La
coscienza di
un mondo nuovo
II
dibattito artistico nella Firenze del
primo Quattrocento
I pellegrinaggi archeologici dei costruttori di
un mondo nuovo
Gli itinerari 'cortesi' degli artisti. I
grandi cantieri e i libri di modelli
Nel
quadro sintetico ma non perciò meno impegnativo di una storia della pittura del
Quattrocento in Italia, impresa che «fa
tremar le vene e i polsi» pur nella doverosa precisazione delle finalità divulgative di tale
sismico fenomeno, impresso come
sigillo ancora rovente nella cultura europea e occidentale, sembra
necessario un preliminare chiarimento metodologico. Segue un breve profilo
delle situazioni culturali quali si presentano a Firenze e nei più vivi
centri peninsulari, ove avvengono in forma emblematica consapevoli riflessioni storiche sulle tradizioni
classiche e medievali e sulle nuove istanze, nella coscienza perentoria
della portata innovativa
dell'attività artistica e del suo ruolo-guida nella storia del pensiero
contemporaneo. Le problematiche
artistiche che si articolano variamente nelle diverse aree geografiche, spesso in un
comune afflato di classicismo e
rinnovamento, sono più particolarmente e successivamente affrontate
nell'ambito delle trattazioni pertinenti.
Né si intende trascurare l'incidenza dei grandi centri delle corti o cittadini, delle scuole e
delle università, delle biblioteche e degli studioli, delle raccolte
museali, come anche l'osmosi di cultura
formale nelle botteghe d'arte e
nei cantieri di Firenze e Padova, di Milano e Roma, di Venezia e Napoli, della Sicilia e delle Marche
ed Umbria. Ai problemi specifici dei linguaggi figurativi e dei contenuti
culturali collegati è qui dedicato il più ampio spazio, nel convincimento provato dall'esperienza —
«verum id est factum
» (vero, cioè accaduto), come
afferma il Vico nella Scienza
nuova — della totale autonomia
e autosufficienza dell'espressione artistica rispetto alle altre forme
dell'attività spirituale umana. Conseguentemente, linee portanti di questo lavoro sono le analisi dell'opera degli
'artisti motori’, per dirla con
Karl Vossler, di quelli cioè che incidono autorevolmente nella storia
della cultura figurativa e del pensiero,
determinando i 'grandi sistemi' o 'lingue storiche'. Vi sono collegate le attività degli
'artisti sensibili' che, continuando la citazione, arricchiscono la fitta e
intersecata trama culturale con esperienze formali talora derivate e
compassate, talora invece, pur nell'ambito di sistemi figurativi preesistenti, con risultati di singolare
e alta poesia. Completa il quadro la
valutazione dell'operosità dei 'professionisti' dell'arte
figurativa, magistri imprenditori, accanto agli artigiani sparsi
nelle innumerevoli botteghe e officine o
scriptoria, che divulgano i conseguimenti delle esperienze altrui, mediandone la comprensione in
traduzioni affabili e di
generale gradimento. Con ciò essi configurano un ambito di gusto che è base di una
condivisione e partecipazione
popolare ai più grandi temi e alle più significative scelte della
cultura artistica contemporanea.
II
risvegliarsi del senso della storia è uno dei caratteri costitutivi della
cultura del primo Quattrocento; senso della storia non già nuovo rispetto al
Medioevo, ma ben diversamente
sostanziato di consapevolezza storica, critica e filologica, con il
programmatico ritorno al mondo classico e con l'esplicita coscienza di
distinzione rispetto all'età medievale.
Il
fenomeno si verifica non solo ma certo prevalentemente a Firenze, repubblica democratico-oligarchica
basata su floride attività di
commercio, artigianale e bancarie, che allargano sempre di più l'istanza di
partecipazione dei cittadini alla gestione pubblica e della cultura nel
particolare clima storico dell'imminente caduta della repubblica e
dell'ascesa al potere dei Medici. Il generale convincimento di una
nuova età, di un mondo aurorale, fondati sulle antiche testimonianze, affonda in effetti le sue radici
nella cultura trecentesca rispetto
alla quale si delineano molteplici motivi di continuità, ma anche di diversificazione.
Tale mondo è già presentito dal
Petrarca sullo scorcio del XIV secolo («
Anime belle e di virtude amiche / Terranno il mondo; e poi
vedrem lui farsi / Aureo tutto e pien de l'opre antiche»);
e il concetto è ripreso dal Ghiberti nei Commentati del
1447 a proposito dell'asserita rinascita in Giotto di un'arte
'naturale'; e poi dal Poliziano nell'epitaffio di Giotto
del 1490. Tale coscienza del nuovo trova infine nel Proemio delle Vite (1550) di Giorgio Vasari il battesimo
storiografico, con l'affermazione, divenuta poi quasi luogo comune, che Ciotto dopo secoli di goffezze
'risuscitava' finalmente la pittura
— e l'arte — attraverso l'antico, cioè l'esperienza classica della realtà, riscattandola
così dal 'vecchio', cioè dalla
tradizione bizantina, stereotipata e formulistica, come dal 'moderno', cioè
dalla cultura gotica. I termini di Rinascita e di Rinascimento, di larga
fortuna storiografica e frequenti anche in questi pochi casi esemplari,
rivelano la trasparente interpretazione mitologica di una risorgente età dell'oro che vena
periodicamente la storia della
civiltà umana, come ad esempio nel caso della cosiddetta Rinascenza carolingia.
Si accentuano così impropriamente gli elementi di cesura con gli immediati
precedenti culturali e si affievoliscono quelli di continuità, in
una «scoperta del mondo che diviene scienza
organica» e in una «scoperta
e liberazione dell'uomo e dell'esperienza nella vita del mondo».
In
tale entusiasmante afflato la valutazione della novità e insieme quella della
rinascita di valori universalmente riconosciuti nelle grandi civiltà del passato si
saldano in effetti nelle più consapevoli elaborazioni dei
contemporanei. Leon Battista Alberti
afferma orgogliosamente l'originalità assoluta degli artisti del suo tempo, e di
se stesso. Niccolò Machiavelli nei
dialoghi dell’Arte della guerra conclude che «questa provincia par
nata per risuscitare le cose morte, come
si è visto della poesia, della pittura e della scultura ».
Folgorante
intuizione critica questa, che anticipa la considerazione che proprio ed
esclusivamente nell'ambito delle arti si
motiva tale positiva valutazione del rinnovamento, mentre il quadro coevo è al contrario sconvolto da
crisi economiche, civili e
politiche, religiose e militari. Si può anche aggiungere infatti come proprio
nell'attività artistica si rivendichi all'uomo la dignità della ragione, il
diritto del libero arbitrio, il
dominio del suo pensiero e della sua azione, l'esercizio-dovere della tolleranza,
mentre si consumano tragedie
della libertà umana e di istituzioni millenarie, alla luce sinistra delle fiamme belliche e
dei roghi umani accesi per ogni dove
in tutta l'Europa. Ne deriva la prova di una sorta di primato dell'arte che implica,
anticipa e articola come suoi elementi caratterizzanti, secondo quanto
asserito consapevolmente nell'opera
del Brunelleschi e negli scritti dell'Alberti, anche la problematica
scientifica e i temi cruciali poi
elaborati e dibattuti nel pensiero filosofico e religioso; mentre altresì configura scelte
iconografiche, modelli culturali, strutture sintattiche e metriche in
condivisione talora con la cultura
letteraria.
I pellegrinaggi archeologici dei costruttori
di
un mondo nuovo
Nella
operante coscienza di tale nuova età, che nasce col valore impegnativo di una
grande eredità intesa non come modello da
imitare ma come una forza propulsiva ed etica, si intraprende a visitare, in una sorta di
pellegrinaggio laico aperto proprio
dal Petrarca, le rovine della Roma antica, ricercandovi epigrafi e monumenti, e
di questi moduli e proporzioni.
Filippo Brunelleschi ad esempio misura assieme a Donatello tutti gli
edifici romani, «larghezze ed altezze, secondo che potevano, arbitrando,
certificarsi, e longitudini».
In
tale programma di consapevole confronto con il mondo classico e di edificazione di un mondo nuovo,
programma che non è certo limitato a
Firenze ma caratterizza ampie aree culturali d'Italia e d'Europa, si
ricercano e restaurano anche i testi
dispersi, curandone edizioni e traduzioni, e quindi studiando le lingue
latina, greca ed ebraica; si formano
le grandi biblioteche e gli studioli signorili; si raccolgono e catalogano opere d'arte
classica.
Gli itinerari 'cortesi' degli artisti. I
grandi cantieri e i libri di modelli
Si
precisa così la nuova funzione delle corti, simultanea a quella
mecenatizia e delle grandi committenze artistiche, come anche dei palazzi
comunali o signorili, quali centri attivi
di raccolta, elaborazione e divulgazione culturale. Né sono estranei
naturalmente ma anzi preminenti in tale continuo e talora capillare confronto gli
intersecati itinerari degli artisti
di corte in corte, di regione in regione; come pure significativi
elementi di testimonianze artistiche e di incidenze formali, oltre alle ricordate raccolte
museali, sono rappresentati dai
grandi cantieri, luoghi di confluenza e confronti innumerevoli, e dalle
botteghe, ove gli artisti si formano e
differenziano nel comune cimento sui modelli figurativi del maestro e
altrui.
Va
ricordata in tal senso la descrizione della struttura e dell'organizzazione di
una bottega di fine Trecento contenuta
nel Libro dell'Arte (1398) di Cennino Cennini. In esso si delinea la
tradizione corporativa delle botteghe d'arte del secolo e insieme si
conferma, per tale periodo, l'uso addirittura prescritto agli apprendisti di copiare
modelli dal vero, ad esempio sassi o
peli di tasso; antichi modelli e calchi derivati da opere altrui (exempla).
Proprie di ogni bottega, le
raccolte di modelli trascelti e desunti, o patrons col termine
francese, in alcuni casi venivano riunite in manuali normativi o esemplari, i cosiddetti libri
di modelli, o Musterbùcher
col termine tedesco, testimoniati già fin dal XIII secolo", e poi nel XIV e ancora nel XV:
basti pensare al famoso e perduto
Taccuino di modelli di Michelino da Besozzo, o ai libri di disegni di Jacopo Bellini
conservati al Louvre e al British
Museum di Londra.
In
tale articolato quadro, ove innovazioni e continuità si intersecano
inscuidibilmente, spetta peraltro alla nuova concezione dello spazio il ruolo di elemento
rivelatore degli aspetti più vivi e
caratterizzanti del contesto artistico e culturale. La rappresentazione
dello spazio nelle sue tre dimensioni; i
rapporti esatti degli elementi reciprocamente e rispetto allo spettatore, rapporti razionali e
commensurabili; tutto ciò
identifica un momento peculiare della problematica quattrocentesca. Vi si saldano
probabilmente i risultati degli
studi dei testi greci e latini noti di prospettiva, se non di Euclide certo di Tolomeo, spesso
citato dal Ghiberti e tra fine Trecento e inizi del nuovo secolo tradotto e
diffuso in molte edizioni, con le testimonianze delle prospettive pittoriche romane nelle 'grotte'; e dei
trattati medievali di ottica, ad
esempio di Alhazen (X-XI secolo) e di Vitellione (XIII secolo). La portata innovativa e il profondo significato
ideologico della prospettiva,
struttura razionale e come tale commensurabile e conoscibile della
rappresentazione, sono già asseriti consapevolmente dai protagonisti e dai
testimoni del dibattito contemporaneo, dall'Alberti nel 1434 a Giovanni
Santi intorno al 1482. Va ricordata in proposito anche la biografia del Brunelleschi attribuita al Manetti
che, dopo una definizione tecnica
(«... ella è parte di quella scienzia, che è in effetto porre bene
e con ragione le diminuzioni et accrescimenti, che appaiono agli occhi degli
uomini, delle cose di lungi e da presso...), ne pone il problema storico
dell'originalità o continuità. Rispetto ai «dipintori antichi — dice il biografo
— non si sa [...] se lo sapevano e se lo feciono con ragione: ma se pure lo feciono con
regola, che senza ragione non
dico io scienzia poco di sopra, come fece poi lui [Filippo Brunelleschi], chi lo potesse
insegnare a lui era morto da
centinaia di anni; e iscritto non si trova, e se si trova non è inteso; ma la sua industria e
sottigliezza, o ella la ritrovò o ella ne fu inventricie
».
Da
tale consapevole programma della visione-rappresentazione,
quali che siano i precedenti culturali e gli aspetti invece
inediti nell'invenzione brunelleschiana, risulta soprattutto
una nuova concezione dell'uomo, protagonista della
storia, nell'esercizio totale delle sue potenzialità. Egli è
posto al centro dell'universo, creato e ordinato da Dio anch'esso secondo
ragione e dunque dall'uomo razionalmente
comprensibile. La ragione è fulcro e sintesi di questa nuova cultura e insieme
elemento di unificazione coi valori del mondo classico, intesi non come modello
da imitare ma come
stimolo all'elaborazione di valori originali. Su tali basi concettuali
la natura stessa è conoscibile e riproducibile secondo ragione, anch'essa non oggetto di
imitazione ma di identificazione
dei principi razionali che la informano.
Il
concorso del 1401 per la porta del Battistero Col
concorso bandito in Firenze dall'Arte dei Mercanti per la
seconda porta del «bel San Giovanni», nel fatidico 1401 in cui nasce in Valdarno
Masaccio, si apre in perfetta sintonia con
l'inizio del XV secolo il nuovo orizzonte storico e si profila la problematica prospettica, che
coinvolge e identifica la nuova
globale problematica del primo Quattrocento. La gara sembra svolgersi, sia nelle
testimonianze della cronaca
sia nell'eco storica, tra due soltanto dei pur insigni partecipanti e cioè tra
Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti, e si configura immediatamente nella stessa
valutazione
dei contemporanei come il confronto diretto di due opposte
concezioni artistiche, o addirittura di due opposte ideologie.
La
vittoria attribuita al Ghiberti per la sua formella del Sacrificio
di bacco premia,
«senza alcuna exceptione» come
l'artista tiene a dichiarare nei suoi Commentari, un'opera
di forse più unitaria concezione e di maggiore abilità tecnica nella fusione in
un sol pezzo, non irrilevante espediente
di risparmio, ma soprattutto più elegante e affabile nell'aggiornata adesione
alle imperanti tradizioni figurative.
Nella formella del Ghiberti è dichiarata esplicitamente la
poetica dell'artista: cioè i suoi basilari convincimenti teorici
e i suoi programmi operativi di rimeditata derivazione trecentesca, pur
nell'evidente ricorso all'antico, dei nessi
lineari ritmici. Questi regolano la composizione e insieme
la prospettiva nella consapevole valutazione degli aspetti empirici, mutevoli,
transitori della realtà nell'esperienza
visiva, soggetta a cangiamenti molteplici di moto, luce,
distanza, angolazioni, direzioni. La
formella del Brunelleschi svolge con veemente impeto il tema
imposto, risolto dal rivale Lorenzo in fluida e aulica eleganza.
Scatti triangolari di zampe musi gambe braccia flessi
come molle appuntite, corpi che rotano sfaccettati come
mobili volumi geometrici tra gli angoli vivi di polsi gomiti
ginocchia (forse anche eco dei telamoni di Nicola Pisano),
imprimono alla rappresentazione un moto inarrestabile
che sferza manti vesti e arbusti e insieme l'ammagliano come entro lacci
tesi a mo' di fionde. Del formato dunque
l'artista, a differenza del Ghiberti, assume come elemento
generatore non già i lobi circolari, ma gli angoli della
losanga di base, per una serrata composizione a rete, come
osserva il Ragghianti, la quale identifica simultaneamente
prospetto, spessori e proiezioni in pianta. Tale
processo di rappresentazione viene chiarendosi nel corso del decennio, fino alla
tavoletta con la veduta del Battistero,
arricchito probabilmente da cognizioni dei testi antichi,
dalle testimonianze offerte dalle pitture parietali romane,
dall'analisi diretta operata dall'artista su monumenti
classici o medievali. In ognuna di tali esperienze egli cerca
il comune e a lui congeniale filo conduttore della congruenza
modulare-proporzionale-prospettica della definizione
geometrica, intesa come razionale architettura del reale
e dunque del visibile. Questa è determinata proprio nella
piramide prospettica che unifica effettivamente tutti gli
elementi della visione-rappresentazione, in una forma non
però statica ma pulsante di potenzialità dinamiche nel rapporto
di interazione artista-opera-spettatore. Su
tale certezza della realtà si basa dunque la religione laica del
Brunelleschi, che nella ragione postula il principio stesso
e la conoscibilità della creazione divina dell'universo, o
macrocosmo, e dell'uomo, o microcosmo, e insieme dunque
dell'umano operare.
Non
è qui luogo di soffermarci oltre su tale alto processo artistico e mentale che
rivoluziona la storia dell'arte ma anche
del pensiero e della civiltà d'Occidente, in una suprema
sintesi di tradizioni artistiche e scientifiche, filosofiche
e sperimentali. Basti indicare l'istanza di universalismo, la
rivendicata globalità dell'esperienza dell'uomo che condivide con Dio, in
cui conformità è stato creato, l'esercizio divino
della ragione, l'affermato superamento nel dominio razionale
di ogni casualità, mutevolezza del reale. Quanto
di tale impegnativa concezione del ruolo di protagonista
dell'uomo in un universo umanizzato e conoscibile sulla
comune base razionale sia recepito, dibattuto o incompreso nella cultura
figurativa dei primi decenni del secolo,
sarà verificato nelle individuali esperienze artistiche sia fiorentine e toscane
sia peninsulari. Nei primi venti anni del secolo Brunelleschi ha già esposto con
le problematiche tavolette
della citata veduta del Battistero e della Piazza della
Signoria le sue esplicite dichiarazioni della necessaria coincidenza del punto
di vista (cioè la posizione dell'occhio vedente)
col punto di fuga (cioè il luogo di confluenza di tutte le ortogonali
dell'opera).
La
situazione a Firenze è vivamente conflittuale, tesa in un dibattito
che smuove e coinvolge in qualche forma anche gli
artisti più conservatori o isolati, come ad esempio Lorenzo
Monaco, ma che scocca folgorante soprattutto tra i grandi
protagonisti e antichi antagonisti Filippo e Lorenzo, e
poi tra i partecipi Luca della Robbia e Masaccio, Masolino e Donatelle, e ancora tra i Visitatori' Gentile e
Jacopo Bellini e Pisanello, e
altri.
La
coscienza dell'irrompere nella storia di una nuova dimensione
spirituale è sconvolgente e ce la testimonia anche l'Alberti
quando afferma appunto con orgogliosa semplicità
che «tanto più el nostro nome debbe essere maggiore, se
noi sanza preceptori, sanza exemplo alcuno, truoviamo arti et scienzie non udite
e mai vedute».
Nel grande conflitto sta col Ghiberti un artista come Gentile da Fabriano,
attivo
a Firenze tra il 1419 e il 1425 nel Cenacolo di S. Spirito
e poi nella Adorazione dei Magi per S. Trinità del 1423.
Dall'altra parte incalza con l'inarrestabile persuasione
della verità storica l'impositiva concezione del Brunelleschi,
cui si volgono in un teso dibattito Donatello e poi il giovane
Masaccio.
Nelle
linee fondamentali questo è infine il quadro entro il terzo
decennio, alla vigilia cioè dell'opera del Beato Angelico, che realizza una
sintesi storica tra le due antitetiche posizioni
culturali tramite la sua poetica intuizione della funzione costruttiva
compositiva e prospettica della luce. Alla
vigilia anche del rientro a Firenze di Paolo Uccello, inquieto
sperimentatore delle potenzialità prospettiche, forzate
talora sino a far scaturire una dolente tragica poesia proprio
dalle contraddittorie apparenze di una realtà cui l'esperienza
nega, contro l'assunto brunelleschiano, in verità,
ogni ragione. Alla vigilia infine del De Statua del 1434-1435
e del De Pictura, del 1436, con cui Leon Battista Alberti testimonia e divulga il pensiero e le
esperienze del Brunelleschi in termini sistematici e talora riduttivi,
nell'esemplificare come univoco il
sistema prospettico monocentrico che
è invece dialetticamente attuato anche nella più stretta cerchia brunelleschiana, come nello
stesso Masaccio e in Donatello. Ne
risulta invece attestata la sua alta comprensione della 'scienza nuova' di Filippo e
della sua carica potentemente
innovativa, di cui l'Alberti è uno dei più convinti e prestigiosi testimoni e
divulgatori e Masaccio il più
consapevole erede.
Il
persistere della tradizione trecentesca il
delineato dibattito tra il Ghiberti e il Brunelleschi si svolge
purtuttavia, e sarebbe operazione antistorica e riduttiva
l'ignorarlo, in un humus culturale ancora impregnata
agli inizi del secolo della tradizione tardotrecentesca. Le
istituzioni politiche fiorentine, cioè quelle di una repubblica
florida di commerci e di attività artigianali e finanziarie,
agevolano come detto la più larga partecipazione dei
cittadini ai grandi momenti culturali della città. Motivano
anche la formazione di una categoria assai numerosa di
piccoli committenti, per cui si produce il fenomeno della intensa
circolazione di opere economicamente accessibili, come
ancone portatili, crocifissi ritagliati e dipinti (e non scolpiti
e fusi), corali, immaginette, carte da gioco, oreficerie,
mobili e utensili vari. In funzione di tale richiesta di mercato
si moltiplicano le botteghe d'arte accuratamente regolamentate
negli statuti delle Corporazioni o Arti, che ne confermano la vitalità, il
numero e l'incidenza economica
e sociale.
In
tale ambito di ovvio tradizionalismo, la ripetizione iconografica
è dovuta sia a motivi di culto e devozione sia al riciclaggio
delle immagini operate nelle botteghe con l'ausilio
di stampi, modelli, sagome, come appunto attesta anche
Cennino Cennini tra fine Trecento e inizi del Quattrocento. D'altronde la
grande esperienza del giottismo si era anch'essa esaurita in formule
stereotipate, e ne può rappresentare
in modo emblematico la complessa ed estenuata
situazione l'attività di artisti a cavallo dei due secoli, come
Spinello Aretino. Questi nei molteplici cantieri tra Arezzo,
Lucca, Pisa, Firenze e Siena rende testimonianza di una
larga osmosi di temi figurali e modalità compositive nella
Toscana di fine secolo, analogamente a quanto si verifica
ad esempio anche col senese Taddeo di Bartolo.
Lorenzo
Monaco, probabilmente proveniente da Siena e frate
nel convento camaldolese di S. Maria degli Angeli a
Firenze, è il solitario cantore di temi figurali apparentemente
corrispondenti alla più aggiornata cultura europea, ma in realtà improntati
a un singolare programma di moralismo
e ascetismo, depurati degli aspetti mondani e delle
esuberanze decorative di quella per farne scaturire la sostanza
di ritmo lineare asciutto e intensamente modulato. La
Pietà del 1404 (Firenze, Galleria dell'Accademia) è un curioso
collage mistico di simboli della Passione in rievocazione
allegorica, di segno secco e teso sul tenue fondo oro, mentre il Trittico
della Collegiata di Empoli rivela una più fluente
definizione lineare. Tale conseguita musicalità del ritmo
compositivo si ritrova anche nel Trittico del 1408 (smembrato
tra il Louvre e la Galleria Nazionale di Praga) e nel
Polittico di Monte Oliveta del 1410 (Firenze, Palazzo Davanzali),
come nei cartoni delle vetrate di Orsanmichele, del
1409. Nella pala della Incoronazione della Vergine del 1413
(Firenze, Uffizi) la rigidità delle sottili grafie dei contorni
e dei colori freddi e contrastanti si scioglie in più morbida
fantasia di linee sinuose e di stesure cromatiche intense
e calde nei gustosi episodi narrativi della predella. Il
Crocifisso di Monte San Savino (Chiesa di S. Maria delle Vertighe),
non scolpito ma sagomato, ritagliato e dipinto nella
tavola lignea (e anche supposto inesattamente di Masaccio),
si ricollega a quell'arte 'povera' largamente richiesta
dalla committenza dei ceti meno abbienti e probabilmente congeniale
all'indole severa e alle intenzioni di austerità
dell'autore. Vi si muovono con vivido risalto i flessuosi
contorni e i riccioli calligrafici del perizoma, animando
la piatta superficie di uno scattante ritmo lineare, mentre
il colore soffuso accompagna la dolce ondulazione del modellato.
Egualmente
sottili e sinuose linee di contorno, usate a definire
bidimensionalmente figure, pose e movimenti e a delimitare le tenere
stesure cromatiche, caratterizzano l'Annunciazione del 1410
(Firenze, Galleria dell'Accademia). Qui
nel fulgido e crepitante fondo oro l'angelo rosato si inarca
in aria con grazia squisita sulle azzurre nuvolette irrealisticamente
sbambagiate sul pavimento, di fronte al lento
arretrarsi di Maria (forse un lontano ricordo di Simone
Martini), disegnato dallo sfuggente profilo puntuto del ceruleo
manto.
Anche
per Lorenzo Monaco gli Anni Venti del secolo, tesi nel
grande dibattito culturale tra Ghiberti e Brunelleschi, incidono
nella pur univoca vocazione espressiva. Il suo asciutto
ritmo lineare, strumento di una visione poetica come
compressa e talora raggelata, sembra distendersi in più
sereno canto e dolci colori ad esempio nella pala d'altare
della Cappella Bartolini in S. Trinità a Firenze, che risale
al 1420 circa.
È
quasi di prammatica il confronto tra una delle ultime opere
dell'artista, l'Adorazione dei Magi (Firenze, Uffizi), supposta
del 1421-1422 o del 1423-1424 circa, e L’Adorazione
di
Gentile da Fabriano.
Ne
emerge il riferimento parallelo delle due opere ad analoghi
modelli, quali anche paiono riconoscersi nel Viaggio dei
Re Magi di
Jacopo di Paolo a Bologna. Al linguaggio inventivo e visionario di questi -
nelle sinuose e sventagliate
diagonali compositive della sua caccia cortese, nei magmatici paesaggi, nella
veemente carica dinamica della linea
- sembra infatti consonante l'Adorazione di Lorenzo,
entro l'elaborata cornice sagomata, scolpita, dipinta. La sacra
processione sembra qui scaturire improvvisamente dall'angolo
scabro di monte, a destra, per affiorare in lenta diagonale
a S coi tre Re, di fronte a Maria assisa su di un lastrone
roccioso, incorniciata dagli archi della rossa chiesetta che sostituisce
allegoricamente la grotta-capanna. In
questi primi anni del terzo decennio si vengono sempre più
precisando i termini della 'scienza nuova' del Brunelleschi,
resi chiari dalle opere sia di lui sia di Donatello e di Masaccio,
e gradevoli dalle mediazioni affabili di Masolino. Se ne leggono le incidenze nel tentato scorcio del
pavimento, con una palese
volontà di regola prospettica, nella Incoronazione della Vergine del 1414
(Londra, National Gallery). Quale
esito avrebbe avuto questo tentativo di comprensione di una problematica così differente
dai suoi testimoniati precedenti non
ci è dato né di sapere né di supporre: Lorenzo Monaco viene infatti a morire
probabilmente intorno al 1423.
Un'opera
commissionata a Lorenzo Monaco per la Cappella di S. Lorenzo nel Duomo di
Firenze è invece eseguita dal cosiddetto Maestro del Bambino Vispo, malnoto
nella sua vicenda biografica ma certamente di formazione ispanico-valenzana
analoga a quella dello Starnina, o da lui derivata. Nella Madonna col Bambino
(Vienna, Kunsthistorisches Museum) la sinuosità di profili, pieghe e cadenze
delle vesti di colore bruno-verde e rosso costruisce una spirale mossa e
ininterrotta, priva di spessori plastici, di agi spaziali e di verosimiglianza
prospettica, e l'immagine del gruppo divino risulta quasi incorporea e
galleggiante sul fondo oro.
La
decapitazione di santa Dorotea (Londra, National Gallery) e La morte della
Vergine (Chicago, Art Institute) rivelano un linguaggio affabile, ove sono
tradotti gli stilemi del cosiddetto Gotico internazionale, filtrato palesemente
attraverso esperienze valenzane. Nella Madonna e angeli (Londra, Collezione
privata), di morbida stesura pittorica e di fluido ritmo compositivo,
l’impaginazione della Vergine di profilo bidimensionale sull'alto trono e degli
angeli scalati in verticale successione è come ancorata a uno spazio invece
tentato in scorcio plausibile nell'ammattonato: segno delle varianti
introdotte dalle novità brunelleschiane anche nelle opere degli artisti più
tradizionali. Nel corso infine del terzo decennio di secolo si afferma
definitivamente, pur nelle innumerevoli varianti e nelle dialettiche verifiche,
la nuova ideologia dell'uomo del Brunelleschi, come quella che ribalta necessariamente l'empiria e la
discontinuità della rappresentazione figurativa in uno spazio razionale e
conoscibile e dunque da costruire con regole fisse e di globale
applicazione. Tale situazione culturale affiora fino in Arcangelo di Cola da
Camerino, nella cui 'parlata' composita e derivata, ma gradevole (vanno
ricordate una notevole Deposizione in una collezione privata di Firenze e la
predella alla Galleria Estense di Modena d’obbedienza giottesca), sono
testimoniate precise assonanze con i modi di Masaccio. Il maestro
marchigiano è stato anche identificato col Maestro della Crocifissione Griggs,
che è più probabilmente invece Giovanni di Francesco Toscani da Firenze. Questi
da una iniziale adesione alle bilanciate e ondulate connessioni compositive del
Ghiberti passa a una palese attenzione alle strutture plastiche e alle misurate
composizioni di Masaccio, come nella nota Crocifissione della Collezione
Griggs di New York. Lo stesso passaggio si verifica in alcune opere di Giovanni
da Ponte - la predella con Storie di san Pietro (Firenze, Galleria
dell'Accademia), Dante e Petrarca (Cambridge, Massachusetts, Fogg Art Museum) -,
che poi però torna nuovamente ad una sintassi tardotrecentesca sia
nell’Annunciazione nel Monastero di Rosano e nella Cappella Scali in S. Trinità
(1434-1435) sia nello splendido San Giorgio Kress (Columbia, Museum of Art).
Sull'ogivale fondo oro, in una folgorante interpretazione del modello del San
Giorgio di Vitale da Bologna, si svolge una fulminea spirale, dal drago
compresso come molla al bianco cavallo scalpitante e dai guizzanti finimenti, al
biancorosato cavaliere che chiude il gorgo dinamico con lo svolazzo circonflesso
del manto schioccante di vento attorno alla lancia diagonale. I valori cromatici
di sobria tavola, i trapassi studiati dei toni, il geroglifico lineare teso
e scattante dei profili in un ininterrotto fluire, tutto fa di questa opera
un'eccezionale testimonianza poetica di una cultura nel suo finire ma che ancora
lascia spazio a singolari ed estrose immagini.
Defilati rispetto alle coeve
esperienze spazio-prospettiche sono Bicci di Lorenzo e Rossello di Jacopo
Franchi. Questi ad esempio nella Natività di Perugia (Galleria Nazionale
dell'Umbria) scandisce in equivalenti strofe di allineamento parallelo le
sue composte figurazioni di arcaica dolcezza e di tradizionale impianto, non
prive tuttavia di tentativi di spaziosità e congruenza
plastica.
Anche il Maestro del Giudizio di Paride nel tondo da cui prende il nome (Firenze, Museo del Bargello) respira l'arcano clima magico della Visione di sant’Eustachio del Pisanello. Qui l'aderenza della figurazione al formato, fino alla curvilinea lingua di rocce ondulate, la flessuosa cesura tra le due scene rappresentate, la visualità molteplice e mobile rivelano una cultura volutamente tradizionale. La leggenda mitologica diviene favola cortese e le tre dee dai sontuosi abiti adorni e dalle elaborate acconciature aggiornano squisitamente il tema classico delle Tre Grazie, prefigurando un filone poi ben altrimenti svolto dal Botticelli. Eppure una sensuosa malinconia e un filtrato incanto vibrano sul cupo bosco abitato da balzanti caprette, striato di luci e ombre che alludono a segrete profondità: se ne ricorderà forse Paolo Uccello nella sua Caccia di Oxford. Francesco d'Antonio, per suo conto, nel dilemma della scelta tra queste opposte concezioni culturali identifica giustamente in Masolino il più convincente mediatore, nel terzo decennio del secolo, e a lui si riferisce negli affreschi dell'Oratorio della Madonna di Montemarciano (Pratomagno) e negli Angeli in coro (Firenze, Galleria dell'Accademia).
Anche
Paolo Schiavo può essere inserito in tale linea di compromesso culturale, con la
sua linearità scattante e asciutta che definisce i volumi dinamicamente, come
farà di poi con ben altri risultati di poesia il suo supposto scolaro Andrea del
Castagno.
Ma
è con Farri Spinelli, figlio di Spinello Aretino, che piace chiudere questo
breve quadro della cultura artistica a Firenze e aree limitrofe nella prima metà
del Quattrocento. A lui infatti, che coglie nella sua educazione provinciale
anche le suggestioni senesi, si devono opere di parossistico linearismo:
nei patetici astanti delle sue Crocifissioni, come piegati dal vento, dal dolore
e dalla pietà; nei densi panneggi di opprimente peso, come nel disegno della
Allegoria (Firenze, Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe). Gli Angeli
musici, infine, di S. Domenico ad Arezzo sono la prova più alta del personale e
lirico legame creato da Farri tra la cultura fiorentina, di un Lorenzo Monaco e
di un Giovanni da Ponte o del Maestro del Giudizio di Paride, e quella senese,
dell'inventivo Sassetta e del visionario Giovanni di Paolo. L'incredibile
flessuosità delle creature angeliche, che aliano prive di peso come tenere
farfalle, traduce le curvilinee estroflessioni trecentesche in un fluttuare
arioso, in un puro geroglifico musicale.