FRIDA [FRIDA, 2003]

La voce di Lila Downs accompagna le immagini di un letto che viene trasportato da una vivace casa dalle mura azzurre su un carro. Su quel letto c’è Frida Kahlo (Salma Hayek), nei suoi ultimi giorni di vita. Un suo primo piano ci mostra le sue sopracciglia unite, i suoi baffi, le rughe e le labbra rinsecchite; ma questo primo piano ci scaraventa indietro nel tempo, nella Città del Messico del 1922: Frida ha 18 anni quando è coinvolta in un incidente su un autobus che le provoca la frattura della colonna vertebrale, della clavicola, di diverse costole, del bacino e della gamba destra in undici punti, la lussazione e lo schiacciamento del piede destro e lo slogamento della spalla. Nell’arco della sua breve vita sarà sottoposta a più di trenta interventi chirurgici e, dopo aver tentato di uccidersi due volte, muore nel 1954 all’età di 47 anni.

Julie Taymor usa la stessa originalità espressiva già utilizzata per Titus, ma quello che in quel film sembrava un ripiego per giustificare il budget ridotto, qui sembra semplicemente una scelta stilistica. Anche la regista è un’artista e ce lo dimostra ricreando il Messico degli anni venti (l’era memorabile del Messico, che accoglieva i più grandi artisti) e lo fa con i tipici colori vivaci e accesi. I colori del Messico e i colori dei quadri di Frida.

Il film è tratto da una biografia di Herman Herrera, ma la regista e gli sceneggiatori hanno voluto concentrarsi sulla storia d’amore inconsueta tra Frida e Diego Rivera (Alfred Molina), il grande pittore di Murales. Di fronte alla scarsità del budget si sono dovuti sacrificare o stilizzare alcuni aspetti della vita della pittrice come le sue idee politiche, gli innumerevoli interventi, le relazioni. Ed è questa la grande carenza del film: una storia sacrificata e romanzata a causa di scarsi finanziamenti.

La regista e gli attori offrono comunque il meglio nelle perfette interpretazioni. Salma Hayek, anche produttrice, oltre a interpretare virtuosamente la conterranea Frida, ha il merito di aver coinvolto una manciata di amici celebri in questo progetto e di averli convinti a diminuire il proprio cachet. Ecco quindi tre cameo di Antonio Banderas, Edward Norton e Geoffry Rush, che interpreta Trotzkij, rifugiato politico nel “pianeta Rivera”. Più rilevanti le parti di Valeria Golino nel ruolo ambiguo dell’ex moglie di Rivera e Ashley Judd nella sua minimalista immedesimazione – piccolina e perfetta - nella fotografa Tina Modotti. Ma il merito più grande va ai due attori principali; Alfred Molina è tenero e maldestro, Salma Hayek rappresenta al meglio la personalità complessa di Frida e tutti gli aspetti che i suoi quadri trasmettono. Il dolore – fisico ed emozionale-, la solitudine e nonostante tutto il grande ottimismo, la vitalità e la forza. In una delle scene finali più commoventi del film Diego Rivera descrive i quadri di Frida: «La sua opera è aspra e tenera. Dura come l’acciaio. Delicata come ali di farfalla. Gentile come un sorriso. E crudele come l’amarezza della vita. E io non credo che ci siano state donne prima di lei che abbiano infuso una poesia così straziante sulla tela.»

Grandi idee di regia. Commovente il surrealismo dell’incidente, i retroscena e l’animazione dei quadri, il grottesco ricovero in ospedale e la scena finale del corpo di Frida, morto sul letto in fiamme, e la frase dal suo diario: «Spero che il viaggio sia ricolmo di gioia; e spero di non tornare più.» Brillante colonna sonora di Elliot Goldenthal (vincitrice dell’Oscar), vivace fotografia, accurate scenografie e un montaggio un po’ troppo lento, ma che lega le scene con l’utilizzo di un tema di ripresa (un colore, un oggetto, un materiale, una luce). In mancanza di fondi i due viaggi a New York e a Parigi sono stati ricostruiti in stile cartolina: arte deco nei colori freddi dell’azzurro per la prima e stile liberty in sfumature calde e seppiate dell’oro, del rosa e dell’azzurro per la seconda.

Fortemente penalizzato dal budget limitato e forse dalla poca ambizione della sceneggiatura, Frida rimane comunque un buon prodotto, certamente sottovalutato, in grado di trasmettere emozioni sottili e delicate. Da menzionarne il merito più grande: il film è una promozione, un’introduzione e una presentazione delle opere di un’artista di cui, dopo aver visto il film, si ha voglia di saperne di più. Un piccolo quadro eccentrico e colorato nel quale la cinepresa si sposta e zooma sui piccoli e curiosi dettagli che lo compongono.

 

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