ALEXANDER [ALEXANDER, 2004]

Tolomeo (Anthony Hopkins) ci narra la storia - o, come precisa lui, il mito - di Alessandro Magno (Colin Farrell), figlio di Filippo re di Macedonia (Val Kilmer) e di Olimpia (Angelina Jolie), di come conquistò il mondo allora conosciuto e di come riunì i popoli più diversi sotto la sua corona. Partendo dall'infanzia, dallo scontroso rapporto col padre, del quale cercherà sempre di ottenere l'approvazione, e dall'amore fin troppo protettivo, ma anche egoista, della madre, dal quale dovrà difendersi al pari di un comune nemico. Per poi giungere ai giorni gloriosi, quelli dei trionfi sui campi di battaglia contro i Persiani e gli Indiani e infine l’inevitabile morte, una morte giovane e prematura che gli risparmia il lento decadimento e l’oblio e lo proietta direttamente nel mito e nella gloria.

La grandezza di Alexander sta nel fatto che il film ha superato in numero le leggende su Alessandro Magno: già in fase di preproduzione, la “rivalità” tra il biopic di Stone e quello di Baz Luhrmann con protagonisti Nicole Kidman e Leonardo DiCaprio, che per ora sembra solo posticipato; in fase di produzione poi, si parlava del fatto che Oliver Stone avesse dovuto rigirare gran parte delle scene andate perdute perché registrate su materiali danneggiati; e infine la postproduzione in America: il film contiene scene gay, le comunità greche insorgono e accusano il regista e lo sceneggiatore di aver infangato la figura del Grande Conquistatore. Poi i più ruffiani ci vedono pure un’analogia con l’imperialismo di Bush; ma il problema sta nel fatto che il cinema storico di Oliver Stone ha sempre un messaggio politico, un'allegoria che ripropone più meno esplicitamente quelle che sono le idee di un uomo che ha sempre tradotto in immagini le sue idee e le sue posizioni. Bene, Alexander sembra mancare di questa particolarità; rimane - purtroppo - solo un film che, anche da questo punto di vista è facilmente attaccabile. Anche Stone ci ha lasciato? No; forse questo colpo basso è solo dovuto al fatto che il regista, sin dagli inizi della sua carriera, ha sempre desiderato fare un film su questo grande personaggio (il ruolo del protagonista, negli anni è stato proposto a Val Kilmer e a Tom Cruise) e, si sa, spesso ci si fa facilmente prendere dalle visioni, ci si fa accecare dalla determinazione e i sentimenti ci fanno diventare sempre più testardi, sempre più determinati, sempre meno curanti delle difficoltà. Proprio come fu per Alessandro, così fu per Stone.

Sceneggiato dal regista, Christopher Kyle, Laeta Kalogridis e con la consulenza storica di Robin Lane Fox (docente di storia antica al New College di Oxford, maggior esperto vivente sulla vita di Alessandro Magno e autore della sua biografia edita in Italia da Einaudi), il film riesce a dare una certa profondità al personaggio di Alessandro, bilanciando tra l’uomo e il re, la persona e il mito, superando quindi l’ostacolo che i film biografici prevedono già in partenza; dinnanzi a questa cura è difficile trovare il vero problema del film, perché non riesce sempre a catalizzare completamente l’attenzione del pubblico: manca forse di quel linguaggio cinematografico (usato precedentemente da Stone in capolavori come Platoon) che riesce a combinare le due cose, forse propone con fin troppa cura la storia tralasciando l’aspetto coinvolgente ed emotivo.

La regia di Oliver Stone non manca ed è più che mai suggestiva, fatta da un uomo che la guerra l’ha vissuta veramente. Grande è la battaglia di Guagamela vista dagli occhi di un aquila, nella fotografia seppiata di Rodrigo Prieto, dove il rosso del sangue è l’unico colore a discostarsi, nel montaggio (tre sono i diversi montatori del film, che sia alternano a seconda delle esigenze di regia) e nelle musiche di Vangelis. Molto più cruenta e realista quella in India contro un esercito di elefanti nella quale Alessandro viene ferito; resa rossa e iperrealista dal digitale la quasi-morte di Alessandro ferito e costretto ad assistere come spettatore passivo alla battaglia e alla morte del suo fedele cavallo Mocefalo.

Colin Farrell è una scelta rischiosa ma è al di sopra delle aspettative, Jared Leto (il compagno Efistofele) è fragile e propone il tema della bisessualità senza troppa malizia e con sobrietà. Angelina Jolie è fuori luogo e inadatta nella sua Olimpia eccessiva, calcata ed estremizzata, da peplum. Gradevole come sempre Anthony Hopkins.

Supera enormemente ciò che il genere quest’anno non ci ha risparmiato: Troy e King Arthur; la sfida era quella di diventare l’anti-Gladiatore che, se dal punto di vista storico è un insieme di piccole imperfezioni e madornali anacronismi, era riuscito, seppur qualche volta scadendo nel romanzato, ad ottenere un riscontro tra il pubblico; Alexander in questa sfida riesce, ma solo di poco. A tratti persino kitsch nelle scenografie e nei costumi (la chioma bionda da rockstar anni ’80 di Alessandro poteva esserci risparmiata), Alexander è un capolavoro di regia e di tecnica, che rare volte trova il giusto riscontro emotivo e trascinante, e ciò dispiace.

 

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