Questa
recensione è stata scritta da Flavio Ignelzi ed è
apparsa sul sito "Silent Scream" (www.silentscreamzine.com)
Non è nulla di particolarmente memorabile, questo "More Than
You Think You Are" (terzo lavoro dei Matchbox Twenty), ma è
indubbio come in una certa misura ci abbia affascinato. Sarà
per le atmosfere sofisticate di una America metropolitana e bucolica
allo stesso tempo, molto vicina alle visioni spirituali di certi
Counting Crows, ad esempio nell'intenso e caotico crescendo di "Could I
Be You".
Sarà per la
scrittura non totalmente banale di una band capeggiata dal talentuoso
Rob Thomas, che fa qualcosa di più che mettere in fila una
serie di accordi e di refrain immediati, permettendosi il lusso di
allontanarsi quanto basta (coraggiosamente, di questi tempi) dai
fantasmi del grunge (o del post-grunge) che ne avevano contraddistinto
gli esordi (in particolare il debutto milionario di "Yourself Or
Someone Like You" del 1996) e, allo stesso tempo, di tenersi
sufficientemente distanti anche dai pattern troppo convenzionali del
pop-rock collegiale da classifica. Sarà per gli
arrangiamenti indovinati (per quanto legati a doppio filo alla
tradizione a stelle e strisce) di ognuna delle dodici canzoni.
Per quanto risulti evidente l'uso smodato di modelli risaputi e neanche
troppo originali (Costello, Young, Mellencamp, Springsteen), il rock
dei Matchbox Twenty non può lasciare indifferente
l'ascoltatore, soprattutto di fronte ad un tale sfoggio di perizia
compositiva.
Sensualissime, in particolare, le movenze feline di "Disease" (la
collaborazione di Rob Thomas con Santana ha dato i suoi frutti,
evidentemente) e quelle altrettanto magnetiche di "Unwell", con banjo
orientaleggiante che risolleva una song per altri versi ordinaria. Il
riff seattleiano (oserei dire soundgardeniano) dell'iniziale "Feel", in
effetti, può portare fuori strada, così come il
riff settantiano di "Cold" (con tanto di organo di supporto). Ma
è con le grandi ballate (o più semplicemente
'slow') che il complesso bisbiglia la propria grandezza: "Bright
Lights", "Hand Me Down", "Soul" (quest'ultima potrebbe essere un
inedito dei migliori Bon Jovi) danno prova di grande senso della
melodia e grandi doti interpretative. Non si chiede molto di
più ad una produzione mainstream, dopotutto.
E alla fine ci sentiamo anche di consigliarveli.
Voto: 7/10