Gian Lorenzo
Bernini
Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) fu un artista geniale e
universale, prolifico e poliedrico. Scultore, architetto, urbanista, disegnatore,
scenografo, scrittore di teatro, inventore di medaglie e di apparati effimeri, condivise
col Borromini e con Rubens il ruolo di vero e proprio creatore del barocco, cui diede un’impronta
fondamentale.
Nacque a Napoli da madre napoletana e da Pietro Bernini (1562-1629), scultore
fiorentino trasferitosi con la famiglia a Roma nel 1606. La vita di Gian
Lorenzo si svolse interamente nella città papale. Dotato di
una personalità fortissima e di un'astuta invadenza, seppe ingraziarsi, molto
più del collega e rivale Borromini, i papi dell'epoca. Salvo un breve periodo
sotto il pontificato di Innocenzo X (che gli preferì per l'appunto il
Borromini) divenne, grazie alle sue amicizie influenti, la figura dominante
dell'ambiente artistico romano del Seicento, tanto che la sua fama si diffuse a
tal punto in Europa da farlo convocare nel 1665 a Parigi dal potentissimo
sovrano di Francia Luigi XIV, per il rinnovamento del palazzo del Louvre.
Roma costituì lo spazio dell’esperienza creativa di Bernini: egli
la plasmò e la trasformò a specchio del suo tempo. Svolse il suo primissimo
apprendistato vicino al padre che lavorava alla decorazione della Cappella
Paolina in Santa Maria Maggiore: in quel cantiere Gian Lorenzo apprese i
rudimenti della professione, conobbe il valore della tecnica e diede prova di
una precocissima attitudine artistica. La sua educazione continuò con lo studio
dei grandi del Rinascimento, dei marmi antichi delle Raccolte Vaticane e dei
moderni, cioè di Annibale Carracci e Caravaggio: il suo modello - dichiarò egli
stesso durante il suo soggiorno francese - fu la statuaria greca e, in
particolare, egli ammirava le opere della tarda antichità ellenistica, quali il
Laocoonte, l’Antinoo del Belvedere e l’Apollo del Belvedere.
La sua fama di enfant prodige incuriosì papa Paolo V che lo volle
conoscere e che, nell’osservare un suo disegno, ne intuì una genialità
paragonabile a quella di Michelangelo. L’incontro con il pontefice lo rese
"così celebre per Roma, che da tutti universalmente era acclamato, e
mostrato a dito, come 'Giovane di non ordinaria espettazione'".
Bernini cominciò a lavorare appena adolescente: tra il 1613 e il 1617, in
collaborazione col padre, realizzò le Quattro Stagioni e gli angeli
della Cappella Barberini in Sant’Andrea della Valle, mentre assolutamente
autografe sono il San Lorenzo, il San Sebastiano e Giove e
Fauno allattati dalla capra Amaltea.
Un artista "tutto fuoco"
Nel 1617 gli venne offerta dai Borghese la prima importante occasione
professionale: il più grande collezionista di antichità del tempo, il cardinale
Scipione, nipote di Paolo V, gli commissionò una serie di sculture monumentali
- Enea e Anchise, Apollo e Dafne, Plutone e Proserpina, tutte
opere in cui, affrancatosi dagli schemi del tardo manierismo, domina il marmo
con incredibile abilità tecnica creando suggestivi effetti di colore e di
movimento, capisaldi questi della sua concezione artistica e più in generale
del linguaggio barocco - che, a diciannove anni, lo decretarono definitivamente il più
grande artista vivente a Roma. Nel 1623 l’ascesa al soglio pontificio del
cardinale Maffeo Barberini con il nome di Urbano VIII (1623-1644) segnò
l’inizio della stagione d’oro per Bernini. Desideroso di ripercorrere le gesta
dei grandi mecenati del passato, Urbano VIII accolse Bernini dicendo: "È
gran fortuna la vostra, o cavaliere, di vedere papa il cardinale Maffeo
Barberini; ma assai maggiore è la nostra che il cavalier Bernini viva nel
nostro pontificato". Il papa, dunque, affidò al venticinquenne Gian
Lorenzo compiti grandiosi, che si realizzarono soltanto grazie all’amicizia e
al sodalizio di idee, di sentimenti e di intenti che si creò tra i due.
La prima opera pubblica importante commissionata a Bernini fu il Baldacchino
di San Pietro, ma furono moltissime le imprese che lasciarono un segno
indelebile sull’immagine di Roma e sul nuovo linguaggio artistico: palazzo
Barberini, edificio al quale avevano già lavorato Maderno e Borromini (del 1627 è
la facciata, sua prima impresa architettonica), la piazza antistante la fontana del
Tritone, il monumento sepolcrale di papa Urbano VIII in San Pietro, una serie
di busti che ci tramandano la figura del pontefice nell’avanzare degli anni, il
monumento alla contessa Matilde in San Pietro e le torri campanarie a
completamento della facciata della Basilica realizzata dal Maderno.
Famoso e ricercato in tutta Europa, Bernini esercitò un’egemonia
incontrastata nell’ambiente artistico e alla sua fama contribuì moltissimo
anche la sua personalità, il suo carattere vivace e la sua brillante
conversazione. Paul Fréart di Chantelou lo descrive come "... un uomo di
corporatura media, ma ben proporzionata, più magro che grasso, d’un
temperamento tutto fuoco. Il suo viso ha qualcosa dell’aquila, in particolare
negli occhi. Ha le sopracciglia molto lunghe, la fronte ampia, un poco incavata
al centro e lievemente rilevata sopra gli occhi... È un argutissimo
conversatore, ed ha un talento tutto particolare nell’esprimere le cose con la
parola, con l’atteggiamento del viso e con il gesto, e di farle apparire tanto
piacevolmente quanto i più grandi pittori hanno saputo fare con i
pennelli".
Il gran teatro di Roma
Il 1646, in seguito al crollo delle fondazioni dei due campanili
progettati per la Basilica di San Pietro, fu l’anno più delicato nella carriera
di Bernini. Inoltre, la morte di Urbano VIII e la salita al soglio pontificio
di Innocenzo X Pamphilj (1644-1655), ostile ai Barberini, non favorirono certo
la sua posizione: per gli incarichi prestigiosi, infatti, gli vennero preferiti
il Borromini e l’Algardi. Ma Bernini non si perse d’animo: quando Innocenzo X
decise di ornare piazza Navona, praticamente la corte del suo palazzo, con una
fontana arricchita da un obelisco, egli - con l’aiuto del principe Ludovisi -
fece giungere in casa del papa un modello in argento di un progetto per la
Fontana dei Fiumi. Il pontefice ne rimase sbalordito: "bisognerà pure
servirsi del Bernini a dispetto di chi non lo vuole, perché a chi non vuole
porre in opera le cose sue, bisogna non vederle". Così Bernini eseguì la Fontana
dei Fiumi, stupefacente gioco di palme, leoni, cavalli e scroscianti
zampilli, situata proprio di fronte alla chiesa di Sant'Agnese, del rivale
Borromini. e
negli anni seguenti, dal 1640 al 1660 circa, si dedicò alla realizzazione di
alcune cappelle nelle chiese romane che costituiscono il massimo raggiungimento
del suo liguaggio, basato sull’orchestrazione e sull’unificazione delle arti (ricordiamo
in particolare l'originalissima cappella Cornaro in Santa Maria della
Vittoria in cui si trova il gruppo della Santa Teresa in Estasi, uno dei
punti più alti raggiunti dal barocco e forse, proprio per questo, bersaglio
degli strali della critica classicistica. Tutte opere in cui emerge un grande
gusto scenografico, che nel Bernini fu fortissimo e che probabilmente fu
influenzato dal grande sviluppo, in quel periodo a Roma, del teatro).
"Padron del mondo"
Successore di Innocenzo X fu papa Alessandro VII (1655-1667). Uomo di profonda
cultura, discendente della famosa famiglia senese dei Chigi, il nuovo pontefice
diede avvio a una ripresa del mecenatismo illuminato e impresse a Roma
l’aspetto barocco. Egli chiamò a sé i più importanti artisti del momento, da
Pietro da Cortona a Francesco Borromini, ma riservò gli incarichi più
importanti al Bernini. Filippo Baldinucci, biografo del Bernini, ricorda che
"non era ancora tramontato il sole di quel giorno, che fu primo al
cardinale Chigi nella sovranissima dignità di sommo pontefice; che egli
medesimo mandò a chiamare il cavalier Bernino".
La quantità di opere che l’artista realizzò per Alessandro VII è davvero
strabiliante: tra le molte ricordiamo il restauro della Cappella Chigi a
Santa Maria del Popolo; la ristrutturazione di piazza San Pietro, con il
portico ideato dall'artista per accogliere i fedeli come braccia di
un corpo la cui testa è simboleggiata dalla cupola; la Cattedra di San
Pietro, la Scala Regia (dove riprende l’idea del corridoio
prospettico del Borromini in Palazzo Spada) e l’Altare del Sacramento
per la Basilica Vaticana; la cappella di famiglia del pontefice nel
Duomo di Siena; il monumento funebre del papa in San Pietro;
l’ampliamento del palazzo del Quirinale; la Cappella De Silva a
Sant’Isidoro; il restauro del Pantheon; l’innalzamento dell’obelisco
in piazza della Minerva; e numerosi interventi urbanistici e architettonici
a Castelgandolfo e ad Ariccia.
Durante il pontificato di Alessandro VII Bernini si recò anche in
Francia, richiesto da Luigi XIV, per il progetto del Louvre: accolto con grandi
onori, non riuscì a mettere in pratica il proprio progetto, ma realizzò il
busto di Luigi XIV. Tornato a Roma, negli ultimi anni della sua vita Bernini
eseguì una delle opere più belle: la Cappella della Beata Ludovica Albertoni,
nella chiesa di San Francesco a Ripa. Bernini morì nel 1680; era rimasto
paralizzato alla mano destra ma aveva dedicato al lavoro circa settant’anni,
durante i quali - secondo la stima fatta dal figlio Domenico – aveva realizzato
circa centoquaranta statue, tra bronzo e marmo, cinquanta opere di
architettura, più di duecento quadri e una grande quantità di disegni.
"Lo spirito, la vita, il colore"
Sovrani, cardinali, duchi e patrizi: tutti desideravano farsi ritrarre dal
cavalier Bernini. E tra i massimi capolavori di questo artista geniale si
annoverano proprio i ritratti dei personaggi più potenti del suo tempo: dal
cardinale Scipione Borghese a papa Urbano VIII, dal cardinale Richelieu al re
Luigi XIV, dal re d’Inghilterra a Clemente X. Bernini era straordinariamente
capace di individuare l’essenziale e nel ritratto non cercava di riprodurre
esattamente le fattezze del personaggio, ma di coglierne l’essenza umana e
psicologica, di imprimere a un materiale freddo, duro e incolore il carattere,
"lo spirito, la vita, il colore".
(adattamento da un testo
di Caterina Vagliani)