Le murature armate in laterizio. Una tecnologia, nuova, nuovissima, anzi: antica.

di Mauro Andrea Di Salvo

 

La muratura armata gode di un fascino duplice: da una parte è una tecnologia nuova, anzi nuovissima; dall’altra richiama una tecnologia antichissima, quella delle murature in laterizio, appunto. Manufatti in laterizio si costruivano già qualche migliaio di anni fa, in Egitto o in Mesopotamia. Ma anche l’idea di unire elementi resistenti a trazione e taglio a elementi laterizi e lapidei è antica e nota. In Anatolia e in tutto il Medio Oriente, intorno al 1800 a.C., era diffusa la tecnica, elaborata  probabilmente in risposta alle frequenti sollecitazioni sismiche della regione, dell’”intelaiatura lignea”: le murature venivano realizzate in mattoni crudi posti a connessione e protezione di una robusta intelaiatura di legno stagionato. Si tratta con buona evidenza di una evoluzione delle tecnologie a graticcio di legno intonacato, elaborate già in epoca preistorica in particolare nel nord Europa e nell’area danubiana, soprattutto per resistere alla spinta del vento.

Secondo quanto riporta C.Latina, che a sua volta cita Erodoto, le stesse Ziqqurat, le grandi piramidi-tempio a gradoni delle civiltà del Tigri e dell’Eufrate, erano realizzate in mattoni crudi impastati con paglia per aumentarne la tenacità e la resistenza; trefoli di canne intrecciate ne legavano le massicce facciate, correndo direttamente dall’una all’altra. Tecnologia, questa, sorprendentemente simile alla moderna pre- o postcompressione del calcestruzzo. Ed è significativo che oggi i cementi armati malamente realizzati ad Atene negli anni Trenta per il “recupero” strutturale del Partenone vengano sistematicamente non dico restaurati, ma accuratamente smantellati perché talmente rovinati da compromettere la compagine muraria del tempio voluto da Pericle. Gli architravi cinquantenni, con i ferri polverizzati, vengono rimossi e sostituiti con elementi in marmo Pario armato, ovvero rinforzato, come 2500 anni fa, da elementi metallici. I romani, com’è noto, utilizzavano spesso murature a cassero, cioè a doppia parete, contenenti un conglomerato pozzolanico “graffato” con elementi metallici passanti per solidarizzare “anima” e paramenti esterni. Vitruvio, nel Libro I del “De Architectura”, parlando delle mura di fortificazione e sui criteri per aumentarne la sicurezza, si sofferma in particolare sulle “travi” in legno d’olivo temprato al fuoco e “disposte lungo il muro... il più fittamente possibile”. La fortuna della tecnica dei rinforzi lignei o, soprattutto dopo il XV secolo, metallici, detti spesso “radicamenti”, annegati nella muratura per migliorarne la resistenza, con l’obiettivo sostanziale di neutralizzare le sollecitazioni orizzontali delle strutture spingenti e di garantire un buon comportamento statico anche in zona sismica, permane con evidenza e continuità dalla civiltà minoica al XIX secolo. Ne sono testimonianza anche i trattati di architettura e i codici di buona pratica susseguitisi nei secoli: il Milizia, il Rondelet, il Valadier, il Formenti sono in questo senso vere miniere di informazione. Case a telaio ligneo e tamponamento in muratura, come se ne trovano ancora oggi in molte regioni europee, sono state alla base delle prime tecnologie costruttive specificatamente consigliate per le costruzioni in zona sismica, come la “gajola” portoghese, utilizzata a Lisbona dopo il sisma del 1755, e la cosiddetta casa “baraccata” proposta nelle “Norme tecniche ed edilizie per ricostruire le case distrutte” emanate dopo il sisma calabro del 1783 dal Vicario Generale Don Francesco Pignatelli per volere di Ferdinando IV (cifr. sempre C.Latina, Terremoti e costruzioni, Firenze, 1989). Il primo esempio di muratura armata in senso moderno, secondo quanto riporta A. Del Bufalo, è probabilmente quello teorizzato da Lercasse tra la fine del secolo scorso e l’inizio del ‘900: tiranti metallici orizzontali e verticali disposti nei muri maestri per collegare gli elementi costruttivi e ripartire i carichi e le spinte di archi e volte. La stessa tecnologia è alla base di un  progetto presentato dall’ing. Andreani a un concorso nazionale dopo il terremoto di Messina del 1908, evento catastrofico cui era seguita l’emanazione delle “Norme edilizie obbligatorie per i comuni colpiti dal terremoto del 1908 ed altri anteriori”, con poco vantaggio di quanti abitano ancora nelle baracche “provvisorie” ma con interessanti sviluppi disciplinari, come dimostrano i trattati di costruzione del Pedrini (1910), del Ruffolo (1912), di Masciari Genovese (1915).