DANCER IN THE DARK [DANCER IN THE DARK, 2000]

Selma (Björk) è una giovane madre immigrata negli Stati Uniti: la sua famiglia è da sempre affetta da una malattia che rende, prima o poi, irrimediabilmente ciechi i suoi componenti; è il destino che spetta anche a suo figlio Gene; per questo Selma lavora duramente, giorno e notte, per pagare l’operazione che eviterà al figlio il suo stesso destino. Ma la sua vista invece, si oscura sempre più, al punto da non permettergli di lavorare, di partecipare al corso di teatro o di vedere gli adorati musical hollywoodiani.

E Selma quasi ci riesce ad accumulare i soldi per l’operazione, ma viene tradita dal suo vicino di casa e amico, anch’egli indebitato e disperato, che la deruba approfittando del suo handicap. Non è solo lui che si mostra crudele con Selma, ma tutte le persone che la circondano sono pronte ad usarla e a discriminarla.

Vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes, Dancer in the Dark è un’”opera fusionale” (cinema + teatro + musical) – come la definisce il regista Lars von Trier – opprimente, raggelante e terrificante, che mostra ancora una volta i risvolti più crudeli dell’animo umano, sempre pronto a sovrastare il diverso e il debole, a riversare la propria frustrazione e la propria rabbia su chi non riesce, non vuole e non può permettersi di difendersi. Selma diventa così doppiamente vittima di se stessa - del suo destino – e degli altri. Ma lei ha trovato la sua risposta, la sua evasione dalla sofferenza; e in un mondo fatto solo di rumori lei è la protagonista del suo musical personale, e l’unica cosa da fare, nei momenti di solitudine, è cantare – non importa che gli strumenti siano le macchine di una fabbrica, i vagoni di un treno, i passi sul pavimento o, nel fatale e tragico finale, il battito del suo solo cuore. Canta, Selma, perché è l’unica cosa che le da gioia e, dopotutto, non importa se non riuscirà mai a vedere la Muraglia Cinese, la Torre Eiffel o l’Empire State Building: lei ha visto tutto quello che doveva vedere. E mentre lei vive questi momenti di totale liberazione, anche la fotografia di Robby Müller si apre, si fa più vivace, per poi tornare cruda e instabile, nelle inquadrature a mano di Lars von Trier, che sono sadiche e maliziose nello zoomare sui personaggi nei loro momenti di maggior sofferenza.

Impossibile scindere la bellezza del film dall’apporto di Björk, sia come attrice che come cantante: la sua voce sembra fare fatica ad uscire dal suo corpo e quando lo fa, sembra filtrata dalla sofferenza. E’ lei, infatti, la compositrice delle musiche sulle parole del regista. Ma Catherine Deneuve è anch’egli perfetta e brava: è Kathy, l’unica vera amica di Selma.

E’ proprio la sua determinazione e la cattiveria delle persone che la fanno passare da vittima a colpevole dell’omicidio del vicino, per la quale verrà condannata all’impiccagione. E nell’ultima inquadratura del film, mentre la camera si allontana, e dopo che Selma ha eseguito la sua penultima canzone (lei non ha mai visto l’ultima canzone dei musical, perché così il film sembra infinito), il suo corpo appeso viene nascosto da un sipario di tela azzurra, gelido e pesante, ben diverso da quello di un teatro.

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