STIGMATE [STIGMATA, 1999]

Pittsburgh, Pennsylvania. Frankie Paige (Patricia Arquette) è una ventitreenne che riceve inspiegabili ferite ai polsi e alla schiena che fanno pensare alle stigmate di Cristo. Dal Vaticano viene inviato Padre Andrew Kiernan (Gabriel Byrne), scienziato ecclesiastico incaricato di studiare l’evento e verificarne la veridicità. Nel frattempo Frankie comincia a ricevere ferite sulla fronte e ai piedi; manca l’ultima, fatale ferita, quella che uccise Gesù sulla croce, provocata dalla lancia che gli trafisse il petto. Padre Andrew si trova ad affrontare, insieme a Frankie, una serie di inspiegabili fenomeni con i quali non si era mai confrontato prima e a sormontare gli ostacoli e le limitazioni imposte dalla Chiesa di Roma.

Horror religioso che ha la presunzione di riformare completamente l’approccio alla fede, all’alba del nuovo millennio, con richiami alla New Age, un po’ di esoterismo e tanta, tanta fantascienza. Sceneggiatura di Tom Lazarus (tratta da un suo soggetto) e Rick Ramage, che inghiottisce di tutto (vangeli apocrifi, esorcismo, la passione, storia e paranormale), lo mastica e lo sputa sullo schermo sottoforma di immagini ad effetto e di grande impatto visivo, con lo scopo di suggestionare l’occhio con un uso eccessivo di simbolismi fatui e superflui (colombe, fiori, cromatismi); la fotografia ultrapatinata di Jeffery L. Kimball fa un uso allegorico del colore, esaltando il rosso; persino il sangue risulta gradevole alla vista. Qua e là la tensione e l’orrore funzionano, prima di risultare prevedibili già a metà film; peggiora nel patetico finale, con un eccesso di superficialismo e di rabbia ingiustificata (ma che cattivoni sono i vescovi della Chiesa, che si fanno spaventare da una donna che straparla in lingue antiche!).

Un lungo videoclip che cattura l’attenzione dello spettatore e lo inganna, ma che è effimero nella sua forma e presuntuoso nelle sue intenzioni, modaiolo nella colonna sonora e furbo nel ritmo serrato; ma, al di là di questi elementi, più in profondo, non c’è niente. Vuole riconfermare il principio dell’importanza della fede su quella dell’istituzione della Chiesa, ma lo fa senza intelligenza ed efficacia; troppo ridicolo per essere blasfemo, troppo superficiale per essere innovatore. Inefficace.

 

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