THE ISLAND [THE ISLAND, 2005]

In un futuro molto, ma molto prossimo la razza umana, in seguito alla grande Contaminazione, è costretta a vivere, lavorare e riprodursi in un grande impianto. Ognuno vive in attesa di vincere alla lotteria il soggiorno definitivo nell’unico luogo al mondo rimasto incontaminato: l’Isola. Qualcosa comincia ad insospettire Lincoln Six Echo (Ewan McGregor), che inizia a porsi domande senza risposta a proposito delle immotivate regole di questa società riprodotta. Grazie all’amico McCord (Steve Buscemi, nel suo solito ruolo marginale) troverà delle risposte, ma non quelle che sperava; scoprirà che non c’è proprio nessuna Isola e che gli abitanti dell’impianto non sono altro che cloni creati con il solo scopo di fornire pezzi da ricambio agli umani. Comincia per Lincoln un’estenuante fuga insieme a Jordan Two Delta (Scarlet Johansson), scampata all’isola e unica amica.

Cosa sarebbe stato il cinema di fantascienza senza la visionarietà, la tragicità, il catastrofismo e il pessimismo di Philip K. Dick? Non si sa. Certo è che capolavori come Blade Runner e film come Minority Report non esisterebbero. Michael Bay, ex regista fantoccio di Jeffrey Bruckeimer, alla sua prima regia senza il megaproduttore, e forte delle lezioni di Lang, Kubrick, Scott e Spielberg (qui produttore per la DreamWorks) si cimenta nella fantascienza, che in certi casi, e al suo meglio, è il genere più adatto a riflettere ed esaltare i drammi e le paure moderni dell’uomo: la privacy, l’individualismo e la libertà di pensiero. La prima parte funziona nel ricreare il microcosmo all’interno dell’impianto, grazie soprattutto all’accurato complesso scenografico e dei costumi. Inoltre la solita fotografia da pubblicità e videoclip di Bay, affidata a Mauro Fiore, non è mai stata più adatta nella ricerca delle superfici, dei cromatismi e dei contrasti di luce. Ma nella seconda parte il regista esagera, si esalta. I due cloni fuggono in una Los Angeles evoluta e disordinata, che fa da scenario alla discutibile idea di due esseri non umani di voler sopravvivere, e che nel fare questo uccidono, schiacciano e bombardano centinaia di losangelini innocenti. Il solito mix di racing di macchine, elicotteri e calabroni volanti, di effetti speciali e retorica, conditi con un paio di scene intense più o meno belle (l’androide Johansson che si riconosce nel suo spot Kalvin Klein). Mix che comincia a saturare anche gli spettatori più ghiotti di hamburger-movies, film a uso e consumo di un pubblico che cerca le due orette di action e superficialità, così americani (per carità, non tutti!), così Bruckeimer. Dispiace soprattutto per due attori di carattere e d’autore inutilmente sprecati come McGregor e Johansson.

 

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