POSTFAZIONE
Proprio trent'anni fa, conseguito il diploma professionale per autoriparatore,
mi avviai “forzatamente” verso la secolare emigrazione a Torino dove, altri miei
familiari e altri “furesi” e manovali come me, avevano fatto: chi in Svizzera,
chi in Germania e chi in Belgio, perché li “patruni”, li “don” e i governanti
avevano deciso così, per meglio poter sfruttare e mercificare per i propri
interessi, il nostro essere forza-lavoro.
E' questa la logica della debolezza, della rassegnazione, che ci vengono imposte
dalla nascita dal sistema sociale guerrafondaio e sanguisuga dei padroni, dei
“don” assieme alle loro istituzioni che ci fanno “fuggire” con rabbia dai nostri
affetti più cari, per poi pensarli o ricercarli in terre lontane e ingenuamente
con un po' di gioia nell' illusione che possiamo cambiare la nostra miserevole
condizione.
Arrivato a Torino provai subito la solitudine e la disumanità esistente e,
facendomi forza come per anni avevo fatto, l' affrontai con tutta la volontà e
impegno per realizzare quel “miraggio di benessere” che mi avevano fatto capire
di trovare. Iniziai a praticare diversi lavori, ma dopo qualche anno incontrai
giovani come me che lottavano contro le condizioni di vita miserevoli e
disumane. Questi giovani erano dei comunisti extraparlamentari, che in prima
fila e affianco a noi emigranti e oppressi dedicavano la loro vita al
capovolgimento di questo sistema borghese, basato sullo sfruttamento dell' uomo
sull' uomo.
Erano quelli anni di riscatto e di avanzamento della forza proletaria e
comunista sia in Italia sia in tante altre parti del mondo, mentre i padroni e i
loro governanti lanciavano con sempre più repressione, stragi e guerre di
stermino.
Ammiro subito i compagni e le compagne in prima fila contro questo sistema di
non vita e subito mi sento stimolato ad approfondire e capire meglio questa loro
militanza, partecipando a tutte le iniziative di dibattito e di lotta che
venivano portate avanti (dalle assemblee ai picchettaggi, dagli scontri con i
fascisti a quelli contro la sbirraglia).
Tutto questo dà un senso vitale alla mia esistenza e al cammino intrapreso, dove
si fa sempre più luminoso con la sua luce liberatrice che rompe le catene della
“logica della debolezza e della rassegnazione”, per farmi vivere da uomo nuovo,
forte e consapevole della propria creatività umana e rivoluzionaria, giusto per
combattere il sistema sociale presente, basato appunto sullo sfruttamento, sulla
repressione e sulle stragi.
Con il passar degli anni le forze
proletarie e comuniste rivoluzionarie crescono sempre più, mentre la borghesia
con l' alleanza delle forze riformiste e sindacali risponde con leggi speciali,
come quella sul pentimento, con licenziamenti di migliaia di operai e
avanguardie di lotta. Assieme ad altri compagni, contribuisco a scrivere un
libro sulla storia della lotta alla Singer di Leinì dal titolo “Immagini da una
crisi”, perché sono convinto che non dobbiamo delegare ad altri di scrivere le
nostre storie di lotta. Il libro viene pubblicato nel gennaio 1980. Per tre,
quattro anni come operai siamo stati mobilitati contro la chiusura della
fabbrica e il licenziamento di duemilacinquecento dipendenti, che la
Multinazionale americana ha voluto licenziare.
Proprio nel 1980 anche con la legge sui pentiti, parte la campagna di
repressione con arresti in massa e stragi su treni e aerei, licenziamenti di
ventimila operai alla Fiat e il movimento rivoluzionario viene quasi annientato
con arresti di centinaia di compagni e compagne a causa del tradimento di alcuni
collaboratori. In questo attacco vengo anch' io arrestato il 28 aprile 1980 e
messo in isolamento per dodici giorni nella caserma dei carabinieri di Torino.
Successivamente, vengo trasferito nel carcere di massima sicurezza di Cuneo per
una chiamata di correo su un rapporto di sei anni prima.
In prigione, dopo l' incontro con altri compagni e con la convinzione di un
“cammino luminoso” intrapreso, continuo anche qui la lotta per un presente
futurante di Comunismo.
Il mio arresto provocherà dispiacere tra i miei familiari per la “rottura” umana
e per aver “macchiato l' onore” imposto e condizionato dalla logica della
debolezza e della rassegnazione dei tanti “lor signori”, e rabbia tra i compagni
di lotta e di lavoro per quest' ennesimo attacco alla classe operaia.
Questo mio arresto blocca una scadenza di matrimonio con la mia fidanzata che,
dopo un po' di anni, “sfumerà” del tutto.
I giornalisti di diverse testate locali e nazionali scrivono i loro articoli,
aprendo delle vere e proprie inchieste, così fanno la sera stessa andando a casa
dei miei genitori, che come dicono gli stessi articoli, se ne devono andare sia
per il dolore dei miei familiari, sia per la tanta gente presente arrivata
spontaneamente per conoscere qualcosa di più sul mio arresto.
Anche questi signori giornalisti, come esecutori di ordini dei loro padroni
della stampa di sistema, non vanno oltre la semplice cronaca corrispondente alla
difesa dei loro interessi, e senza un accenno al vero motivo dell' arresto, come
si può capire leggendo uno dei tanti articoli della prigionia sia contro i
traditori che la direzione carceraria cerca di infiltrare.
Inizia il processo alla colonna torinese delle Brigate Rosse, di cui faccio
parte. Già dal momento dell' arresto si capisce che è tutta una farsa, perché
con la collaborazione dei traditori la condanna è già stata scritta.
Le mobilitazioni sia dentro al carcere che fuori da parte di compagni e
familiari continuano contro la repressione portata avanti nei nostri e nei loro
confronti solo perché vengono a presenziare al processo.
In questi momenti rivedo Alfonsina, la proletaria conosciuta in discoteca prima
di essere arrestato. Alfonsina mi ha seguito dal primo giorno dell' arresto.
Mi difendo con un mio comunicato, visto che gli avvocati non hanno più voce in
capitolo dal momento che quello che conta per i giudici è bloccare sia le
Brigate Rosse sia qualsiasi idea che possa rivoluzionare il loro sistema
guerrafondaio.
Vengo condannato a cinque anni con l' accusa di “partecipazione a banda armata
BR con funzioni organizzative”.
Mi riportano nel carcere speciale di Cuneo dove, dopo un po', iniziano i
trasferimenti nei vari carceri speciali: sia per restarci sia per vari processi,
da quelli per l' uccisione di due traditori a quello per “insurrezione armata
contro i poteri dello Stato”.
Intanto continuano gli arresti dei compagni e delle compagne, e le BR come tante
altre formazioni vengono fermate dal nemico.
Il proletariato con licenziamenti e repressione subisce delle sconfitte, come
nel resto del mondo.
Nei diversi processi affrontati, dalla prima condanna di cinque anni accumulo
cinquant'anni. Inizio a scrivere assieme ad altri compagni diversi comunicati
stampa ed anche delle poesie, alcune delle quali vengono pubblicate sulle
riviste dei Comitati Contro la Repressione di Milano.
Nel 1985, nel carcere speciale di Novara, subisco un duro colpo in tutti i
sensi, alla notizia della morte di Alfonsina, la compagna che mi ha sempre
seguito dal primo giorno di prigionia, affrontando e superando duri e non facili
ostacoli per starmi e stare vicina a tutti quanti noi prigionieri.
Scriverò in seguito della nostra storia proprio per non dimenticare compagne
come Alfonsina che hanno dato la vita per il Comunismo.
Dal luglio 1995 sono in semilibertà, prima presso la Casa Mandamentale di Maglie
poi in quella di Ugento (Lecce) e logicamente per essere in queste condizioni mi
sono dovuto “confrontare” con le leggi dello Stato, quando prima le combattevo.
Però pure che mi “confronto”, non vuol dire che le accetto visto le ingiustizie
ancora presenti. Per me vuol dire solo prendere atto delle forze esistenti nella
lotta di classe.
Ho ritenuto e ritengo giusto continuare il mio impegno per un futuro migliore e
comunista anche sul fronte letterario, per non lasciare abbastanza manovra alla
borghesia e ai suoi servi, di parlare e scrivere di storia e di cultura
proletaria solo finalizzata al mantenimento di rapporti sociali presenti, basati
sullo sfruttamento dell' uomo sull' uomo.
L' autore
Mario Fracasso
Mario Fracasso