(E.
Bairati – A. Finocchi)
«O terra del passato...»: cosi si
rivolgeva all'Italia Alphonse de
Lamartine in un celebre passo poetico (1825).
L'immagine evocata dal poeta francese di un paese
immobilizzato da un torpore mortale nelle testimonianze di un passato glorioso di cui non erano restati che «gli archi e le rovine» esprime
un modo di sentire l'Italia comune ai
letterati e ai poeti stranieri che in quegli anni
vi si trovavano. Da Wordsworth a Byron,
da Keats a Shelley l'immagine delle città italiane appare tanto più affascinante quanto più è avvolta in un'atmosfera di immobilismo e di
decadenza: è l'interpretazione «romantica» che definisce e alimenta il mito di Venezia abbandonata e
fatiscente e di Roma «città dei morti,
anzi di coloro che non possono morire,
dei sopravvissuti» (Shelley, 1818). Lo
stesso Foscolo — e non è l’unico tra gli Italiani più consapevoli della gravita della crisi che il paese attraversava allora — dal suo esilio inglese
sosteneva che «!'Italia e cadavere»
(1814-15).
C'è però anche un'altra immagine dell’Italia,
quella avventurosa e pittoresca che vive
nei romanzi di Stendhal: non è che egli
non si renda conto della situazione
presente, ma è il suo amore per questo paese che gli fa
recuperare nelle storie del passato quegli aspetti
di vitalità, di passione, di fantasia che sono per lui doti essenziali del carattere italiano. La storia insomma sembra essere l’unico bene che resta all’Italia. Al passato si può guardare non solo con la nostalgia per una felicità e una bellezza perdute o
con il gusto dell'avventura e della
rievocazione fantastica, ma anche con
la volontà di trarne modelli morali e civili
che siano auspicio e incitamento al riscatto dall’attuale condizione degradata. È quanto fece il ginevrino Sismondi nella sua Histoire des
republiques italiennes (1807-18), nella quale individuava nell'Italia dei liberi comuni medievali l’esempio su cui gli
Italiani dovevano riflettere per
capire le radici della loro storia
nazionale, le ragioni della presente decadenza e la necessità di riconquistare liberta e indipendenza. Le proposte di Sismondi ebbero larga eco presso i
gruppi progressisti europei e la sua
opera venne letta anche in Italia: la
conoscevano intellettuali e politici, così come letterati e pittori. E forse la sua influenza sugli sviluppi della pittura di storia fu più incisiva
del contemporaneo dibattito tra
romantici e classicisti. Tale dibattito,
che si era acceso a Milano nel 1816, con la pubblicazione sulla «Biblioteca
Italiana» di un celebre articolo di
Madame de Staël sull'utilita delle traduzioni di opere letterarie moderne per l’aggiornamento della cultura italiana, si svolse con particolare
vivacità negli anni successivi con il contributo dei maggiori protagonisti dell'ambiente intellettuale della
città lombarda. Lo scontro era
alimentato dalla forza e dalla
persistenza della tradizione classicista in Italia e quindi dalla resistenza
alle nuove proposte che venivano
dagli sviluppi del Romanticismo europeo. Non passeranno tuttavia molti anni prima di assistere alla vittoria dei romantici.
Il linguaggio del sentimento
L'affermarsi anche in Italia, tra il 1816 e il 1820, degli
orientamenti cosiddetti «romantici»
corrisponde al momento in cui essi, gia
attivamente partecipi della cultura dei decenni precedenti
negli altri paesi, divengono il fenomeno dominante
in Europa. Abbiamo già visto come
istanze e atteggiamenti romantici avessero preso il via nel crogiuolo
della seconda metà del Settecento e come
fosse continua e stimolante la dialettica
tra i due poli di classico e di romantico. Il valore che l’llluminismo aveva dato all’interiorità e
all'individualità aveva gia avuto molte occasioni per esprimersi, dalla musica alla letteratura,
dall'architettura alle arti
figurative, tanto che nel 1792 a Roma, in piena affermazione del
classicismo alla David o alla Canova, il
pittore danese Carstens affermava che «l'arte
è il linguaggio del sentimento». Ora questi valori vengono in primo piano in relazione con i grandi rivolgimenti politici contemporanei. La fine
delle grandi utopie rivoluzionarie, la
caduta dell’impero napoleonico, lo
scarto determinatosi tra privato e pubblico, tra individuale e politico, il
clima greve della Restaurazione fanno dell'ambito interiore e soggettivo l’unico spazio praticabile della ricerca
dell'artista. In una delle sue Lezioni
sull'estetica — tenute tra il 1817
e il 1829 — il maggiore dei filosofi tedeschi dell'epoca, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, sosteneva che nell'arte del suo tempo era «insito un
ritrarsi dell'uomo in se
stesso, un discendere nel proprio intimo, attraverso cui l’arte si sbarazza di
ogni limite predeterminato
nell'ambito del contenuto e della concezione e fa dell'umano il suo nuovo
oggetto di culto: gli abissi e le
vette del sentimento umano in quanto tale,
la generale umanità nelle sue gioie e nelle sue sofferenze, i suoi sforzi, le sue gesta e i suoi destini». È
evidente qui la doppia declinazione dell'individualismo romantico: da un lato la concezione
dell'individuo come soggetto, con l’esaltazione
dei valori della singolarità, dell'interiorità, della solitudine tra ripiegamento
intimista e slancio eroico; dall'altro l’individualità dello spirito
collettivo, che si esprime nei valori
di «popolo», di nazione. Da questo ideale discende la forza del recupero delle origini storiche delle
singole nazionalità: il richiamo cosi
frequente al Medioevo negli aspetti
del Gothic Revival in Inghilterra e Germania, nel gusto troubadour in Francia, nella pittura di storia in Italia assume il valore di
affermazione delle identità nazionali.
Queste aspirazioni si erano espresse
in opposizione all'impero napoleonico
e trovano ora realizzazione politica nei movimenti di indipendenza e di unità nazionale. Tanto che, in alcune circostanze, ideali romantici e
istanze patriottiche vengono a
coincidere.
Il tema della patria, precocemente e
diffusamente espresso nel pensiero e
nella letteratura, è una delle grandi passioni
dello spirito romantico, quella che esprime
l’aspetto più eroico del coinvolgimento del singolo
nella collettività e nella storia. Il contrasto drammatico che può nascere dall'aspirazione a una libertà negata e
repressa trova forme consolatorie in una
religiosità intimamente vissuta o nell'esaltazione degli affreschi familiari; il vagheggiamento
dell'amore, spesso contrastato o
infelice, cerca compenso nei legami dell'amicizia. Tutti questi aspetti
rivelano il tentativo di alleviare, nel rapporto con gli altri, la solitudine e l’irrequietezza dell'animo
romantico; solitudine e irrequietezza che
trovano espressione negli atteggiamenti malinconici o ribelli, nell'abbandono
sentimentale o nel drammatico contrasto
rispetto alle suggestioni della natura. Quindi,
ancora con le parole di Hegel, «nulla
di ciò che nell'animo umano è potenzialmente
vitale è estraneo all'arte romantica»,
che si presenta pertanto con un'estrema varietà e molteplicità di contenuti e di espressioni. Ogni
sentimento deve essere espresso con i
modi più lirici e intimisti oppure con l’enfasi più declamatoria: in musica dal
lied al melodramma, in pittura
dal piccolo paesaggio al grande quadro
storico. In conclusione non si può parlare
di uno «stile» romantico, ma di un modo di sentire
e di molti atteggiamenti romantici.
Storia e natura
La predilezione per i soggetti medievali
non significa che essi siano modelli esclusivi ne per i contenuti ne per le forme; si guarda infatti
anche ai pittori del Trecento e del
Quattrocento secondo quell'aspirazione agli aspetti «primitivi», ritenuti
quindi più nobili e ingenui, dell'arte, ma si guarda anche al Rinascimento o all’esotismo dei paesi
mediterranei e medio-orientali. Pur
ispirandosi in particolare al
Medioevo nella proposta del sodalizio tra artisti, nella ripresa della bottega artigianale, nell'identificazione del «libero comune» come modello di libertà civili, il Romanticismo ha
però nei confronti del passato un
atteggiamento più globalmente
storicista. L'Ottocento, che è il secolo della definizione e del grande
sviluppo delle discipline storiche, trova
nel costante riferimento agli stili del passato la sua espressione più tipica nel campo artistico.
Questa ricerca sulla storia non poteva non
giungere a confrontarsi anche con i fatti della storia contemporanea, in relazione a quell'esigenza di verità
e di autenticità che appartiene alia volontà di coinvolgimento e partecipazione a tutti gli aspetti delle
esperienze umane tipica del
Romanticismo. Solo con gli anni '50,
nel pieno delle vicende risorgimentali, gli artisti italiani possono affrontare e illustrare
direttamente i temi della storia
contemporanea; fino ad allora, infatti, le
condizioni politiche li avevano costretti a esprimersi per metafore, alludendo
alia contemporaneità attraverso i soggetti della storia stessa. La particolare situazione del periodo che
va dalla Restaurazione all'Unità
caratterizza e differenzia l’esperienza degli
artisti italiani da quella degli altri paesi:
in Francia — il paese che nell'Ottocento si pone all'avanguardia nella ricerca del «vero» — fin dal 1818-19 Gericault aveva affrontato un fatto
di cronaca, il naufragio di una nave francese, nel dipinto La zattera della Medusa, e Delacroix aveva esposto al Salon del
1824 alcune tragiche immagini del Massacre di Scio avvenuto in Grecia nel 1822 durante le lotte per l’indipendenza e ancora nel 1830 con La
libertà guida il popolo sulle barricate (Parigi, Musee du Louvre)
aveva esaltato l’insurrezione contro la restaurazione borbonica. Gericault e Delacroix proseguono, rinnovando profondamente contenuti e linguaggio, l’esperienza
di quei pittori — da David a Gros — che avevano
illustrato l’epopea napoleonica; i quali, a loro volta, avevano alle spalle le proposte rivoluzionarie di David, dal Giuramento del Jeu de Paume (1791)
al Marat assassinate (1793, Bruxelles, Musées Royaux des Beaux Arts). II 1860 sarà pertanto uno snodo
di fondamentale importanza nella
trattazione dell'arte in Italia nel XIX
secolo, innanzitutto perché si conclude allora la fase storica che dalla
Restaurazione ha condotto fino alla
realizzazione dell'unità nazionale e inoltre
perché è quello il momento della piena affermazione delle istanze di «vero». Affermazione che si allinea con lo scarto di pochi anni al decisivo
orientamento realista nell'arte
europea.
Cosi come nel rapporto con la storia l’artista
romantico giunge al coinvolgimento con
la realtà del presente, egli svolge su
un piano analogo la sua ricerca del rapporto
con la natura. Dal paesaggio pittoresco
del secondo Settecento si passa all'accentuazione dei valori soggettivi, del paesaggio visto
attraverso il filtro degli stati
d'animo; a questa concezione eroica della
natura, che spesso si carica di significati simbolici (per fare un esempio, nella pittura di
Caspar David Friedrich), si affianca
ben presto, fino a farsi dominante, la tendenza
a studiare la natura nella sua realtà oggettiva.
È proprio nel campo della pittura di paesaggio
che matura l’esigenza di dipingere direttamente dal vero, pratica con la quale i pittori innovatori esprimevano anche la loro posizione polemica
nei confronti dell’insegnamento e delle
gerarchie accademiche. E
quanto fanno in Francia Camille Corot, che tanto fu affascinato e stimolato
dalla luminosità dei paesaggi italiani,
e gli artisti della scuola di Barbizon, cosiddetta
dal paese presso la foresta di Fontainebleau
dove, intorno al 1830, Theodore Rousseau e altri
artisti si stabilirono per lavorare in contatto diretto con la natura. Un'analoga
ricerca di superamento della
concezione idealizzata della natura svolgono alcuni pittori inglesi, nella cui opera si manifesta una particolare sensibilità per la mutevolezza
degli effetti atmosferici (dagli studi
di cieli di John Constable alle marine
di Richard Parkes Bonington, alle atmosfere vibranti
di luci e di vapori di William Turner).
I principi del realismo in arte diventano
dominanti in tutta l’Europa negli
anni tra il '40 e il '50 in corrispondenza
al diffondersi delle istanze democratiche e del pensiero materialista. L'affermazione
di tali principi poggia sulla convinzione
che tutti gli aspetti della vita e della realtà
visibile hanno pari dignità ai fini della
rappresentazione artistica, dalla storia contemporanea al paesaggio, dalla cronaca della vita quotidiana ai problemi sociali. E non si può
sottovalutare il ruolo che assumerà
lungo il secolo il nuovo mezzo di riproduzione
della realtà fornito dalla fotografia.
Per le ragioni storiche cui si e gia
accennato, l’Italia arriva con lo scarto
di una decina d'anni e con esperienze disomogenee
all’affermazione delle tendenze realiste. Da
quanto si è detto e già possibile avvertire come si sia andato modificando il
rapporto dialettico che sempre aveva legato l’Italia all'Europa. La distanza che separa la cultura italiana
dell'Ottocento da quella europea è
conseguenza della brusca battuta d'arresto
segnata dalla Restaurazione, che aveva fermato i processi di modernizzazione e
di integrazione con l’Europa avviati nel
periodo dalla fine del Settecento alla fase napoleonica e che aveva imposto
all'Italia come primaria necessità la conquista dell'indipendenza e dell'unità nazionale.
La modifica del rapporto tra arte italiana e
arte europea può essere misurata
sull'inversione di rotta dei percorsi degli
artisti: al tradizionale viaggio in Italia
degli artisti stranieri si sostituisce dalla metà del secolo in poi l’indispensabile aggiornamento
degli Italiani che poteva avvenire solo nel fervido clima culturale e nel crogiuolo internazionale di Parigi. D'altra parte è profondamente mutato anche l’atteggiamento
degli artisti stranieri, i quali continuano
a venire in Italia, non più però come alla «scuola del mondo», dove apprendere la lezione dei
grandi maestri e studiare i
modelli validi per tutta la cultura europea,
ma piuttosto per maturarvi gli stimoli nati lungo
i percorsi delle ricerche individuali.