La nascita del rione Croci
di
Giuseppe Marino
 

 
Una cartolina del fotografo caccurese Vincenzo Fazio

Fino al 1920 l’abitato di Caccuri era costituito dal solo centro storico (la zona compresa tra Porta Nuova, Destra, Murorotto, Iudeca, Pizzetto, Porta Grande (poi piazza), da poche case nella frazione di Santa Rania, oltre alle case sparse di Conserva e Pantane. I rioni Croci e Parte sorsero solo dopo la Grande guerra, al rientro dei combattenti reduci e grazie alla loro  tenacia e determinazione.
   Nei primi anni del XX secolo i circa 2400 abitanti della nostra cittadina vivevano stipati nelle poche abitazioni a disposizione, molte delle quali erano dei veri e propri tuguri.
Da tempo il problema della casa era un problema molto sentito tanto che già nel 1907 il Comune trattava con la baronessa Barracco l’acquisto della contrada Petraro per lottizzarla e ricavarne suoli edificatori. La trattativa  però non andò in porto. In previsione di un futuro, improcrastinabile sviluppo edilizio, l’Amministrazione comunale, con una delibera del 21 maggio 1908
(1) , approvò un nuovo regolamento edilizio conforme alle disposizioni del Regio Decreto 511 del settembre 1906 e, qualche tempo dopo, adottò il Piano regolatore redatto dal geometra Raffaele Ambrosio. (2) Questo importante strumento urbanistico prevedeva un centro abitato assai più ordinato di quello che poi sarebbe diventato il rione Croci, con strade principali della larghezza di 8 metri e traverse ortogonali della larghezza di 6 metri, nonché una piazza compresa tra via Sabotino, via Vittorio Veneto e via Principessa di Piemonte. Purtroppo anche questo piano regolatore, come gli strumenti successivi dei quali il Comune tentò inutilmente più volte di dotarsi, divenne carta straccia e come fu poi edificato il nuovo rione è drammaticamente sotto gli occhi di tutti.


             
Il cav. Raffaele Ambrosio

     Nei primi due decenni del secolo, comunque, il problema più urgente da risolvere per dare ai caccuresi alloggi decenti era quello del reperimento dei suoli.
     Nel mese di novembre del 1918, con la grande battaglia di Vittorio Veneto e il dilagare dell’esercito italiano nel Veneto, ebbe finalmente termine la Grande guerra, la più spaventosa carneficina che l’umanità avesse mai prodotto nel corso della sua storia. Con la fine del conflitto l’Italia, soprattutto quella meridionale,   fu chiamata a fare i conti con le spaventose condizioni dei reduci combattenti e delle loro famiglie impoverite e, a volte smembrate dalla guerra. Fu chiaro allora che niente sarebbe stato più come prima e che tutto doveva cambiare.

     Tra i tanti problemi che affliggevano gli ex combattenti v’era, indubbiamente, anche quello della casa,  la necessità, cioè, dopo tante sofferenze e tanti sacrifici  di abbandonare i tuguri malsani nei quali avevano abitato fino allo scoppio della guerra per andare ad abitare in case nuove e più salubri in grado di ospitare adeguatamente la famiglia che ogni giovane reduce aveva fretta di costruirsi. I reduci, ai quali erano state promesse le terre e condizioni di vita più decenti, quando la guerra sarebbe finita, incominciarono, perciò,  a organizzarsi nelle associazioni che facevano capo all’Opera Nazionale Combattenti. Fu così che il 21 aprile del 1919, in un locale di proprietà di donna Luisa Lucente, i reduci combattenti diedero vita ala locale Sezione dei Combattenti. Ecco come Giuseppe Gigliotti, primo segretario e poi presidente della Sezione ne racconta la nascita.

Dopo essermi consultato con Enrico Pasculli e Pietro De Mare convocammo la prima assemblea dei reduci e degli invalidi. Ci riunimmo il lunedì di Pasqua del 1919 al Convento. Eravamo in 75 e di là, regolarmente indrappellati, ci dirigemmo alla sala che zia Donna Luisa Lucente ci aveva concesso come nostra sede. Eravamo appena giunti in sala quando due carabinieri si presentarono e chiesero che io, assieme a Pietro De Mare e Enrico Pasculli mi recassi immediatamente in caserma dei Carabinieri dal maresciallo. Feci presente come le nostre intenzioni fossero del tutto pacifiche e come avessimo per scopo di risolvere le tristi condizioni dei reduci. Il maresciallo che ci aveva rimproverato di avere organizzato la dimostrazione senza permesso, comprese lo spirito che ci animava e ci diede un permesso provvisorio per continuare alla presenza dei carabinieri la nostra adunanza.(3)


  La Sezione dei combattenti di Caccuri, alla quale diede un aiuto consistente e qualificato anche l’arciprete don Peppino (Giuseppe Sabatino Pitaro),  non solo si batté, come abbiamo avuto modo di scrivere e documentare nel volume Caccuri nella Storia, per strappare le terre agli agrari e darle ai reduci, ma si diede da fare anche per risolvere il problema dei suoli.  A  questo proposito il presidente Gigliotti rivolse una supplica alla baronessa donna Giulia Barracco illustrandole le tristi condizioni dei reduci combattenti stipati in miserabili e malsani bassi e seppe evidentemente essere così convincente che la nobildonna donò al Comune, perché lo lottizzasse in favore dei combattenti,  il fondo Annunziata (il terreno compreso tra l’attuale villa San Marco, il Cucinaro e via XIX Maggio. Il Genio civile di Catanzaro, però, dichiarò il terreno inadatto alla costruzione di case per cui la baronessa ordinò al suo fattore signor Marsico di estendere la donazione fino ai confini della proprietà di don Antonio Ambrosio (Campo), ovvero a tutto il terreno sul quale sarebbe sorto poi il rione Croci. Il terreno fu concesso al Comune a condizione che lo lottizzasse e cedesse  i vari  lotti ai combattenti previo pagamento della somma forfettaria di 100 lire da parte per ogni lotto. Come molte cose in questo benedetto paese, anche quest’operazione fu condotta alla carlona. Il Comune, infatti, non definì la superficie dei singoli lotti, ma permise a ciascun combattente di occupare un pezzo di terreno a sua discrezione. Evidentemente gli amministratori pensavano che ognuno avrebbe occupato correttamente solo un suolo adeguato alle esigenze della propria famiglia, senza approfittare dell’occasione, invece, come sempre, vi furono gli ingenui idealisti che si comportarono correttamente e i furbacchioni e i prepotenti che, avendo pagato le famigerate 100 lire, si sentivano in dovere di occupare tutto ciò che bramavano.
   Una delle prime abitazioni realizzate da una coperativa di muratori, manovali e falegnami creata per l’occasione, fu quella del macellaio Vincenzo Lacaria,  nei pressi del cancello della villa. Ovviamente a beneficiare dei suoli non furono solo i reduci combattenti, ma, come sempre accade, tutti quelli che avevano il bisogno di un’abitazione  o desideravano costruirsene una nuova.  

Molti materiali adoperati per la costruzione del rione furono reperiti in loco. La pietra locale proveniva dalle cave dei Praci, una località a nord ovest del paese alle pendici del monte Gimmella, mentre la calce la si otteneva  dalla pietra calcarea della Serra Grande cotta nelle "carcare" nei dintorni del paese come quella di Canalaci distrutta negli anni 70 dello scorso secolo. Per facilitare l’approvvigionamento della pietra calcarea, Pietro De Mare, reduce e invalido, artigiano poliedrico e meccanico provetto, nonché dirigente della Sezione combattenti di Caccuri, costruì una teleferica che collegava la Serra Grande con il piazzale antistante la pagliera di Barraco (ex chiesa di San Marco, attuale villa San Marco).

  

Nel periodo compreso tra il 1920 e il 1955 il rione si sviluppò dalla contrada Annunziata, fino all’orto del maestro Annibale Cimino, san Liborio (4) , il prato del dott. Vincenzo Ambrosio e il campo del fratello don Antonio, poi, dal 1956 in poi si cominciò a costruire nel rione prato fino al Convento e, dal 1965 in poi anche nell’ex proprietà del maestro Cimino realizzando una continuità tra i vecchi Croci e la zona a valle del convento. Purtroppo, come già detto, i caccuresi fecero carta straccia del piano regolatore del geometra cavalier Raffaele Ambrosio, restringendo le strade, modificando le piante delle case facendole ruotare a proprio piacimento e costruendo perfino al centro della piazza Sabotino che così sparì dallo stradario caccurese vanificando anche il progetto di mastro Peppino Gigliotti e degli altri dirigenti combattenti di erigervi un monumento ai caduti della grande guerra. Purtroppo gli scempi non si fermarono qui, ma continuarono nei decenni. Il resto è storia di tutti i giorni.
                                  
Peppino Marino



1) Consiglio Comunale di Caccuri, Delibera n. 34 del 28 maggio 1908

2) G. Marino , Caccuri nella Storia, dalle origini agli anni 50, Grafica Florens 1994, pag. 35

3)   G. Gigliotti., Le memorie di Giuseppe Gigliotti, Dattiloscritto, Sinigo di Merano 1964

4)   San Liborio era una piccola porzione di terreno sulla quale fu costruita poi la casa del
     dirigente Silletta, del prof. Baldasarre De Marco e del signor Antonio Loria. Nei primi
     anni 
del secolo scorso vi era una sorgente alla quale si approvvigionavano i primi
     abitanti del rione Croci

 

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