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 episodi della lotta partigiana       

INDICE DELLA SEZIONE:

1) Le forze in campo (Anno 1943, Anno 1944, Anno

    1945.

2) La battaglia del Monte Rovaio.

3) L’uccisione del Ten.Marco : una brutta storia.  

4) Le fucilazioni di COGNA

5) L'attentato dei "Cappuccini"

6) La strage dei fascisti

7) L'attentato alla Rocca Ariostesca

8) La fuga degli ebrei

9) La triste storia del Tenente Manfrini

10) Visite poco gradevoli

11) L'origine del movimento partigiano in Lunigiana e Garfagnana

12) La riunione di Regnano

13) I prigionieri inglesi in Garfagnana

14) L'incubo dei bombardamenti aerei

1) Le forze in campo

Anno 1943

Le prime “bande” che si costituirono pressochè spontaneamente in Garfagnana furono 

bande di renitenti alla chiamata alle armi.

 Esse furono:

I) - La banda di Campaiana. Si trattava di un gruppo di studenti del Liceo “Machiavelli” 

di Lucca che, insieme a un loro professore, Carlo Del Bianco, fin da settembre 1943 

si era portata in quella località del comune di Villa Collemandina per sfuggire alla chiamata 

alle armi. Pur non avendo mai compiuto azioni militari, questa banda era anche armata. 

Pare che le armi, solo armi individuali, fossero state fornite dal  Tenente Giusti dei 

carabinieri di Castelnuovo, sollecitato in tal senso da un altro tenente dei carabinieri, 

Magherini, che aveva abbandonato il servizio e si era rifugiato a Pontecosi. Questa 

banda, probabilmente la prima che ebbe vita in Garfagnana, fu costantemente aiutata 

da un gruppo di persone di Castelnuovo, molte delle quali ritroveremo, poi,  in 

formazioni partigiane costituitesi successivamente. La vita di questa banda fu breve 

e si concluse, probabilmente, allorchè il gruppo di sostenitori castelnovesi fu 

arrestato nel gennaio 1944.

II) – Gruppo di Castelnuovo. Si tratta del gruppo di cui si è fatta menzione al n. I). Da 

varie pubblicazioni si ricavano i nomi di : Ezio Nari, Giuseppe Guidi, Bruno Valori, 

Giuseppe Asara, Oscar Luigi Calani (1), Silvano Lunardi, Sergio Rossi, Federico

 De Cesari. La loro attività fu di sostegno alla banda di Campaiana e di preparazione 

per l’organizzazione del futuro movimento partigiano. Alcuni di loro militeranno, 

successivamente, in bande partigiane operanti nella zona e due di loro (Valori e 

De Cesari) perderanno la vita nel 1944.

III) La “banda” di Borsigliana. Gli elementi di questa banda, di cui fu autorevole 

esponente, fungendo da commissario politico, il maestro Livio Pedri, fu costituita, 

all’inizio, semplicemente da renitenti (giovani di leva o ex militari che avrebbero 

dovuto ripresentarsi). E all’inizio, secondo la testimonianza dello stesso Pedri, erano 

anche pressochè senza armi. Solo nel maggio 1944, come vedremo, si procurarono 

le prime armi.

IV) Il gruppo “Valanga”. Anche questo gruppo si organizzò soltanto nella primavera 

del 1944. Tuttavia già sul finire del  1943 Leandro Puccetti, che era studente universitario, 

cominciò a prendere i primi contatti e a progettare la costituzione del gruppo. E fu attivo 

anche nell’aiuto ai prigionieri di guerra fuggiti da un campo di concentramento del 

modenese. Fra coloro che beneficiarono del suo aiuto ci fu il futuro comandante della 

“Divisione Lunense”, il maggiore inglese Antony John Oldham, che lo ripagò rubandogli 

la fidanzata.

NOTE :

1) - Il Calani, dovendosi recare frequentemente a Lucca a ritirare medicinali per il locale 

Ospedale, manteneva i contatti con il C.L.N. lucchese e trasportava anche, avventurosamente 

nascoste, armi per la banda di Campaiana.

  Anno 1944

Il 1944 fu l’anno in cui le “bande” si organizzarono , si armarono e cominciarono a compiere 

azioni offensive nei confronti dei tedeschi e degli appartenente alla R.S.I. Nacquero anche 

nuove bande e, infine, si tentò di dare una organizzazione unitaria a tutto il movimento 

partigiano non solo in Garfagnana ma anche nella Lunigiana e nella zona di Massa, Carrara 

e Sarzana.

 Ed ecco le formazioni e la situazione nella primavera che, con la bella stagione, 

consentì una migliore vita in montagna:

1) - La “banda Coli”, poi “banda Tony”. Nell’aprile  saliva alla sua Mezzana (frazione 

del comune di Careggine) il Dott.Abdenago Coli, che esercitava la professione 

medica a Santa Maria del Giudice (LU), e, qui, dava vita alla formazione di una 

“banda”, utilizzando giovani renitenti ma anche tre o quattro ex ufficiali dell’ex 

Regio Esercito che non si erano ripresentati alle armi (erano i due fratelli Franchi, 

Bruno Zerbini e, poco dopo, il Bertagni di Pieve Fosciana. Anche i castenuovesi 

che volevano fare questa scelta di campo accorsero a Careggine. La banda si armò 

e si approvvigionò saccheggiando la casermetta della G.N.R. che si trovava sul 

Monte Volsci e alcuni magazzini della Organizzazione Todt. Il Coli, dopo un primo 

periodo in cui la comandò personalmente, affidò il comando della banda prima 

e per un brevissimo periodo al Ten. Bruno Zerbini, poi al Maggiore inglese Antony 

John Oldham che aveva lasciato il Puccetti e il gruppo Valanga per unirsi alla banda 

di Careggine. La banda fu una delle più attive fino allo scioglimento della Divisione 

Lunense, nella quale era confluita, a fine novembre. Contava circa 250 o 260 uomini.                                                                               

 

  2) – La “banda” di Borsigliana. Questa banda, della quale, oltre a gente del luogo, facevano 

parte elementi di Piazza al Serchio, di Sillano, di Casciana nel comune di Camporgiano e 

di Roggio nel comune di Vagli Sotto, si organizzò meglio nella primavera (dopo un tentativo 

fallito di confluire nella formazione di Pippo, alias Manrico Ducceschi) e riuscì ad armarsi 

recuperando nella caserma dei carabinieri di Piazza al Serchio (con la complicità degli 

stessi carabinieri) le armi che a fine aprile erano state lanciate dagli americani ma intercettate 

dalla G.N.R. Erano i primi giorni di maggio. Anche questa banda fu molto attiva ma ebbe pure 

delle vicende piuttosto torbide (partigiani di questa stessa banda ne uccisero il capo Tenente 

Marco, al secolo Giorgio Ferro, di Padova). Sopravvisse e continuò ad operare anche dopo 

lo scioglimento della divisione Lunense.  Contava, forse, una cinquantina di uomini.                      

 

  3) – La “banda” di Magliano. In aprile o poco prima si costituì intorno a due ufficiali 

inglesi fuggiti dai campi di concentramento e rifugiatisi a Castelletto nel comune di 

Giuncugnano-Magliano, che avevano una radio con la quale ottennero dagli americani 

i primi lanci di armi. La sua storia è legata, più che alle bande garfagnine, alla banda 

della contigua Lunigiana comandata da un certo Marini, detto Diavolo Nero.

Essa, infatti, finì per operare come distaccamento di questa banda e si chiamò 

“Distaccamento Franchi” dal nome di un suo uomo fucilato dalla G.N.R.  Contava 

circa 40 uomini                                                                              

 

  4) – La banda di Minucciano e Gorfigliano. Si costituì ai primi di Luglio 1944, anche 

per difendersi dalle continue scorribande dei partigiani versiliesi e massesi che 

venivano a procurarsi cibo. Fu comandata dal maestro Benedetto Filippetti detto 

Tenente Lupo, che era stato segretario di Fascio fino al  25 luglio 1943. Essa è sempre 

stata computata fra le bande garfagnine, ma operò in stretto contatto con la banda 

lunigianese di Marini. Contava da 40 a 60 uomini.                                                                                                 

 

  5) – Il gruppo “Valanga”. Costituitosi “sulla carta” fin dai primi mesi del 1944, salì in 

montagna in aprile o maggio. In giugno contava una trentina di uomini, che salirono 

poi a una sessantina con l’arrivo di una trentina di emiliani fuggiti dalla cosiddetta 

“Repubblica di Montefiorino” distrutta dai tedeschi a fine luglio. Anche questo gruppo 

ricorse al saccheggio dei magazzini Todt per approvvigionarsi e armarsi. Beneficiò, 

poi dei lanci americani di armi, esplosivi, viveri e denaro. A fine agosto subì una pesante 

sconfitta. Assediato sul Monte Rovaio dai tedeschi ebbe 19 morti fra cui il capo Leandro 

Puccetti e fu disperso. Si riprese a fatica e a fine settembre passò il fronte e si sciolse. 

Alcuni elementi continuarono a combattere nella “Compagnia C” aggregata alle truppe 

americane della Divisione “Buffalo”.                       

6) – La Divisione Garibaldi Lunense.   L’otto di agosto a Regnano, sede della banda 

Marini, ci fu una riunione dei rappresentati di tutte le bande garfagnine e lunigianesi 

per tentare di dare una struttura unitaria a tutto il movimento partigiano retrostante 

la linea “Gotica” occidentale. Malgrado un pesante rastrellamento che interruppe la 

riunione, la nuova struttura fu varata. Essa comprendeva tutte le bande garfagnine 

e lunigianesi e, in seguito, ebbe l’adesione anche della Brigata Muccini, che contava 

700 uomini e dei “Patrioti Apuani” capeggiati da un ex frate di nome Pietro Del Giudice, 

che contava ben 1100 uomini.

 La nuova unità costituita ebbe la seguente struttura: Si articolò in quattro brigate:

 la I° fu la Brigata “Garfagnana” comandata dal Coli, forte di circa 350 uomini, sede 

Foce di Careggine; la II°  ebbe il comando a Campocecina, sul crinale delle Apuane 

fra la montagna carrarese e la lunigiana. La comandò lo spezzino Contri ed ebbe 

500 uomini  ; la III° fu la Brigata “La Spezia”, fu comandata da Marini ed ebbe sede 

a Regnano in Lunigiana. Contava 350 uomini ; la IV fu , fu comandata da Bertolini ed 

ebbe sede a Comano nel comune di Fivizzano. Contava  300 uomini. C’era, inoltre, 

una compagnia comando alle dirette dipendenze di Oldham, che aveva posto la sede 

del comando di divisione sul Monte Tondo. Con la Brigata Muccini e i Patrioti Apuani, 

quindi, la divisione contava circa 3400 uomini.  Ciascuna brigata, poi, era articolata 

in battaglioni. La brigata Garfagnana ne contava quattro, di circa 80 – 90 uomini 

ciascuno.

Il 1° operava nel la parte Nord della valle ed era comandato da Filippetti. Esso avrebbe 

dovuto comprendere anche la banda di Borsigliana che, però, non accettò mai di buon 

grado la subordinazione. Gli altri tre erano ubicati nella zona di Careggine e operavano 

nella parte sud. Erano comandati: il 2° dal Ten. Bruno Zerbini, il 3° dal Ten. Giovan 

Battista Bertagni, il 4° da un certo Sabatini che pare fosse un sottufficiale.

 Malgrado il tentativo di darsi una organizzazione rigida di tipo militare, però, accadde 

che ogni banda mantenne una larghissima autonomia, per la necessità oggettiva di 

dare risposte immediate a situazioni di emergenza, cosa che escludeva la possibilità 

di poter attendere ordini dall’alto. Tuttavia il comando di Oldham fu riconosciuto da 

tutti (Solo il “Valanga” non intese mai di appartenere alla divisione e mantenne la sua 

autonomia) e le condanne a morte dei fascisti (ne furono inflitte quasi cento) furono 

scrupolosamente eseguite dalle varie bande.  La divisione fu sciolta da Oldham 

il 28 novembre, dopo il fallito attacco alle spalle delle truppe della R.S.I. che 

combattevano al fronte.                   

  

Anno 1945

Con lo scioglimento della “Lunense” si ebbe una lunga pausa invernale e buona parte dei 

partigiani garfagnini passò il fronte e si rifugiò dagli alleati anglo-americani. Qualcuno, 

addirittura, si presentò alle truppe della R.S.I. profittando del perdono concesso ai renitenti 

che si presentavano e fu arruolato nell’esercito della R.S.I. Alcuni, però, non lo fecero e 

rimasero nascosti per qualche tempo, dopo di che tornarono ad operare. I gruppi che 

operarono nel 1945 furono:

1) – La banda di Borsigliana. Essa, dopo l’uccisione del Ten. Marco avvenuta in 

settembre, fu sciolta dal comandante di battaglione Ten. Lupo. Ma, dopo breve tempo, 

si ricostituì e si chiamò “Gruppo Arditi Marco”. La comandava un certo Aldo Pedri 

detto “Baffo”, che fu catturato e fucilato il 14 aprile, sei giorni prima della ritirata delle 

truppe R.S.I. Il gruppo, comunque, operò fino all’ultimo, catturando e uccidendo militari 

isolati.          

 

  2) – Il “Distaccamento Dini” Si costituì dopo la pausa invernale nella sona di Pontardeto 

(Comune di Pieve Fosciana) ed ebbe uomini che già avevano appartenuto alla banda 

di Careggine, specialmente del 3° battaglione di Bertagni. La sua principale attività 

consistè nel convincere militari della R.S.I. a disertare e nell’accompagnarli oltre il fronte, 

consegnandoli prigionieri nelle mani degli americani.

3) – La banda di Minucciano-Gorfigliano. Il Ten. Lupo, che a novembre aveva passato 

il fronte insieme a quasi tutti gli uomini della sua banda, nella tarda primavera (ultimi 

giorni di guerra) rientrò in Garfagnana e cercò di ricostituire almeno in parte la banda. 

Ma fu catturato, si salvò avventurosamente e non fece a tempo a compiere azioni 

significative.

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      2) La battaglia del Monte Rovaio

  Il 27 agosto una pattuglia tedesca, risalendo da Col di Favilla era giunta all'Alpe di 

S.Antonio ove erano accampati i partigiani del Gruppo Valanga. Una sentinella partigiana 

che stava a Colle a Panestra, tale Gualtiero Montanari detto Tarzan, vide o udì la pattuglia 

e intimò l'alt. Poi sparò e uccise un ufficiale tedesco, il Fw Rolf Bachmann (1). La pattuglia 

si ritirò. Erano le 23,30.

 A quel punto era chiaro che la cosa non sarebbe rimasta senza conseguenze e ci sarebbe stata 

reazione da parte dei tedeschi. Si è discusso molto su ciò che può essere accaduto in quelle ore.

 E’ evidente che i partigiani si saranno posti il problema di cosa fare.

 Pare, fra l'altro, che fossero assenti sia in comandante Leandro Puccetti che il vice De Maria.  

 Avrebbero potuto abbandonare la zona e rifugiarsi in altro luogo.

 Oppure rimanere e attendere gli eventi. Ed è ciò che fecero. Ma come maturò questa decisione ? 

Qualcuno ha ipotizzato che l'imperizia militare abbia fatto ritenere di poter sostenere l'assalto 

dei tedeschi. Ma i 36 emiliani fuggiti da Montefiorino una certa esperienza dovevano averla. 

Altri, anche su testimonianza di alcuni sopravvissuti, sostengono che la decisione di rimanere 

fu presa consapevolmente per non lasciare nelle peste la popolazione civile su cui i tedeschi, 

non trovando i partigiani, avrebbero potuto sfogare la loro rabbia. Probabilmente c'è del vero in 

ciascuna della due ipotesi. La figura del comandante Puccetti, giovane idealista, e la 

testimonianza dei superstiti depone a favore della seconda ipotesi. Valiensi sostiene questa 

verità con molto calore, sostenendo che il Gruppo Valanga si adoperò sempre per evitare danni 

alle popolazioni.  Ma il fatto che il gruppo si fosse attestato sul monte Rovaio, facilmente 

circondabile e, quindi, praticamente senza possibilità di sganciamento, sembra avvalorare anche 

la prima ipotesi e che essi ritenessero di poter resistere all'attacco tedesco. Forse il recente 

lancio di armi e munizioni li fece sentire più forti di quanto non fossero. Avrebbero, forse, 

potuto accettare il combattimento e, quindi, scagionare la popolazione, stando in posizione più 

favorevole e garantendosi delle sicure vie di fuga ?

 Non è facile dirlo e, comunque, si tratta, forse, ormai, di congetture oziose.

  Il giorno 28 trascorse tranquillo e Puccetti, rientrato verso le 16, approvò la decisione presa 

di rimanere sul posto per evitare guai ai civili. Dopo il ritorno all'Alpe, in località Trescala 

(ritorno avvenuto dopo i fatti di Pania del 13 luglio) Puccetti aveva fatto costruire quattro 

postazioni per mitragliatrici sul Monte Rovaio, che è un massiccio isolato a sud della valle della

 Turrite e a nord del Monte Piglionico. La postazione "A" era al centro della cresta del monte, 

la "B" (del Bovaio) all'estremità ovest, la "C" era al di sotto della "A", nel versante sud 

(verso il Piglionico) e la "D", quella "del Gesù", all'estremità est, sopra Colle a Panestra.

 Fu nelle prime ore del 29 , esattamente alle 3,20, che si scatenò l'attacco tedesco (secondo 

alcuni erano presenti anche truppe della R.S.I. ma la notizia non è documentata. Valiensi, 

comunque, afferma di aver visto truppe italiane in divisa grigioverde, probabilmente militi della 

G.N.R., che attaccarono in una zona scoperta e che furono costrette a ritirarsi). L'attacco 

avvenne sia da nord (i tedeschi risalirono dalla valle della Turrite Secca sottostante) che da 

sud (dalle pendici del monte Piglionico ove erano giunti anche provenendo da Col di Favilla).

 Una parte degli uomini del Valanga (forse una cinquantina) si era arroccata sulle quattro 

postazioni, armati la A e la D con Bren e Breda e dieci bombe a mano, la B e la C con la Breda e 

10 bombe a mano. Bren e Breda avevano 1000 colpi ciascuno e ogni uomo aveva lo Sten. Pare che 

alcuni uomini del gruppo, definiti poi "volponi", non salissero sul Rovaio. Essi trovarono modo 

di allontanarsi e di sottrarsi al combattimento.

 I primi proiettili di una mitragliera da 20 mm giunsero dalla parte di Col di Favilla, in un 

paesaggio spettrale illuminato dai "bengala". Poi entrarono in funzione altre due mitragliere 

dalla parte opposta. Infine, all'alba, cominciò anche il fuoco di almeno un mortaio. Trescala e 

la postazione B resistettero poco più di mezz'ora poi gli uomini salirono sulla cresta del monte.

 La situazione della postazione C, più bassa, si fece presto critica e anche gli uomini di questa 

postazione si ritirarono sulla vetta del monte. Qui, disposti a piccoli gruppi, facendo fuoco con 

i fucili mitragliatori Bren, con le mitragliatrici Breda da 6,5 mm e lanciando bombe a mano, i 

partigiani si difesero strenuamente per alcune ore. Ma il monte era bersagliato con mortai (pare 

non si trattasse di veri e propri mortai bensì di piccoli lanciabombe) e i tedeschi, sia pur 

lentamente, continuavano a salire e a stringere il cerchio. Gli uomini continuavano a cadere ad 

uno ad uno e, a un certo punto, i tedeschi raggiunsero la cresta dopo aver distrutto la 

postazione D. Allora fu chiaro che non era più possibile resistere.

 Erano circa le ore 10 quando Puccetti lanciò il "si salvi chi può" e i pochi superstiti 

cercarono si attraversare l'accerchiamento tedesco buttandosi in un canalone scosceso sul lato 

nord e nascondendosi fra i cespugli. Molti morirono durante la fuga (mentre si gettavano nel 

canalone erano sotto il fuoco delle mitragliere), uno, Sassi Renzo, pare si sia ucciso, un altro, 

Olivieri Rubino, fu catturato e, pare, fucilato, ma di lui non si seppe più nulla. Tuttavia  

qualcuno si salvò. Il Puccetti fu fra questi, ma aveva una grossa ferita all'addome. Un partigiano

che si era salvato con lui raggiunse un paese vicino e chiese aiuto. Alcuni uomini (o forse 

alcune donne) andarono, raccolsero il Puccetti (ma era rimasto 36 ore nascosto in una grotta) e 

lo portarono in una località presso Sassi detta "Taso", poi, sotto falso nome (Pietro Marinari) e 

falsa diagnosi (peritonite generalizzata da probabile perforazione appendicolare), lo portarono 

all'Ospedale di Castelnuovo. Ma non fu possibile salvarlo e il 3 settembre morì.

  Il bilancio fu terribile. I morti partigiani furono 18 più il Puccetti, circa un terzo del 

gruppo (2). Dei 19 caduti 9 appartenevano al gruppo degli emiliani, 3 erano meridionali e   

7 lucchesi. Tutti si erano battuti con molto coraggio. E molti furono i feriti.

  Non sono note le perdite tedesche ma pare che qualcuno abbia visto diversi caduti portati a 

valle dai commilitoni mentre alcuni abitanti della zona assicurano che non ebbero perdite. La 

verità, probabilmente, sta nel mezzo.

  Fu questo l'episodio più sanguinoso e il combattimento più impegnativo sostenuto dai partigiani 

in Garfagnana. E il gruppo "Valanga" visse un momento di grande sbandamento. A fatica il già 

vice-comandante del gruppo, Mario De Maria, riuscì a riunire a Vergemoli alcuni superstiti. 

Comunque il gruppo continuò ad esistere e ad operare.

NOTE

1) Ci sono incertezze su questo nome. Il Guidi, infatti, (op.cit.pag 122) riporta il nome 

Bachmann basandosi sul fatto che nel Comune di Molazzana risulta la morte di questo tedesco 

in località Alpe di S.Antonio e in data 27.8.44. Valiensi, però, assicura di aver letto sul 

piastrino e sui documenti del tedesco morto il nome Hotzmann.

        

(2) Ecco il nome dei caduti: Puccetti Leandro di Gallicano (LU), Bruni Ettore di Castelfranco 

Emilia, Sassi Renzo di Modena, Bergamini Edoardo di Bomporto (MO), Bertoni Mario di Molazzana (LU),

Borro Giovanni di Barrafranca (Enna), Borsi Remo di Malalbergo (BO), Bucci Sergio di Roma, 

Cipriani Pasquale di Vergemoli (LU), Davini Mario di S.Maria del Giudice (LU), Francesco detto 

il Napoletano di Albanova (Caserta), Lorenzoni Renato di Anzola d'Emilia (BO), Olivieri Rubino 

di Zocca (MO), Pierantoni Walter da Bologna, Pieroni Lauro di Molazzana (LU), Puccetti Gabriele 

di Gallicano (LU), Rusticelli Aldo di S.Giovanni in Persiceto (BO), Tognoli Ferruccio di 

Malalbergo (BO), Venturelli Mario di Molazzana (LU).

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     3) L’uccisione del Ten. Marco : una brutta storia.

 Ai primi di settembre alcuni tedeschi acquartierati in località Gambarotta contattarono i 

partigiani tramite la maestra Satti che faceva scuola nella vicina Borsigliana e manifestarono 

l'intenzione di disertare e di unirsi ai partigiani stessi. Fu fissato un appuntamento in 

località Bozzone, ove i tedeschi si sarebbero consegnati ai partigiani. Ma era una trappola. 

Giunti all'appuntamento i tedeschi catturarono i partigiani che erano intervenuti, fra cui un 

certo Pio Pedri. Pare che, a questo punto, i tedeschi abbiano preso contatto con i parenti del 

Pedri promettendo la liberazione dei partigiani arrestati in cambio dell'uccisione del Tenente 

Marco (nome di battaglia), che era un giovane ufficiale di 22 anni nato a Padova e residente a 

Mestre di nome Giorgio Ferro e che era a capo della formazione.(1) Evidentemente l'accordo fu 

fatto e il 17 settembre Vittorio Pedri e Piero Landucci uccisero a colpi di pistola, all'Alpe 

di Borsigliana, il povero Ferro e un suo amico di nome Carlo Ceccato. I tedeschi, informati, 

dovettero essere accompagnati a  vedere il corpo degli uccisi e tutto questo traffico fece 

svanire la possibilità di attribuire ai tedeschi stessi la morte dei due, come era nelle 

intenzioni.

 Così stando le cose i due omicidi fuggirono a nord con i tedeschi.

 Il Ten. Lupo (Benedetto Filippetti), in qualità di comandante del 1ª Battaglione 

ordinò ad Aldo Pedri, fratello di Vittorio, di consegnare i due, ma la cosa non fu 

possibile per quanto detto sopra. 

Allora la banda di Borsigliana fu formalmente sciolta. In realtà i partigiani che 

la componevano rimasero "alla macchia" e, dopo poco tempo, la banda fu ricostituita 

col nome di Gruppo Arditi "Marco" e ne assunse il comando Aldo Pedri (Baffo) insieme

ad uno studente di Metello, Franco Mondini.

 I tedeschi, intanto, avevano liberato i partigiani catturati ad eccezione di Pio Pedri e 

Giuseppe Landucci, che erano stati catturati armati. Tuttavia i due non verranno uccisi, come 

era destino di coloro che venivano catturati armati. Il Landucci riuscirà a fuggire mentre il 

Pedri verrà condotto in Germania da dove ritornerà a guerra finita.

 Vittorio Pedri (l'istigatore) e Piero Landucci (l'esecutore materiale) verranno processati nel 

1946 per doppio omicidio e condannati a 26 anni di reclusione dal Tribunale di Lucca. Ne 

sconteranno nove, poi saranno amnistiati. Questo episodio fece molta impressione e gettò molto 

discredito sulla banda di Borsigliana e sul movimento partigiano in genere.

NOTE:

(1) Non è chiaro se Giorgio Ferro sia giunto a capeggiare la banda di Borsigliana perché 

inviato appositamente da qualcuno, oppure se sia giunto sulle orme dell’amico Ceccato che 

era impiegato della Soc.Montecatini a Gramolazzo e che, dopo aver appartenuto a un gruppuscolo 

costituitosi a Gorfigliano, passò nella banda di Borsigliana prima che vi giungesse il Ferro. 

Sembra, però, che i partigiani di Borsigliana questo Ferro non lo abbiano mai accettato di buon 

grado.

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