" TRARRE IL MASSIMO DA OGNI CHORUS "

intervista a RAY BROWN

DI J. Garcìa, Marzo 2001 Trad. by Annamaria Costalonga

Ray Brown sembra aver suonato, se non registrato, virtualmente con tutte le figure più importanti della storia del jazz e da tempo è diventato a buon diritto una leggenda. Grazie al suo virtuosismo, ha stabilito lo standard per quello che molti sostengono sia l'ultimo ritrovato dello stile bassistico jazz: le sue linee dirette e i suoi assoli espressivi hanno influenzato un mondo di bassisti, di sezioni ritmiche, perfino di cantanti che imitano il suo sound – negli ensemble jazz sia piccoli che grandi.

Brown prontamente trasuda la sua passione per il jazz – specialmente per il basso - e il suo impegno nei riguardi della futura generazione di talenti. Per decenni, gli aspiranti musicisti hanno cercato il suo consiglio a proposito di musica e di professione musicale; e che si tratti di una conversazione privata o di una conferenza pubblica, dice la sua molto francamente.

Durante il suo impegno al famoso Jazz Showcase di Chicago, Ray Brown ha visitato la Northwestern University, per un incontro vivace con circa duecento studenti della NU e della Evanston Township High School. La nostra conversazione si è svolta anche nel nostro viaggio in macchina, qui il riassunto. Ma è stato ugualmente eloquente quando s'è fatto prestare un basso e ha suonato, sia da solo che con il nostro dipartimento di jazz, e per tutto il tempo ha espresso suoni e cadenze che hanno ispirato il giovane proprietario dello strumento prestato.

Il fervore di Brown è stato forse più evidente quando ha discusso l'importanza per tutti i musicisti della conoscenza del business, creando un tema ripetuto in questo numero del IAJE Journal. Ma a quelli che erano presenti alla Nortwestern e poi allo Jazz Showcase non è sfuggita l'evocativa arte musicale del jazz master di fronte a loro.

[Origini] GARCÍA: Come hai cominciato?

BROWN: Da ragazzo a Pittsburgh consegnavo i giornali; uno dei miei clienti aveva una band in città che lavorava molto. Alcuni dei suoi si ubriacavano regolarmente da alcune uscite a quella parte e non suonavano bene alla fine della serata; così aveva deciso di prendere un paio di tizi più giovani come me. Un giorno mi ha detto, "Dai: andiamo al Moose Lodge". Ho pensato "A fare che cosa?". Ma poco dopo facevamo serate negli Elk Club in tutta Pittsburgh, pagati bene – più di quanto mio padre veniva pagato in quel periodo. Non possedevo un basso, così ho portato a casa il basso della scuola per le serate. Il mio direttore pensava che mi esercitassi parecchio a casa – finchè non ha visto sul giornale una foto di me con quel basso in una delle mie serate! Allora mi ha detto che non potevo più continuare così, e mio padre mi ha comprato il mio primo basso in un negozio dei pegni per 40 dollari.

GARCÍA: Come hai sviluppato il tuo concetto di swing?

BROWN: Be', c'era uno jukebox in una birreria in città; com'era costruito, le note del basso venivano fuori molto distinte. Voglio dire, si potevano proprio sentire le linee che i bassisti suonavano contemporaneamente. All'improvviso, sentii "Things Ain't What They Used To Be" che usciva dal jukebox, con quelle linee di walking bass lunghe e fluenti. Mi sono ritrovato ad ascoltare ogni nota che il bassista stava suonando sulla melodia. Era Jimmy Blanton con Duke Ellington. Suonava come nessun altro bassista prima di lui o di quel periodo: erano note lunghe nelle sue linee di basso. Ha avuto un'enorme influenza su di me.

GARCÍA: E' giusto dire che suoni sul al battere?

BROWN: Suono proprio sul battere, che piaccia o no. Qualcuno potrà dire "Stai accelerando". Io rispondo "Sì, e vengo anche pagato un sacco di soldi per farlo!". Lo swing, non lo si può definire. Ma io dico questo: se non fai swing, fai meglio a startene a casa!

GARCÍA: Pittsburgh è la città anche dei fratelli Turrentine.

BROWN: Sì, la scomparsa di Stanley l'anno scorso è stata una grave perdita. Suo fratello Tommy ed io avevamo circa la stessa età. Quand'era adolescente suonava la tromba; Stanley aveva circa nove anni e suonava il piano. Io consegnavo i giornali anche a casa loro. Solo dopo anni ho sentito parlare di un certo Stanley Turrentine che suonava il sassofono e ho avuto la prova che si trattava della stessa persona. Quando ero con la band di Snookum Russell, Tommy di solito copiava gli arrangiamenti per band di Billy Eckstine dai dischi e ce li portava. Ma poi Tommy è incappato in certi brutti vizi che hanno fatto finire la sua carriera.

GARCÍA: Hai ascoltato Charlie Parker quando eri molto giovane e poi naturalmente hai suonato con lui. Che impressione ti ha fatto?

BROWN: Bird si può considerare il musicista più completo che abbia mai sentito. Quando avevo 12 anni, l'ho visto nella band di Jay McShann, e Parker si era dimostrato un musicista blues fantastico. Ma quando stava con la band di Dizzy nel 1945, la sua attenzione era rivolta al bebop; e lo suonava così bene che la gente dimenticava che era un grande musicista blues. Oppure con la band di Machito, era stupendo in un ambiente jazz latino. Quando uscì Charlie Parker with Strings, il suo modo di suonare le ballate era così bello che la gente badava solo a quello. Era veramente un musicista completo. Quando suonai con lui nella band di Billy Eckstine, Milt Jackson ed io eravamo fra i componenti più giovani. Alcuni da fuori avevano l'impressione che il modo di suonare di Bird fosse migliorato dalla roba che si faceva; ma veramente, lui suonava grande musica che fosse o no sotto l'effetto della droga. L'unico effetto della droga è stato quello di accorciargli la vita; e perfino quando era con noi, era franco con noi sui suoi pericoli. Diceva a Milt, a me, e ad alcuni dei musicisti più giovani: "Se vedo uno solo di voi che si fa, vi spacco tutte e due le gambe." Oggi, come allora, alcune delle droghe più pericolose non sono quelle che pensano i ragazzi: sono invece l'alcool e le sigarette. Sono legali, accessibili ed economiche; così i ragazzi sono convinti che non facciano male come la roba illegale. Ma fanno male. I produttori di sigarette hanno finalmente dovuto ammettere che i loro prodotti uccidono la gente. Così non fatevi ingannare dall'alcool e dalle sigarette: sono droga e basta.

GARCÍA: Ancora un flashback: Miles Davis...

BROWN: Miles era un genio nel mettere insieme le band. Le sue band erano un "who's who" al piano, al basso, alla batteria, accompagnatori come Coltrane e Cannonball...Questo lo rendeva un grande leader. Inoltre usava la sua testa. Era più giovane di me di circa un anno, credo; e voleva suonare come Dizzy. Ma non aveva le caratteristiche di Dizzy. Così ha inventato il suo stile.

[L'Attenzione al Business] GARCÍA: Sei conosciuto da parecchio come un businessman di talento, che tratta non solo se stesso, ma anche in passato Milt Jackson, Quincy Jones, il Modern Jazz Quartet e altri ancora. Molti soci della IAJE ci hanno richiesto di dare maggiori delucidazioni su come gestire la parte che riguarda il business delle loro carriere, che si tratti di musicisti che fanno tourneé o altro.

BROWN: Be', i musicisti oggi non capiscono tanto di business perchè aggirano la questione assoldando dei manager. In una band di otto elementi, ognuno può arrivare ad avere un proprio manager! E' la moda di adesso. Quindi, invece di farcela da soli e imparare il mestiere, basta che dicano: "Vai dal mio manager". Non vogliono preoccuparsi dei dettagli. Se uno mettesse 1000 musicisti in un auditorium e gli chiedesse, "Immaginate di dover affittare la Carnegie Hall per due concerti, quanti posti a sedere ha? Qual è il price breakdown (ripartizione del prezzo, N.d.T.) normale? e qual è il break-even point (punto di pareggio, N.d.T.)?" – non tutti risponderanno. Potrebbero anche dire, "Va bene, ma noi non dobbiamo saperlo!" io dico, "Forse sì". Se qualcuno mi chiamasse per suonare in un club, gli chiederei, "Quanti posti ci sono? Che prezzi fate? Quanto prendete di biglietto a serata? C'è una consumazione minima?". Si può capire che tipo di business ne viene fuori, quanto denaro entra: queste sono cose di cui bisognerebbe interessarsi - bisogna conoscerle! E una volta che hai appreso di quel club, non lo devi fare più. Hai guadagnato un senso degli affari. Non sono contro il fatto di avere dei manager; non bisogna fare tutto da soli. Ma se si fanno quel tipo di domande, allora si può stare a conversare con il proprio manager allo stesso livello, piuttosto che avere il manager che ti dice tutto come a un ragazzino. Quando ho iniziato ad uscire, ho cominciato a osservare come si svolgevano le trattative. Mi incuriosivo e ho cominciato a fare domande, era molto interessante per me trovare le risposte.

GARCÍA: Eppure molti studenti di jazz sono interessati solo alla pratica musicale, non ancora al business.

BROWN: Sì, da bambini forse andavamo a scuola pensando che imparare a contare, a leggere e a scrivere fosse noioso, pure; ma puoi starne maledettamente certo, è meglio imparare come si fa! Lo stesso vale per imparare la parte del business: se non vi va, non pensateci, imparatela! Quanta gente ci viene in mente che è stata frodata dai loro manager perché non li hanno mai messi in discussione: musicisti, atleti, e altri che guadagnavano milioni di dollari e poi sono finiti a lucidare le scarpe o a fare cose del genere? Il manager di Woody Herman gli ha rubato tutto: decenni di tasse di libro paga trattenute dagli assegni dei membri della band, che si pensava fossero state versate allo stato e invece non lo furono mai. Woody adesso è all'ospedale mentre l'IRS (Internal Revenue Service, l'erario statunitense, N.d.T.) gli sta pignorando i mobili della casa. Andiamo! Non possiamo più ignorarlo. Le scuole devono insegnare ai loro studenti di musica il business musicale; dovrebbe essere obbligatorio. Ogni studente di musica dovrebbe seguire dei corsi di business, imparare a creare e mantenere un'entrata, le spese, le pubblicazioni, e la bottom line (ultima riga, quella dell'utile, N.d.T.).

GARCÍA: Quando devi aggiungere qualcuno al tuo gruppo, tieni in considerazione anche il suo senso del business?

BROWN: Be', di certo ho bisogno di qualcuno che sia in grado di prendersi cura degli affari: che sappia mostrarsi puntuale, che conosca i brani, e che sia responsabile. Per farsi assumere c'è bisogno di qualcosa di più che non semplicemente saper suonare lo strumento.

GARCÍA: Qual è il tuo programma-tipo in un anno?

BROWN: Di solito sono in tourneé fino a metà dicembre, poi faccio pausa fino a metà febbraio. Mi piace andare alle Hawaii a giocare a golf.

GARCÍA: Hai nuovi progetti in cantiere?

BROWN: Be', la serie CD Some of My Best Friends Are... presenta una nuova registrazione che dovrebbe uscire quest'anno: si tratta di chitarristi. C'è anche un altro progetto ancora da definire di cui non posso parlare.

[Insegnamento del Jazz] GARCÍA: La serie CD …Best Friends.. dimostra che tu apprezzi alcuni giovani talenti emergenti.

BROWN: Be', ad un certo punto si è diventati così vecchi che non rimane altro se non musicisti più giovani! Abbiamo perso così tanti vecchi musicisti. Per la tromba, Clark Terry ancora suona bene; sulle sue orme ci sono alcuni dei musicisti più giovani che si trovano su qualche mio CD: Jon Faddis, Roy Hargrove, James Morrison… Purtroppo, per quella serie di CD ho dovuto lottare con la casa discografica anche solo per una sola persona nuova per CD; l'etichetta voleva infatti nomi noti che facessero vendere il disco, solo alla fine mi ha concesso di far figurare un nuovo nome per ogni CD. Capisco che devo fare i conti con queste storie; è così che si reggono le case discografiche.

GARCÍA: Hai incontrato qualche giovane musicista jazz di cui non abbiamo ancora sentito parlare che potrebbe essere il prossimo ad uscire sulla scena?

BROWN: Oh, ci sono molti bravi giovani musicisti; i più non li conosco personalmente. Per esempio, ho sentito un gruppetto di tizi presi in considerazione da una casa discografica. Come suonavano! Ancora, vedo che molti giovani di adesso suonano meglio di quello che facevano i miei coetanei quando eravamo giovani.

GARCÍA: Ma questo progresso è a livello tecnico o espressivo?

BROWN: Be', bene o male, credo che i giovani siano molto impressionati dalla tecnica. E' così che va. Il gruppo di cui ho parlato prima ha di certo un potenziale espressivo, ma non lo usa. Bada alla tecnica per attirare l'attenzione degli ascoltatori. I giovani musicisti forse amano anche chi suona piano, ma non gli danno di solito la stessa importanza. E' un po' un problema, perchè è così che si perde l'impressione piena di quanta anima il musicista o la musicista ci metta a suonare. Se si vuole suonare una ballad, per esempio, prima si guarda cosa dice il testo, poi la si suona. Qualche volta, quando i ragazzi suonano le ballads, potrebbero anche suonare "Cherokee"! Suonano 8000 note, come se fossero pagati a nota – come se non avessero mai sentito Johnny Hodges e cosa sapeva fare con solo poche note.

DISCOGRAFIA

Discografia Telarc Live at Starbucks--CD-83502 (2001) The Very Tall Band: Live at the Blue Note--CD-83443 (1999) Christmas Songs with the Ray Brown Trio--CD-83437 (1999) Some of My Best Friends Are...The Trumpet Players--CD-83495 (1999) Summertime--CD-83430 (1998) Some of My Best Friends Are...The Singers--CD-83441 (1998) Super Bass--CD-83393 (1997) Live at Sculler's--CD-83405 (1997) Some of My Best Friends Are...The Sax Players--CD-83388 (1996) Some of My Best Friends Are...The Piano Players--CD-83373 (1995) Seven Steps to Heaven--CD-83384 (1995) Don't Get Sassy--CD-83368 (1994) Bass Face--CD-83340 (1993) Old Friends--CD-83309 (1992) Uptown--CD-83303 (1990) After Hours--CD-83302 (1989)

Libri Ray Brown's Bass Method (Hal Leonard #00695308)

Video The Art of Playing the Bass Vol. 1: Milt Hinton Vol. 2: John Clayton, Vol. 3: Francois Rabbath Vol. 4: An Evening with Triple Threat GARCÍA: Con così tanti impegni di tourneé, hai molte occasioni di andare nelle scuole a fare seminari? BROWN: Faccio parecchi seminari in diverse città.

GARCÍA: C'è qualcosa nell'insegnamento del jazz che ti colpisce, sia in positivo che in negativo?

BROWN: Be', come ho detto, quello che mi preoccupa è che anche se ci sono molti giovani musicisti che sono in grado di suonare meglio di come facevamo io e i miei coetanei alla loro età, questi non conoscono quasi niente del business musicale. E' una tragedia! Dal lato positivo, vedo sempre di più tanta gente giovane che si interessa al jazz: vedo parecchi giovani nel pubblico dei club. A causa della mia età, molti miei fan hanno sessanta e settanta anni - gente che mi è venuta a vedere quando suonavo con Dizzy o Bird o Oscar – ma ora parecchi giovani si uniscono a loro nei club. E quando ho tenuto una masterclass di basso a Minneapolis di recente, si sono presentati circa duecento studenti.

GARCÍA: Grazie al tuo manuale didattico in circolazione da circa trent'anni, e inoltre grazie alla tua ultima serie di video, insegni a parecchie persone che non hai mai visto personalmente. Francamente, anche i piccoli brani di video sul tuo website (ndr. il sito www.raybrownbass.com non è più attivo) sono didattici: chi naviga può vedere te suonare, John Clayton che suona meravigliosamente un passaggio, Milt Hinton che percuote il basso, e poi Francois Rabbath ci dà a tutti una lezione di espressività ed intonazione. Devo dire che quando lo spezzone video di Rabbath ha smesso di girare sul mio computer, il piano nel mio ufficio ha emesso degli armonici di Re per circa 10 secondi—la prima volta che il mio pianoforte ha reagito a qualsiasi suono arrivato via Internet. Ecco, questa è veramente intonazione, da parte di Francois, come lo hai conosciuto?

BROWN: Anni fa sono stato ospite di uno spettacolo televisivo insieme a Michel Legrand. Avevano invitato dei musicisti jazz americani da affiancare a dei musicisti classici francesi come controparte; Dizzy e un suonatore di tromba dall'Opera di Parigi, un sassofonista e Phil Woods, un percussionista e Shelly Manne, e Francois e me. E suonavamo tutti insieme.

GARCÍA: Incoraggi gli studenti di jazz ad imparare dalla tradizione classica dei loro strumenti?

BROWN: Per suonare correttamente uno strumento, bisogna intraprendere un po' di studio classico. Anche se ho pubblicato un libro di esercizi di diteggiatura, cose del genere sono già state fatte prima: è studio classico, bisogna affrontarlo. Inoltre, il primo bassista in un'orchestra non è solo un buon musicista, o necessariamente il miglior solista. Ma conosce il repertorio meglio di ogni altro, e tutti gli usi dell'archetto che vanno con esso. Lo stesso vale per il jazz: sapere il repertorio e la tecnica per suonarlo. Una volta ho fatto lezione ad un bassista che suonava gli assoli in cima alla tastiera: ogni nota era acuta e veloce. Così gli ho detto, "Suonami una canzone, una melodia". E ha cominciato a suonare la linea di basso della canzone mentre accennava a bocca chiusa alla melodia. Gli ho detto, "Be', è OK, ma quel che volevo dire era - sai suonarmi una melodia al basso?". Non era in grado di farlo! Ma questo è il ciclo attraverso il quale passano i giovani; le cose cambiano di solito dopo pochi anni. Ai vecchi tempi, un 78 giri aveva solo circa due minuti di musica per lato; un solista in una canzone poteva avere solo otto battute da lavorare - sedici se era conosciuto come grande solista. Così i solisti dovevano trarre il massimo da quelle poche misure. Molti musicisti oggi dovrebbero provare a fare così: suonare un solo chorus, e trarne il massimo. Mi fa tornare in mente ancora una volta la storia di Charlie Parker. Bird non suonava chorus senza fine; ed io, per uno solo, volevo ascoltare di più. Così una volta gli ho detto, "Quando suoni, sembra così bello. Perché non suoni di più?". E mi ha risposto, "Be', Raymond, ti dico. Se suonassi anche qualcosa di più, vorrebbe dire che mi starei esercitando. E io mi esercito solo a casa."

Si ringrazia l'International Association for Jazz Education ela Redazione di Jazzitalia (www.jazzitalia.net)per la concessione in esclusiva a pubblicare questa intervista.