Barocco: un termine discusso

(E. Bairati – A. Finocchi)

 

Allo scadere del terzo decennio del secolo il qua­dro della produzione artistica a Roma presenta una ricchezza di aperture e di articolazioni che dichiarano tutte le tendenze e le tematiche che si svilupperanno lungo il Seicento e anche oltre. Una nuova civiltà figurativa si era inaugurata con le diverse esperienze analizzate nel capitolo precedente. Ora questo proces­so giunge rapidamente alla maturazione e alla piena affermazione del nuovo linguaggio, che assume una forza propulsiva tale da divenire punto di riferimento e di orientamento per tutta l'Europa, attraverso una serie di risultati (dalla grande decorazione all'architet­tura, agli interventi in scala urbana) che si propongo­no, pur nella loro varietà, come un insieme organico e coerente. Questo fenomeno è quello che viene defi­nito con il termine di «barocco».

La storiografia recente ha centrato sull'attività di Bernini, Borromini, Pietro da Cortona dal 1630 circa in poi l'identificazione dell'arte barocca, individuan­done i caratteri nel dinamismo e nella magniloquenza delle forme, nella predilezione per gli effetti teatrali e illusionistici, nell'interazione fra tutte le arti, nella nuova concezione dello spazio e della natura e del loro rapporto con l'uomo, nell'uso cosciente del lin­guaggio visivo come mezzo di persuasione e di comu­nicazione. Questi elementi caratterizzanti della civiltà barocca non nascono tuttavia in questo momento, ma sono già proposti dalle esperienze della prima fase del secolo, né sono prerogativa unica dei tre protagonisti citati, né sono necessariamente compresenti in tutte le manifestazioni della produzione artistica del Seicento, che si presenta con una grande varietà di aspetti, spesso contrastanti, talora contraddittori.

Non sarà quindi inutile risalire al momento in cui il termine entra nell'uso della letteratura artistica, escludendo da un lato di ripercorrere la complessa vicenda della revisione critica del Barocco iniziata alla fine del xix secolo, dall'altro la discussa questione sull'etimologia del termine (da «baroco», una delle figure del sillogismo secondo la scolastica medievale, oppure dal portoghese barroco = perla di forma irre­golare, passato nell'aggettivo francese baroque che as­sume, dall'inizio del xvni secolo, il significato di «bizzarro»). Il termine viene adottato dai teorici della fine del Settecento (A.C. Quatremère de Quincy, F. Milizia) con un'intonazione decisamente negativa in riferimento a quegli aspetti dell'architettura seicentesca che ai loro occhi di convinti classicisti nutriti di razionalismo illuminista appaiono come la negazione di ogni ordine e l'insieme di inconcepibili bizzarrie e abusi.

Secondo Milizia (Dizionario delle belle arti del di­segno, 1797): «II secolo della correzione non era più, era il secolo della corruzione... Borromini in architet­tura, Bernini in scultura, Pietro da Cortona in pittu­ra, il cavalier Marino in poesia, sono peste del gusto, peste che ha appestato un gran numero d'artisti... Barocco è il superlativo del bizzarro, l'eccesso del ridicolo». E si scaglia contro le «colonne torte, panzute, ravvolte, ingarbugliate, sopra mucchi di piedi­stalli, di zoccoli, di plinti e senza ragione», contro i «capitelli bisbetici, con le volute alla rovescia, i corni­cioni bastardi, infranti, a onde, e salti acutangolissimi». La lettura in negativo dei classicisti settecente­schi — in particolare la violenza polemica di Milizia — a noi serve perché fa emergere con grande eviden­za quei caratteri di libertà e di rottura rispetto alle regole della tradizione classica che informano di sé l'arte del Seicento. Questi caratteri tuttavia convivono lungo tutto il secolo con le tendenze classiciste che comprensibilmente non vengono derise o disprezzate da Milizia e dai suoi contemporanei i quali anzi le apprezzano in quanto le identificano come «antiba­rocche».

Non c'è da meravigliarsi che a partire da questi esordi la storiografia moderna abbia inteso il Barocco come antitesi al Rinascimento e alla classicità. Il pro­blema della definizione dell'arte del Seicento non può però essere risolto in questa rigida antitesi; del resto la presenza di aspetti non riconducibili ai caratteri che sono stati indicati come propri del Barocco denuncia l'impossibilità di usare il termine come definizione onnicomprensiva dei fenomeni del secolo e rivela, d'altro canto, l'eguale impossibilità di ricondurre tutti i fenomeni a un'unica tendenza. Come in altri casi (Gotico o Manierismo, ad esempio) la fortuna e la diffusione del termine hanno fatto si che dalla origi­naria accezione stilistica — con riferimento a un pre­ciso momento e ad alcune esemplari personalità di protagonisti — esso assumesse valore caratterizzante per un arco storico esteso dalla crisi del Manierismo fino alla prima affermazione delle istanze neoclassiche (dal 1600 al 1750 circa). Siamo còsi un'altra volta di fronte a un termine ambiguo, che nella sua oscillazio­ne tra estensione generalizzante e connotazione di spe­cificità diventa inafferrabile ed equivoco. Come negli altri casi andrà allora usato con cautela e inteso come definizione aderente e corretta solo per alcuni aspetti della molteplice realtà dell'arte del Seicento.

L'arte barocca si configura come una grande civil­tà dell'immagine: i potenti del momento — la Chiesa romana trionfante sull'eresia, le monarchie assolute europee — affidano all'arte la funzione di creare l'immagine della loro grandezza, quella che essi vo­gliono imprimere alla loro epoca, un'immagine gran­diosa, fastosa, eloquente, che vuole coprire una realtà ben diversa, drammatica e piena di lacerazioni. Tutte le tecniche vengono messe al servizio dell'arte come strumento di persuasione, di propaganda, di rappre­sentazione: architettura, scultura, pittura, musica si fondono in uno sforzo di unità che tende sempre alla globalità dello spettacolo teatrale.

Il grande sviluppo nel Seicento del teatro (tragedia, commedia), del dramma in musica (oratorio, melo­dramma), del balletto e della pantomima si svolge parallelamente alla teatralizzazione dell'architettura e delle arti visive. Il mondo intero è spettacolo; tutto viene esibito nel gesto e nella rappresentazione: l'espe­rienza religiosa come quella mondana, l'estasi mistica come il compiacimento dei sensi.

Strumento di tale linguaggio è la retorica: le arti visive usano gli stessi mezzi di costruzione delle im­magini impiegati dalla letteratura, utilizzando tipiche «figure retoriche» (traduzioni di concetti astratti in immagini): la metafora (trasposizione di significato per via di analogie con il dato reale); l'ossimoro (ac­costamento di elementi contraddittori); l'iperbole (esasperazione degli effetti); l'antitesi (contrapposizio­ne), e l'elenco potrebbe continuare. Tutto ciò si tra­duce, nel linguaggio barocco, nell'alterazione delle proporzioni classiche, negli effetti di gigantismo e di dilatazione degli spazi (anche se le dimensioni reali sono ridotte), nel dinamismo delle forme, nella ricer­ca continua di effetti sorprendenti e paradossali.

L'arte pretende ora al dominio dell'infinito e del­l'immaginario. A ciò non sono certo estranei i rap­porti con la nuova visione dell'universo portata dagli sviluppi della scienza sperimentale. Il secolo che si apre con il rogo di Giordano Bruno (1600) e la con­danna di Galileo (1633) consegna alle arti un'ansia inquieta di infinito («Sono dunque Soli innumerabili, sono terre infinite...», G. Bruno), espressa e insieme dissimulata nell'allestimento stupefacente degli inganni ottici e degli effetti meravigliosi, nell'esplorazione inesausta degli incerti confini tra vero e verosimile Dalla scienza nuova l'arte recepisce inoltre nuovi modi di indagine della natura: dall'adesione incondizionata alla verità del dato naturale espressa dalle correnti naturalistiche alla mimesi dei proces si creativi della natura in una ricerca di trasposizioni del dato naturale in quello artificiale, fino all'uso di­retto degli elementi naturali (luce, acqua, fuoco) nella creazione artistica.

Non avendo più le funzioni di strumento per la conoscenza del mondo — come era avvenuto nella sintesi arte-scienza del Rinascimento — poiché la scienza nuova ha ormai i suoi metodi e i suoi campi di indagine, l'arte afferma la sua libertà e l'autono­mia dei suoi processi tecnici, operativi e significativi rispetto a tutti gli aspetti della vita, dalla realtà quoti­diana al dominio dell'immaginario.

La varietà e il contrasto sono condizione essenziale della cultura così come della vita sociale e politica del Seicento: nella dinamica tra volontà di imposizione delle norme di un sistema — riflessa nel rigorismo dottrinario della cultura ufficiale e del pensiero reli­gioso e nell'irrigidimento delle classi e dei ruoli sociali e continua tensione alla rottura di esse si aprono grandi potenzialità per tutti i campi dell'attività uma­na e insieme la tendenza alla specializzazione e all'au­tonomia di ciascuno di essi.

Di questa straordinaria tensione l'Italia è protago­nista e fino alla metà del secolo essa detiene il prima­to culturale in Europa, dalle arti visive alla poesia, dal teatro alla musica, alla scienza sperimentale. A tale fase di massimo irradiamento culturale corrispon­de una situazione di crisi economica, sociale e politica che assumerà aspetti sempre più gravi procedendo nel secolo. Crisi che si manifesta in modo non uniforme negli stati italiani e che vede una sola città in grado di reggere più a lungo delle altre, mantenendo un ruolo di capitale a livello europeo: Roma.