BIRTH – IO SONO SEAN [BIRTH, 2004]

Dopo la morte del marito Sean, Anna (Nicole Kidman) sta per ricostruirsi una vita sposando Joseph (Danny Huston). Sono in corso i preparativi per il loro matrimonio, quando un bambino di dieci anni afferma di essere proprio Sean. Comincia così un lungo e astioso tentativo da parte dell’intera famiglia di mettere alla prova il ragazzo, che sembra conoscere Anna fin troppo bene e che ricorda le più disparate vicende che li accomunava. Anna, di fronte a queste strazianti notizie, è divisa tra un bambino e l’uomo che sta per sposare.

Janathan Glazer dirige e ambienta il film nella New York che sembra quella autunnale di Woody Allen o quella invernale di Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick; tiene alta la tensione con interminabili silenzi e movimenti di camera gravi: ora statici sui visi degli attori, ora che zoomano lentamente e fluidamente, per prendere distanza o avvicinarsi. Omaggio all’ultimo Kubrick anche nella cura delle luci artificiali e calde di Harris Savides e nella scelta delle musiche orchestrali di Alexandre Desplat. Mentre l’inedita pettinatura della Kidman è un richiamo spudorato alla Mia Farrow di Rosemary’s Baby di Roman Polanski.

Nicole Kidman è fragile, elegante e delicata nella parte combattuta di Anna e finisce per rubare la scena a personaggi di contorno come la madre Eleanor (la sempre splendida Lauren Bacall) o il futuro marito Joseph, che finisce per risultare antipatico e troppo sbrigativo. Tocca la perfezione emotiva e professionale nella scena a teatro, nella quale la sua angoscia riesce a mettere a disagio lo spettatore grazie ad un lungo e stretto primo piano, appesantito da un crescendo di musica orchestrale. Cameron Bright, il bambino che interpreta la reincarnazione di Sean, quello che non riesce ad ottenere con la recitazione lo raggiunge con l’aiuto del suo viso indecifrabile e oscuro, ma è indubbiamente più bravo di Haley Joel Osment ne Il Sesto Senso.

La storia si sviluppa con eleganza e morbosità nella prima parte, giustamente soffocata da una regia pesante e tesa, che riesce nello scopo di aumentare il sospetto; verso la fine la sceneggiatura di Milo Addica, Jean Claude Carrière e Jonathan Glazer subisce momenti di incertezza e sembra non sapere che strada prendere, se il thriller, il paranormale o lo psicodramma; ma pur scegliendo un miscuglio tra tutti questi si avvia verso un buon finale, drammatico e sofferente; ma il tutto gravato dal tanto ricercato clima di tensione e pesantezza che, se nella prima parte era funzionale alla storia, nella seconda stimola più noia e nervosismo. Nel finale, ciò che resta di sovrannaturale sono solo la tragica bellezza di Nicole Kidman e la sua raffinata interpretazione.

 

˜˜˜