Stato non poteva ritenersi inclusa tra le finalità per le quali era stato
introdotto l'art.2621 c.c., diretto ad assicurare interessi diversi, quali
quelli della società, dei soci e dei creditori, potendosi ipotizzare il
concorso soltanto allorquando l'agente non fosse strato mosso dall'esclusiva
anzidetta finalità di trarre in inganno il Fisco (189). Come si è detto, la modifica apportata
dalla legge 15 maggio 1994 n.154 ha poi allargato il campo dei soggetti
attivi del reato, originariamente identificati nei titolari di reddito di
lavoro autonomo o di impresa, includendovi chiunque venga a trovarsi nelle situazioni oggettive
descritte dalla norma, senza più alcun riferimento alle scritture contabili
obbligatorie, sia pure mantenendo uno stretto collegamento con l'obbligo, ai
fini dell'individuazione del soggetto attivo, della presentazione di una
dichiarazione dei redditi Sul punto della portata della
disposizione circa i soggetti e i rispettivi interessi alla tutela dei quali
essa è stata posta, da una parte, si è sostenuto che non vi sarebbe ragione
di escludere l'erario dai soggetti passivi del reato di falso in bilancio, in
quanto mancherebbe ogni previsione normativa escludente la presenza di una
particolare offesa pubblica e, in particolare, lo Stato, quale percettore dei
tributi, tra i soggetti passivi di tale fattispecie normativa, difettando
ogni incompatibilità logica ostativa all'inclusione dell'erario tra tali
soggetti ed essendo incongruente ritenere che lo Stato, nella
rappresentazione delle sue più disparate amministrazioni e funzioni, può
senz'altro essere sempre parte offesa di reati di falso in bilancio mentre,
allorquando appare in condizione di erario, tale non possa più essere
ritenuto (190). Secondo questa tesi, l'ipotesi di cui
all'art.4, lettera f) della legge 7 agosto 1982 n.516 sarebbe allora norma
speciale rispetto al delitto di false comunicazioni sociali, di tal che nei
casi in cui non fosse possibile applicare la specifica norma penale
tributaria, prevalente sulla norma comune e quindi sul reato di falso in
bilancio, dovrebbe ravvisarsi quest'ultimo nelle fattispecie caratterizzate
da frode fiscale consumata mediante valutazioni di bilancio falsamente
effettuate, con la conclusione che tutte le condotte di falso riconducibili
nella sfera di operatività dell'art.2621 c.c. poste ai danni del Fisco, altro
non potrebbero costituire che falsa comunicazione sociale in tutti i casi non
vi fossero gli estremi della frode fiscale. E' stato, al riguardo, osservato come,
per quest'avviso, in primo luogo, le false comunicazioni sociali dirette a
trarre in inganno il Fisco altro non potrebbero rappresentare che delle
species del genus costituito dalle false comunicazioni sociali, per cui anche
il fatto di aver dolosamente omesso l'annotazione di proventi inferiori alla
soglia di punibilità, stabilita dall'art.1 della legge 7 agosto 1982 n.516 in
cinquanta milioni di lire, potrebbe essere sufficiente ad integrare una falsa
comunicazione sociale, in quanto il conto economico risulterebbe sicuramente
falsato da un fatturato inferiore a quello reale, senza contare che anche
l'eventuale dichiarazione dei redditi priva dei corrispettivi occultati ben
potrebbe costituire una comunicazione sociale falsa e quindi punibile ai
sensi della norma contenuta nel codice civile (191). Qualsiasi dichiarazione mendace effettuata
allo scopo di ottenere un'evasione d'imposta potrebbe così definirsi come
comunicazione sociale dato che, essendo il Fisco interessato alle
informazioni di carattere economico ed accertata la divergenza di essa
rispetto alla situazione effettiva e reale, senz'altro la condotta tipica
criminale risulterebbe sempre perfettamente integrata (192) e, allo stesso
modo, non potrebbe ritenersi insussistente il dolo richiesto per le false
comunicazioni sociali nell'ipotesi si credesse di porre il Fisco al pari di
tutti gli altri soggetti destinatari dell'informazione societaria, così che
il dolo di evasione non si differenzierebbe concretamente da quello di
aggressione degli interessi economici degli altri creditori. Tutto l'apparato normativo di carattere
penale tributario risulterebbe, allora, praticamente superfluo ed inutile,
almeno per quelle fattispecie che, per essere integrate, presuppongono pure
la mendacità del bilancio o la falsità di una qualche comunicazione derivante
dalla società, poiché la normativa penale tributaria avrebbe, al più, potuto
svolgere un qualche ruolo nei confronti di soggetti diversi dalle società
soggette a registrazione, mentre per queste il mendacio rivolto al Fisco,
così come quello rivolto al creditore o al socio, avrebbe sempre costituto
una falsa comunicazione sociale (193). Anche nei casi delle false
comunicazioni inserite in questionari fiscali e della falsa risposta data,
sia pure oralmente (194) ma comunque ufficialmente, dall'amministratore di
società al funzionario della pubblica amministrazione, pur non costituendo
illecito rilevante ai sensi di alcuna disposizione della legge 7 agosto 1982
n.516, potrebbe ritenersi integrato il delitto di false comunicazioni
sociali, specie in considerazione del fatto che il principio di specialità
non opera tra illecito penale ed illecito amministrativo tributario per la
preclusione dell'applicabilità dell'art.9 della legge 24 novembre 1981 n.689
sancita dall'art.39 della stessa legge (195). Nel caso di omessa annotazione di
ricavi, sussisterebbe l'applicabilità del falso fintanto che la condotta
evasiva restasse sotto la soglia dei cinquanta milioni di lire, superata la
quale interverrebbe la norma prevista dall'art. 1, comma secondo, della legge
7 agosto 1982 n.516, che andrebbe praticamente a sostituire un grave delitto
con una semplice contravvenzione oblazionabile, con la conseguenza, inoltre,
che un'evasione di novantanove milioni sarebbe sostanzialmente equiparabile
ad un illecito amministrativo, mentre la medesima condotta di evasione
effettuata per importi anche assai inferiori andrebbe a costituire un grave
delitto, così che l'intero sistema penale tributario fungerebbe da normativa
agevolativa nei confronti degli evasori. Dovendo interpretarsi la disciplina
posta dalla legge 7 agosto 1982 n.516 come sistema normativo speciale
rispetto al delitto di false comunicazioni sociali, si dovrebbe concludere
che esso lo è nel senso di favorire chi evade, con la paradossale conseguenza
che qualunque organo di società sottoposta all'obbligo di registrazione che
decidesse di mentire al Fisco, dovrebbe auspicare di integrare sempre un
illecito penale a carattere tipicamente tributario al fine di sottrarsi ai
più gravi pregiudizi derivanti dall'applicazione dell'art.2621 del codice
civile (196). A conferma, invece, della contraria
tesi, secondo la quale, se non può porsi in discussione il fatto che la
lettera di tale norma non esclude espressamente l'erario dai soggetti
tutelati appare altrettanto indiscutibile che ad una eguale conclusione può agevolmente
giungersi semplicemente mediante una lettura sistematica di entrambe le norme
in esame, può trarsi quanto è ricavabile dall'analisi del comma quinto
dell'art.1 del DPR 20 gennaio 1992 n.23 che stabilisce l'amnistia dei reati
previsti dall'art.2621 c.c., ove tali crimini siano stati commessi per
eseguire od occultare taluno dei reati previsti in materia di imposte (197). Con tale norma è stata, infatti,
concessa amnistia ai delitti di false comunicazioni sociali commessi per
occultare un precedente reato fiscale, in situazione quindi di coesistenza
del reato tributario e del reato societario, di tal che risulta evidente che
il beneficio concerne tutti i casi nei quali il reo ha agito in base a due
distinti impulsi delittuosi, per aver aggredito tanto gli interessi del Fisco
quanto quelli dei soci, creditori e terzi a questi parificati, con
l'aggravante del nesso teleologico stabilita dall'art.61 n.2 del codice
penale. Posto che la norma contenuta nel codice
civile e quella penale tributaria si differenziano, oltre che per il diverso
elemento soggettivo, anche con riferimento a quello oggettivo (198), in
quanto la seconda appare diretta a sanzionare soltanto i fatti materiali,
mentre la prima occupa un campo d'azione senz'altro assai più ampio, prendendo
in considerazione qualsiasi fatto in genere, le conseguenze
dell'interpretazione che pone l'erario nella posizione di parte offesa nel
delitto di falso in bilancio sarebbero, secondo l'anzidetto
orientamento, che le valutazioni
mendaci non punibili a titolo di frode fiscale, diverrebbero sanzionabili,
anche se commesse con esclusiva finalità di frode al Fisco, a titolo di falso
in bilancio, in aperto contrasto con la precisa intenzione del legislatore il
quale, con la legge 15 maggio 1991 n.154, aveva sicuramente voluto escludere
la rilevanza penale delle valutazioni mendaci a titolo di frode fiscale (199) L'incongruenza, rappresentata dal fatto
che allora gli evasori fiscali rischierebbero di essere rinviati a giudizio
per il reato di cui all'art.2621 c.c., chiamati a rispondere per condotte non
sanzionate dalla norma speciale contenuta nell'art.4, lettera f), della legge
516/82, potrebbe, ad avviso di alcuni, comporsi includendo anche le false
valutazioni del magazzino o di beni strumentali nel concetto di fatti
materiali sanzionati da quest'ultima disposizione, in quanto essa andrebbe
così a coprire ogni ipotesi di sottovalutazione o sopravalutazione
finalizzata all'evasione, residuando l'applicabilità della disposizione del
codice civile soltanto laddove ne fosse ravvisabile il suo tipico elemento
soggettivo (200). Se, invece, in tali fatti materiali non
possano includersi le valutazioni infedeli (201), è evidente che il problema
resta aperto, dovendosi decidere se ciò che non è sanzionato dalla norma penale
tributaria, configurata come disposizione speciale rispetto a quella
civilistica, rientra o meno nell'ambito di operatività di quest'ultima. E' facile osservare che se le false
valutazioni dirette a scopo di evasione non possono includersi nell'ambito di
applicazione dell'art.4, lettera f), della legge 516/82, ciò potrebbe
costituire una prezioso escamotage per gli imputati ai quali, onde conseguire
in concreto l'impunità, sarebbe sufficiente dichiarare, nei casi in cui tali
false valutazioni fossero state effettivamente dirette a trarre in inganno
soci e terzi, che le falsità erano invece dirette ad ingannare il Fisco
(202). Posto che l'elemento soggettivo che
caratterizza la norma penale tributaria, non vi è dubbio che esso è
costituito dal dolo specifico, rappresentato dallo scopo di realizzare
un'evasione delle imposte sui redditi o dell'imposta sul valore aggiunto o il
conseguimento di un indebito rimborso, ovvero di consentire l'evasione o
l'indebito rimborso di terzi, quando allora il fine perseguito dall'agente
risulterà essere esclusivamente quello di trarre in inganno il Fisco, dovrà
necessariamente farsi ricorso all'art.4, lettera f), della legge 7 agosto
1982 n.516, delineandosi un'ipotesi di concorso apparente di norme da
risolvere, mediante l'applicazione dell'art.15 c.p., nel senso della
specialità del reato di frode fiscale quando il falso in bilancio è stato
compiuto al solo fine di frodare il Fisco (203), posto comunque che le due
fattispecie possono senz'altro concorrere in tutti i casi in cui il soggetto
attivo del reato sia stato determinato a porre in essere la condotta
delittuosa da un animus decipiendi rivolto non soltanto nei confronti
dell'erario, ma anche nei rispetti di altri soggetti (204). 8) Prospettive di riforma del reato di
false comunicazioni sociali La riforma dell'art.2621, n.1, del
codice civile, in senso parzialmente depenalizzante, costituisce allo stato
l'oggetto del disegno di legge n.43340, che propone, tra l'altro,
l'inserimento delle c.d. note integrative tra gli oggetti della falsità, in
conseguenza della riforma della relativa normativa civilistica e la
sostituzione dell'avverbio "fraudolentemente" con la nuova
espressione "con intenzione fraudolenta". Tale ultima modifica sarebbe diretta ad
evidenziare, fugando ogni equivoco al riguardo, che per l'integrazione
dell'elemento soggettivo del reato occorre un vero e proprio dolo specifico
di frode, senza tuttavia giungere a chiarire finalmente quali sarebbero i
soggetti nei rispetti dei quali la frode dovrebbe dirigersi, se la società
soltanto o anche i soci e i terzi o pure il Fisco. Scompare, inoltre, la fattispecie
dell'esposizione di fatti non rispondenti al vero sulla costituzione della
società, rilevando esclusivamente l'esposizione o l'occultamento di fatti
concernenti le condizioni economiche di questa, mentre il mantenimento del
riferimento ai fatti che debbono essere oggetto di esposizione o di
occultamento lascia irrisolto, salvo orientarsi con le argomentazioni offerte
dall'anzidetta giurisprudenza sul punto, il problema riguardante le
valutazioni, non chiarendosi se queste possano esservi incluse o meno. La riforma attribuisce poi rilievo
penale esclusivamente a quei fatti che risultino effettivamente idonei a
falsare la rappresentazione delle condizioni economiche della società,
introducendo, con ciò, un requisito del tutto vago ed incerto, quale quello
della rilevanza dei fatti rappresentati od omessi. Pur essendo evidente il tentativo di evitare
l'incriminazione per quelle ipotesi di fatti marginali e secondari, non
implicanti una effettiva alterazione della rappresentazione delle condizioni
economiche sociali, l'introduzione del concetto, per l'interpretazione del
quale è lasciata larga discrezionalità al giudice, rischia di riproporre gli
stessi equivoci e le medesime controversie interpretative che
caratterizzarono, almeno sino all'intervento chiarificatore operato sul punto
dalla Corte Costituzionale, quello del tutto analogo contenuto nell'abrogato
n.7 dell'art.4 della legge 7 agosto 1982 n.516 (205) NOTE: (1) Finzi, I
reati di falso, II, Torino, 1920,71-240; Antolisei,
Sull'essenza dei delitti contro la fede pubblica. Studi in memoria di Arturo
Rocco, I, Milano, 1952, 95 e s.; Proto, Il
problema dell'antigiuridicità del falso documentale, Palermo, 1951, 25-48. (2) Manzini,
Trattato di diritto penale italiano, Vol.VI, Cap.XXIII, Torino, 1983, 503; (3) Carnelutti,
Teoria del falso, Padova, 1935,138 e s.; Lombardi,
Delitti contro la fede pubblica, Milano, 1935, 223 e s.; Copelli, Il
delitto di falso documentale, Bologna, 1911, 118 s. (4) Borettini, Il
documento nel diritto penale, Padova, 1936; Mirto, La falsità in
atti, Milano, 1955, 87 e s.; Malinverni, Teoria
del falso documentale, Milano, 1958, 8 e s.. (5) Manzini, Trattato,
op.cit., Vol.VI, Cap.XXIII, op.cit., 681; Contra: Carnelutti,
Teoria, op.cit.,139. Secondo l'autore per documento dovrebbe intendersi
qualunque cosa idonea alla rappresentazione di un fatto. (6) Cass.,Sez V, 8
ottobre 1986, in "Cass.pen.", 1988, 442; Cass.,Sez V, 19
marzo 1980, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 1203; Cass.,Sez V, 25
ottobre 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 419; Cass.,Sez V, 19
maggio 1978, in "Giust.pen.", 1979, II, 403; Cass.,Sez V, 13 marzo
1975, in "Cass.pen.Mass.", 1976, 364. (7) Il falso in giudizio
determina il reato di falsità in atti solo se ha ad oggetto un documento,
sempreché non ricorra la fattispecie dell'art.374 c.p. (8) Cass.,Sez.III, 24
gennaio 1979, in "Giust.pen.", 1979, 1543. (9) Cass.,Sez.V, 17
marzo 1978, in "Giust.pen.", 1979, II, 94. (10) Come prevedono ad
esempio l'art.67 del regolamento 10 settembre 1914 n.1326 ed il D.L. 19
dicembre 1936 n.2380 in ordine all'uso dell'inchiostro indelebile per la
redazione degli atti originali da parte dei notai ed alla consistenza degli
inchiostri da utilizzarsi per la redazione di alcuni atti ricevuti da notai o
da altri pubblici ufficiali. (11) Sull'uso della
dattilografia vedasi gli artt.25 e 28 dell'ordinamento dello stato civile 9
luglio 1939 n.1238 ed il D.M. 18 novembre 1967. (12) Pretura di Ascoli
Satriano, 17 marzo 1978, in "Riv. it. dir. proc.pen.", 1928, 479. (13) Franceschielli, Il
principio generale della protezione dei segni di identificazione delle cose,
in "Riv.it.sc.giur.", 1938, 120 e s.. (14) Cass., 25 febbraio
1937, in "Riv.pen", 1937, 746; Cass., 27 ottobre
1933, in "Giust.pen.", 1934, II, 174. Quanto ai disegni,
ricorre la falsità allorché la firma apposta sulla riproduzione, costituente
perciò scrittura agli effetti del falso documentale, ha il fine di provare
che la creazione o la sua riproduzione appartiene all'autore originale; così:
Cass.,Sez V, 19 maggio 1978, cit.. Quanto alle
planimetrie redatte da liberi professionisti necessarie per il rilascio della
concessione edilizia, la esecuzione non corrispondente alla realtà integra il
falso ideologico ai sensi dell'art.481 c.p. ascrivibile a carico del
professionista, quale soggetto esercente un servizio di pubbllica necessità.
Così: Tribunale di Torino, 22 ottobre 1981, in "Giur.it.", 1982,
II, 362; Pretura di Torino, 22 ottobre 1981, in "Riv.notar.", 1982,
871; contra: Cass.,Sez V, 28 giugno 1978, in "Giur.it.", 1979, II,
390. Del reato è chiamato
a rispondere il privato, ai sensi degli artt. 48 e 480 c.p., allorquando
esibisca a corredo della domanda una falsa planimetria, inducento così in
inganno il pubblico ufficilale; così: Cass.,Sez V, 2 luglio 1979, in
"Giust.pen.", 1980, II, 418. In tal caso, senza la rilevanza
dell'errore, il privato non potrebbe rispondere del reato, essendo
ravvisabile a suo carico soltanto una falsità ideologica in scrittura privata
e come tale non punibile. Così:
Cass.,Sez V, 3 dicembre 1976, in "Giust.pen.", 1977, II, 416; cfr.:
Nizzoli, Sulla responsabilità nella falsità ideologica determinata da
inganno, in "Cass.pen.", 1994, 1484. (15) Cass., 16 luglio
1934, in "Giust.pen.", 1935, II, 343: Nel senso che il
rilascio di una carta d'identità in bianco non è punibile a titolo di falso
documentale, se pure vi sia stata l'apposizione della fotografia e del timbro
municipale: Cass., 13 novembre 1961, in "Cass.pen.Mass.", 1962,
218. (16) Cass., 14 agosto
1919, in "Giur.it", 1919, I, 1, 1045. (17) Cass., 17 ottobre
1973, in "Cass.pen.Mass.", 1974, 782; Cass., 9 novembre
1942, in "Giust.pen.", 1943, II, 191; Cass., 22 marzo
1939, in "Giust.pen.", 1940, II, 113; Cass., 13 luglio
1934, in "Giust.pen.", 1935, II, 343. (18) Cass.,Sez.V, 25
settembre 1980, in "Giust.pen.", 1981, II, 295. (19) Cass.,Sez.V, 1
febbraio 1984, in "Mass.uff.", 1984, m.153629; Cass.,Sez.V, 16
ottobre 1984, in "Mass.uff.", 1984, m.166728; Cass., Sez.Un., 10
ottobre 1981, in "Giust.pen.", 1982, II, 65; Cass., Sez.I, 28
settembre 1978, in "Giust.pen.", 1979, II, 459; Cass.,Sez.V, 24
novembre 1978, in "Cass.pen.Mass.", 1980, 694. (20) Dinacci, Profili
sistematici del falso documentale, 1979, 69 e 91; Nappi, Documenti
pubblici e delitti di falso, in "Giur.it.", 1982, II, c.193; Cass., Sez.Un., 10
ottobre 1981, cit.; Cass.,Sez.V, 7
ottobre 1984, in "Mass.uff.", 1984, m.163725. (21) Cass.,Sez.V, 6
ottobre 1977, in "Giur.it.", 1979, II, 279; Cass.,Sez.V, 5
maggio 1976, in "Giust.pen.", 1977, II, 258. Contra: Cass.,Sez.V,
13 novembre 1980, in "Giur.it.", 1982, II, 194. (22) Cass., 19 marzo
1980, cit.; Cass., 13 marzo
1975, cit.; Cass., 20 dicembre
1939, in "Giust.pen.", 1940, II, 390; Cass., 16 ottobre
1934, in "Giust.pen.", 1934, II, 140. (23) Cass., 8 ottobre
1986, cit.. (24) Cass., 19 marzo
1980, cit.; Cass.,Sez.V, 13
marzo 1975, cit.; Cass., 6 dicembre 1940,
in "Riv.pen.", 1941, m.84; Cass., 16 aprile
1934, in "Giust.pen.", 1934, II, 982; Copelli, Il delitto,
op.cit., 404-413; Lombardi, Delitti,
op.cit., Milano, 1935, 143; Mirto, La falsità,
op.cit., p.258; Galiani, Falsità in
scrittura privata, Napoli, 1970. (25) Cass.,Sez.V, 8
aprile 1983, in "Giust.pen.", 1984, II, 219; Cass.,Sez.V, 11
febbraio 1983, in "Cass.pen.", 1984, 1116; Cass.,Sez.V, 17
novembre 1982, in "Giust.pen.", 1983, II, 493; Cass.,Sez.V, 6
luglio 1981, in "Cass.pen.", 1982, 1972; Cass.,Sez.V, 19
giugno 1981, in "Cass.pen.", 1982, 1974; Cass.,Sez.V, 7
maggio 1981, in "Giust.pen.", 1982, II, 333; Cass.,Sez.V, 6
novembre 1975, in "Giust.pen.", 1976, II, 508; Cass.,Sez.V, 26
marzo 1975, in "Cass.pen.Mass.", 1976, 1028; Cass.,Sez.V, 6
ottobre 1977, cit.. (26) Cass.,Sez.III, 24
marzo 1986, in "Mass.uff.", 1986, m.172716; Cass.,Sez.III, 19
febbraio 1982, in "Cass.pen.", 1983, 1124; Cass.,Sez.III, 27
aprile 1982, in "Riv.it.dir. e proc.pen.", 1983, 1145. (27) Filié, Ancora in tema
di differenze tra falso materiale e falso ideologico, in "Riv.it.dir. e
proc.pen.", 1983, 1146. Cass.,Sez.V, 1
giugno 1984, in "Mass.uff.", 1984, m.165367. (28) Ancorché tali azioni
s'identifichino nel concetto di falsificazione, costituendo identico titolo
di reato, si tratta indubbiamente di fatti in se stessi diversi: contestata
perciò l'accusa di contraffazione, potrà certo seguire condanna per
alterazione, rappresentando quest'ultima una contraffazione parziale, ma
contestato il fatto dell'alterazione, non potrà seguire condanna per
contraffazione senza l'osservanza del secondo comma dell'art.521 del codice
di procedura penale. Ove invece il fatto contestato rimanga identico alla
contestazione di falsità in atto pubblico potrà seguire condanna per falsità
in scrittura privata o viceversa, trattandosi solo di diversa definizione
giuridica del fatto ammessa dal primo comma della citata disposizione. Cfr.
Manzini, Trattato, op.cit., Vol.VI, Cap.XXIII, op.cit., 844. (29) Cass.,Sez.V, 19
maggio 1978, cit.; Cass., 14 ottobre
1975, in "Cass.pen.Mass.", 1976, 1030; Cass., 21 gennaio
1961, in "Giust.pen.", 1961, II, 918; Cass., 11 dicembre
1954, in "Giust.pen.", 1955, II, 463; Cass., 9 novembre
1942, cit.; Cass., 3 aprile
1940, in "Riv.pen.", 1940, m.501; Cass., 7 dicembre
1925, in "Giust.pen.", 1926, 217. (30) Manzini, Trattato,
op.cit., Vol.VI, Cap.XXIII, op.cit., p.825. L'immutazione del
vero rileva solo in senso strettamente materiale, restando del tutto esclusa
nel caso della formazione ex novo del documento falsificato ove non preesiste
alcuna realtà da poter immutare. (31) Cass.,Sez.V, 8 marzo
1977, in "Cass.pen.Mass.", 1978, 991; (32) Cass., 30 ottobre
1958, in "Riv.it.dir.proc.pen.", 1959, 952; (33) Cass.,Sez.VI, 9
aprile 1992, in "Cass.pen.Mass.", 1992, fasc.9,99; Cass.,Sez.V, 24
novembre 1983, in "Mass.uff.", 1984, m.162428; Cass.,Sez.II, 27
ottobre 1982, in "Mass.uff.", 1983, m.164356; Cass., 23 maggio
1980, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 1991; Cass., 22 maggio
1975, in "Cass.pen.Mass.", 1976, 1027; Cass., 5 dicembre
1959, in "Riv.pen.", 1960, II, 286. (34) Cass.,Sez.V, 3
luglio 1989, in "Cass.pen.", 1991, 560; Cass.,Sez.V, 3
luglio 1984, in "Cass.pen.", 1985, 640. (35) Cass.,Sez.V, 2
ottobre 1990, in "Giust.pen.", 1991, II, 552; Cass.,Sez.V, 18
dicembre 1987, in "Mass.uff.", 1988, m.179615; Cass.,Sez.V, 31
ottobre 1986, in "Mass.uff.", 1986, m.176627; Cass.,Sez.II, 30
gennaio 1986, in "Mass.uff.", 1986, m.173257; Cass.,Sez.V, 29
maggio 1985, in "Mass.uff.", 1985, m.170781; Cass.,Sez.V, 17
maggio 1985, in "Giust.pen.", 1985, II, 664; Cass.,Sez.III, 29
ottobre 1981, in "Giust.pen.", 1983, II, 95; Cass.,Sez.V, 2
febbraio 1979, in "Riv.pen.", 1980, 45. (36) Cass.,Sez.V, 5
aprile 1978, in "Giust.pen.", 1979, II, 606; Cass.,Sez.V, 13
dicembre 1974, in "Giust.pen.", 1976, II, 40. (37) Cass.,Sez.V, 3
luglio 1989, cit.; Cass.,Sez.II, 30
settembre 1986, in "Mass.uff.", 1987, m.175102; Appello Milano, 17
ottobre 1988, in "Rass.trib.", 1989, II, 356. Cass.,Sez.V, 17
aprile 1986, in "Cass.pen.", 1987, 726; Cass.,Sez.VI, 31
ottobre 1986,cit.; Cass.,Sez.V, 17
gennaio 1985, in "Giust.pen.", 1985, II, 604; Cass.,Sez.II, 27
ottobre 1983, in "Mass.uff.", 1984, m.164356; Cass.,Sez.VI, 19
marzo 1980, cit.; Cass.,Sez.V, 28
ottobre 1980, in "Cass.pen.", 1982, 932; Cass.,Sez.V, 9
maggio 1980, in "Giust.pen.", 1981, II, 296; Cass.,Sez.V, 10
luglio 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 417; Cass.,Sez.V, 14
marzo 1978, in "Giust.pen.", 1979, II, 93; E' stato ritenuto
che anche in caso di falso ideologico in atto pubblico può configurarsi
l'ipotesi di reato impossibile per assoluta inidoneità dell'azione. Così:
Cass.,Sez.V, 24 novembre 1983, in "Giust.pen.", 1984, II, 477;
contra: Appello di Bologna, 3 maggio 1983, in "Crit.pen.", 1985,
68. (38) Tribunale di Vercelli,
12 dicembre 1992, in "Giur.merito", 1994, II, 339; Cass.,Sez.V, 5
luglio 1990, in "Giust.pen.", 1991, II, 468; Cass.,Sez.V, 13
maggio 1987, in "Cass.pen.", 1988, 2073; Cass.,Sez.V, 22
novembre 1975, in "Cass.pen.Mass.", 1977, 73; Cass.,Sez.V, 5 marzo
1974, in "Cass.pen.Mass.", 1976, II, 364. E' il caso in cui ad
esempio sia aggiunta una firma falsa ad un documento già idoneo a conseguire
il suo scopo per la presenza di precedente genuina sottoscrizione o sia
alterato il testo di un atto senza tuttavia alcuna modifica del suo
significato e della sua portata originari. E' stata tuttavia
sostenuta l'inconcepibilità del falso innocuo per i documenti pubblici,
essendo in tal caso indefettibile il pregiudizio del bene giuridico tutelato,
a meno che esso non incida su un documento inesistente o assolutamente nullo.
Così: Cass.,Sez.V, 3 novembre 1988, in "Giur.it.", 1990, II, 100. (39) Manzini, Trattato,
op.cit., Vol.VI, Cap.XXIII, op.cit., pagg.868 e 869; Carnelutti, Teoria,
op.cit., p.157; Copelli, Il delitto,
op.cit., p.194 e s.; Lanza, Falso
ideologico, in "Giust.pen.", XIV, 1908, fasc.34-35; Battaglini,
Osservazioni sulla falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti
pubblici, in "Giust.pen.", 1956, II, 362; Malinverni, Falso
ideologico in protesto cambiario, in "Riv.it.dir.pen.", 1956, 167; Ramacci, La falsità
ideologica nel sistema del falso documentale, Napoli, 1965. (40) Cass., 7 aprile
1979, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 527; Cass., 22 novembre
1979, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 1021; Cass., 11 giugno
1959, in "Giust.pen.", 1960, II, 7. Negli atti pubblici
a contenuto dispositivo, includenti cioè non l'attestazione dell'attività
compiuta dal pubblico ufficiale ma soltanto una manifestazione di volontà in
ordine ad un determinato oggetto, il falso ideologico è configurabile
esclusivamente allorquando la falsità cada su di un necessario presupposto di
fatto che, come tale, rientra anch'esso nella funzione probatoria del
documento e nel correlativo obbligo di veridicità del pubblico ufficiale.
Così: Cass.,Sez.V, 25
marzo 1992, in "Giust.pen.", 1992, II, 588; Cass.,Sez.V, 7 marzo
1989, in "Cass.pen.", 1991, I, 1774; Cass.,Sez.V, 4
febbraio 1987, in "Giust.pen.", 1987, II, 159; Cass.,Sez.V, 16
dicembre 1986, in "Cass.pen.", 1988, 1018; Cass.,Sez.V, 24
giugno 1984, in "Giust.pen.", 1984, II, 219; Cass.,Sez.V, 30
settembre 1983, in "Giur.it.", 1985, II, 29; Cass.,Sez.V, 25
febbraio 1983, in "Giust.pen.", 1984, II, 32. (41) Cass., 27 ottobre
1978, in "Cass.pen.Mass.", 1980, 362; Cass., 3 dicembre
1976, cit.; Cass., 2 luglio
1965, in "Cass.pen.Mass.", 1966, 376. (42) Cass., 5 marzo 1951,
in "Giust.pen.", 1951, II, 735. In caso di falsità
materiale potrà aversi concorso tra le due fattispecie criminose. Così:
Cass.,Sez.III, 16 dicembre 1988, in "Cass.pen.", 1990, I, 1510. (43) Cass., 28 gennaio
1980, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 762; Cass., 18 febbraio
1957, in "Giust.pen.", 1957, II, 422. (44) Cass., 24 febbraio
1949, in "Riv.pen.", 1949, 533; Cass., 21 dicembre
1942, in "Riv.pen.", 1943, 120; Cass., 6 dicembre
1939, in "Giust.pen.", 1940, II, 456. Il legislatore del
1930 ha eliminato la condizione di punibilità del fatto costituito dalla
possibilità di pubblico o privato nocumento stabilita nel previgente codice
del 1889 considerandola superflua dato che, trattandosi sempre di scrittura
giuridicamente rilevante, la possibilità di pubblico o privato nocumento
inerisce sempre e necessariamente alla falsità. (45) Cass.,Sez.V, 9
dicembre 1987, in "Giust.pen.", 1989, II, 25; Cass., 14 maggio
1962, in "Cass.pen.Mass.", 1962, 1072; Cass., 4 dicembre
1961, in "Cass.pen.Mass.", 1962, 423; Cass., 26 gennaio
1956, in "Giust.pen.", 1956, II, 400; Cass., 8 febbraio
1929, in "Riv.it.dir.pen.", 1929, 576. (46) Cass., 27 gennaio
1955, in "Riv.pen.", CIII, 28. (47) Cass., 25 giugno
1975, in "Cass.pen.Mass.", 1976, 1029; Cass., 27 maggio
1925, in "Riv.pen.", CIII, 28; (48) Cass.,Sez.II, 24
ottobre 1983, in "Mass.uff.", 1984, m.163365; Cass.,Sez.V, 16
giugno 1983, in "Cass.pen.", 1985, 79; Cass.,Sez.V, 7
luglio 1978, in "Cass.pen.Mass.", 1980, 364. Cass.,Sez.V, 8
febbraio 1977, in "Cass.pen.Mass.", 1978, 353; (49) Cass., 14 ottobre
1981, in "Giust.pen.", 1982, II, 649; Cass., 2 ottobre
1979, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 1024; Cass., 21 novembre
1959, in "Riv.it.dir.proc.pen.", 1960, 1241; Cass., 27 luglio
1929, in "Riv.it.dir.pen.", 1930, 42; Cass., 11 luglio
1957, in "Giust.pen.", 1958, II, 48. (50) Cass.,Sez.V, 24
marzo 1993, in "Cass.pen.", 1994, 1843; Cass.,Sez.V, 26
giugno 1984, in "Mass.uff.", 1984, m.163019. Cass.,Sez.V, 11
ottobre 1979, in "Cass.pen.Mass.", 1981, 1022; Cass.,Sez.V, 6
giugno 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 220; (51) De Marsico, Il dolo
nei reati di falsità in atti, in Scritti in memoria di E.Massari, Napoli
1937; Antolisei, Sull'essenza,
op.cit.,625; Sabatini,
Orientamenti circa il dolo nei delitti di falsità in atti, in
"Giust.pen.", 1955, II, 97; Cordero, Appunti sui
concetti di danno e di dolo in tema di falso in atto pubblico, in
"Giur.it.", 1935, II, 19; Della Valle, Appunti
sul dolo nei delitti di falsità in atti pubblici, in
"Giur.compl.cass.pen.", 1954, 3in "Giust.pen.", 17; Conti, Dolo e
immutatio veri nel falso in atto pubblico, in "Giur.it.", 1955, II,
305; Pannain, Appunti in
tema di dolo e di oggettività giuridica nella falsità in atti, in Studi
Antolisei, Vol.I, Milano, 1965, p.413 e s.; Padovani, La
coscienza dell'offesa nel dolo di falso: un requisito ad pompam?, in
"Cass.pen.Mass.", 1981, 1542 e s.. Cass.,Sez.V, 27
gennaio 1993, in "Cass.pen.", 1994, 1847; Cass.,Sez.V, 14
aprile 1992, in "Cass.pen.", 1993, 300; (52) Nel senso che la
condotta omissiva è configurabile solo nella falsità ideologica e non nel
falso materiale, salvo il caso previsto dall'art.40 secondo comma del codice
penale: Cass., 24 aprile 1940, in "Riv.pen.", 1940, m.563 e
Cass.,Sez.VI, 11 gennaio 1974, in "Foro it.", 1981, 527. (53) Cass.,Sez.V, 25
novembre 1986, in "Mass.uff.", 1987, m.176320; Cass.,Sez.V, 20
novembre 1984, in "Mass.uff.", 1985, m.167838; Cass.,Sez.V, 27
ottobre 1981, in "Cass.pen.", 1983, II, 288; Cass.,Sez.V, 17
ottobre 1980, in "Cass.pen.", 1982, 251; Cass.,Sez.V, 18
maggio 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 281; Cass.,Sez.V, 13
giugno 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 281. (54) Cass.,Sez.V, 10
ottobre 1984, in "Giust.pen.", 1985, II, 626; Cass.,Sez.V, 10
dicembre 1982, in "Mass.uff.", 1983, m.157653; Cass.,Sez.V, 20
giugno 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 281; Cass.,Sez.V, 2
febbraio 1978, in "Cass.pen.Mass.", 1979, 806. (55) Cass.,Sez.V, 16
giugno 1983, in "Giust.pen.", 1984, II, 220; Cass.,Sez.V, 24
marzo 1982, in "Giust.pen.", 1983, II, 231; Cass., 2 giugno
1940, in "Riv.pen.", 1940, Mass.719; Cass., 26 gennaio
1934, in "Giust.pen.", 1934, II, 992. (56) Cass.,Sez.V, 19
ottobre 1992, in "Cass.pen.", 1993, 1708; Cass.,Sez.V, 21 maggio
1992, in "Cass.pen.", 1992, fasc.12, 71; Cass.,Sez.V, 19
ottobre 1992, in "Cass.pen.", 1993, 1708; Cass.,Sez.V, 28
novembre 1991, in "Cass.pen.", 1993, 304; Cass.,Sez.V, 22
novembre 1988, in "Giust.pen.", 1989, II, 682; Cass.,Sez.VI, 24
maggio 1988, in "Cass.pen.", 1989, 1465; Cass.,Sez.V, 19
febbraio 1987, in "Cass.pen.", 1988, 1019; Cass.,Sez.V, 20
marzo 1984, in "Mass.uff.", 1984, m.164740; Cass.,Sez.V, 27
ottobre 1981, cit.; Cass.,Sez.V, 17
ottobre 1980, cit.; Cass.,Sez.V, 24
giugno 1980, in "Giust.pen.", 1980, II, 297; Cass.,Sez.VI, 5
novembre 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 700; Cass.,Sez.V, 13
giugno 1979, in "Cass.pen.Mass.", 1980, 1535; Cass.,Sez.V, 4
ottobre 1979, in "Riv.notar.", 1980, 459; Cass.,Sez.V, 2
febbraio 1978, in "Giust.pen.", 1978, II, 584. (57) Cass.,Sez.V, 25
gennaio 1979, in "Cass.pen.Mass.", 1980, 1280; Cass.,Sez.V, 23
maggio 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 170; Cass.,Sez.V, 6
novembre 1975, in "Giust.pen.", 1976, II, 427. (58) Azzariti, Le
disposizioni penali relative alle società commerciali, in
"Ann.dir.proc.pen.", 1932, 22; Rende,
Disposizioni penali in materia di società e di consorzi, in "Commentario
al codice civile" a cura di Scialoja e Branca, Bologna,1947; Dezzani,
Falso in bilancio. Elemento materiale del reato: falso tecnico, in
"Impresa", 1990, 1951; Pisapia, Il
reato di false comunicazioni sociali, in "Riv.it.dir.pen.", 1954,
768; Zuccalà, Il
delitto di false comunicazioni sociali, Padova, 1954; Mirto, Il
diritto penale delle società, Milano, 1954; Tondo, Il
delitto di falso nei bilanci, nelle realzioni od in altre comunicazioni
sociali, in "Rass.giur.umbra". 1955, 3; Pedrazzi, Un
concetto controverso: le 'comunicazioni sociali', in
"Riv.it.dir.pen.", 1956, 519; Pisapia, Il
dolo nel reato di falsità in bilancio, in "Riv.it.dir.pen.", 1956,
519; Zuccalà,
Precisazioni e rilievi sul delitto di false comunicazioni sociali, in
"Riv.soc.", 1964, 293; Pedrazzi,
Economia pubblica, industria e commercio (delitti contro la), in
"Enc.dir.", XIV, Milano, 1965; Bartulli, Tecnica
di redazione del bilancio e norme incriminatrici, in "Riv.it.dir.e
proc.pen.", 1970, 297; Morselli, Il
reato di false comunicazioni sociali, Napoli, 1974; Musco,
Bilanci 'anomali' e false comunicazioni sociali: identificazione inevitabile,
in "Giur.comm.", 1981, II, 499; Mazzacuva,
False comunicazioni sociali e bene giuridico protetto, in "Foro
it.", 1984, II, 304; Tagliarini,
Le disposizioni penali in materia di società e consorzi, in "Trattato di
diritto privato", diretto da Rescigno, XVII, Torino, 1985; La Monica,
voce Reati societari, in "Enc.dir.", XXXVIII, Milano, 1987; Conti,
Disposizioni penali in materia di società e di consorzi, in "Commentario
al codice civile" a cura di Scialoja e Branca, Bologna,1988; Zanotti,
False comunicazioni sociali, una controversia in via di soluzione, in
"Giur.comm.", 1988, I, 85; Zuccalà, Le
false comunicazioni sociali. Problemi antichi e nuovi, in
"Riv.trim.dir.pen.ec.", 1989, 722; Antolisei,
Manuale di diritto penale. Leggi complementari. I reati ed illeciti depenalizzati
fallimentari, societari e bancari, Milano, 1990, 317; Palladio-Sassani,
Brevi note in tema di false comunicazini sociali (c.d. falso in bilancio), in
"Impresa", 1991, 2273; Azzali,
Caratteri e problemi del delitto di false comunicazioni sociali, in
"Dir.pen.ec.", 1992, 365; Di Raimo,
Unicità del bene giuridico e dolo di frode nel reato di false comunicazioni
sociali, in "Cass.pen.", 1992, 291; Sette,
Problemi attuali in tema di false comunicazioni sociali, in
"Cass.pen.", 1994, 1365; Sette, In tema
di false comunicazioni sociali, in "Cass.pen.", 1996, 1614; Corciulo,
False comunicazioni sociali e titpcità dell'illecito, in
"Riv.pen.ec.", 1996, 244; Graziano, Il
reato di 'falso in bilancio (consolidato)', in "Soc.", 1996, 1126; Superti
Furga, Il falso in bilancio nella prospettiva economico-aziendale, in
"Giur.comm.", 1996, I, 217; Bellini, Note
sul falso in bilancio negli elementi valutativi, in "Riv.pen.",
1996, 283; Colombo, La
'moda' dell'accusa di faso in bilancio nelle indagini delle Procure della
Repubblica, in "Riv.soc.", 1996, 713; Pezzuto,
Valutazioni di bilancio e falsità penalmente rilevanti nelle comunicazioni
sociali, in "Impresa comm.ind.", 1998, 205; Gallo, La
responsabilità penale degli amministratori delle holding in relazione all'ipotesi
di falso in bilancio, ivi, 220. (59) Rende,
Disposizioni, op.cit., 464; Zuccalà, Il
delitto, op.cit., 91; Fais, Falsità
nei bilanci e nelle scritture commerciali, Milano, 1958, 71. Contra: Spasari,
Fede pubblica e prova nel sistema del falso documentale, Milano, 1963, 97;
Patalano, Bene giuridico e dolo nel delitto di false comunicazioni sociali,
in "Foro pen.", 1968, 224; La Monica, voce Reati societari,
op.cit., 952. Nel senso che
le fattispecie considerate nel codice civile sarebbero reati contro il
patrimonio, complementari alle figure del codice penale, estrinsecantesi in fatti di infedele amministrazione posti
in violazione o minaccia della situazione patrimoniale della società: Rovelli,
Disciplina penale dell'impresa, Milano, 1953 Nel senso che
il reato sarebbe lesivo dell'interesse patrimoniale per la garanzia dei
creditori socieli: Nuvolone, L'infedeltà patrimoniale nel diritto penale,
Milano, 1942, 109; per lo stesso autore più tardi, il reato sarà ritenuto
diretto a pregiudicare invece il bene dell'economia pubblica: Nuvolone, Il
diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano,
1955. (60) Antolisei,
Manuale di diritto penale. Leggi complementari, op.cit.; Conti,
Disposizioni, op.cit., 191; Tagliarini,
Le disposizioni, op.cit., 958. Cass., 20
novembre 1995, in "Cass.pen.", 1996, 2383; Cass., 26
settembre 1994, in "Riv.trim.dir.pen.ec.", 1996, 692; Cass., 27
aprile 1988, in "Riv.trim.dir.pen.ec.", 1989, 595; Cass., 11
dicembre 1984, "Riv.trim.dir.pen.ec.", 1988, 399; Cass., 1
dicembre 1982, in "Cass.pen.", 1984, 719; Cass., 5
ottobre 1979, in "Fall.", 1980, 212; Cass., 13
dicembre 1978, in "Cass.pen.", 1980, 1228; Cass., 11
maggio 1965, in "Giust.pen.", 1965, I, 790; Cass., 15
novembre 1963, in "Giust.pen.", 1964, II, 582; Cass., 13
novembre 1962, in "Giust.pen.", 1963, II, 117. (61) Antolisei,
Manuale di diritto penale. Leggi complementari, op.cit., 320. (62) Cass., 27
aprile 1988, cit.; Cass., 11
dicembre 1984, cit.; Cass., 1
dicembre 1982, cit.; (63) Cass, 15
novembre 1963, cit.; Cass., 13
gennaio 1981, in "Giust.pen.", 1981, II, 648 (64) Cass., 25
ottobre 1990, in "Dir.pen.ec.", 1992, 836; Cass., 28
febbraio 1991, in "Dir.pen.econ.", 1992, 1252; Cass., 15
novembre 1982, in "Riv.pen.", 1983, 1024; Cass., 22
febbraio 1984, in "Giur.it.", 1985, II, 334. (65) Cass., 28
febbraio 1991, cit.; Cass., 25
ottobre 1990, cit.; Cass., 22
febbraio 1984, cit.; Cass., 28
novembre 1966, in "Giust.pen.", 1967, II, 686; (66) Cass., 13
gennaio 1981, cit. (67) Mazzacuva,
False comunicazioni, op.cit., 334. Cass., 15
novembre 1982, cit.; Cass., 29
aprile 1980, in "Riv.pen." 1981, 155; Cass., 13
novembre 1962, cit.. (68) Cass., 9
febbraio 1961, in "Giust.pen.", 1961, II, 605. (69) Rocco, Il
dolo nella falsità dei bilanci delle società commerciali, in
"Riv.pen.", 1941, I, 2; Manzini, Trattato,
op.cit., Vol.VI, Cap.XXIII, op.cit., 731; Cass., 15
novembre 1963, cit. (70) Cass., 13
gennaio 1981, cit. (71) Cass., 13
dicembre 1983, in "Giur.it.", 1985, II, 66. (72) Cass., 18
novembre 1980, in "Giust.pen.", 1981, 398; Cass., 13
dicembre 1978, cit. (73) Cass., 27
aprile 1988, cit.. (74) Pedrazzi,
Reati ed illeciti depenalizzati in materia di società, Torino, 1980, 209 e
s.; Conti,
Diritto penale commerciale, I, Torino, 1980, 209 e s.; Antolisei,
Manuale di diritto penale commerciale, Parte speciale, II, ed.IX, Milano,
1986, 320 e s.; Corrias
Lucente, Il delitto di false comunicazioni sociali e le informazioni all'organo
di vigilanza, in "Riv.trim.dir.proc.pen.econ.", 1990, 841. Cass., 21
gennaio 1992, in "Riv.pen.", 1992, 637; Cass., 28
febbraio 1991, cit.; Cass., 8
novembre 1989, ivi, 1990, 841. (75) Cass., 8
novembre 1989, cit.; Cass.,2 aprile
1988, in Riv.trim.dir.pen.econ.", 1989, 595; Cass., 22
febbraio 1984, cit. (76) Alitalia, Sul
rilievo penale della falsità del bilancio, nell'ipotesi di non conformità a
scritture contabili genuine, in "Cass.pen.", 1997, 225. Cass., 12
gennaio 1995, in "Cass.pen.", 1997, 223; Cass., 27
aprile 1988, cit.; Cass., 1
dicembre 1982, cit.;; Cass., 5
ottobre 1979, cit.; Cass., 18
giugno 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 356; (77) Cass., 12
luglio 1997, in "Il Sole 24Ore Guida al Diritto", 1997, n.37, 63. (78) Lanzi, Le
false comunicazioni sociali nella giurisprudenza degli ultimi quindici anni
(1960-1974), in "Ind.pen.", 1975, 277 e s.; Nuvolone, Il
bilancio delle società di fronte alla legge penale, Bilancio d'esercizio ed
amministrazione delle imprese, in Studi in onore di P.Onida, Milano, 1981,
565. Cass., 9
luglio 1962, in "Cass.pen.Mass.ann.", 1962, 1195; Cass., 30
aprile 1958, in "Riv.pen.", 1959, II, 18. (79) Conti-Bruti Liberati,
Esercizio di fatto dei poteri d'amministrazione e responsabilità penali
nell'ambito delle società irregolari. Il diritto penale delle società
commerciali, Milano, 1971, 127 e s.; La Monica, Il
delitto di false comunicazioni sociali, in "Riv.it.dir.proc.pen.",
1985, 129 e s. Cass., 19
dicembre 1986, in "Riv.pen.", 1988, 91; Cass., 8
novembre 1983, in "Riv.pen.", 1984, 652; Cass., 21
ottobre 1976, in "Riv.pen.", 1977, 387; Cass., 11
novembre 1975, in "Riv.pen.", 1977, 223; Cass., 8
maggio 1964, in "Cass.pen.Mass.ann.", 1965, 131; (80) Tribunale di
Roma, 22 luglio 1959, in "Foro it.", 1960, II, 211. (81) Cass., 19
aprile 1978, in "Cass.pen.Mass.ann.", 1980, 1230. Tribunale di
Roma, 7 maggio 1971, in "Foro it.", 1971, II, 597. (82) Cass., 19
marzo 1992, in "Cass.pen.", 1994, 1512. (83) Cass., 12
novembre 1992, in "Giust.pen.", 1993, II, 578. (84) Cass., 5
aprile 1966, in "Dir.fall.", 1967, II, 317. (85) Cass., 11
dicembre 1984, cit.. Tribunale di
Roma, 19 aprile 1980, cit. (86) Cass., 22 febbraio
1971, in "Giur.it.", 1973, II, 73. Tribunale di
Roma, 29 aprile 1980, in "Foro it.Rep.", 1982, v.Soc., 284. (87) Mirto, Il
diritto, op.cit., 155. Cass., 13
novembre 1962, cit. (88) Cass., 9
marzo 1995, in "Giur.it.", 1996, II, 289; Cass., 19 maggio
1983, in "Foro it.", 1984, II, 304. (89) Antolisei,
Manuale di dirito penale. Leggi complementari, op.cit., 387. (90) Tribunale di
Caltanissetta, 3 giugno 1985, in "Giust.pen.", 1987, II, 348. (91) Cass., 28
febbraio 1991, cit.; Cass., 29
aprile 1980, cit.; Cass., 16
ottobre 1978, in "Riv.pen.", 1979, 522; Cass., 30
aprile 1958, cit. (92) Cass., 27
aprile 1992, in "Cass.pen.", 1992, 2624; Cass., 15
novembre 1982, cit.. (93) Cass., 29
aprile 1980,cit.; Cass., 18
giugno 1979, cit.. (94) Cass., 10 maggio
1996, in "Cass.pen.", 1996, 314; Cass., 29
aprile 1980, cit.; Cass., 16
ottobre 1978, cit.; Cass., 14
novembre 1975, in "Foro it.", 1977, II, 171. Contra:
Pedrazzi, Un concetto, op.cit., 1567. (95) Cass., 8
novembre 1989, cit.. Contra:
Pedrazzi, Profili penali dell'informazione societaria, in L'informazione
societaria a cura di Alvisi, Balzarini, Calcano, Atti del convegno tenuto a
Venezia, 1981, Milano, 1982, 1139. (96) Cass., 28
febbraio 1991, cit. Tribunale di
Milano, 28 novembre 1987, in "Banca, borsa, tit.cred.", 1989, II,
622. Contra:
Appello, Milano, 13 giugno 1990, in "Giur.di merito", 1991, 304;
Crespi, La falsità nel prospetto informativo inviato alla Consob ex art.18 l.
7 giugno 1974, n.216, in "Riv.soc.", 1989, 1; Napoleoni, Falso in
prospetto da sollecitazioni al pubblico risparmio: delitto o
contravvenzione?, in "Cass.pen.", 1991, 2058. (97) Tribunale di
Venezia, 9 ottobre 1996, in "Cass.pen.", 1997, 2265. (98) Cass., 28
novembre 1966, cit. (99) Musco, Bilanci
e false comunicazioni sociali: identificazione inevitabile?, in
"Giur.comm.", 1981, II, 500. La Monica, Il
delitto, op.cit., 471. Tribunale di
Milano, 23 febbraio 1970, in "Temi", 1970, 45. (100) Cass., 8
ottobre 1987, in "Inf.prev.", 1988, 1332. (101) Cass., 4
marzo 1968, in "Giust.pen.", 1969, II, 581. (102) Cass., 15
novembre 1982, cit. (103) Pedrazzi, Un
concetto, op.cit., 1570; Mazza,
Bilancio tipo, sistema budgettario e false comunicazioni sociali, in
"Giur.di merito", 1979, II, 968. Cass., 1
luglio 1957, in "Riv.it.dir.proc.pen.", 1957, 1001. (104) Spolidoro,
Conseguenze giuridiche della falsità o irregolarità del bilancio consolidato,
in "Resp.civ.", 1993, 252 e s. Cass., 9
luglio 1992, in "Cass.pen.", 1993, 2108; Cass., 28
febbraio 1991, cit. Cass., 8
febbraio 1989, in "Cass.pen.", 1991, 1627. (105) Tribunale di
Roma, 29 marzo 1980, in "Foro it.", 1980, II, 326; Tribunale di
Roma, 11 aprile 1978, in "Foro it.", 1979, II, 251. (106) Alifuoco, Riflessioni
sul bilancio tipo ed il delitto di false comunicazioni sociali, in
"Giur.di merito", 1983, 715. Appello,
Roma, 14 ottobre 1981, in "Temi romana", 1982, 363. (107) Nuvolone, Il
bilancio, op.cit., 648. Lanzi, Le
false comunicazioni, op.cit., 268. Tribunale di
Roma, 19 aprile 1980, in "Temi romana", 1980, 355. (108) Cass., 5
dicembre 1995, in "Cass.pen.", 1996, 2780. Appello,
Napoli, 5 dicembre 1988, in "Impresa", 1991, 391. (109) Cass., 19
giugno 1992, in "Cass.pen.", 1994, 403; Cass., 11
dicembre 1991, in "Cass.pen.", 1993, 2177. Contra:
Cass., 14 dicembre 1994, in "Cass.pen.", 1995, 2695; Tribunale di
Venezia, 2 febbraio 1994, in "Giur.it.", 1995, II, 268. (110) Antolisei,
Manuale di diritto penale.Leggi complementari, op.cit., 289; Fortuna, Manuale
di diritto penale dell'economia, Padova, 1994, 157; Perini,
Valutazioni di bilancio e false comunicazioni sociali, in
"Riv.trim.dir.pen.ec.", 1995, 535; Siniscalchi,
Operatori bancari. I reati connessi alla valutazione dei crediti e delle
partecipazioni in imprese industriali, in "Riv.pen.econ.", 1995, I,
172. (111) Zuccalà, Il
delitto, op.cit.; Zuccalà, Le
false comunicazioni, op.cit., 717. Conti,
Diritto, op.cit., 220; Napoleoni, I reati
societari, falsità nelle comunicazioni sociali e aggiotaggio societario,
Milano, 1996, 168 e s.; Napoleoni,
Valutazioni di bilancio e false comunicazioni scociali: lineamenti di
un'indagine dopo l'attuazione della IV direttiva Cee, in
"Cass.pen.", 1994, 414; Mazzacuva, I
reati societari e la tutela del mercato mobiliare, in Giurisprudenza
sistematica di diritto penale, a cura di Bricola e Zagrebelsky, Torino, 1990,
37. Di D'amato,
Diritto penale dell'impresa, Milano, 1992, 116; Musco, False
comunicazioni sociali, in Trattato delle società per azioni, vol.IX, a cura
di Colombo e Portale, Torino, 1994, 249. (112) Bartulli, Tre
studi sulle falsità di bilancio ed altri scritti di diritto penale
societario, Milano, 1980, 305 Zuccalà, Le
false comunicazioni, op.cit., 733. Cass., 14
maggio 1976, in "Riv.pen.", 1977 Cass., 13
febbraio 1969 n.484, in "Dir.fall.", 1969, 484; Cass., 15
maggio 1953 n.1825, in "Foro it.", 1960, I, 1796. Appello
Napoli, 5 dicembre 1988, cit.. (113) Cass., 14
maggio 1976, cit. Tribunale di
Roma, 19 aprile 1980, cit. (114) Tribunale di
Roma, 29 aprile 1980, cit. (115) La Monica, Il
delitto, op.cit., 477. Tribunale di
Cremona, 3 giugno 1983, in Rassegna di diritto societario (1981-1984),
Disposizioni penali in materia di società e consorzi a cura di Crespi,
"Riv.soc.", 1986, 88 e s.; Tribunale di Roma, 31 dicembre 1982,
ivi; Tribunale di Verbania, 23 gennaio 1981, ivi. Nel senso che
in ipotesi di falso in bilancio mediante il quale vengono costituite tali
riserve non sussisterebbe il reato per mancanza di dolo, se con la
costituzione di tali accantonamenti sia stato perseguito un interesse
sociale: Cass., 26 giugno 1962, in "Giust.pen.", 1963, II, 551. Nel
senso che non sussisterebbe il reato per omessa indicazione nelle poste di
bilancio di un istituto bancario di riserve aziendali, ove l'accantonamento
sia stato effettuato allo scopo di salvaguardare la compagine finanziaria
dello steso istituto senza finalità di profitto personale o di terzi da parte
di soggetti agenti: Tribunale di Roma, 16 febbraio 1974, in "Temi
romana", 1974, 286. (116) Zuccalà, Le
false comunicazioni, op.cit., 721. (117) Appello,
Napoli, 1 febbraio 1988, in "Riv.pen.econ.", 1989, fasc.2, 791. (118) Zanotti, Nemo
tenetur se detegere: profili sostanziali, in
"Riv.it.dir.proc.pen.", 1989, 174. Cass., 14
marzo 1989, in "Cass.pen.", 1990, 29; Cass., 21
gennaio 1987, in "Cass.pen.", 1988, 379. Nel senso che
comunque il principio nemo tenetur se detegere non vale ai giustificare la
violazione di regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati
alla pretesa punitiva, come nel caso in cui l'omessa indicazione in bilancio
della concessione di un pegno sia stata giustificata dal rilievo che
l'adempimento dell'obbligo avrebbe comportato l'autoincrimnazione
dell'amministratore per il delitto di cui all'art.2624 c.c.: Cass., 5
dicembre 1995, cit.. (119) Cass., 11
dicembre 1991, cit.. Nel senso che
il reato sussisterebbe nel caso di omessa menzione in bilancio dell'esistenza
di un pegno su beni sociali in quanto realizza una falsità realtiva alle
condizioni economiche delle società destinata ad alterare i risultati
economici dell'esercizio: Cass., 15 novembre 1982, cit.. Nel senso che
il reato sussiste anche se tutti i soci sono consapevoli della falsità delle
comunicazioni, delle realzioni e del bilancio: Cass., 18 giugno 1979, cit. (120) Cass., 21
gennaio 1992, cit. Il reato
sarebbe ravvisabile nell'ipotesi in cui il sindaco di una società a
responsabilità limitata abbia attestato, nell'atto notarile con il quale
detta società veniva trasformata in accomandita semplice, che il capitale
sociale della prima era interamente versato, mentre in realtà esso era del
tutto eliso per perdite, occultando così una situazione che costituiva scioglimento
della società, come stabilito dall'art.2448, n.4, c.c. e che avrebbe impedito
la trasformazione, non essendo omologabile la realtiva delibera per
l'intervenuta perdita totale del capitale: Cass., 18 febbraio 1992, in
"Cass.pen.", 1993, 2120. Poiché la
trasfrormazione deve essere deliberata sottostando al regime previsto per la
società trasformanda, ma rispettando le regole stabilite per l'esistenza
della società del tipo risultante dalla trasformazione, l'atto deve indicare
i conferimenti dei soci ed il loro valore, ai sensi dell'art.2295, n.6, c.c.,
di tal che facendo figurare in luogo di tale indicazione l'imputazione del
capitale della società a responsabilità limitata versato, ma ormai non più
effettivamente sussistente, si attribuisce surrettiziamente una consistenza
diversa dalla situazione patrimoniale della società da trasformare e,
contemporaneamente, si crea un'immagine fuorviante anche sui conferimenti
apportati alla società destinata a sopravvivere e, quindi, anche sulle
relative garanzie a tutela dei terzi e dei soci, integarndo ciò il reato di
false comunicazioni sociali: Cass., 27 aprile 1988, cit.; Cass., 15 novembre
1982, cit.. (121) Manzini,
Trattato, op.cit., I, cap.X, pag.772. (122) Malinverni, Scopo
e movente nel diritto penale, Torino, 1955, pag.151; Bettiol,
Diritto penale, Padova, 1978, pag.447; Frosali,
Sistema penale italiano, Torino, 1958, vol.I, pag.486; Antolisei,
Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 1975, pag.284. (123) Cristiani,
Appunti sul dolo nel reato di false comunicazioni sociali, in
"Temi", 1960, 466. Cass., 4
maggio 1964, in "Foro it.", 1965, II, 486; Cass., 7
novembre 1961, in "Foro pen.", 1962, II, 400; Cass., 16
ottobre 1958, in "Temi", 1960, 466. (124) Cass., 26 gennnaio
1961, in "Riv.pen.", 1961, II, 137. (125) Rocco, Il dolo,
op.cit., 33-4; Zuccalà, Le false
comunicazioni, op.cit., 749. (126) Cass., 12 luglio
1996, in "Cass.pen.", 1997, 867; Cass., 21 gennaio
1992, cit.; Cass., 17 dicembre
1982, in "Cass.pen.", 1984, 1260; Cass., 21 ottobre
1982, in "Cass.pen.", 1984, 1821. (127) Cass., 8 marzo 1988,
in "Riv.pen.", 1989, 318; Cass., 22 febbraio
1984, cit.; Cass., 1 dicembre
1982, cit.; Cass., 3
aprile 1979, in "Giust.pen.", 1980, II, 270; (128) Cass., 22 aprile
1990, in "Cass.pen.", 1991, I, 642; Cass., 8 marzo 1988,
cit. (129) Cass., 10 maggio
1995, cit.; Cass., 9 marzo 1995,
cit.; Cass., Sez.V, 25
maggio 1993; Cass., 11 dicembre
1991, cit.. Tribunale di Milano,
28 aprile 1994, in "Riv.pen.ec.", 1996, 78. (130) Cass., 12 luglio
1996, cit.; Cass., 25 maggio
1993, cit.; Cass., 19 giugno
1992, cit. (131) Conti,
Diritto, op.cit., 261; Antolisei,
Manuale di diritto penale. Leggi complementari, op.cit.; Mazzacuva, La tutela
penale della informazione societaria. Diritto penale societario, II, Reati
societari, 1990, 581. (132) A.D'Avirro -
E.Di Nicola - G.Flora - C.F.Grosso - T.Padovani, Responsabilità e processo
penale nei reati tributari, Milano, 1992, 196; Antolisei,
Manuale di diritto penale. Leggi complementari, op.cit., 672; Assumma, I
delitti tributari, in La disciplina penale in materia di imposte dirette ed
IVA, Firenze, 1985, 119; Serao -
Piccioli, La disciplina sulla frode fiscale, Padova, 1990, 55; Traversi, I
reati tributari in materia di imposte dirette e IVA, Milano, 1986, 519. (133) Cass.,
Sez.III, 8 luglio 1993, in "Giur.imp.", 1993, n.219, 772; Cass.,
Sez.III, 2 luglio 1992, in
"Giur.imp.", 1993, n.130, 462; Cass.,
Sez.III, 15 aprile 1991, in "Corr.trib.", 1991, n.21, 1561; Cass., 18
ottobre 1991, in "Giur.imp.", 1991, n.229, 962; Cass.,
Sez.III, 29 dicembre 1990, in "Corr.trib.", 1991, n.43, 3233; Cass., 17
febbraio 1989, in "Corr.trib.", 1989, n.38, 2657; Cass., Sez.I,
13 luglio 1989, in "Giur.imp.", 1989, n.198, 872; Cass.,
Sez.III, 8 luglio 1986, in "Giur.imp.", 1988, n.267, 1298; Cass., 2
dicembre 1986, in "Giur.imp.", 1988, n.268, 1302. Appello
Torino, 25 ottobre 1991, in "Il fisco", 1992, n.24, 6153; Appello
Trento, 23 aprile 1987, in "Corr.trib.", 1987, n.20, 1504; Tribunale di
Treviso, 18 ottobre 1991, in "Corr.trib.", 1991, 291; Tribunale di
Bari, 24 settembre 1991, in "Il fisco", 1992, n.36, 8769; Tribunale di
Udine, 16 novembre 1990, in "Giur.comm.", 1992, II, 1033; (134) L'ipotesi che
comunemente ricorre allorquando manchi il dolo specifico d'evasione è quella
di truffa, che ha trovato frequente applicazione specialmente in tema di
leasing laddove spesso lo scopo di ottenere in locazione il bene produttivo
cela il vero obiettivo di ottenere un finanziamento non altrimenti
acquisibile. In tema cfr:
V.Renne, Il leasing e l'imposizione diretta, in "Speciale leasing",
in "Il fisco", 1988, n.23, 3633; C.Giordanengo-A.Piccatti,
Ipotesi anomale di leasing. Truffa, reati fiscali e societari, in "Il
fisco", 1987, n.43, 6632; J.Troise-F.Ardito,
Utlizzazione patologica del contratto di leasing, in "Il fisco",
1990, n.40, 6413; Imperato,
Commento a sentenza di appello Torino 25 ottobre 1991, in "Il
fisco" 1992, n.24, 6153; Serao-Piccioli, La disciplina, op.cit., 298. Peraltro, in ordine
alla truffa, in presenza anche del fine evasivo, essa concorre materialmente
con il reato di frode fiscale, essendo insussistente l'identità del bene
giuridico e perciò non configurabile il rapporto di specialità di cui
all'art.15 del codice penale. Così: Cass.,Sez.II, 31 ottobre 1988, in
"Giust.pen.", 1989, II, 419. (135) Si pensi al caso in
cui il destinatario falsifichi una fattura nella sola parte descrittiva dei
materiali forniti al solo fine di ostacolare la richiesta di pagamento
dell'emittente deducendo la mancata consegna di alcuni beni o la consegna di
beni diversi. (136) E' il caso in cui si
emettano una serie di fatture relative a prestazioni di servizi resi con
importi più elevati rispetto a quelli pattuiti al fine di supportarne la
pretesa in giudizio. (137) Si pensi al caso in
cui, nell'ipotesi descritta alla nota precedente, l'emittente, venuto in
possesso della fattura falsificata dal destinatario trascuri di proporre
querela nel termine di legge ai sensi dell'art.493 bis del codice penale. (138) Cass., 22 giugno
1990, in "Cass.pen.", 1991, 113; (139) Padovani, Problemi
generali e analisi delle fattispecie previste dalle lett. a),b),c),d),e)
dell'art.4, legge n.516/1982 (mod.dalla legge n.154 del 1991), in
Responsabilità e processo penale, op.cit., 180-190; Fiandaca-Musco,
Diritto penale tributario, Milano, 1992, 235. (140) Traversi, I reati
tributari, op.cit., p.450. Contra: Grosso, Gli
aspetti sostanziali della nuova normativa di cui alla l. n.516/1982, in
"Il fisco", 1984, 292. Tribunale di
Viterbo, 28 maggio 1987, in "Il fisco", 1987, 3038. (141) Padovani, Probleni
generali, op.cit., p.191; Patrono-Tinti,
Contravvenzioni e delitti tributari nella l. 7 agosto 1982 n.516, Torino,
1988, p.293. (142) Drigani, Le
modifiche alla legge 516; problemi e prospettive, in "Corr.trib.",
1991, p.644 e s.. (143) Padovani,
Probleni generali, op.cit., p.353; (144) Traversi, I
nuovi reati tributari, Milano, 1982, 123; Fenizia, Le
fattispecie incriminatrici, i reati relativi alla contabilità, in
"Corr.trib.", 1983, 205; Izzo, La
frode fiscale del titolare di reddito autonomo e di impresa, in
"Giust.pen.", 1983, II, 437; Romano,
Osservazioni sul nuovo diritto penale tributario, in "Dir.e prat.trib.", 1983, I, 751; Caraccioli,
Il bilancio di esercizio e la dichiarazione dei redditi. Le sanzioni penali,
in "Il fisco", 1985, 2261: Facchini, I
reati di frode fiscale, in "Il fisco", 1985, 55; Traversi, I reati
tributari, op.cit., 489 e s. Contra:
Assumma, I delitti, op.cit., 161 e s.; D'Avirro-Nannucci, I reati nella
legislazione tributaria, Padova, 1984, 407 e s.; Dell'Anno, Simulazione e
dissimulazione: una possibile chiave di lettura dell'art.4, n.7, legge
n.516/1982, in "Giust.pen.", 1985, II, 49; Gallo, Tecnica
legislativa e interesse protetto nei nuovi reati tributari: considerazioni di
un tributarista, in "Giur.comm.", 1984, I, 279; Santamaria,
Attività fraudolenta e frode fiscale, in "Dir.e prat.trib.", 1989,
I, 680 e s.; Tagliarini, I delitti in materia tributaria, in
"Ind.pen.", 1984, 13 e s. (145) Serao-Piccioli,
La disciplina, op.cit., 590 e s. (146) Lanzi, Falso
in bilancio e frode fiscale nella nuova legislazione tributaria, in
"Giur.comm.", 1983, 62. Izzo, La
frode fiscale nel titolare, op.cit.; Gallo, La
responsabilità del professionista in materia tributaria, in
"Bol.trib.", 1985, 291 e s. Falsitta, La
responsabilità penale del contribuente, in "Il fisco", 1983, 2525; Rosati,
Occultamento di elementi positivi di reddito e simulazione di passivo
nell'ambito di organismi societari, in "Corr.trib.", 1985, 96. (147) Caraccioli,
Aspetti sostanziali della legge n.516/1982, in "Il fisco", 1983,
3541; Caratozzolo,
La frode fiscale, in "Dir.e prat.trib.", I, 1983, 103; Gallo,
Tecnica, op.cit.,; Padovani,
Itinerari della riforma penale tributaria, in "Leg.pen.", 1984,
297; Romano,
Osservazioni, op.cit. Cass., 14
dicembre 1989, in "Foro it.", 1990, II, 225; Cass., 11 marzo
1987, in "Cass.pen.", 1988, 702. (148) Fauri,
L'omessa annotazione dei corrispettivi e le ipotesi di frode fiscale, in
"Corr.trib.", 1986, 1021; Patrono-Tinti,
Contravvenzioni, op.cit., 256; Polvani,
Appunti su un caso di frode fiscale, in "Giust.pen.", 1986, II, 34; (149) Assumma, I
delitti, op.cit., 158; Caraccioli, Scritture
contabili e dichiarazioni. La responsabilità penale tributaria, in "Il
fisco", 1986, 1130; Caratozzolo,
La frode, op.cit., 105; Furia, Il
falso, op.cit., 291; Insolera-Zanotti,
Il reato di infedele dichiarazione dei redditi, Milano, 1988; Izzo, La
frode fiscale nel titolare, op.cit.; Lemme, La
frode fiscale, Napoli, 1984, 291; Nuvolone, Il
nuovo diritto penale tributario, in "Ind.pen.", 1984, 458 e s.; Tagliarini, I
delitti, op.cit., 26; Flora, Scelta
di valore e vincoli di natura costituzionale nell'interpretazione della norma
sulla frode fiscale per 'dissimulazione' o 'simulaizone' art.4, comma1°, n.7,
legge n.516 del 1982, in "Leg.pen.", 1983, 33; Padovani,
Itinerari, op.cit., 307; Padovani,
Dissimulazione e omissione: un nodo al pettine dei rapporti tra frode fiscale
e contravvenzioni nella legge penale tributaria, in
"Riv.it.dir.proc.pen.", 1987, 24 e s.; Traversi, I
reati tributari, op.cit., 495 e ss. (150) Cass., 3
luglio 1989, in cit.. Cass., 11
marzo 1987, cit. (151) Sulla prima
delle pronuncie citate alla nota precedente vedasi in dottrina:
Insolera-Zanotti, La prima sentenza della Cassazione in tema di frode
fiscale: deluse le aspettative di un chiarimento, in "Dir.e
prat.trib.", 1988, II, 79; Assumma, La dissimulazione di componenti positivi
di reddito nell'opinione della Cassazione, in "Il fisco", 1987,
5242; Barbensi, Dissimulazione o omessa o infedele annotazione di redditi, in
"Cass.pen.", 1987; 829; Corso, Note a margine della prima sentenza
della Cassazione sull'art.4, n.7, in "Corr.trib.", 1987, 2527;
D'Avirro, Problemi attuali in tema di frode fiscale e dichiarazione infedele,
in "Dir.pen.econ.", 1981, 181; Natoli, La frode fiscale (art.4,
n.7, legge 1982, n.516), in "Dir.e prat.trib.", 1988, I, 1330 e s.
E, invece, sulla seconda pronuncia: Insolera-Zanotti, Dal reato di infedele
dichiarazioni dei redditi al reato di infedeltà fiscale, in "Foro
it.", 1990, II, 91. (152) Corte
Costituzionale, 22 febbraio 1989, in "Cass.pen.", 1989, 1652. Tito, Principio di
determinatezza e c.d. frode fiscale. Prime note alla pronuncia della Corte
Costituzionale, ivi, 1662 e s.; Insolera-Zanotti, L'intervento interpretativo
della Corte Costituzionale sulle ipotesi di frode fiscale ex art.4, n.7,
legge n.516 del 1982, in "Foro it.", 1989, I, 1685; Glendi, Il
reato di frode fiscale al vaglio della Corte Costituzionale: un rilevante
tentativo di razionalizzare che tuttavia non risolve il contrasto
giurisprudenziale in atto, in "Dir e prat.trib.", 1990, II, 51;
Corso, Alterzione rilevante della dichiarazione: assolto il legislatore, in
"Corr.trib.", 1989, 1513; Flora, Prime impressioni sulla sentenza
costituzionale in materia di frode fiscale: davvero riuscita l'operazione di
'ortopedia' giuridica, in "Riv.trim.dir.pen.econ.",1989, 403;
Furia, Dell'alterazione in misura rilevante nonché della dissimulazione ex
art.4, n.7, della legge n.516/1982b secondo la sentenza n.247/1989 della
Corte Costituzionale, in "Boll.trib.", 1989, 1375; Piccioli,
Osservazioni sulla sentenza della Corte Costituzionale. Per una nozione
unitaria di frode fiscale, in "Il fisco", 1989, 4522; Tencati, Il
risultato della dichiarazione dei redditi alterata in misura rilevante nel
pensiero della Consulta, in "Il fisco", 1989, 6107. (153) Cass., 14
dicembre 1989, cit. Insolera-Zanotti,
Frode fiscale, Art.4, n.7, legge n.516/82: una controversia in via di
soluzione, ivi; Piccioli, Nuovo indirizzo della Corte di Cassazione: la frode
fiscale richiede il 'quid pluris', in "Dir.e prat.trib.", 1990, II,
373. (154) Corte
Costituzionale, 28 gennaio 1991, n.35, in "Foro it.", 1991, I,
1353. (155) D'Avirro-Nannucci,
I reati, op.cit., 421 e s. (156) Caraccioli,
Il bilancio e le sanzioni, op.cit., 1855 e s.; Caraccioli,
Il bilancio di esercizio, op.cit., 2260; Conti,
Responsabilità penale tributaria degli amministratori, sindaci e direttori
delle società commerciali, in "Boll.trib.", 1985, 273 e s. Contra,
Salafia, Modifiche, op.cit., 82; Caratozzolo, La frode, op.cit., 106. (157 Padovani, La
Frode fiscale, in Responsabilità e processo penale, op.cit.. (158) Di Nicola,
Responsabilità, op.cit., 335. (159) Drigani, La nuova
frode fiscale trascina le modifiche alla 516, in "Corr.trib.",
1991, 1759. (160) Brusco-Monetti,
Le norme tributarie tra interventi della Corte Costituzionale e provvedimenti
governativi, in "Foro it.", 1991, I, 1353. (161) Izzo, La frode
fiscale nel passaggio dall'art.4 n.7, all'art.4, lett. f) della legge
n.516/82, in "Il fisco", 1991, 1399 e s. (162) Di Nicola,
Responsabilità, op.cit., 351. (163) Drigani, La nuova
frode, op.cit.; Cass., 30 gennaio
1991, in "Corr.trib.", 1991, 758. (164) Di Nicola,
Responsabilità, op.cit., 354. (165) A.D'Avirro -
E.Di Nicola - G.Flora - C.F.Grosso - T.Padovani, Responsabilità e processo
penale, op.cit., 196; Antolisei,
Manuale di diritto penale. Leggi complementari, op.cit.,672; B.Assumma, I
delitti, op.cit.,119; Serao -
Piccioli, La disciplina, op.cit., 55; Traversi, I
reati tributari, op.cit., 519. (166) Stortoni, La
nuova disciplina dei reati tributari, in "Giur.comm.", 1983, I, 396; Caraccioli,
Aspetti sostanziali, op.cit., 3539. (167) A.D'Avirro -
E.Di Nicola - G.Flora - C.F.Grosso - T.Padovani, Responsabilità e processo
penale, op. cit.,197. (168) De Vero, Le fattispecie
di frode fiscale previste dai nn.1-6 dell'art. 4 legge 7 agosto 1982 n.516,
in Problemi di diritto penale tributario, a cura di G. Fiandaca, Milano,
1990, 110 s.; (169) Tribunale di
Rovigo, G.I.P., 18. giugno 1993 n.51, in "Riv.di dir.trib.", 1993,
II, 763; Tribunale di
Roma 28 aprile 1989, in "Il fisco", 1990, 1669;763. Tribunale di
Firenze, 25 febbraio 1988, in "Il fisco", 1988, 3955; (170) Caraccioli-Giorda-
Lanzi, Diritto e procedura penale tributaria, Padova, 1989,180; Patrono-Tinti,
Contravvenzioni, op.cit., 171 s.. (171) Giuliani,
Violazioni e sanzioni delle leggi tributarie, vol.II, terza ediz., Milano,
1986, 57. (172) Fiandaca-Musco,
Diritto penale, op.cit., 143; Padovani,
Problemi generali e analisi delle fattispecie previste dalle lett.
a),b),c),d,e) dell'art.4, legge n.516/1982 (mod.dalla legge n.154 del 1991,
in "Responsabilità e processo penale", op.cit.,213; Traversi,
Falsificazione di bolle di accompagnamento: E' reato o illecito
amministrativo?, in " Il fisco", 1985,4766. (173) Cass., 17
febbraio 1989, cit.. Cass., 6
maggio 1988, in "Il fisco", 1990, 1236; Cass.,
Sez.III, 4 agosto 1987, in "Cass.pen.", 1988, 2157; (174) Cass.,
Sez.III, 5 luglio 1991, in "Corr.trib.", 1991, 2535. Cass., 21
ottobre 1988, in "Il fisco", 1990, 1698; (175) Cass.,
Sez.III, 13 gennaio 1992, in "Comm.trib.centr.", 1992, II, 737. (176) Cass.,
Sez.III, 16 gennaio 1991, in "Riv.pen.", 1991, 626; Cass.,
Sez.III, 26 febbraio 1991, in "Comm.trib.centr.", 1991, II, 1742. (177) Padovani,
Problemi generali, op.cit., 180-181; Romano,
Osservazioni, op.cit., 783; Nuvolone, Il
nuovo diritto, op.cit., 449 s.; Tagliarini, I
delitti, op.cit., 14; Padovani,
Itinerari, op.cit., 297; Lanzi,
Lezioni di diritto tributario. Parte generale, Parma, 1985, 11 s.; Traversi, I
reati tributari, op.cit, 9; Serao-Piccioli,
La disciplina, op.cit., 1. (178) Gallo,
Tecnica, op.cit., 280; Succio, Frode
fiscale e dolo specifico, in "Il fisco", 1994, n.18, 4526. (179) Padovani,
Problemi generali, op.cit., 196; Bersani, Il nuovo
diritto penale tributario a tre anni dall'intervento di riforma tra dottrina
e giurisprudenza, in "Il fisco" 1994, n.29, 7016. (180) Romano,
Osservazioni, op.cit., 747. (181) Cass., 4
luglio 1980, in "Giust.pen.", 1981, II, 417; (182) Musco, Disposizioni
penali in materia di società e consorzi, in "Giur.comm.", 1979, I,
394. Contra: Conti, Diritto, op.cit., 1980, 274. Cass., 3
aprile 1979, cit.; Cass., 8
aprile 1975, in "Riv.pen.", 1976, 588; Appello,
Milano, 25 maggio 1979, in "Ind.pen.", 1979, 287. (183) Lanzi, Falso,
op.cit., 62. Cass., 3
aprile 1979, cit. (184) Di Nicola,
Responsabilità, op.cit., 381. (185) Sforzi, Le
false comunicazioni sociali, in "Trattato di diritto penale
dell'impresa, Padova, 1992, 91 e s.; Nannucci,
Falso in bilancio e reati societari, in "Il fisco", 1995, 3343 e s. (186) Di Nicola,
Responsabilità, op.cit., 382 (187) Bersani, I
rapporti tra la frode fiscale e il falso in bilancio. Vecchi problemi e nuove
prospettive, in "Il fisco", 1998, 3300; Di Nicola, Responsabilità,
op.cit., 382. (188) Caraccioli,
Il bilancio e le sanzioni penali, in "Il fisco", 1985, 2260; Furia, Il
falso in bilancio e la frode fiscale, in "Boll.trib.", 1985, 283 e
s. (189) Cass.,
Sez.III, 18 dicembre 1990, in "Cass.pen.", 1992, 1046. Contra:
Appello, Roma, 11 ottobre 1982, in "Cass.pen.", 1983, 1230. (190) Tinti, I
rapporti tra la fattispecie di frode fiscale previste dalle lettere d), e) ed
f) dell'art.4 della L.n.516/1982 ed il reato di cui all'art.2621 del codice
civile, in "Il fisco", 1997, 4264. (191) Perini,
Ancora sui rapporti tra frode fiscale e false comunicazioni sociali, in
"Il fisco", 1997, 11471. (192) Napoleoni, I
reati societari, op.cit., 443 e s. (193) Cass., 9
febbraio 1923, in "Giust.pen.", 1923, 502. Appello,
Roma, 11 ottobre 1982, cit. (194) Nuvolone, Il
diritto, op.cit., 299; Conti,
Diritto, op.cit., 215; Zuccalà, Le
false comunicazioni, op.cit., 722; Conti,
Disposizioni, op.cit., 61; Antolisei,
Manuale di diritto penale. Leggi complementari, I, Milano, 1994, 123; Napoleoni, I
reati societari, op.cit., 103 e s. Cass., 28
febbraio 1991, cit.; Cass., 8
novembre 1989, cit.; Cass., 8
marzo 1985, in "Mass.", 1985, 168204; Cass., 15
novembre 1982, cit.; Appello,
Ancona, 7 ottobre, 1994, in "Foro it.", 1996, II, 37. Contra:
Alibrandi, Reati societari, 1993, 196; Mirto, Il diritto, op.cit., 146;
Morselli, Il reato, op.cit., 163. (195) Antolisei,
Manuale di diritto penale. Leggi complementari, II, Milano, 1995, 323. (196) Perini,
Ancora sui rapporti, op.cit., 11472. (197) Caraccioli,
L'amnistia per il falso in bilancio, in "Il fisco", 1991, 7453; Nordio,
Tangentopoli: evasione e falso in bilancio, in "Corr.trib.", 1993,
2516; Santacroce,
Falso in bilancio ed amnistia: Ipotesi concrete prospettabili, in "Il fisco",
1992, 3273. Contra:
Tencati, Profili penal-fiscali del bilancio falso, in "Impresa
comm.ind.", 1996, 2172. (198) Dell'Anno-Tito,
I reati tributari in materia di imposte dirette e Iva, Milano, 1992, 521 e
s.; Pollari, I reati
tributari in materia di imposta sul valore aggiunto, Milano, 1996, 68. (199) Caraccioli, I
rapporti fra bilancio e frode fiscale, in "Il fisco", 1997, 11469; Perini,
Ancora sui rapporti, op.cit., 11471. (200) Bersani, I
rapporti, op.cit., 3304. Nel senso che
in materia di false comunicazioni sociali il falso deve avere rigorosamente
ad oggetto i fatti e non mere valutazioni, poiché la tutela ha per oggetto
non un giudizio economico relativo alla società, ma l'aspetto documentale
delle comunicazioni sociali, in relazione al quale soltanto è ravvisabile un
affidamento ragionevole dei destinatari, soci o terzi che siano: Cass.,
Sez.V, 14 dicembre 1994, cit.. Nel senso che
invece i fatti non sarebbero rappresentati soltanto dalle singole componenti
dell'attivo o del passivo, ma anche le loro valutazioni, cosicché come il
biulancio, anche le sue singole componenti debbono essere considerate vere
non nella misura in cui rispecchiano i valori effettivi dei singoli elementi
del patrimonio sociale, ma nella misura in cui sono redatti e rappresentati
in conformità ai criteri legali di valutazione: Cass., Sez.V, 25 maggio 1993,
cit.; Cass., Sez.V, 19 giugno 1992, cit. (201) Nannucci,
Falso, op.cit., 3445; Mambriani, La
frode fiscale ex art.4 lettera f) L.n.516/1982. Ipotesi di concorso con i
reati societari, in "Quaderni del C.S.M.", n.86, I, 214 e s. (202) Bersani, I
rapporti, op.cit., 3304. (203) La Monica, Manuale
di diritto penale commerciale, Milano, 1993, 674. Cass., 25 gennaio
1991, in "Rass.imp.", 1991, 814. (204) Sforzi, Le false
comunicazioni, op.cit., 97. (205) Caraccioli, Il
delitto di false comunicazioni sociali non può "sfuggire" alla
depenalizzazione, in "Guida al Diritto. Il Sole 24Ore", 1998, n.16,
8.
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