THE RING 2 [THE RING TWO, 2005]
Sei mesi dopo la maledizione della
videocassetta, che aveva toccato anche Rachael (Naomi Watts, che speriamo non
resti troppo legata al genere) e il figlio Aidan,
l’incubo ritorna.
Dopo gli ultimi tragici avvenimenti, Rachael si è
trasferita da Seattle ad Astoria, Oregon, dove lavora
presso una testata giornalistica molto più modesta e dove si impone
di ricominciare una vita più tranquilla a fianco del figlio, che nel frattempo
ha coltivato una passione per la fotografia. Si potrebbe dire che Samara, la
ragazzina della videocassetta, questa volta ha qualcosa di personale: è
interessata particolarmente ad Aidan e il suo scopo è
quello di sostituirsi a lui al fine di trovare una madre.
I presupposti erano poco promettenti: The Ring di Gore Verbinsky era stato un grande successo che ha segnato la rinascita del genere
horror, ma era comunque un film furbo, concepito e prodotto per il successo
commerciale; mentre le aspettative erano molto più alte: a girare il sequel di The Ring,
questa volta, è Hideo Nakata
(Ringu, Ringu 2) - già regista delle prime opere
della serie originale giapponese - nel quale si riponeva ogni speranza nel
rendere il progetto molto più teso e meno “visibilmente provocante” del primo.
Dire che Nakata si sia venduto ad
Hollywood sarebbe una gratuita cattiveria, ma ammettere che il regista ha visto
in questo film un’opportunità per ottenere un successo più internazionale non è
del tutto affrettato; l’unica cosa per cui si può criticare Nakata
è il fatto di non aver osato rischiare.
Tuttavia, in virtù della giustizia, è doveroso ammettere
che The Ring 2 riesce
nell’obbiettivo principale che si propone un film horror: quello di spaventare;
inoltre, la regia sa calibrare i tempi e sposare immagini e musica; lo pulisce
di tutte quelle simbologie cromatiche e figurative che nell’opera di Verbinsky erano fatue ed inette, ma mantiene
l’agghiacciante fotografia che cattura il cielo grigio della costa pacifica
degli Stati Uniti e sfrutta il valore simbolico dell’acqua: fonte della vita,
ma anche ambiente invivibile per l’uomo (da scoprire L’Isola del sudcoreano
Kim Ki-Duk, dove l’acqua
assume lo stesso valore).
Se in The Ring
la paura si trovava celata dietro il quotidiano, che sia una videocassetta, uno
schermo, un telefono, in The Ring 2 assume
una forma prettamente sovrannaturale e paranormale; la scelta fatta dalla
sceneggiatura di Ehren Kruger (che è ostinata appunto, nell’avvitarsi su se stessa
per cercare sempre nuovi colpi di scena) suggerisce una riflessione: in una
contemporaneità nella quale la realtà impaurisce quanto l’irreale, quali
elementi può sfruttare un film horror per spaventare? E
ancora, qual è il limite di fantasia che un horror non deve superare per non
finire nel ridicolo? E’ tutto consentito, a costo di spaventare? (Riflettete
sulla scena dei cervi) Perché The Ring 2
spaventa, e anche tanto, ma una volta usciti dalla
sala, dov’è la paura del quotidiano, del paradossale? Scivola via, perdendosi
tra i titoli di coda, e ci vuole far pensare che per fortuna la paura, quella
vera, si vede solo nei film. Riflettete su questo.
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