di Serena
Zoli (Corriere della Sera, 15 luglio 2002)
La spada conficcata nel collo di Oloferne per freddamente sgozzarlo è forse la trasfigurazione del coltello che la pittrice aveva puntato al petto del suo violentatore, gridando:
“Ti voglio ammazzare con questo coltello che tu mi hai vituperata”. Lui rise e
aprendosi il gippone disse “Eccomi qua” ma coi col petto nudo si scansò «altrimenti gli havrei fatto male e
facilmente
ammazzatolo»; II quadro di Giuditta e Oloferne Artemisia Gentileschi lo compone proprio nel periodo, il 1612, in cui sta rendendo la sua testimonianza in tribunale, a Roma, per quello che fu un clamoroso processo per stupro. C'è chi anche nel volto di Oloferne ha voluto individuare i lineamenti del violentatore, quell'Agostino
Tassi, che dinanzi ai giudici in
quei mesi la stava dipingendo come
«una puttana» e insinuando addirittura che «il padre la tenesse per moglie». Ma il padre, gelosissimo
della figlia e severo, tanto da tenerla sempre chiusa in casa e lontano da occhi maschili, era stato ingannato in prima persona: Tassi, detto lo Smargiasso, pittore proveniente da Genova, esperto nella prospettiva, era suo amico e suo collaboratore nei dipinti a Palazzo Scipione Borghese (oggi Rospigliosi) e a Montevallo (oggi il Quirinale). È per quest'amicizia e collaborazione che Agostino ha potuto entrare nella sua bottega, annessa alla sua casa. La sua fiducia è stata tradita clamorosamente, e ci sono anche dei dissidi su certi quadri e certi pagamenti quando Orazio Gentileschi, pittore molto rinomato nella Roma dei Borghese, apprende della violenza di Tassi alla figlia. Lo viene a sapere con un anno di ritardo, l'assalto ad Artemisia in casa
propria è avvenuto l'anno prima, «il giorno
di Santa Croce» del 1611. Non esita: si fa confermare da Artemisia l'accaduto e corre a sporgere denuncia.
Se è un atto coraggioso da parte del padre, lo è molto di più da parte della figlia che non cerca di distoglierlo: non aveva parlato dell'accaduto per vergogna, ma ancor
più perché Agostino quel giorno stesso in cui la prese con la forza le promise
di sposarla.Le volte seguenti perciò Artémi-sia lo aveva accolto senza ostilità, era divenuta la sua amante consenziente, come lei stessa raccontò in tribunale, in quanto, ormai disonorata, aveva solo la
prospettiva di quelle nozze riparatrici.
Agostino ripeteva e ripeteva la promessa, ma
Artemisia ormai aveva saputo: non poteva
sposarla perché era già sposato. Non solo: la
moglie era morta e si sosteneva che lui
l'avesse ammazzata. Ancora: aveva una
relazione intima con la cognata,
cosa che all'epoca veniva
censurata come incesto.
Una volta conosciuta la verità, Artemisia, appena diciottenne, non aveva esitato: andrò in tribunale e
mi sottoporrò a tutte le prove purché
quel traditore paghi. Le prove furono
notevoli. Sono rimasti gli atti del processo,
centinaia di pagine che le Edizioni delle
Donne pubblicarono nel 1981, con i
giudici che parlano in latino e inquisiti
e testimoni che parlano nell'italiano
dei popolani romani. Gente minuta, rozza.
Si disegna lo sfondo di una Roma brutale
e postribolare in cui il linguaggio è più
che crudo (Artemisia stessa parla più che
chiaro), e vendette, ruffianerie, crudeltà, bassezze sono vita quotidiana. Agostino porta falsi testimoni a dichiarare di essere già stati amanti della ragazza e di sapere che
tanti altri giravano per casa, richiamati da lei stessa che si affacciava, concupiscente, alla finestra.
Con tutto questo Artemisia non s'impaurisce e non cede. Ha subito umilianti visite
ginecologiche, in aula subisce e respinge il fango che le viene gettato addosso. La sua deposizione è questa e non la cambierà mai: «lui mi spinse e serrò la camera a chiave dopo serrata mi buttò sulla sponda del
letto dandomi con una mano sul petto,
mi mise un ginocchio fra le coscie ch'io
non potessi serrarle et alzandomi li
panni... mi mise un fazzolétto alla
gola et alla bocca acciò non
gridassi». Segue la violenza cui lei
cerca di opporsi: «gli sgraffignai il viso e gli strappai li capelli», riesce anche a ferirlo nel membro, ma lui «continuò a fare il fatto suo
che mi stette un pezzo adosso». È quando
lui si alza, finalmente, che la fanciulla
corre a un cassetto e tira fuori il coltello
per vendicarsi d'essere stata «vituperata».
Ma come fidarsi di quel che dice una donna? In questi casi è la vittima a dover mostrare il dolo, e sarà lei, la vittima, a dover sottostare alla tortura che «proveràl», o meno, la sua sincerità. Sicché in aula ad Artemisia vengono rinchiuse le dita delle mani con i «sibilli», sorta di cordicelle che
vengono tirate per stringere le falangi fino
alla sensazione di spezzarle. Il male è duro, ma lei dice a voce alta: «è vero
è vero, è vero!». Una strizzata
più forte ai sibilli, ma ancora: «è vero, è
vero, è vero». E ancora un'altra volta.
Ora i giudici sono convinti. Agostino Tassi viene condannato, ma a
che cosa? Dovrà scegliere tra il bando da
Roma o cinque anni in galera. Ovvio
che lo Smargiasso scelga la prima
pena; anche perché sa bene che non ci
sarà nessuno a controllare che la
condanna sia davvero eseguita e che egli
resti in esilio. Infatti resterà a Roma.
Intanto Artemisia ha trovato uno sposo, Pierantonio Stiattesi, e con loro stessa sorpresa il matrimonio si rivelerà felice. Insieme partono per Firenze e là, alla corte di
Cosimo II, Artemisia Gentileschi continua la sua carriera di «celebrata
pittrice» che proseguirà a Napoli,
a Genova, a Londra. Infine tornerà a
Napoli, dove muore nel 1653, a 60
anni.
Se Alexandra Lapierre (sì, la figlia del più famoso scrittore e filantropo Dominique) studiando tutti i testi studiabili ha
ricostruito quattro anni fa la vita di Artemisia in una omonima storia romanzata, se prima ancora, nel 1947, Anna
Banti con uguale passione la
scelse, per un suo libro, in quanto «una
delle prime donne che sostennero colle
parole e colle.opere il diritto al lavoro
congeniale- e a una parità di spirito fra i due
sessi», è sempre per via di quel processo che
fece emergere la persona — la
protofemminista? — accanto all'artista, grande
e riconosciuta benché donna,
altro fatto non comune.
E al processo, solo al processo, si è rifatta un'altra indagatrice, l'avvocata Tina Lagostena
Bassi, riportandone nel '91 gli atti in un libro, L'avvocato delle donne,
impegnato per una legge migliore sullo stupro. «Li ho trascritti senza mettere la data, apposta», commenta ora la Lagostena Bassi. «Chi leggeva, sino alla fine non capiva che si trattava del Seicento perché quello di Artemisia
poteva benissimo essere un processo
dei nostri tempi, come gli altri undici che
riportavo. La stessa diffidenza verso la vittima,
la stessa colpevolizzazione della donna,
le stesse modalità dell'interrogatorio.
Anche le torture: non più con le "cordicelle", ma torture psicologiche sì. Ora per fortuna con la nuova legge del '96 le cose sono cambiate».
Alla riforma, di cui Tina Lagostena Bassi fu
una delle autrici, ha dunque contribuito anche Artemisia Gentileschi. «In un
certo senso, sì. Fu una donna molto
coraggiosa che restò segnata da quella vicenda. Tutti i suoi quadri risentono di quella sua
sofferenza».
I quadri: davvero validi oppure è la notorietà da scandaloso processo che ha tramandato
fino a noi il nome di una donna artista, Artemisia
Gentileschi? Il critico d'arte Carlo
Bertelli è risoluto nel dire no. «No,
la Gentileschi è una brava pittrice. E poi
non è che andasse in giro, come una diva
d'oggi, a raccontare la sua brutta avventura.
Le sue opere sono valide in sé. L'importanza
del femminile, lo vedrei sotto un
altro aspetto: io credo che i suoi quadri
piacessero alle donne, che ci fosse un'intesa
tra loro e l'artista che dipingeva la
loro sofferenza, la loro ribellione. Dipinse anche Cleopatra, sempre drammi di donne e donne che si
sacrificano. Ecco, una certa clientela al
femminile penso abbia contribuito
alla gloria di Artemisia».
Artemisa Gentileschi, figlia e Allieva di
Orazio Gentileschi(1563-1639), seguace del Caravaggio, nacque a Roma nel 1593. Lavorò
a Firenze, Roma e Napoli. Riprese e modificò le composizioni del padre,
conferendo loro asprezze realistiche a lui sconosciute. Contribuì in maniera
determinante all’evoluzione del gusto del caravaggismo napoletano. Morì a Napoli
nel 1653.
Di particolare interesse tre libri dedicati
alla pittrice secentesca: Artemisia diAnna Banti, pubblicato da Bompìani nel
1947, Artemisia diAlexandra Lapierre, storia romanzata edita da Mondadori e L'avvocato
delle donne di Tina Lagostena Bassi (Mondadori) in si parla anche del processo
contro il violentatore della Gentileschi