I Procopio
 

 

   Filippo Francescantonio Gaetano Procopio, falegname, sindaco dal 1857 al 1859,  nacque a Caccuri il 23 ottobre del 1826 da don Giovanni Procopio e da donna Angela De Miglio. Nel 1862, esaurito il mandato di sindaco,  fu consigliere nell’amministrazione di cui era sindaco Luigi De Franco, carica che ricoprì anche dal 1875 in poi nell’amministrazione guidata dal barone Guglielmo Barracco. Il padre, don Giovanni era il capo della Guardia urbana di Caccuri quando nel 1847, a Laconi, sgominò la banda Intrieri della quale aveva fatto parte, fino a pochi giorni prima anche Salvatore Secreto detto Titta, il più feroce brigante caccurese ucciso in un conflitto a fuoco con alcuni foresi in territorio di Santa Severina. Successivamente fu costretto alle dimissioni con l’accusa di avere protetto un suo parente latitante.  Don Giovanni era stato anch’egli sindaco di Caccuri dal 1829 al 1832 quando gli succedete Gennaro Faccioli, un altro personaggio molto chiacchierato e accusato, fra l’altro, di peculato in diversi esposti anonimi inviati all’allora Intendente di Catanzaro.

      
   Filippo, nel 1837  donò al paese la statua di Santa Filomena, probabilmente per ringraziare la santa  per aver allontanato da Caccuri l’epidemia di colera che l’anno precedente aveva mietuto molte vittime nella vicina Cerenzia. La notizia era contenuta in una targhetta all’interno di una bacheca che ospitava la statua quando era ancora collocata nella chiesa parrocchiale.

Sia i Procopio che i De Miglio erano due delle più antiche famiglie caccuresi oggi scomparse; i Procopio nei primi decenni del XX secolo, i De Miglio verso la fine dello del XIX.  Un antenato di donna Angela, il mag. Filippo De Miglio, nel 1724 subì un processo perché si rifiutava di fare sbarrare[1] le mense di Gabella, fra l’altro di proprietà dell’Abazia di Calabro Maria di Altilia fino alla fiera di San Marco, impedendo alla povera gente di sfamarsi. [2] I De Miglio erano probabilmente originari di Crotone. Diversi De Miglio sono infatti citati in un documento sulle parrocchie crotonesi soppresse tra il Cinquecento e il Seicento. [3]

 



[1] Lo “sbarro” era un’antica consuetudine in uso fino agli anni 50-60 del XX° secolo e consisteva nel consentire, a chiunque, l’accesso in una proprietà, dopo il raccolto, per  raccattare eventuali residui dei prodotti agricoli sfuggiti al proprietario, praticamente un dare le briciole alla povera gente per consentirle di sbarcare il lunario.

[2] Un’antica fiera che si concludeva il 26 aprile, il giorno dopo la festa di San Marco (25 aprile)

[3] A. Pesavento, Le parrocchie di Crotone tra il Cinquecento e il Seicento, La Provincia KR