Muri sorprendenti.

Le murature armate in laterizio.

di Mauro Andrea Di Salvo

 

Anni fa mi è capitato di visitare la Ville Savoy di Le Corbusier mentre era in corso il cantiere di restauro. Ricordo che rimasi colpito dalla cattiva qualità dei materiali e dal precario stato di conservazione del manufatto. Ero cresciuto con l’idea che nel calcestruzzo di cemento armato si concretasse una tecnologia straordinariamente affidabile, ancorché relativamente recente; ero convinto che le opere costruite in c.a. (in fondo una vera pietra artificiale ma in più duttile, con la capacità di resistere a sforzi di flessione e taglio: una invenzione geniale), grazie anche al sistema intelaiato che ne costituiva la declinazione strutturale più diffusa, fossero così durabili da potere essere considerate virtualmente eterne. Cosa c’è di più resistente della pietra e del ferro, in fondo? Scoprire che queste opere spesso degradavano molto più rapidamente di una banale casa in mattoni ha incrinato più di una mia giovane certezza. Certo, oggi conosciamo molto meglio che in passato questa tecnologia, ne abbiamo studiato a fondo i meccanismi di degrado e le possibilità di porvi rimedio o, meglio, di prevenirne l’innesco. Ma viene da pensare: perché non armare le murature tradizionali in laterizio, rendendole duttili e in grado di assorbire sforzi di trazione e taglio, come viene prescritto in zona sismica? Perché non unire la durabilità, la bellezza e i vantaggi termoigrometrici e di comfort ambientale propri delle strutture in mattoni con l’efficienza statica delle strutture in cemento armato, inserendo opportunamente delle armature nel corpo della muratura? Detto, fatto.

L’esigenza, sempre più sentita, di un uso razionale delle risorse nella gestione e nel progetto del territorio ha reso la muratura cosiddetta “armata” una realtà, divenuta oggetto di curiosità e di interesse da parte di numerosi operatori pubblici e privati.

Parlare di murature armate, del resto, vuol dire parlare di una tecnologia che ha radici antichissime, che permea di sé gran parte della storia dell’architettura come della tecnica dell’edilizia, e che, giova ricordarlo, negli Stati Uniti e nel resto d’Europa fa parte della pratica quotidiana del mestiere degli operatori specializzati coinvolti con il settore delle costruzioni. Eppure, per quanto possa sembrare strano, l’introduzione della muratura armata in Italia è relativamente recente.

Come purtroppo accade spesso nel nostro paese, è stato un evento calamitoso e catastrofico, il terremoto del Friuli del 1976, a segnare l’inizio di campagne di ricerca e di sperimentazione estensive - condotte sostanzialmente da alcuni istituti universitari e da certi produttori di materiali - sulle caratteristiche e sui livelli prestazionali delle strutture a muratura portante. Il D.M. “Norme tecniche relative alle costruzioni sismiche” promulgato il 19/6/1984 dal Ministero dei Lavori Pubblici nello stesso anno di un altro sisma catastrofico, quello dell’Irpinia, segna il primo sbocco normativo di questi studi e, allo stesso tempo, la nascita ufficiale della muratura armata in Italia. In seguito verranno altri contributi legislativi, come il D.M. “Norme tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento” del 20/11/1987. Vale comunque la pena, per il momento, di soffermarci brevemente proprio sul D.M. del 1984 e sulla sua definizione di “sistemi a muratura armata omologati” per comprendere meglio i termini tecnici e “politici” del problema e tentare di fugare una serie di equivoci e di inesattezze che ancora gravano su questa tecnologia, penalizzandola anche in sede di penetrazione sul mercato. Senza entrare nel dettaglio, è interessante notare come, al punto C1 (“Sistemi costruttivi”) il decreto ministeriale reciti:

“...Gli edifici possono essere costruiti in:

a) struttura a muratura;

b) struttura intelaiata in cemento armato normale o precompresso, acciaio o sistemi combinati dei predetti materiali;

c) struttura a pannelli portanti, intendendosi per tale quella realizzata in tutto o in parte con pannelli avente funzione portante, prefabbricati o costruiti in opera. I pannelli possono essere costituiti da conglomerato cementizio armato o parzialmente armato o da muratura armata”.

Perché i sistemi denominati “muratura armata” non sono stati inseriti, nella loro prima formalizzazione normativa, nel paragrafo dedicato alle strutture in muratura, ma piuttosto in quello riguardante i pannelli portanti? O, forse anche meglio, come mai non le è stato dedicato un paragrafo specifico, considerata la sua novità? La spiegazione è semplice: innanzitutto, definire la muratura armata un sistema costruttivo nuovo e diverso avrebbe comportato la modifica dell’art.5 della legge n. 64 del 2/2/1974 (“Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche”), che definisce appunto i “tipi di costruzione”, con tempi di elaborazione e approvazione prevedibilmente non quantificabili. Inoltre, la scelta è giustificata dalle peculiari caratteristiche della muratura armata, che la rendono a un tempo ben diversa dalla “semplice” muratura e molto adatta a essere strutturata in pannelli prefabbricati portanti. Questo perché i sistemi a muratura armata, essendo sostanzialmente duttili (capaci di sostenere cicli alterni di trazione e di compressione senza perdite significative di resistenza) e in grado di assorbire sforzi di flessione e taglio, sono in realtà più simili al calcestruzzo armato che alla muratura. Questo è un concetto sul quale è necessario fare chiarezza (anche se con le dovute eccezioni, legate soprattutto al tipo e alla quantità di armatura e di leganti impiegati, alle tecnologie di esecuzione e posa in opera, allo schema strutturale e distributivo di progetto), perché il permanere dell’equivoco intralcia ancora una giusta valorizzazione di questa tecnologia. Va sottolineato peraltro come proprio per questo motivo la muratura armata non debba essere considerata semplicisticamente una tecnologia da utilizzare in zona sismica (per la sua capacità di dissipazione di energia in fase fessurata, quindi oltre il limite elastico), ma adatta alla ben più vasta casistica delle murature genericamente inflesse, o dove ad esempio si temano cedimenti differenziali delle fondazioni.

Vediamole più da vicino, allora, le murature armate. Come sono fatte, e in cosa si differenziano dalle murature ordinarie, al di là del meccanismo statico? Possiamo individuarne tre tipi distinti, con funzionamento statico leggermente diverso:

 

a) muratura armata mista: caratterizzata da pareti doppie, con funzione statica secondaria, che formano cassero per l’alloggiamento delle armature e il getto        del calcestruzzo;

b) muratura armata ad armatura diffusa: caratterizzata da blocchi aventi uno o più fori sufficienti a ricevere armatura e getto;

c) muratura armata ad armatura concentrata: in questo caso l’armatura e il getto di calcestruzzo sono concentrati in pilastrini ricavati in blocchi-cassero o fori più ampi e in travi o cordoli in corrispondenza dei solai.

 

Il tipo oggi più diffuso a livello internazionale, soprattutto negli Stati Uniti, è quello costituito da doppie pareti a cassero. Ve ne sono esempi ormai classici, come il Johnson Wax Building progettato da F.Ll.Wright nel 1936 a Racine (Wisconsin), che figura in ogni testo di storia dell’architettura. La tecnologia di posa è relativamente semplice. Realizzate le pareti-cassero con mattoni pieni o semipieni (aventi una percentuale di foratura non superiore al 25%), a comenti interni di malta incavati per aumentare la scabrosità delle pareti dell’intercapedine, e collegatele con staffe - che possono servire anche a fissare nella giusta posizione le barre verticali e orizzontali - almeno ogni 60 cm di altezza in numero di 4/mq, si realizza l’armatura, avendo cura di distanziarne le barre in modo opportuno, sia dalle pareti che reciprocamente, per non ostacolare la discesa del getto di calcestruzzo, e di collegarle correttamente - la normativa prevede, per le barre ad aderenza migliorata ormai d’uso comune, una sovrapposizione compresa fra i 30 e 60 diametri -. Dopo circa tre giorni (in caso di getto “alto”), a muratura assestata, si getta un calcestruzzo molto fluido, con resistenza caratteristica di almeno 13 Mpa (130 kg/cmq), inerti relativamente piccoli e un rapporto cemento/sabbia compreso fra 1:3 e 1:4.5: il getto si realizza ogni 40-50 cm di muratura, per intercapedini piccole, o a fasi di 100-150 cm, più raramente da tutta altezza, avendo comunque cura, ogni volta, di vibrarlo accuratamente con apparecchi ad ago o a bulbo. La qualità del calcestruzzo costituisce un parametro critico delle murature armate di ogni tipo, non solo in relazione alle resistenze meccaniche esprimibili, ma anche perchè all’impermeabilità del calcestruzzo e delle malte di allettamento, in genere di classe M1 o M2, quindi particolarmente ricche in cemento, è spesso devoluta in gran parte la durabilità delle armature metalliche inglobate, senza considerare le problematiche legate alla conducibilità termica di questo materiale. Anche il getto va effettuato con cura particolare: una scarsa aderenza fra getto, laterizio e armatura può compromettere facilmemente gran parte dei vantaggi di questa tecnologia. Per una esecuzione a regola d’arte è necessario curare particolarmente la pulizia interna del cassero, che dovrà essere privo di colature di malta di allettamento. Oltre a curare la stesura a filo spigolo della malta, con la cazzuola obliqua, si può disporre sul fondo del materiale sciolto per impedire l’adesione di eventuali colature, da estrarre prima del getto attraverso apposite aperture da realizzare alla base dell’intercapedine. Questo tipo di muratura armata, essendo intrinsecamente disomogenea, impone una certa attenzione in sede di calcolo ma costituisce ormai una tecnologia ampiamente collaudata, soprattutto all’estero.

 

La muratura armata ad armatura diffusa è il tipo più diffuso in Italia; anzi, attualmente è l’unico, commercializzato con il marchio del consorzio Poroton. Questa tecnologia è più simile della precedente alla muratura tradizionale, in quanto la funzione portante dei blocchi laterizi, a tutta larghezza di muro e con una percentuale di foratura non superiore al 55%, rimane fondamentale: i ferri di armatura rimangono infatti “diffusi” nella muratura, costituita in genere da blocchi di grandi dimensioni che contengono al loro interno gli alloggiamenti per le barre. Sono i meccanismi di aderenza fra l’insieme blocco-malta, le armature e i getti di calcestruzzo a fornire alla struttura, nel suo complesso, buona duttilità e resistenza a flessione e taglio in regime elastico, e una “tenuta” sicura anche oltre il limite di rottura. Va detto però che in questo tipo di muratura armata risulta particolarmente importante la regolarità geometrica dei setti distribuiti nello spessore del laterizio alleggerito e intorno alle celle passanti di armatura: risultano quindi poco adatti quei blocchi dai setti molto articolati per aumentarne la coibenza termica. Nella muratura armata ad armatura diffusa, che utilizza blocchi larghi quanto l’intera parete, è particolarmente importante stendere la malta di allettamento in due striscie parallele ai bordi esterni dei blocchi. Questo, oltre che per non rischiare di occludere parzialmente le soluzioni di continuità interne al blocco entro cui si posizionano le armature e si effettua il getto di calcestruzzo, anche per limitare al massimo i ponti termici.

In Germania questo sistema è disciplinato sin dal 1974 dalla DIN 4159. L’Istituto per la Ricerca sul Laterizio di Essen si è dimostrato particolarmente attivo nella ricerca e messa a punto di sistemi semplici e flessibili, interessanti anche per la razionalizzazione della cantieristica.

Questo tipo di muratura armata, peraltro, per la peculiare tecnica di solidarizzazione fra gli elementi, è particolarmente adatta alla fabbricazione di setti prefabbricati portanti, come appunto, in Italia, quello messo a punto dal consorzio Poroton.

 

La muratura armata ad armatura concentrata è simile per certi versi al tipo ad armatura diffusa, perché simili sono gli elementi costitutivi del sistema. In questo caso, però, la particolare geometria dei blocchi consente la formazione di alloggiamenti più larghi, sia verticali che orizzontali; si rende così possibile il getto di di veri e propri pilastri e travi nel corpo della muratura, che configurano nell’insieme una struttura a setti intelaiati. Questo tipo di muratura armata è quindi il più simile, per tecnologia costruttiva e meccanismo statico, alle normali strutture intelaiate in calcestruzzo di cemento armato. È però anche quello che prevede il maggior numero di componenti laterizi di base, variamente conformati per rispondere alle particolari esigenze funzionali dei singoli elementi costruttivi specializzati: blocchi-casseforma per pilastri, blocchi-casseforma per architravi, blocchi ad elle, ecc. L’ovvio maggior costo di questi elementi costituisce un onere aggiuntivo specifico di questa tecnica, e un problema per molti produttori di laterizi: la RDB, ad esempio, ha recentemente lasciato decadere il brevetto relativo al suo sistema Gotico, interrompendone la produzione. Una possibile soluzione, in attesa di una diversa situazione di mercato che consenta un ragionevole abbattimento dei costi, potrebbe forse essere identificata nella produzione di setti prefabbricati, che semplifichino le operazioni di cantiere, e nella introduzione di una nuova flessibilità all’interno di una tecnologia altrimenti piuttosto rigida, ad esempio attraverso la concezione di blocchi utilizzabili anche per murature armate ad armatura diffusa, o per murature ordinarie.

 

La relativa similitudine che abbiamo evidenziato fra il meccanismo statico dispiegato dalle murature armate e quello caratteristico delle strutture definite impropriamente “in cemento armato” ci introduce senza traumi, quasi per naturale evoluzione, al più vasto campo delle ricerche che in varie parti del mondo si stanno effettuando per migliorare e ottimizzare questa tecnologia e per indagarne nuove possibilità. Senza entrare in particolari, possiamo tuttavia identificare due linee di indagine principali: la prima è tesa a individuare metodologie di calcolo sempre più raffinate per la descrizione dei meccanismi di sollecitazione di strutture che, semplificando parecchio, possono essere considerate a un tempo continue e intelaiate; la seconda si muove nel campo delle tecnologie delle murature genericamente identificate con il termine di postcompresse, ovvero armate con sistemi di cavi tesati nel corpo del getto. Non è solo per ovvi motivi di semplicità e di spazio non approfondiremo ulteriormente l’argomento, ma anche perché, al momento, le esperienze specifiche realizzate in Italia sono pressoché nulle.

 

Il panorama della produzione specializzata per murature armate nel nostro paese è apparentemente scarna. Il quadro normativo di riferimento a livello nazionale e comunitario, tuttavia, evolve rapidamente per adeguarsi alle nuove esigenze di mercato., ritengo utile, a questo punto, considerare brevemente il quadro normativo di riferimento.

Come abbiamo visto, la “nascita” ufficiale della muratura armata in Italia risale al giugno del 1984, anno in cui vengono promulgate le “Norme tecniche relative alle costruzioni sismiche”. È interessante notare come l’originario inquadramento della muratura armata fra le strutture a pannelli portanti, cui accennavamo prima, prevedesse per la nuova tecnologia altezze di fabbricato ammissibili pari teoricamente al doppio di quelle previste per la muratura tradizionale (per zone con grado di sismicità S=6, S=9, S=12, le altezze massime in metri indicate sono rispettivamente 32 contro 16, 25 contro 11 e 15 contro 7.5). Teoricamente, perchè l’art.7 della legge 64 del 2/2/1974 subordina l’uso delle strutture in pannelli portanti al rilascio, da parte del Ministero dei LL.PP., di una dichiarazione di idoneità relativa allo specifico sistema che si intende impiegare. Si tratta, con tutta evidenza, di un passaggio legislativo obbligato. È accaduto esattamente lo stesso con l’”autorizzazione” richiesta con D.C.P.S. (Decreto provvisorio del Capo dello Stato) n.1516 del 20/12/1947 per le opere in conglomerato cementizio armato normale e precompresso e a struttura metallica, sostituita dalla legge 1086 del 5/11/1971 con una semplice “comunicazione”. Appare del tutto ragionevole prevedere che, non appena si sarà maturata “sul campo” un’esperienza sufficiente, anche la certificazione di idoneità per la muratura armata potrà essere abrogata. Del resto, (secondo fonti attendibili dell’ANDIL) l’atteso Decreto Ministeriale che ufficializzerà la revisione del D.M. 24/01/86 - decreto che ha sostituito il D.M. del 1984 senza per questo eliminare l’istituto della certificazione di idoneità - relativo alle “Norme tecniche relative alle costruzioni in zone sismiche”, dovrebbe contenere, fra le altre novità, l’introduzione di una sorta di “asseverazione” di qualità per le murature armate: il progettista, cioè, potrà scegliere di realizzare una muratura armata anche con materiali e tecnologie applicative non previste dai sistemi omologati attualmente in uso, “assicurando” la qualità della struttura e la sua rispondenza alle normative vigenti. Sarebbe un passo importante nell’aggiornamento di una legislazione, come quella italiana, indietro di parecchi anni rispetto non soltanto alle esperienze maturate in altri paesi a forte rischio sismico (U.S.A., Nuova Zelanda, Giappone, paesi dell’ex Yugoslavia), ma anche alla pratica quotidiana del lavoro nel campo delle costruzioni. La normativa italiana, tanto per fare un esempio, non prevede il concetto di “duttilità” della muratura, che pure è utilizzato da anni in vari programmi di calcolo per le murature in zona sismica (nella pratica, la duttilità di una muratura viene espressa attraverso un coefficiente numerico -1.5 per la muratura ordinaria, 2.5-3 per la muratura armata - che viene posto a denominatore dell’azione sismica di progetto, riducendola per verificare l’entità del danno prevedibile).

Il quadro normativo di riferimento è costituito a tutt’oggi dal sopraccitato D.M. 24/01/86 sulle “Norme tecniche relative alle costruzioni in zone sismiche”, di cui è atteso da tempo - ed è, pare, ormai imminente - un sostanziale aggiornamento, e dal D.M. 20/11/1987 sulle “Norme tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento”. A queste vanno poi aggiunte le direttive e le norme emanate a livello comunitario per armonizzare i livelli prestazionali, di qualità e di commerciabilità dei prodotti dei vari paesi: in particolare, alla CEE è affidato di compito di emanare “direttive” tese a stabilire i requisiti essenziali di sicurezza cui devono soddisfare i prodotti e i sistemi sul mercato, mentre al CEN (Comité Européen de Normalisation), con sede a Bruxelles, compete la predisposizione delle norme tecniche per la produzione di materiali e prodotti conformi alle direttive stesse. In questo quadro rientrano anche gli Eurocodici, documenti relativi alle varie tipologie costruttive, che dovrebbero in un primo tempo affiancarsi alle normative nazionali, per poi sostituirle. Nel settore delle murature, gli Eurocodici di riferimento sono l’EC 6 (Strutture in muratura) e l’EC 8 (Strutture in zona sismica). Va detto che sussistono alcune differenze interpretative fra Eurocodici e norme italiane. Ad esempio, sia nel D.M. del 1986 che nel D.M. sostitutivo, più simile all’EC 8 e che pure, rispetto al primo, introducendo prescrizioni specifiche per edifici in muratura armata, propone limitazioni più restrittive anche nella forma e nelle altezze degli edifici, manca qualsiasi riferimento al tipo di malte da utilizzare in zona sismica, come invece previsto nell’Eurocodice. Interessante anche il diverso atteggiamento delle varie disposizioni di legge riguardo ai cosiddetti “edifici semplici”: l’EC 8, ove fossero rispettate una serie di prescrizioni riguardo altezza, forma e concezione strutturale dell’edificio, non richiede lo svolgimento di alcuna verifica, ritenendola implicita nel procedimento di progetto. La verifica non è richiesta in nessun caso dal D.M. attualmente in vigore - anche da qui, l’esigenza di certificati di idoneità, che prevedono al loro interno specifiche procedure di calcolo -, mentre quello sostitutivo, pur semplificandola, la richiede sempre. Ma non è questa la sede per una disamina approfondita dell’argomento, che pure ci consentirebbe di capire meglio in quale direzione sta evolvendo il mercato della muratura armata anche in Italia: chi volesse, può comunque consultare il testo coordinato dal prof.ing. C.Modena e pubblicato dall’ANDIL a Verona nel 1992 per i tipi delle Edizioni Lambda.

Quel che interessa cogliere qui dall’evoluzione della normativa è la grande variabilità dei prodotti laterizi, distribuiti all’interno di classi prestazionali chiaramente definite, potenzialmente utilizzabili per la realizzazione di murature armate. Come è facilmente intuibile, le possibilità del mercato sono enormi, al di là delle difficoltà connesse all’affermazione di una “nuova” tecnologia. Queste difficoltà, tuttavia, hanno reso possibile che dei cinque sistemi omologati di muratura armata esistenti in Italia - di cui il primo, il sistema Laterconsult, essenzialmente “teorico” -, quelli della Pica, della Keybrick e, recentemente, della RDB, siano scomparsi dal mercato. Unico “superstite”, il sistema Poroton, peraltro da sempre fra i più attivi nella promozione della ricerca multidisciplinare sulle murature armate, a livello nazionale e internazionale. Ora che il peggio sembra passato, i tempi sembrano maturi per una ripresa che già si annuncia in grande stile. La crescente domanda di qualità ambientale e tecnologica, unitamente all’evoluzione della normativa di riferimento e alle esigenze di mercato, ma anche l’articolarsi statistico dell’offerta edilizia sulla materia duttile delle piccole e medie commesse, richiedono risposte in termini non soltanto di progettualità specifica, ma anche di prodotti e di tecnologie, che sembrano tracciare itinerari di penetrazione sul mercato particolarmente favorevoli per la muratura armata. L’intrinseca economicità di questa tecnologia (anche se i blocchi costano un po’ di più, l’incidenza media del ferro è di soli 10 kg/mc) ingiustamente poco conosciuta, che in termini di lire pur svalutate può consentire risparmi fino al 20% sul costo di costruzione, unita sia al comfort caratteristico delle murature e al buon contenimento dei consumi energetici, in linea con la legge 10/91, che alla durabilità del materiale e alla sua antica consuetudine con la vita dell’uomo, dovrebbe essere di stimolo per progettisti, produttori e rivenditori alla sua promozione e sperimentazione. Servono ricerche per la definizione di blocchi d’uso flessibile, recettivi rispetto alle nuove proposte normative che prescrivono una serie di requisiti di esattezza nella corrispondenza e distribuzione degli elementi geometrici e funzionali, ma anche di sistemi adattabili ed efficienti per una rinnovata qualità del progetto. Vengono in mente certe realizzazioni di qualche anno fa, come la Ennis House di Wright, costruita a Los Angeles nel 1923. Il cinquantaseienne Wright utilizzò un sistema ad armatura diffusa e a doppia parete di blocchi di cemento, tecnologia già sperimentata in altre realizzazioni del periodo californiano: blocchi di 40 x 40 x 9 cm, spesso decorati sulla faccia esterna e con un profondo incavo lungo i bordi per accogliere malta e barre di armatura, a costituire un articolato “guscio” di pareti doppie, con camera d’aria interna. Non vi viene voglia di provare?

 

 

Schede prodotti

 

Consorzio Poroton

Il Consorzio Poroton, purtroppo, costituisce attualmente l’unica realtà produttiva che rappresenti in Italia la tecnologia della muratura armata con un sistema brevettato e dotato di certificato di idoneità, secondo quanto stabilito nel D.M. 24/01/86. Il sistema prevede la possibilità di realizzare strutture murarie attraverso il “classico” assemblaggio in opera di blocchi, oppure per mezzo di pannelli portanti prefabbricati.

 

Le caratteristiche dei blocchi Poroton, marchiati singolarmente, sono riportate nel seguito. Il Certificato di Idoneità prevede la possibilità di utilizzare blocchi dalle caratteristiche geometriche diverse, nel rispetto delle prescrizioni così specificate.

 

Percentuale di foratura (calcolata attraverso il rapporto fra l’area netta della sezione resistente e l’area del rettangolo circoscritto)

£ 45      %

Spessore delle cartelle esterne

³ 12      mm

Spessore delle cartelle interne

³ 07      mm

Dimensioni massime dei fori

£ 30      mm

 

 

Dimensioni massime del foro contenente le armature

    80      mm

Dimensioni minime del foro contenente le armature

    50      mm

Spessore del blocco (t)

³ 200     mm

£ 400     mm

Larghezza del blocco (l)

³ 200     mm

Altezza del blocco (h)

³ 150     mm

£ 250     mm

Peso specifico impasto cotto

£ 14500 N/mc

Resistenza caratteristica a compressione parallelamente ai fori

³ 8        Mpa

Resistenza caratteristica a compressione ortogonalmente ai fori

³ 2        Mpa

 

Il Certificato di Idoneità prescrive il tipo di malte da utilizzare (di tipo M1 o M2, cementizie senza alcuna aggiunta di calce aerea, come da D.M. 9/01/1987, punto 1.2.1) per l’allettamento e il riempimento dei fori d’armatura, consentendo l’uso di superfluidificanti purchè questi non ne alterino le caratteristiche principali, fra cui essenzialmente quelle meccaniche e quelle che attengono alla protezione delle armature dalla corrosione.

Le armature prescritte sono di acciaio FeB 32 K, FeB 38 K, FeB 44 K, quindi del tutto simili a quelle usate per il calcestruzzo di cemento armato, eventualmente inox od opportunamente trattate contro la corrosione. In alternativa, le barre verticali devono avere un ricoprimento di malta di almeno 20 mm, mentre quelle verticali devono essere poste a non meno di 30 mm dal bordo esterno del blocco.

I pannelli prefabbricati, invece, hanno una altezza massima di 3100 mm, larghezze di modulo 125 mm da un minimo di 375 mm a oltre due metri, spessori di 250, 300 e 350 mm. I pannelli armati Poroton vengono prodotti solo da alcune delle aziende aderenti al Consorzio in una quantità di varianti: pannelli con aperture, sottofinestra, sagomati per l’inserimento di travi e cordoli, ecc.

L’assemblaggio dei pannelli avviene in due modi: in verticale, attraverso la sovrapposizione delle barre sporgenti, utilizzate per la movimentazione in cantiere, con i ferri del pannello superiore e, in orizzontale, con l’inserimento di un ferro nel foro determinato dall’accostamento dei pannelli. I fori d’armatura vengono successivamente gettati in opera. I pannelli consentono una buona velocità di esecuzione: una squadra di quattro operai esperti, coadiuvata da un gruista, può montare un mc di muro in un quarto d’ora, il che vuol dire circa 30 mc in una giornata di lavoro. Nella scelta delle dimensioni dei pannelli si dovrà tener conto, oltre che delle esigenze di progetto, anche delle capacità del cantiere: un pannello standard di 2700x1250 mm, spesso 300 mm, pesa infatti circa 10 quintali.

Volendo dare qualche indicazione di costo, si può dire che un metro cubo di muratura armata Poroton, valutata vuoto per pieno, con deduzione delle aperture superiori a mq 1.00, si aggira sulle 250/270.000 lire; a questo prezzo va aggiunto il costo del ferro, tendenzialmente FeB 44 K, che ha una incidenza media di circa 7 kg/mc. e un costo, valutato secondo il prezziario n. 2 della Camera di commercio di Milano, aggiornato al maggio 1994, di 650 £/kg.

 

Ci siamo soffermati sulla presentazione delle caratteristiche del sistema Poroton per la sua attuale “splendida solitudine” nel mercato italiano. Mi sembra tuttavia importante accennare brevemente ai sistemi non più in commercio, portando l’esempio del “Gotico” della RDB. Si tratta di un sistema costituito da quatro blocchi di forma e funzioni diversificate, con un blocco base di 140 x 290 x 150 mm, un blocco a “elle”, un “tre quarti” e un blocco-architrave; un sistema relativamente complesso, quindi, ma in grado di adattarsi a una grande varietà di specifiche funzionali. Con una resistenza media di 200 kg/mq, una trasmittanza termica di 0.77 kcal/mq h°C e un tempo di posa dichiarato di circa 75 minuti per un metro quadro di muratura, il “Gotico” costituisce sicuramente un buon sistema, che speriamo possa tornare presto sul mercato.

 

C’è poi il panorama amplissimo dei laterizi più o meno tradizionali commercializzati in Italia, attualmente non utilizzabili per murature armate ma potenziali candidati alla grande corsa al mercato che potrebbe spalancarsi nel prossimo futuro con l’evoluzione della normativa. Paradossalmente, i blocchi attualmente in commercio non risultano candidati particolarmente brillanti per la non osservanza di qualche parametro