IL GLADIATORE [GLADIATOR, 2000]

Anno Domini 180. L’Impero Romano si estende dal Vallo di Adriano fino alle coste del Nord Africa sotto il dominio di Marco Aurelio. Resta un ultimo, barbaro popolo da sconfiggere nelle foreste della Germania. Le imprese e le sventure del Generale Massimo Decimo Meridio (Russell Crowe nel ruolo che lo conferma definitamene star internazionale, ma che già in Insider di Michael Mann e in L.A. Confidential di Curtis Hanson aveva rivelato il suo talento) iniziano qui, sotto la neve di un rigido inverno e la promessa del ritorno alla sua terra in Spagna, dalla moglie e dal figlio. Vinta la guerra, Massimo spera solo nel congedo dell’imperatore. Ma una prima sventura lo ostacola nei suoi piani e nel raggiungimento della felicità: l’imperatore viene ucciso dal figlio Commodo, ora nuovo sovrano. Commissionato a morte da Commodo, Massimo fugge, intento solo a raggiungere la sua casa e la sua terra nella quale il grano dorato aspetta di essere raccolto. Ma, inevitabilmente, il dolore: i pretoriani lo hanno preceduto, e hanno crocifisso la sua famiglia. E poi l’abbandono, la disperazione, il lasciarsi andare, il voler morire, ma essere raccolto e portato nella provincia di Zucchabar, e diventare gladiatore. Il Gladiatore. Il successo e la fama lo porteranno a Roma, dove potrà compiere la sua vendetta sul giovane e inadeguato imperatore, placare la rabbia e solo allora poter camminare felice, col sole sulla faccia, nei campi elisi, con la famiglia ritrovata.

Dopo 40 anni da Spartacus di Stanley Kubrick, il peplum resuscita in questo colosso di messa in scena (poca, a onor del vero) e effetti digitali (tanti, troppi?) per la regia di Ridley Scott, che gira sempre con esperienza, ma talvolta con eccessi di manierismo decorativo e di “densità” pubblicitaria, e per la sceneggiatura di David Franzoni, John Logan e William Nicholson dai personaggi calcati (il giovane e impertinente figlio trascurato di Joaquin Phoenix/Commodo, la sorella fredda, forte e calcolatrice di Connie Nielsen/Augusta Lucilla) e dai pomposi dialoghi, che sprofonda nella noia, nella ripetitività e nella dispersione che nemmeno il montaggio di Pietro Scalia, impeccabile nelle scene d’azione, riesce a recuperare.

Per tutta la sua durata, Il Gladiatore corre sul filo del rasoio, cadendo ora nelle vacuità più insostenibili, ma raggiungendo a volte livelli di spettacolarità che toccano vette altissime (la battaglia iniziale sotto la neve contro i Germani, da antologia, piuttosto che la sanguinosa ricostruzione della guerra di Cartagine nel Colosseo), al punto che si possono trascurare le incongruenze storiche. E poco importa se la Roma Imperiale assomiglia alla Berlino del Terzo Reich, se le balestre usate nella prima battaglia non furono inventate che nel Medio Evo, se la Spagna ancora non esisteva per cui Massimo non poteva essere chiamato Ispanico, se la cupola che si intravede dal palazzo dell'imperatore è fuori luogo, se Commodo non morì nel Colosseo ma avvelenato, se la celeberrima colonna sonora di Hans Zimmer e Lisa Gerrard eccede nell’uso del sintetizzatore. Ciò che dispiace trovare, invece, tra le imprese e le sventure di Massimo, è vedere (e sentire) la storia rallentare per cercare, senza abilità, un approfondimento nei personaggi, esaminarne le relazioni, scavare negli intrighi politici e nelle cospirazioni che, per l'impostazione data al resto del film, servono a ben poco.

 

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