Cerenzia: da frazione di Caccuri a comune autonomo 

 
        Caccuri e, sullo sfondo, Cerenzia

   Il fascismo, conquistato il governo Paese e consolidato il proprio potere, avviò una politica di forte incentivazione delle aggregazioni tra i vari comuni italiani, nell’intento di creare nuclei abitati più consistenti e più rappresentativi in linea con l’idea di grandezza che quel regime propagandava.
    Tale processo coinvolse anche il Comune di Cerenzia che, nel 1928, fu aggregato a quello di Caccuri, divenendone frazione. Questa  decisione completava un lungo processo di degrado socio – economico e demografico della cittadina iniziato quattro secoli prima ed innescato da pestilenze, carestie, terremoti e dalla decisione dell’abate Rota, commendatario dell’Abbazia florense di San Giovanni in Fiore, in virtù di un privilegio dell'imperatore Carlo V del 12 aprile del 1530 di concedere gli usi civici nel territorio di San in Fiore a chiunque vi si trasferisse da altri paesi. Questo provvedimento spinse molti abitanti di Cerenzia e della vicina Caccuri, angariati dal malgoverno degli Spinelli che imponevano esosi balzelli ed impedivano l’esercizio degli usi civici, a trasferirsi nel piccolo borgo silano che si trasformò, rapidamente, in una popolosa cittadina. Caccuri, nonostante un forte spopolamento e la scomparsa o quantomeno il ridimensionamento di famiglie storiche ( gli Oliverio, i Belcastro, i Pignanelli, i Girimonte, i De Luca, i Basile, i Barberio, i Leonetti, i Silletta etc., moltii cognomi che ora troviamo radicati nella cittadina silana ) tanto che in pochi decenni la popolazione scese da 2.000 ad 800 abitanti, riuscì, in parte a  riprendersi , mentre per Cerenzia la situazione fu aggravata dall’improvvisa comparsa di una voragine che si aprì nel centro della vecchia cittadina nel sito primitivo a ridosso della valle del Lese.
    Negli anni ’40 del XIX secolo le autorità borboniche decisero di trasferire l’antico abitato nel luogo detto Paparotto, a poco più di un miglio a nord di Caccuri dove, su progetto dell’ingegnere provinciale Primicerio nacque il nuovo borgo. Già negli anni compresi tra il 1844 ed il 1846 ebbe inizio il trasferimento di una parte degli abitanti dall’antica Acheronthia al nuovo centro, ma il processo si completerà  circa vent’anni dopo.

 

La vecchia Cerenzia prima che l'abitato fosse trasferito a Paparotto


    Per tutti questi motivi la nuova Cerenzia, non aveva avuto il tempo di svilupparsi e di tornare agli antichi fasti per cui fu facile, per le autorità fasciste, imporre l’aggregazione a Caccuri, un’aggregazione che fu sempre mal tollerata dagli orgogliosi cerentinesi.
    Il 31 marzo 1946, quando ancora la cittadina faceva parte del  Comune di Caccuri, si tennero le prime libere elezioni amministrative in quella che da lì a due mesi sarebbe diventata la Repubblica Italiana. Sindaco del paese fu eletto il comunista Alfonso Chiodo, alla testa di una lista di centro – sinistra che vedeva la presenza di comunisti, popolari, socialdemocratici saragattiani e indipendenti.  A rappresentare la “frazione” furono delegati il comunista Luigi Foglia, Giovanni Bombino e Battista Morrone. Ma oramai i tempi erano maturi per la disaggregazione ed il ritorno all’autonomia dell’antica cittadina Enotria, cosa che fu sancita da un decreto adottato su proposta dell’on. Roberto Lucifero, deputato del Blocco Nazionale delle Libertà, in data 24 dicembre 1946. A quel punto, perché il processo di riacquisizione  dell’autonomia  fosse completo, mancava solo una dichiarazione del Sindaco di Caccuri che sancisse la capacità di Cerenzia, in base al territorio, alle risorse , alle tradizioni storico – culturali, di reggersi come comune autonomo, cosa che il sindaco Chiodo fece in tempi brevi decretando, di fatto, lo scioglimento del consiglio eletto meno di un anno prima e la convocazione di nuovi comizi per eleggere i due nuovi consigli dei due paesi.
                                                                           Giuseppe Marino