Sulla sedia a dondolo
                                                         di Peppino Marino
  
   A  una certa età  non è facile lavorare, non è facile scrivere, spesso non è facile nemmeno pensare. Lo si può fare solo se ci si limita a pensieri brevi, scritti altrettanto stringati, riflessioni fugaci sugli avvenimenti che ci scorrono davanti, magari, all'ironia  mentre con l'arrivo dei primi freddi ci trasferiamo dalla sdraio "alla sedia a dondolo".

  

 L'immunità per i potenti: un problema vecchio quanto il mondo

   I recenti scandali legati alle grandi opere e le blande sanzioni inflitte da anni a ladri, faccendieri, tangentisti provocano scoramento tra i cittadini e la sensazione che i potenti riescano sempre a farla franca e a evitare condanne pesanti grazie a complicità, amicizie, e leggi ad oc approvate da loro stessi o dai loro amici.  Sembrerebbe un fenomeno nuovo, fino a qualche fa, prima che scoppiasero  altri più devastanti scandali, lo si sarebbe detto da “prima repubblica”  (anche se non ho mai capito qual' era la prima repubblica e quale sarebbe la seconda), invece è un fenomeno vecchio come il cucco, che si ripete nei secoli a tutte le latitudini, sempre uguale e immutabile. A supporto di questa mia tesi posso fornire una testimonianza che riguarda una “raccomandazione” in favore di un potente, da parte di un mio illustrissimo compaesano del XV secolo, il cancelliere di Francesco Sforza, Cicco Simonetta, uno degli uomini politici italiani più potenti di quel secolo.
   Cicco aveva un parente caccurese, Ettore De Gaeta, immischiato nella congiura del principe di Rossano, Marino Marzano, figlio di Covella Ruffo, contro il cognato, Ferdinando I d’Aragona detto Ferrante. Congiurare contro un re, indipendentemente dal giudizio che uno può avere  sul monarca è, ovviamente, un reato perseguibile per legge, cosa che il viceré di Calabria  si apprestava a fare, ma il De Gaeta aveva la fortuna di avere un parente illustre per cui si rivolse a Cicco perché lo aiutasse. E l’intervento pesante contro la magistratura del tempo arrivò puntualmente.  Il Simonetta si rivolse direttamente al re al quale prospettò una sorta di persecuzione del viceré nei confronti del congiunto. Evidentemente sul comportamento del  re di Napoli oltre la stima e l’amicizia nei confronti del potente cancelliere influì anche il desiderio di evitare eventuali complicazioni nei rapporti con Ducato di Milano, fatto sta che, dopo aver concesso al De Gaeta un indulto,  intervenne energicamente nei confronti di suo figlio, vicario generale,
intimandogli di cessare la presunta persecuzione  ““tum  maxime per respecto  del magnifico Cecho secretario dell’Illustrissimo Signor Duca di Milano per respecto del quale volimo che esso Hector è parente del dicto Cecho, siano favoriti et guadative de fare lo contrario per quanto avite nostra gratia cara.” Un’ammonizione inequivocabile, un cartellino giallo suscettibile di trasformarsi improvvisamente in uno rosso. I potenti, gli amici degli amici non si toccano mai, in nessun tempo e in nessuna società.  Le carceri esistono solò perché esistono ancora i cafoni; se finalmente si estinguessero si potrebbero abolire insieme alla magistratura risparmiando una barca di soldi.
   L’intervento a favore del De Gaeta non fu il solo atto del braccio destro di Francesco Sforza teso a favorire i meridionali il che contribuì a fornire pretesti a Ludovico il Moro, antesignano dei leghisti, che lo accusò anche di aver riempito il Ducato di calabresi perché Cicco, come abbiamo già avuto modo di osservare trattando dei suoi rapporti con papa Paolo II si sentiva profondamente caccurese, anche se, come moltissimi nostri compaesani, una volta allontanatosi dal paese natio e dalla Calabria, non ne dovette sentire tanto la ostalgia, se è vero che   Cicco e i suoi parenti hanno renuntiato ad quella patria, né più intendeno havere affare con quella perché la nostra patria è questa dove è la casa sforzesca. “Chine se curca’ cu’ mamma ‘u chiamu papà”, recita un vecchio adagio caccurese e Cicco, probabilmente, non faceva eccezione.

 

 Il brigantaggio politico nel Regno meridionale a partire dal XVI

                 

  Negli ultimi anni gli storici meridionalisti, forse per reazione agli attacchi antimeridionali fomentati da partiti politici del nord o forse a causa di una sempre maggiore presa di coscienza della violenza della conquista e della colonizzazione forzata del Sud a opera dei piemontesi, hanno  concentrato i loro studi e le loro ricerche sul brigantaggio politico anti unitario, trascurando gli altri brigantaggi politici che questa sfortunata terra, da sempre preda di potenze straniere nonostante sia tutt'ora denigrata e descritta come una palla di piombo al piede di altre più fortunate e popolate da gente laboriosa e illuminata, si è dovuta sorbire: il brigantaggio anti spagnolo e quello anti francese.
   L’esponente più famoso, oltre al filosofo
Tommaso Campanella che non possiamo di certo considerare un brigante, della resistenza anti spagnola, fu il valdese calabrese Marco Berardi,  soprannominato Re Marcone, una figura leggendaria di combattente considerato da alcuni un brigante, da altri un patriota che combatté tutta la vita contro il vicereame  di Calabria. Verso la metà del XVI secolo il Berardi riuscì a raccogliere un piccolo esercitò (quasi 5.000 uomini)  col quale scorrazzò a lungo  per  il Crotonese tenendo in scacco l’esercito spagnolo e cercando di dar vita a un regno indipendente con capitale Crotone,  prima di essere sconfitto dalle preponderanti truppe del marchese Fabrizio Pignatelli e di finire ucciso, secondo alcune fonti, nel territorio di Caccuri dove fu ritrovato qualche giorno dopo all’interno di una grotta assieme alla moglie.
  Con la conquista francese del Regno del 1806 riesplose, ancora una volta, il brigantaggio politico in una guerra di resistenza  nella quale si manifestò tutta la ferocia delle parti in guerra. Tra i combattenti anti francesi si distinsero il colonnello
Michele Pezza di Itri, meglio conosciuto come Fra Diavolo, già frate in un convento di San Giovanni in Fiore, poi celeberrimo brigante, Nicola Gualtieri, detto PanedigranoGiacomo Pisano, detto Francatrippa, Paolo Macuso, detto Parafante.  Fra Diavolo divenne così famoso e la sua fama di brigante indomito e inafferrabile, da ispirare l’omonima opera di Eugene Scribe musicata da Daniel Auber.  Di quest’opera esiste anche una celebre parodia di Stan Laurel e Oliver Hardy con la famosa canzoncina “
Quell'uom dal fiero aspetto, guardate sul cammino lo stocco ed il moschetto ha sempre a lui vicin.  Guardate un fiocco rosso ei porta sul cappello e di velluto indosso ricchissimo mantel.” Fra Diavolo dette filo da torcere anche al colonnello Sigismond Hugo, padre del celebre Victor, l’autore de I Miserabili che gli diede a lungo la caccia.
     Ma vediamo un po’ più da vicino un po’ di fatti successivi alla conquista del Regno da parte del generale Massena  così come li ho ricostruiti  in Cronache di poveri briganti.

Con l’arrivo di Massena la battaglia tra francesi e briganti filoborbonici divenne aspra e feroce e le efferatezze, da una parte e dall’altra, non si contarono più. I francesi mutilarono orrendamente numerosi briganti prima di giustiziarli, accanendosi poi ferocemente su quei poveri corpi; altrettanta ferocia mostrarono i briganti quando riuscirono a catturare qualche soldato francese. In una famosa lettera, il filologo Paul Louise Courier, osservava in proposito: “Oggi noi facciamo la guerra, o meglio, la caccia ai briganti, una caccia dove il cacciatore assai spesso finisce in trappola. Noi li appicchiamo, loro ci bruciano con il miglior garbo possibile e ci farebbero anche l’onore di mangiarci. Giochiamo con loro a nascondiglio, ma la sanno più lunga di noi. Li cerchiamo lontano, quando sono a due passi; non li vediamo mai, ma loro ci vedono sempre. Il ciel ti scampi dal farti cadere nelle loro mani” .

Nella nostra zona scoppiarono diverse rivolte antifrancesi a San Giovanni in Fiore, a Savelli, a San Nicola dell’Alto e nella stessa Caccuri. I Caccuresi erano già insorti  nei primi giorni di giugno, qualche settimana dopo l’entrata di Giuseppe Napoleone in Cosenza, ma la rivolta era stata domata quasi subito. A segnalare l’insurrezione che, fra l’altro, coinvolse anche altri paesi della zona, fu l’intendente della Calabria Citra, Vincenzo Palumbo che,  in data 6 giugno 1806 scrisse: “Duecento briganti, miscuglio di vari paesi e diverse province, compongono una massa sotto un tal Giacomo Pisano  (alias Francatrippa) che si asserisce tenente. Spacciano essere comandati da don Nicola Gualtieri (Panedigrano), famoso e antico capo massa ed hanno l’oggetto di proclamare il passato re. A Cotronei, paese della provincia di Catanzaro, avevan inalberata bandiera di rivolta e commessi altri eccessi. Rientrati in questa provincia, nel giorno 3 andante, spedirono messi in Caccuri per indurre quella popolazione nelle loro mire. Il Casino, villaggio di Cerenzia, fu il primo di questa provincia a essere sottoposto e Savelli, piccolissimo paese confinante, ha mostrato bandiera bianca. Tentano gli altri paesi vicini e non lasciano minacciare. Li comuni di Spinello, Caccuri, Casino e Cerenzia vedevano innalzato uno stemma di rivolta per opera di pochi facinorosi cittadini animati dai Pedacesi” .

Uno degli episodi più feroci della lotta contro il brigantaggio fu la repressione operata a San Giovanni in Fiore dal generale Franceschi. Occupata la cittadina il 30 agosto del 1806, la mise a ferro e fuoco e fece uccidere novanta borbonici tra i quali anche un frate e condusse prigioniero a Cosenza  il barone Barberio – Toscano, feudatario di Savelli e odiato dalla popolazione di quel paese –. Poco dopo puntò verso Scigliano, dopo aver affidato al colonnello Lambert il compito di presidiare una San Giovanni in Fiore forse non del tutto domata. Il colonnello francese difese la cittadina silana per molti mesi e nel gennaio dell’anno successivo seppe abilmente sventare una imboscata tesagli da Francatrippa che, dopo avere occupato San Nicola dell’Alto, alla testa di circa 2.000 uomini tentò di impadronirsi di San Giovanni in Fiore per vendicare l’eccidio perpetrato l’anno prima dal generale Franceschi.

Ai primi di novembre accorsero a Savelli, attaccata da una spedizione punitiva francese, il brigante sangiovannese Colonna,  Francatrippa e Parafante . Il 16 gennaio dell’anno dopo Francatrippa, attraversato il territorio di Caccuri, si attestò sulle alture di Gimmella in vista di San Giovanni in Fiore. La sua speranza era di riuscire ad attirare fuori della cittadina gli 800 uomini del colonnello Lambert, impegnarli in uno scontro e, col grosso della banda, occupare la città aggirando i francesi e la guardia civica. Il colonnello francese, però, intuì le intenzioni del capo brigante e mise in atto un piano più o meno simile. Mandò un piccolo drappello a provocare le avanguardie di Francatrippa con l’ordine di ritirarsi subito dopo. Simulò poi l’arrivo di rinforzi inducendo il nemico a desistere dai suoi propositi e a ritirarsi verso la Sila .1)
  
Per capire il grado di ferocia  con la quale i combattenti dei diversi schieramenti si affrontavano e la perfetta conoscenza delle tecniche di guerriglia dei patrioti  meridionali che si difendevano dall'aggressore
giova leggere questo brano dell'ufficiale francese Paul Loise Courier. "Oggi noi facciamo la guerra, o meglio, la caccia ai briganti, una caccia dove il cacciatore assai spesso finisce in trappola. Noi li appicchiamo, loro ci bruciano con il miglior garbo possibile e ci farebbero anche l’onore di mangiarci. Giochiamo con loro a nascondiglio, ma la sanno più lunga di noi. Li cerchiamo lontano, quando sono a due passi; non li vediamo mai, ma loro ci vedono sempre. Il ciel ti scampi dal farti cadere nelle loro mani" 2)

1) Da G. Marino, Cronache di poveri briganti – Il brigantaggio nel XIX secolo a Caccuri e dintorni, ed. Pubblisfera, San Giovanni in F. 2003.

2) Ibidem
                                         Peppino Marino

 

           Mons. Raffaele De Franco e il Plebiscito per l’annessione

               
   Sui documenti ufficiali del Regno d’Italia del periodo immediatamente successivo all’Unità, si legge spesso: “Vittorio Emanuele II, per grazia di Dio e volontà della Nazione, re d’Italia.”  Sorvolo sulla volontà di Dio in quanto me ne intendo pochissimo  e poi non mi sembra corretto tirare in ballo Dio, che ha già tante gatte da pelare, in faccende di questo tipo, e mi chiedo:  “Ma questo signore fu davvero re per volontà della Nazione? E di quale nazione e in qual modo la nazione poté esprimere questa sua presunta volontà?”  Vediamo un po’ di capirci qualcosa leggendo questo brano:

. “Il 21 ottobre del 1860 le popolazioni del vecchio regno furono chiamate al voto. Già nelle settimane che precedettero l’avvenimento la situazione era molto surriscaldata. Gli agitatori filoborbonici che si nascondevano ancora nella piccola e media borghesia, molti “briganti”, vasti settori del Clero, facevano propaganda per il “no”. A Catanzaro a capo del movimento legittimista vi era un certo Luigi Maruca; tra gli ecclesiastici più attivi v’era lo stesso arcivescovo, mons. Raffaele De Franco, caccurese. Lo zelo del presule non piacque al segretario generale dell’Intendenza Stefano Benni, che due giorni prima arrivò a minacciarlo velatamente, ventilando anche provvedimenti repressivi nei confronti di sacerdoti e frati fedeli alla causa borbonica. Sinistra voce circola – scrisse il solerte funzionario al presule – che il clero, o alcuno dello stesso, si adoperino, in modi insidiosi, a contrariare la votazione solennissima del 21. Non presto io orecchio a tali voci che la malignità può suscitare. Il clero di questa Diocesi è rispettabile per sua essenza e anche per la ragione che è regolato da Lei, tanto pia e virtuosa. Ed è a questa virtù che fo appello affinché dia istruzioni a chi ne ha bisogno, mentre le pratiche suaccennate, se vere, costituiscono un reato da essere prevenuto e punito e io sarei nel doloroso obbligo di tenere ricorso a mezzi di legge. E mentre non potrei né saprei transigere co’ miei doveri, son più che certo che la preghiera a Lei data sarà tanto efficace da farmi rimanere tranquillo, non solo, ma da farmi vedere risultati efficacissimi”. Un manuale di autentica democrazia, come si vede, la lettera di questo bravo segretario così preoccupato di fare in modo che la ferrea e determinata volontà delle popolazioni meridionali di essere annesse al regno sabaudo potesse dispiegarsi liberamente.
   Il vescovo, però, se la cavò da par suo prendendolo garbatamente in giro. “
Signore – rispose il presule – comunque mi trovi da più giorni a letto con febbre e podagra, pure non mancherò di far sentire ai miei subordinati le lagnanze che Ella mi manifesta col suo uffizio pressante e riservato di questa data, sebbene io abbia tutta la ragione di credere non sussistenti i sospetti e le voci sinistre che si son fatte correre al riguardo di questo clero
”.1)

1) Da G. Marino, Cronache di poveri briganti – Il brigantaggio nel XIX secolo a Caccuri e dintorni, ed. Pubblisfera, San Giovanni in F. 2003.

   Il povero arcivescovo caccurese, che tanto si spese per la causa duosiciliana, fu costretto a definire “sinistre” le voci sulla volontà dei cittadini, anche se appartenenti al clero, di votare liberamente e di fare propaganda per il no all’annessione come se il libero esercizio del voto fosse un gravissimo reato, cosa, che, purtroppo, succede sovente anche ai giorni nostri, nonostante sia trascorso più di un secolo e mezzo.

Come si vede, a soli cinque mesi dallo sbarco a Marsala dei garibaldini, non solo i funzionari borbonici avevano tradito il loro re e la loro gente passando al servizio degli invasori, ma erano diventati i più fedeli e zelanti aguzzini dei loro conterranei. Com’è possibile che in un clima del genere la “Nazione” abbia potuto esprimersi liberamente e scegliere di diventare savoiarda? In un paese civile  un solo episodio del genere dovrebbe essere più che sufficiente a inficiare un risultato elettorale, figuriamoci quando le minacce, i ricatti, i soprusi e i brogli diventano centinaia, migliaia. E allora quale volontà della Nazione?
                                        
Peppino Marino

 

                       La “Protezione civile” borbonica

Da G. Marino, “ Il terremoto del 1832 nel Marchesato Crotonese – I danni e la ricostruzione di Caccuri” Editoriale Progetto 2000 (CS), 2012

    Nel 1832, sotto il regno di Ferdinando II di Borbone, non esisteva certo la protezione civile, almeno come la conosciamo noi oggi, ma, nonostante una  storiografia non certo obiettiva abbia sempre descritto la burocrazia borbonica come corrotta, inefficiente e poco attenta ai problemi e ai bisogni dei cittadini, esistono numerose prove che testimoniano il contrario, come nel caso del terremoto che l’8 marzo di quell’anno colpì il Marchesato di Crotone e vaste aree della Calabria provocando danni incalcolabili e migliaia di vittime. Certo a rendere abbastanza celeri i soccorsi e la ricostruzione dei paesi molto contribuì l’opera indefessa e le indiscutibili capacità dell’Intendente della Calabria ultra De Liguori, ma anche lo stesso sovrano, il governo e i ministri si dimostrarono abbastanza attenti ai problemi delle popolazioni martoriate da questa catastrofe tanto che già qualche tempo dopo i danneggiati  ricevettero un sussidio per superare l’emergenza e i finanziamenti per la ricostruzione dei centri abitati. Ovviamente, come succede e come è successo sempre nella storia dell’Umanità anche allora ci fu qualche lamentela per la presunta esiguità dei fondi, ma ci furono anche tentativi da parte dei furbastri di sempre di gonfiare l’entità dei danni patiti.
Ecco cosa scrive a proposito dei sussidi la Commissione per la ristorazione de’ danni del tremuoto di Caccuri in una lettera all’Intendente:

Signore, lunedì passato doppio piacere provarono questi miseri abitanti, e per essere ripartite l’elemosine di 40 ducati largite dal pietoso monarca, e per essere giunti i mandati di ducati 443 per i poveri danneggiati dal tremuoto. Lagrime d’amor e tenerezza sgorgavano dagli occhi di essi poveri i quali benedivano il cielo per averli messi sotto il governo di Ferdinando II padre de’ suoi popoli e sotto l’Amministrazione di un commendatore De Liguori sollievo dei sventurati.

Dicevamo della capacità e della determinazione dell’intendente De Liguori che non emerge solo dalle suppliche o dalle lodi  più o meno sincere dei cittadini, ma da atti ufficiali come questa sua lettera al sindaco di San Mauro Marchesato:

Vengo ora a sollecitarla per dare pronto adempimento, senz’altro indugio, alle disposizioni datele. E poiché mi viene assicurato che codesto arciprete, per suoi fini privati contrappone degli ostacoli alle operazioni della Commissione, invece di affiancarla come gli imporrebbe il dovere, il suo zelo apostolico e l’esatta esecuzione degli ordini di S.M./D.G, così Ella potrà prevenirgli che perdurando nello stesso riprovevole sistema di intralciare le operazioni della Commissione locale, gli saranno spediti tre piantoni a suo carico come in ubbidiente (sic)  agli ordini emanati dalla beneficienza Sovrana della M.S.”

 

                         Messer Checco e gli antenati di Lombroso

                                   Cicco Simonetta

    Il vizietto di considerare i meridionali,   e tra loro  i calabresi dei “terroni”, anche se probabilmente questo aggettivo ha origini più recenti, è vecchio come il cucco e più avanti ne avremo un’autorevole conferma.  Lombroso con le sue assurde teorie, Cialdini con la storia dei meridionali “peggiori dei beduini”, Lamarmora che dichiarava senza vergogna  che “i meridionali puzzano perché si lavano poco” e tutti gli altri denigratori, fino ad  arrivare ai giorni nostri, sono arrivati molto più tardi. Già nel XV secolo, il veneziano Pietro Barbo, nipote e pronipote di altri papi, assiso al soglio pontificio col nome di Paolo II, non nascondeva il suo profondo disprezzo  per la Calabria e per i calabresi che considerava poco raccomandabili, cattivi, pericolosi e spregevoli suscitando la reazione vibrata di uno dei più illustri, potenti  e influenti uomini politici  italiani di quel secolo, il caccurese Francesco Simonetta detta Cicco.
Cicco Simonetta, nato a Caccuri nel 1410, umanista, giureconsulto, abile diplomatico quanto fine umanista, assunto al servizio del duca di Milano Francesco Sforza, il figlio del capitano di ventura Muzio Attendolo, ne divenne il Cancelliere e Primo ministro.  Cicco, descritto dal Machiavelli nelle Istori
e fiorentine come“ Messer Ceccho, uomo per prudenza e per lunga pratica eccellentissimo”  è considerato, fra l’altro, l’inventore della crittografia  che egli usava per cifrare  i suoi messaggi agli ambasciatori del Ducato. Alla morte del suo padrone, conservò le sue cariche anche con il duca figlio, Galeazzo Maria e, alla morte di quest’ultimo a seguito della congiura del fratello, Ludovico Moro, resse il Ducato per il minore Gian Galeazzo diventando l’uomo politico più potente del tempo, prima che il Moro, grazie alla insipienza della cognata  si impadronisse dello stato e lo condannasse alla decapitazione accusandolo delle peggiori nefandezza tra le quali, quella immancabile, anche a quel tempo, di aver riempito il Ducato di terroni.
   Ma tornando a Paolo II e alle sue invettive contro i calabresi, ecco come il Simonetta difese a spada tratta i suoi conterranei: “
Che la prefata Santità dica che tutti li calabresi siano cativi, perché questo toca as mi, respondo così che la Calabria è la più fertile et la migliore provincia che sia nel reame, benché sia nell’ultima et estrema parte de Italia. Nondimeno in Calabria gli ne sono et de boni et de cativi, como è anchora ad Vinexia, ad Roma, ad Napoli et ad Milano e neli altri luochi, pure io me reputo nel numero de li boni et credo haverne facto le opere et professione.
(1)

    Come si vede, Lombroso e gli altri ebbero numerosi antenati tra i quali anche questo papa veneziano , rampollo di una famiglia che esercitava la professione di papa. Rimane la soddisfazione di sapere, per chi avesse la curiosità di approfondire la conoscenza della figura del Simonetta, che quando il caccurese  messer Checco organizzava la diplomazia, la burocrazia, la magistratura e il governo del più forte stato italiano del tempo e, grazie alla sua abilità diplomatica riusciva a garantire la pace tra i vari statarelli italiani e, soprattutto a tenere fuori dalla Penisola gli stranieri, il Piemonte era ancora uno stato insignificante e i Savoia erano di là da venire.

1) E. Motta, Documenti milanesi intorno a Paolo II  e al cardinale Riario. Archivio della Società di Storia Patriam XI (1888), pag. 253 – 65. In G. Marino, Cronache di poveri briganti, Edizione Publisfera, 2003.

 

                      Rozzi e ignoranti col doppio di universitari


L'assassinio di Archimede

Ancora oggi, nonostante metà della popolazione settentrionale sia oramai composta da nipoti o figli di meridionali di seconda, terza o anche quarta generazione, discendenti di gente emigrata in quelle terre in cerca di lavoro dopo il completamento del progetto del primo presidente del Banco Nazionale nel 1961 (Il Mezzogiorno non dovrà più essere in grado di intraprendere), si sente spesso ripetere la simpatica storiella dei meridionali sporchi, puzzolenti, rozzi e ignoranti. A proposito di ignoranza, ricordo, di quando ancora fanciullo mi trasferii in Alto Adige, i lazzi e lo stupore dei miei coetanei, ma molto spesso anche dei loro genitori perché il mio presunto accento calabrese (anche se i professori di scuola media negavano che si sentisse) veniva scambiato, in un posto nel quale una lingua italiana spesso approssimativa aveva un suo forte accento veneto, per scarsa conoscenza dell’italiano. Il realtà non è che si sentisse il mio accento calabrese (loro dicevano napoletano), si notava, piuttosto l’assenza di accento veneto. Che cosa curiosa!,  gli ex sudditi della Serenisisma e poi degli Asburgo irridevano l’italiano di un ex regnicolo del Regno del Sud (infatti continuavano a definirmi napoletano nonostante io ingenuamente continuassi a precisare di essere calabrese e l’Unità datasse oramai un secolo) dove la lingua italiana è nata come testimoniano la Carta capuana o Placito di Capua del 960 e la vasta produzione di liriche in volgare della Scuola siciliana al tempo di Federico II e dove è nato addirittura il nome Italia, se è vero quello che si racconta sui Vituli e sul re Italo, antichi abitanti della Calabria,  la prima terra della penisola a essere chiamata Italia (per questo ci resto male quando qualche meridionalista, lasciandosi prendere la mano dall'eccessiva vis polemica, storpia sarcasticamente l’antico nome della mia terra). E’ curioso che poi, secoli dopo, la terra della Magna Graecia, crogiuolo di culture e civiltà millenarie, venisse descritta come terra abitata da popolazioni quasi primordiali. Eppure, quando il siracusano Archimede aveva da tempo scoperto il principio del galleggiamento dei solidi, scoperto e spiegato ampiamente i principi fisici della leva, costruito gli specchi ustori, la famosa vite  ed altre cosucce del genere, gli antenati di quelli che ci consideravano (e ci considerano ancora) sporchi, ignoranti, etc. frollavano ancora la carne cruda sotto la sella dei cavalli.  Comunque, a giudicare da uno specchietto tratto dal bellissimo libro di Nicola Zitara, L’invenzione del Mezzogiorno che riporta il numero degli iscritti alle università italiane nel 1861, ovvero nell’anno dell’Unità d’Italia, i meridionali non dovevano poi essere così incolti e ignoranti. Vi sottopongo questo documento:

ISCRITTI ALLE UNIVERSITA’ ITALIANE SECONDO IL CENSIMENTO DEL 1861

Macroregioni o città                                    Numero degli iscritti

Napoli                                                                9.459
Sicilia                                                                 1.069

Totale due Sicilie                                           10.528

Sardegna                                                          137
Piemonte, Lombardia, Veneto                    2.572
Emilia Romagna                                             1471
Toscana                                                            764
Umbria e Marche                                             259

Totale resto d'Italia                                         5.203

Dal che si deduce che nell’anno  dell’Unità d’Italia l’ex Regno meridionale aveva esattamente il doppio degli studenti universitari di tutto il resto della Penisola. E meno male che eravamo "peggiori dei beduini" (detto alla quella personcina perbene ed equilibrata di Cialdini), rozzi e ignoranti!
                                                                                     
Peppino Marino

                                        Una insolita compagnia

    

      E’ una sensazione bellissima ritrovarsi, all’improvviso, quando meno te lo aspetti, nel bel mezzo di una meravigliosa pagina di letteratura per l’infanzia, in una di quelle situazioni che non avresti mai creduto potessero essere reali e non semplicemente il frutto della fantasia di un autore seppur grandissimo e geniale come Antonio Gramsci. Ma poi pensi che il grande intellettuale sardo di origini calabresi - arbresch non era uno che le cose se le inventava e allora ti convinci che si, che quella esperienza è reale e non un sogno.  Così ieri pomeriggio ho fatto anch’io il mio primo incontro ravvicinato con la volpe e vissuto la stessa esperienza descritta dal fondatore del PCd'I.
   
           Ero capitato per caso a Zifarelli, ma resomi conto che l’orto, dopo una giornata di sole con ventiquattro gradi costanti aveva bisogno di essere irrigato, mi sono messo a dare acqua alle piante quando di fronte, alla distanza di una decina di metri, ho notato una giovane volpe che seduta tranquillamente sul terreno, osservava curiosa i miei movimenti seguendomi con lo sguardo ogni volta che mi spostavo. All’inizio temevo di spaventarla, ed evitavo di spostarmi velocemente da una parte all’altra del terreno, ma, resomi conto che l’animale non sembrava affatto intimorito, ho cominciato a muovermi più liberamente, senza che la mia compagna di avventura se ne curasse minimante. Poi, dopo un po’, si è avvicinata al pollaio, probabilmente per ispezionare i sistemi di sicurezza, mentre le galline facevano un chiasso indiavolato e, dopo aver accertato che tutto era in ordine, è tornata nel suo punto di osservazione. Siccome mi trovavo in tasca lo smartphone o come diavolo si chiama questo stramaledetto aggeggio, sono riuscito perfino a fotografarla. A quel punto ho pensato anche di ripetere il gioco del “bambino sardo” e anch’io ho gridato “Buummmm” all’animale, senza che se ne curasse minimamente. Solo quando è apparso da lontano il solito cane randagio è scomparsa con un balzo tra i roveti oltre il confine. Sono curioso di vedere se domani tornerà a farmi compagnia

                                                                  Peppino Marino

                    Qualche considerazione sull'inno nazionale

  Una delle storie più controverse di questa nostra Italia che è vissuta sempre di controversie, è quella dell’inno nazionale, Il canto degli Italiani meglio conosciuto come Inno di Mameli dal nome del suo autore, un giovane poeta massone genovese, musicato da un altro genovese, Michele Novaro nel 1847.
   Nonostante sia stato cantato nel corso dei moti del 1848, durante le cinque giornate di Milano, dai garibaldini nel corso della farsesca Spedizione dei Mille e in occasione della presa di Roma del 1870 e venga eseguito nel corso delle visite di capi di stato e negli avvenimenti sportivi internazionali, ancora oggi non si capisce bene se, ufficialmente, Fratelli d’Italia sia l’inno definitivo della Repubblica italiana o lo sia ancora provvisoriamente. Che io sappia non è stata ancora approvata alcuna riforma costituzionale dalla quale risulti che l’inno di Mameli sia effettivamente l’inno nazionale italiano,  anche se tutti lo definiscono tale e se nel 2012 è stato approvato un disegno di legge che rende obbligatorio insegnare nelle scuole Il canto degli Italiani.
   Più volte in passato ci si è posti il problema di adottare ufficialmente un inno nazionale e la scelta stava per cadere sulla Canzone del Piave del napoletano E. A. Mario che, nel periodo di transizione tra la fine della seconda guerra mondiale e l’approvazione della Costituzione, fu per un breve periodo l’inno nazionale italiano, nonostante molti non perdonassero all’autore di Santa Lucia luntana e Tammurriata nera e Funtana all’ombra  le sue antiche simpatie fasciste. Probabilmente  La canzone del Piave non divenne mai inno nazionale italiano per volontà di De Gasperi che, offeso dal rifiuto del poeta napoletano di comporre l’inno della DC con la giustificazione che non riusciva a scrivere su commissione, ma solo in virtù dell’ispirazione, bocciò la proposta ripiegando sul canto di Mameli.
   Fino alla caduta della monarchia sabauda l’inno nazionale italiano era la marcia reale di Giuseppe Gabetti scritta addirittura su commissione di Carlo Alberto, il famoso re tentenna.
  
Prima della  conquista dell’Italia meridionale (la prima parte della penisola a chiamarsi Italia) al tempo del Regno delle due Sicilie, l’inno nazionale, per le popolazioni comprese tra l’Abruzzo e la Sicilia era l’Inno al re del maestro tarantino Giovanni Paisiello, un stupendo brano musicale, quasi idilliaco,  molto diverso dalle marce militaresche, in tono, probabilmente, col carattere pacifico della monarchia borbonica.

Chi volesse ascoltarlo può cliccare qui.

A proposito di inni e di visite di capi di stato, in occasione di una visita in Italia dell’imperatore di Germania Gugliemo II, mentre le truppe italiane sfilavano in suo onore in Piazza del Plebiscito a Napoli (curiosa l’incongruenza di una piazza intitolata a una elezione farlocca che ne decretò la morte come capitale dell’antica Partenope con la conseguente progressiva decadenza)  su richiesta dello stesso sovrano tedesco, invece della marcia d’ordinanza, la banda intonò la melodia della celebre canzone di Salvatore Di Giacomo ‘E spingule francese, una canzone della quale l’imperatore prussiano era evidentemente innamorato.
                                                             
Peppino Marino

 

                                             Il militare a Cuneo

       

   Poi ci sono quelli che avendo fatto il militare a Cuneo sono diventati uomini di mondo per cui si sentono in dovere di istruire e acculturare questi poveri ignoranti di provinciali, anzi di contadinotti paesani  che non conoscono la vita e non sanno come si sta al mondo,  come si organizzano i servizi, come si tratta con le persone civili,  come ci si soffia il naso. Inutile tentare di fargli capire che spesso si è molto più progrediti, molto meglio organizzati, a volte anche più istruiti dei modelli che ci vengono proposti  e che, se nella nostra realtà ci sono problemi, questi problemi  sono spesso comuni a quasi tutta l'Italia degli azzeccagarbugli e dei loro stramaledetti cavilli, all'Italia del malinteso buonismo, dello spirito missionario e del perdono cristiano per cui con la dolcezza si ottiene tutto, tutte cose che finiscono per alimentare il malcostume e l'illegalità; sarebbe tempo perso e gli rovineremmo il piacere di farci la lezioncina. Allora meglio lasciar credere loro che li ringraziamo per averci elargito il loro prezioso sapere e la loro esperienza "cuneese".
                             
Peppino Marino

                                                   'U ferru filatu

                                   

   Chi come me o come tanti altri più anziani di me ha avuto la fortuna di ritrovarsi fanciullo cinquanta – sessanta anni fa o anche prima, non può certo raccontare di essersi annoiato. A quei tempi, infatti, la vita di un fanciullo caccurese o di qualsiasi altro piccolo paese della Calabria, ma anche di altre regioni italiane, perfino di quelle che oggi hanno la puzza sotto il naso, era molto intensa e interessante e ricca di esperienza, anche se difficile.  Gli stimoli, le curiosità, le cose affascinanti da vedere non gli mancavano certamente perché viveva a stretto contatto con la natura, con gli animali, con le attività produttive, insomma con la vita reale della sua comunità. A qui tempi non esistevano fanciulli che non conoscevano la gallina, il maiale, la pecora, l’asino; difficile trovare un bambino di allora che scambiasse una busta in tetra pak per la mammella di una mucca come può capitare adesso. Vivendo con gli animali e fra gli animali si assisteva spesso gratuitamente a spettacoli impagabili, come, ad esempio, l’evirazione del maiale. Anche noi avevamo il nostro bravo sanaporcelle, figura magistralmente descritta da Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli, un certo zu 'Ntoni, che metteva la sua preziosa scienza al servizio della zootecnica “casarula” e, quando a primavera o in estate sentivano gli strilli disperati di un maialetto, accorrevamo, assieme ai gatti e ai cani del paese (ma quelli lo facevano per interesse e non per curiosità) ad assistere alla cruenta operazione.
    Un’altra operazione curiosa, un po’ meno cruenta e invadente, ma certamente dolorosa che doveva subire il povero animale era quella del “ferru filatu.” A quei tempi, infatti, il cemento scarseggiava o, comunque, se uno lo comprava cercava di utilizzarlo per mettere su quattro pietre e costruirsi una casetta, ma non poteva certo prendersi il lusso di sprecarlo per altri usi. Per questo motivo il pavimento (si fa per dire) dei porcili fabbricati con muri a secco o con quattro tavole vecchie incrociate tra loro, era quasi sempre in terra battuta. Ora i maiali avevano la simpatica abitudine di “rivullere” (rivoltare) il terreno adoperando il labbro superiore come se fosse un piccone.  Erano così abili e laboriosi che in pochissimo tempo riuscivano a scavare vere e proprie voragini che mettevano a serio rischio la stabilità del porcile e, a volte, addirittura a demolirlo. Per evitare simili catastrofi i nostri nonni ricorrevano a una soluzione miracolosa: l’applicazione del “ferru filatu”. Generalmente due uomini afferravano il maialino e, mentre uno lo teneva stretto, l’altro, con una lesina da calzolaio gli praticava un grosso foro sul labbro superiore; poi vi infilava un pezzo di filo di ferro che, aiutandosi con una tronchese e una pinza,  attorcigliava in modo da non sfilarsi; quindi lo tagliava all’altezza di un paio di centimetri sopra labbro. Dopo di che l’animale, un po’ spaventato, veniva lasciato libero nel suo ambiente. La ferita generalmente cicatrizzava nel giro di tre – quattro giorni e il filo di ferro faceva così bella mostra sul labbro dell’animale che, appena si provava a scavare una buca, provava una fitta al labbro che lo costringeva a desistere.
  Questa curiosa operazione mi viene in mente spesso ogni volta che mi capita di vedere in televisione o per strada un ragazzo o una ragazza col suo bravo piercing sul labbro o, addirittura, sulle palpebre o sulla lingua come se avessero scoperto gli extraterrestri, mentre i vecchi contadini quest’arte la praticavano da secoli. E poi mi vien da pensare quanto dev’essere bello per il loro partner baciarli o  accarezzarli e sentire sulle labbra o al tatto la dolcezza e il calore del metallo.
                                       
Peppino Marino

                                    Le soddisfazioni di noi poveri contadini
                       I cibi sani e gustosi della tradizione contadina
                                            
Vusjulu e cipulletta

                              

Una delle poche soddisfazioni di noialtri contadini poveri e parchi come me e il mio amico Mariuccio Di Certo è quella di potersi fare una bella mangiata di "vusjulu e cipulletta frisca",  soprattutto quando questi due alimenti poveri sono letteralmente il frutto del tuo sudore quotidiano. Se poi, come è capitato a noi ieri, si ha la fortuna di consumare questo tradizionale spuntino povero della cucina contadina tramandatoci dai nostri avi all'aperto, in quel di Zifarelli,  mentre il cuculo col suo meraviglioso canto ti ricorda che è già il tempo nel quale " 'u salatu se mancia' cruru" quasi a complimentarsi con te per la bella pensata,  è davvero il massimo. Allora, visto e considerato tutto ciò, credo valga la pena di disinteressarsi di quello che succede nel mondo secolare sempre più meschino e scostante e godersi questi piccoli piaceri. Parafrasando la Pavone mi verrebbe voglia di cantare: "Che m'importa del mondo"? Nei prossimi giorni si replica con le fave fresche (sempre di produzione nostra), pecorino e ambrato di Zifarelli, annata 2012. Peccato che è sempre più difficile trovare il pecorino caccurese, quello con la lacrima "chi te fa ricriare", mentre nei negozi ti rifilano un pecorino che sembra più sivu (sego per i non cacuresi) che formaggio.  Eppure per produrlo pare abbiano dovuto fare corsi profesionali gestiti da luminari venuti nelle nostre contrade da chissà dove, mentre i nostri pastori ci fanno leccare le dita dalla notte dei tempi. Per chiudere un consiglio a chi volesse imitarci: accompagnate 'u vusjulu con cipolletta di Tropea; eviterete così di dover ricorrere a dosi massicce di Maalox; ripeto, cipolletta di Tropea, diffidate delle imitazioni. Buon appetito a tutti con i gustosi cibi calabresi e contadini. Viva la Calabria, viva i contadini!
                                              
Peppino Marino


                                         
Morire sotto la croce

  Morire di croce come Cristo; chi lo avrebbe immaginato? Il figlio di Dio sulla croce, un ragazzo di 21 anni del bergamasco, invece, nel corso di  una gita con l’Oratorio del suo paese, sotto la croce del Cristo dedicata nel 1998 a papa Wojtyla, il papa polacco promosso santo proprio ieri. Adesso magari qualcuno, anche tirando in ballo l’inquietante coincidenza del domicilio dello sfortunato giovane nella via Giovanni XXIII del suo paese ci dirà che è un segno del cielo, che il Signore vuole accanto a se nel paradiso sempre i più migliori e altre amenità del genere, ma una morte del genere è davvero difficile da accettare. Il compito di accertare le cause di questa sciagura spettano ovviamente alla magistratura e fin quando non saranno espletate tutte le indagini del caso nessuno è autorizzato a trarre conclusioni affrettate, ma, nella mia ignoranza, vedendo una foto della struttura com’era prima del crollo e sapendo che era di legno, penso che non sarebbe stato difficile prevedere che prima o poi si sarebbe verificato qualcosa del genere.   Detto questo, mi sono chiesto più volte se i credenti, per onorare degnamente la divinità debbano a tutti i costi erigere queste mastodontiche croci piazzandole, peraltro, sulle cime di colline e montagne spesso di grande interesse paesaggistico deturpandole e facendo concorrenza ai tralicci dell’alta tensione? Non ci si potrebbe limitare a esporre il crocifisso, di dimensioni adeguate, nelle chiese, negli ospedali o nelle scuole come pretendono e hanno sempre preteso i cattolici chiedendo perfino alle corti internazionali  di imporre a tutti, credenti e nion credenti, i loro simboli,  rispettando almeno i profili delle montagne e delle colline e, soprattutto, senza creare situazioni di pericolo come quella del crocifisso del bergamasco?

                                         Peppino Marino

                                     
Solidarietà meridionale

                                        

   La notizia è davvero clamorosa, al limite dell'incredibile: proprio nel giorno in cui il sindaco di Verona firma un'ordinanza con la quale vieta di portare cibo ai senzatetto in determinate aree della città (cosa che non si vieta nemmeno per i gatti), e a pochi giorni di distanza dall'arresto di un gruppo di separatisti, cioè di quelli che vogliono staccarsi dall'Italia per liberarsi della zavorra costituita da un Sud arretrato, parassitario popolato da scansafatica e morti di fame  che vivrebbero alle spalle del ricco, operoso e opulento nord, il sindaco di Trentola Ducenta, un paese in provincia di Caserta, manda un fax scritto a mano a quello di Pisano Novarese, in provincia di Novara, per comunicargli che sta per inviargli un assegno di 15.000 euro, prelevati da un fondo di solidarietà del  comune campano per la messa in sicurezza di una scuola materna del comune piemontese. Ma come?, ma allora non è vero che il Sud è tutto allo sfascio e il nord una sorta di paradiso in terra; non è vero che viviamo alle spalle dei poveri veneti, che, poereti ciò, el se sacrificano per noi, ostrega!, o dei lumbard, in particolare di Bossi alla cui generosità dobbiamo tutto?  Addirittura ci possiamo prendere anche il lusso di soccorre noi, poveri malati e affamati, quelli del nord, sani, sazi e che scoppiano di salute? Chi lo avrebbe detto! Eppure ci siamo fatti trattare per almeno due decenni da straccioni, mendicanti e parassiti da gente che non "è nemmeno degna di scioglierci i calzari" senza reagire e consentendo loro di mangiare a quattro palmenti con i soldi pubblici, di rubare e di sbraitare, contro una presunta "Roma ladrona" e contro un Mezzogiorno sanguisuga.
                                            
Peppino Marino


                                              Mitiche riforme

                     

“Riforme” è la parola più usata da qualche anno in Italia. A furia di ripeterla è diventata famosa anche all’estero; in Europa, nelle Americhe, perfino in Cina e in Cocincina. Tutti parlano delle riforme, tutti sono convinti della ineluttabilità delle riforme, tutti ci raccomandano di fare le riforme istituzionali, toccasana, balsamo, elisir, insomma la cura miracolosa per guarire tutti i mali italiani. Oramai in Italia si vuole riformare tutto; dal formaggio al seno delle dive, non c’è settore che, secondo i soloni locali non vada riformato. La riforma più gettonata, però, è quella istituzionale ovvero lo stravolgimento della Costituzione, l’abolizione del “famigerato” bicameralismo perfetto che sarebbe la causa principale, se non la sola, dell’ingovernabilità di questo sciagurato paese. Praticamente, secondo questa gente, in 66 anni di repubblica ( ma già prima in 87 anni di monarchia) non si è potuto governare decentemente l’Italia, i governi sono sempre caduti come birilli dopo qualche mese di vita, non si sono potute approvare leggi efficaci perché  la Costituzione era sbagliata e il bicameralismo un cancro da estirpare. Ora che una sciocchezza dal genere la dicono i politici europei, almeno quelli che non conoscono in modo approfondito la storia d’Italia, che la riprenda Obama o qualcun altro capo di stato o di governo straniero, passi, ma che ce la ripetano in  continuazione sedicenti politologi, storici, tuttologi da pomeriggi in TV, commentatori, imprenditori, sindacalisti italiani che conoscono o almeno dovrebbero conoscere la millenaria storia italiana, è davvero intollerabile, se non ridicolo. L’Italia è ingovernabile non perché la Costituzione prevede  il bicameralismo perfetto, quello caso mai potrebbe solo ritardare di qualche giorno (di qualche giorno, non mesi o anni) l’iter delle leggi che devono essere approvate, se partiti e coalizioni fossero davevro compatti e d’accordo sulle cose da fare. , né dovrebbe creare problemi ai governi se non si approvassero leggi porcate che prevedono sistemi di votazione diversissimi per camera e senato a seconda dei porci comodi (i porci c’entrano sempre) di questo o di quello. La vera causa dell’ingovernabilità dell’Italia va ricercata in almeno mille anni di storia di questo assurdo paese sempre diviso in staterelli eternamente in guerra tra loro, in migliaia di comuni, ciascuno con il suo campanile, il suo gonfalone, i suoi egoismi meschini, le sue diatribe interne. L’Italia è ingovernabile semplicemente perché da sempre i vari popoli che la compongono non si riconoscono ancora l’un l’altro come appartenenti alla stessa nazione; i siciliani in passato volevano il separatismo, i sardi una marcata autonomia, i genovesi mal tolleravano il dominio dei Savoia, i romagnoli quello del papa, i lombardi non vogliono i terroni e i terroni, conquistati, depredati, oppressi, hanno sempre cercato invano  un governo amico che li risollevasse dalla loro infelice sorte. Tutte queste spinte, probabilmente, hanno contribuito alla frammentazione del voto, che, fin quando sono esistite le ideologie è stata in qualche modo contrastata e la gente si riconosceva più o meno nei due grandi partiti, il PCI e la DC, mentre ora è un dilagare di nuove sigle e di partiti personali. Anche in passato, però, non mancavano il partitelli che con il loro misero bottino di voti riuscivano, comunque spesso a essere determinanti  e a condizionare i governi impedendone  la governabilità, governabilità che non si è avuta nemmeno quando un partito o una colazione di partiti ha avuto la più consistente maggioranza nella storia della Repubblica perché a un certo punto un leader in canottiera decise di far cadere il governo, né con la legge porcata. L’Italia sarà veramente governabile quando qualcuno sarà finalmente in grado di elaborare un progetto di largo respiro mirato allo sviluppo del Mezzogiorno attraverso la realizzazione delle grandi infrastrutture che questa martoriata terra aspetta da 150 anni, finendola con le elemosine e gli interventi a pioggia (restituiteci quello che ci avete rubato in 150 anni);  quando nasceranno di nuovo grandi partiti attenti ai problemi del lavoro, dell’occupazione, dei servizi sociali, dei giovani, partiti che sappiano indicarci la stella polare dei prossimi decenni, altro che leggi elettorali e abolizione del senato. Solo allora forse riusciremo a mettere da parte i nostri meschini egoismi, il nostro cinismo indotto e, forse,  rinascere finalmente.

                                                  Peppino Marino

                                  Manager: i nuovi emigranti
                

             Folla di manager in fuga dall'Italia

    Pare sia andata male al povero ingegnere Moretti, l 'AD delle Ferrovie che ha dichiarato che nel caso il governo decida di tagliare gli stipendi dei manager pubblici, molti di loro se ne andranno dall'Italia.   A momenti me li immagino tristi e  carichi di nostalgia  lasciare il paese mentre da una radio lontana risuonano le malinconiche note di Santa Lucia luntana ( Partono i bastimenti, pe' terre assaie luntane, cantano a buordo so' napulitani......). Ma allora ci lasciano davvero? Io ho i mei dubbi. Visto quello che hanno combinato in Italia non credo troveranno facilmente lavoro all'estero e poi  pare che la sua minaccia abbia lasciato del tutto indifferente, oltre me,  anche un bel po' di gente che conta; dal ministro Lupi che ha commentando le parole dell'Ad con un lapidario "E' libero di andarsene", ad Antonio Satta, componente dell'Ufficio di Presidenza dell'ANCI che lo invita a provare a viaggiare con i pendolari, utenti delle Ferrovie, a Susanna Camusso, a Raffaele Bonanni, a Diego Della Vallle che lo avvisa che, nel caso decidesse di andarsene troverebbe milioni di italiani pronti ad accompagnarlo a casa,  (riferendosi ai passeggeri dei treni di Moretti) al segretario del PD calabrese Ernesto Magorno che, anche lui, invita il manager e amministratore delegato delle Ferrovie a  farsi un giro con i treni calabresi. Già, i treni calabresi! Ma esistono ancora? Se non vado errato è stato proprio l'ingegnere Moretti a sopprimere i treni a lunga percorrenza che dalla Calabria e dalle altre regioni meridionali raggiungevano il nord.  In pratica è quello ha fatto sparire i treni dalle nostre contrade.  Grazie al suo lavoro i nostri nipoti, i nostri pronipoti potranno vederli solo nel museo di Pietrarsa. Vada, vada pure, ingegnere, ce ne faremo una ragione, non si preoccupi; riusciremo ad andare avanti ugualmente anche senza i suoi magnifici servigi.

 

L'acqua trasformata in vino: un miracolo che si ripete da millenni

                              

  Qualche giorno fa circolava sul web una notizia  curiosa, che pretendeva, però, di essere clamorosa, anche se di nuovo e di clamoroso non c’era proprio niente. Oggi per fortuna si scopre che era una bufala, pare propalata a fin di bene, come hanno dichiarato gli autori. Questa ennesima burla parlava di due imprenditori americani avevano inventato una bottiglia prodigiosa che sarebbe stata  messa in commercio  a breve al modico prezzo di 350 euro,  con la quale, con acqua, delle polverine e un software particolare si poteva produrre, in due giorni, un litro di vino al costo di circa 2 euro.  Che cosa ci sarebbe stato di così straordinario in questa invenzione, ammesso che fosse stata davvero messa a punto è un mistero.  Quale persona di media intelligenza avrebbe acquistato un aggeggio del genere affrontando una spesa iniziale di 350 euro per produrre una bottiglia di vino ogni due giorni, un vino prodotto con acqua e polverine e che sarebbe pure costato 2 euro al litro quando, più o meno con la stessa spesa, in un supermercato  si sarebbe potuto rifornire comodamente di un vino  eccellente,  senza aspettare i due giorni e senza fastidi? Ma a parte la convenienza o meno dell’investimento, anche la trasformazione dell’acqua in vino non è mai stato un grosso problema. Il vino ottenuto da acqua e miscugli di polverine è conosciuto da secoli. Ma anche quello prodotto con la sola acqua, senza nemmeno le polveri. Già a Cana, circa 2000 anni fa Nostro Signore trasformò l’acqua in vino,  ma anche lui arrivò tarti perché già qualche millennio prima di lui,  lo stesso miracolo era riuscito a migliaia di osti disonesti, così come è riuscito sempre anche  ad altre migliaia di osti che vissero secoli dopo quelle famose nozze, senza destare alcuno scalpore. Comunque gli americani, anche questa volta sono stati battuti sul tempo dagli italiani, anche se quest'ultimi avevano trovato il sistema per trasformare l’acqua in benzina. Provare per credere a rivedere il bellissimo film di Bruno Corbucci,   Squadra antitruffa,   nel quale un giovanissimo Leo Gullotta riesce a spennare  diversi polli prima di cadere nelle grinfie del maresciallo Giraldi, alias er Monnezza, interpretato dal grandissimo Tomas Milian.


                              
La parità di sesso degli angeli

                  

  Ma da quando il sesso è una caratteristica rilevante in certi lavori, compreso quello parlamentare? E perché mai dovrebbe essere rilevante il sesso e non, per esempio, la fede religiosa? Perché non imporre “quote atee” del 15 per 100, che rispecchino la percentuale dei non credenti in Italia, invece di avere sempre un Parlamento baciapile e in ginocchio? O “quote culturali”, che impediscano che in Parlamento sieda una totalità di analfabeti scientifici, pronti a votare all’unanimità a favore della sperimentazione di truffe quali il metodo Stamina?
                              
Piergiorgio Odifreddi

Grandissimo come sempre il professore Odifreddi in questo pezzo che potete leggere per intero su Repubblica on line e che dimostra, con rigore scientifico, la stupidità di una legge elettorale autoritaria e truffaldina che si vuole approvare  per perpetuare il potere di capi partito che sono tali solo perché scelti per censo o eletti con sistemi di votazione anch'essi truffaldini. E il popolo bue, invece di insorgere per la vigliaccata delle preferenze negate, si appassiona alla disputa sulla parità di sesso degli angeli: rosa o celeste.
                                                                           
Peppino Marino



                      
O che premier beato, il ciel ci ha dato   

                          
 
   
                

   Fra poco più di tre mesi si chiuderà l’anno scolastico in corso, il sesto da quando ho lasciato l’insegnamento per andare, come mi consigliava qualcuno,  a zappare. A questo punto  dovrebbe iniziare il periodo delle gite scolastiche, almeno così mi pare di ricordare, solo che quest’anno stiamo assistendo, già da qualche settimana,  a gite scolastiche anomale: invece di essere gli studenti ad andare a visitare i luoghi storici o istituzionali, sono le istituzioni, o meglio, il capo del governo ad andare in visita per le scuole italiane. Quale sia lo scopo di questi "viaggi di istruzione" non è molto chiaro o, se vogliamo, è molto chiaro, a seconda dei gusti. Dopo la nascita di questa “nuova moda” mi sono chiesto più volte: “Ma per rendersi conto dello stato di degrado delle scuole italiane c’è davvero bisogno di una visita di persona personalmente, direbbe Catarella, del Presidente del Consiglio?” Non sono anni che stampa e televisione (persino la televisione!), dirigenti scolastici, insegnanti, personale amministrativo, personale ATA, alunni,  sindaci e amministratori ( spesso tra i primi responsabili dello sfascio) denunciano lo stato pietoso di edifici al limite dell’agibilità, non a norma e a volte persino di fortuna? Non bastano queste denunce, non bastano le relazioni tecniche, le ispezioni degli organi preposti? C’è davvero bisogno di queste visite in pompa magna? E poi ancora, i guai della scuola sono solo quelli che derivano da un ‘edilizia scolastica precaria, o non sono anche di altra natura, a cominciare da quella didattico – pedagogica, dopo le devastanti e cretine riforme degli ultimi trent’anni (per favore non prendiamocela sempre e solo con la Moratti e con la Gelmini) che hanno snaturato la scuola, soprattutto quella elementare, trasformata oramai in una grottesca parodia della scuola superiore, e abolito di fatto, nelle altre scuole materie fondamentali per la formazione integrale  della personalità come la geografia e la storia dell’arte? Ma per tornare al turismo scolastico del capo del governo, cosa succede dopo aver visitato una scuola e preso atto che ha bisogno di interventi urgenti? Li si finanzia? Vengono eseguiti immediatamente,  risolti i problemi? E per le scuole meno fortunate che non riceveranno la visita del premier o la riceveranno magari l’anno prossimo? Boh?  Comunque è bello immaginare i pargoletti con il grembiulino, il colletto e il fiocco dello stesso colore ( a seconda del reggimento e al plotone di appartenenza come spiegano spesso le mie ex colleghe alle mamme) schierati a per accogliere il capo del governo cantando “O che Premier beato, il ciel ci ha dato” e anche "Siam felici e ti gridiam, da oggi in poi, ovunque vai, tu non scordarti di noi", mentre le maestrine battono educatamente le mani e accolgono con sorrisi smaglianti l’illustre ospite. Pensavo che dopo l’esilarante parodia di Benigni dell’ispettore fascista che si reca nelle scuole per esaltare la bellezza della razza ariana i politici si sarebbero guardati bene dal mettere più piede in una scuola, ma, evidentemente, negli anni che "daranno a me le stelle" mi toccherà vederne ancora delle belle.
                                              
Peppino Marino

                                                 Forza Italicum

                                    

   Continua alla Camera la discussione sulla nuova legge elettorale,  battezzata Forza Italicum in onore del suo illustre ispiratore e probabile unico beneficiario, che dovrebbe  sostituire la famosa porcata con qualche consistente aggravante. Molte le novità in questo senso come la soglia di sbarramento per le formazioni minori, anche se raccolgono qualche milione di voti e altre ancora. Si sente parlare anche di collegi  uninominali che a detta di alcuni luminari dovrebbero risolvere il problema della mancata reintroduzione delle preferenze (come?), ma in alcuni articoli di stampa, che pure spiegano in dettaglio la proposta di legge, non se ne trova traccia. Mistero! . Pare comunque che qualche genio, per raffreddare la polemica per la mancata restituzione ai cittadini italiani del potere di scegliersi il proprio rappresentante al Parlamento, voglia proporre, le primarie, magari aperte, per l’individuazione dei candidati, per far si che ognuno, oltre al segretario e al premier del partito avversario, possa scegliersi anche i candidati con i quali poi dovrà misurarsi. Geniale! Ma la battaglia infuria anche sulla questione della parità di genere, una norma da introdurre nella porcata bis in corso di approvazione  per obbligare i partiti a inserire nelle liste una quantità di donne ( soggetti tutelati, fra l'altro anche dal WWF) pari alla metà dei candidati.
   Nello specifico la nuova legge ha, almeno il pregio di essere molto chiara. Essa sarà una legge proporzionale con tre di soglie di sbarramento ( 4,5%, 8% e 12%) per i partiti di lingua italiana e una  del 20% per le minoranze linguistiche. Ma non è finita in quanto è prevista anche una ulteriore soglia del 9%, detta salva Lega, che consente  ai partiti che ottengono almeno il 9% in tre regioni  (la Lega appunto) di accedere in Parlamento.  Nel caso di un partito che facendo parte della coalizione che ottiene il premio di maggioranza non superi la soglia di sbarramento, i suoi voti concorreranno al raggiungimento del premio, ma sarà escluso dal riparto dei seggi, che vengono redistribuiti agli altri partiti della coalizione. Semplice, vero? Ovviamente ci sono poi le liste bloccate di 3 o di 4 o di 5 o di 6 candidati nei 120 collegi.
   Per semplificare ulteriormente  le cose, nel caso nessun partito o colazione dovesse raggiungere il 37% dei voti, soglia oltre la quale si ha diritto al premio di maggioranza, è previsto il doppio turno con ballottaggio. Più chiaro di così si muore, forse per questo gli elettori diminuiscono a ogni tornata elettorale.

                             Peppino Marino


                                         
La più urgente delle riforme
                              Affogati nella monnezza

                     

Farsi un  giro per le strade delle città principali e di molti paesi della Calabria, di questi tempi, oltre che deprimente e sconfortante, è anche pericolosissimo per il rischio concreto di beccarsi il colera, la peste bubbonica  o qualcosa di simile. Me ne sono reso conto l’altro ieri percorrendo alcune strade di Cosenza, ma anche qualche giorno fa quelle di Crotone e di altri luoghi, un tempo ameni,  di questa sciagurata regione. Caro Pino Aprile, cari amici meridionalisti, hai voglia di magnificare la nostra terra, la nostra gente, prendersela con l’Unità d’Italia dei savoia quando questa terra è coperta da anni da cumuli di rifiuti e la gente vaga costernata fra la monnezza maleodorante senza che nessuno sia in grado di risolvere il problema, almeno temporaneamente e, se ci prova, la soluzione risulta  ancor più disastrosa del danno immediato. Se oggi ci troviamo in questa grave situazione che, ogni volta che si verifica viene pilatescamente definita emergenza, mentre è semplicemente,  maledettamente  normalità quotidiana, la colpa è di chi, da almeno dieci anni, non si è posto il problema di come smaltire efficacemente i rifiuti nel rispetto dell’ambiente, della salute e della dignità degli abitanti del territorio e, prima ancora, di come ridurre la spaventosa quantità di rifiuti che si producono quotidianamente con leggi e prescrizioni severe sul confezionamento dei prodotti, imballaggi, utilizzo di materiali facilmente degradabili;  di come riciclare i rifiuti attraverso una razionale raccolta differenziata che riducesse al minimo o, addirittura a zero, gli scarti indifferenziati guadagnandoci pure una montagna di quattrini come avviene in altre felici contrade italiane ed europee. Tanto per dire, in Alto Adige la differenziata è partita oltre trent’anni fa, qui non riesce a partire nemmeno oggi;  Napoli, dove invece la si faceva al tempo di Ferdinando II (la differenziata fu inventata proprio nella capitale borbonica), oggi, invece è diventata la capitale della monnezza. Fare la raccolta differenziata è una delle cose più semplici di questo mondo, ma in Calabria pare sia più difficile della conquista di Marte per cui la si fa soltanto in  pochi paesi e città col risultato di far apparire dei super eroi i pochi amministratori che fanno una cosa semplice e  normalissima e totali incapaci quelli che con la loro inerzia mettono quotidianamente a rischio la salute pubblica e calpestano il decoro di posti tra i più belli del pianeta trasformandoli in enormi ininterrotte discariche a cielo aperto che si vanno ad aggiungere alle mega discariche pubbliche e private che costellano il territorio regionali.  Tra le tante riforme che Renzi potrebbe mettere in cantiere nei prossimi giorni gliene suggerirei una molto più urgente di quelle istituzionali che urgenti non sono affatto: un decreto legge di un solo articolo da convertire immediatamente in legge ordinaria e che reciti così:

·        Art. Unico. Coloro che amministrando un comune da almeno due anni non abbiano ancora avviato la raccolta differenziata dei rifiuti urbani  o predisposto gli atti necessari ad avviarla entro pochi mesi sono destituiti dalla carica e dichiarati ineleggibili a qualsiasi carica pubblica, compresi consigli di amministrazione,  amministrazioni di condominio, club sportivi, bocciofile e quant’altro. Le stesse pene vengono applicate agli amministratori regionali o provinciali per analoghe  inadempienze nello stesso settore o per mancata vigilanza nei confronti dei comuni inadempienti. Le pene previste dal presente articolo si applicano a tutti i componenti dell’amministrazione: sindaci, presidenti, assessori o semplici consiglieri della maggioranza.

                                                      Peppino Marino

                      Cinquantacinque milioni di critici

               

  Grazie a Dio, anche per quest’anno Sanremo è finito e si torna alla vita normale. Dico questo non perché il festival non mi sia piaciuto, anzi mi è sembrato uno dei più sobri, ma perché davvero non se ne può più della valanga di critiche che, puntualmente, ogni anno, piovono sulla kermesse sanremese,  molte sincere e giustificate o, perlomeno lecite, moltissime altre platealmente pilotate per sporchi interessi di bottega. L’Italia è un paese straordinario come diceva Crozza nel suo monologo, un paese davvero grande e il comico genovese, così come ha fatto più volte in passato Roberto Benigni, lo ha dimostrato alla grande citando le scoperte, le invenzioni, le creazioni frutto del talento italiano che hanno accelerato il progresso dell’umanità e semplificato la vita di miliardi di uomini. D’altra parte questo lembo di “sfasciume pendulo nel Mediterraneo”  è da sempre ricchissimo di talenti  e non c’era bisogno che ce lo ricordasse Crozza, lo sappiamo da noi. Se dovessimo scordarcene a ricordarcelo ci sono ogni quattro anni  i mondiali di calcio nel corso dei quali scopriamo di avere tra di noi cinquantacinque milioni di commissari tecnici e tutti più bravi di quell’incapace al quale in quel mondiale è stata affidata la Nazionale,  che per pura sfortuna non sono stati presi in considerazione dal presidente federale e che avrebbero vinto sicuramente il mondiale, poi nel corso del festival di Sanremo scopriamo di avere tra noi cinquantacinque milioni di critici televisivi e musicali che avrebbero saputo organizzare molto meglio lo spettacolo e avrebbero scelto canzoni degne di questo nome e non quelle noiose che abbiamo ascoltato. Ora, “morto il cane, morta la rabbia” come recita un vecchio adagio, finito il festival tacciono finalmente i critici o almeno lo speriamo. Che le canzoni “quest’anno non mi piacciono”, che siano noiose, che “non ci sono più le canzoni di una volta” è qualcosa che sento ripetere praticamente da sempre; che le canzoni quest’anno o l’anno scorso abbiano perduto la loro centralità a vantaggio del resto dello spettacolo è una balla colossale; le canzoni a Sanremo la centralità l’hanno persa da almeno quarant’anni, da quando si è smesso di far cantare lo stesso brano a due interpreti diversi. Quando si faceva questo  era la canzone era davvero centrale e gli interpreti  si mettevano  in gioco e in competizione tra loro cercando di darne la versione migliore rischiando anche di sfigurare nei confronti del collega. Poi si è deciso di abolire questa usanza, e centrale è diventato prima  il cantante o la cantante , spesso mitizzati a sproposito, che si montavano la testa  e che cercavano di stupire il pubblico con effetti speciali come il finto pancione, l’orecchino o la benda da guercio, i vestiti più strampalati, le minigonne vertiginose, le maschere sul viso, le barbe da longobardi e i capelli al fondoschiena, mentre le canzoni passavano  in secondo piano. A questo si è aggiunta una certa “codardia” di certi santoni strapagati della musica leggera che si sentono padreterni e che non vogliono confondersi  con Sanremo manco fossero dei Fabrizio De Andrè o Francecso De Gregori, mentre, probabilmente, hanno solo paura di essere “bocciati” dalle giurie,  ma che a Sanremo ci vanno come ospiti a beccarsi un sacco di soldi per qualche comparsata più o meno riuscita.  Eppure gente come Vasco Rossi, Lucio Dalla, Zucchero, Endrigo, Lucio Battisti, Gino Paoli, Roberto Vecchioni (scusate se sono pochi) non hanno avuto mai problemi a mettersi in gioco. Vasco Rossi arrivò addirittura ultimo la prima vota  e penultimo la seconda, addirittura con Vita spericolata che poi divenne il brano di grandisismo successo che conosciamo, tanto per dire. E poi ci lamentiamo che non ci sono più belle canzoni. Beh, comunque è finita con buona pace di tutti, soprattutto dei critici da social network che in questi cinque giorni impazzavano su facebook  riempiendo il web di amenità.  Ora finalmente si torna ai programmi seri e di classe tipo grandi fratelli, isole dei famosi, uomini e nonne, sentieri, viottoli etc. con buona pace dei catoni di casa nostra.
                                       
Peppino Marino

                                      Le cose che ci fanno restare male

“Mi veniva da dire, Pierluigi, sei il leader del Pd, non farti umiliare così! Ho pensato a cosa doveva provare una volontaria che va a fare i tortellini alla festa dell’Unità: credo ci sia rimasta male nel vedere il suo leader trattato così”.
Matteo Renzi dopo l'incontro in streaming Bersani - M5Stelle

Una festa de L'Unità

   Credo che non si debba avere nessuna indulgenza nei confronti di Grillo per l'inqualificabile comportamento messo in atto nel corso dell' "incontro" con Matteo Renzi; nessuna indulgenza da parte dei cittadini, ma anche, sarebbe opportuno, da parte dei suoi simpatizzanti che, da quanto è stato sbandierato, gli avrebbero chiesto, mediante una consultazione on line, di incontrare il presidente incaricato probabilmente per discutere con lui anche aspramente,  non certo per limitarsi a svillaneggiarlo. Detto questo, però, se il "segretario" del PD mi consente (a anche se non mi consente), ricordando delle sue parole a commento dell'incontro Bersani - M5Stelle sopra riportate, vorrei dirgli quello che "ho pensato" io in questi ultimi giorni.
   Sono uno di quelle centinaia di migliaia di militanti che, pur non avendo mai fatto i tortellini alla feste de L'Unità solo perchè non so farli, di feste de L'Unità ne ha organizzato parecchie e che per oltre trent'anni ha lavorato duramente per dare una mano al suo partito. Con queste referenze mi permetto di dirgli che, oltre all'esserci rimasto male per aver visto i leaders del mio partito, Bersani prima, Renzi dopo, umiliati dal grillo sbavante, in questi ultimi tempi ci sono rimasto male anche per un'altra serie di cosucce non certamente trascurabili che vorrei elencargli.
   Ci sono rimasto male per il trattamento inflitto da non mai bene identificati deputati di questo partito a Bersani, Marini e Prodi pugnalati alle spalle da un branco di franchi tiratori come tanti anni prima  capitò al povero Fanfani, vittima dei vecchi "giochini" democristiani;
ci sono rimasto nel vedere Enrico Letta, persona seria e capace, trattato quotidianamente come uno scolaretto zuccone e incapace di svolgere i compiti assegnati come se la colpa di tutti i mali italiani fosse di Letta e della sua presunta pigrizia;
ci sono rimasto male per il rude benservito che gli è stato dato, mentre fino a tre giorni prima lo si rassicurava, solo perchè qualcuno scalpitava per prenderne il posto facendoci credere che tutto ciò accadeva  per il bene del "Popolo, della Patria e della Repubblica";
ci sono rimasto male nel vedere un noto pregfiudicato condannato in Cassazione per gravi reati ai danni dello Stato, ricevuto addirittura nella sede nazionale di un partito nato anche dalle ceneri del mio partito quando qualcuno decise che i DS andavano sciolti e che i resti del partito di Gramsci, Togliatti e Berlinguer sarebbero confluiti nel PD mettendomi davanti al terribile dilemma del corvo che ogni calabrese conosce benissimo;
ci sono rimasto male nel vederlo ricevuto anche al Quirinale per dire la sua sulla nascita del nuovo governo e sulle cose da fare;

ci sono riamasto male nel vedere lo stesso personaggio dettargli quasi il testo della legge elettorale che dovrebbe essere approvata a breve;
ci sono rimasto male nel vedere, infine, Renzi trattato da Grillo molto peggio di come fu trattato Bersani da Crimi circa un anno fa. Eppure l'esperienza avrebbe dovuto pure insegnare qualcosa! Ecco, signor segretario del PD di cosa si vergognano ora le eroiche compagne casalinghe dei tortellini e i vecchi militanti della diaspora della sinistra.
                                   
Peppino Marino

                                              


                                      
La TARES come un grimaldello?

So che scrivendo quello che penso mi farò un sacco di antipatie, ma è una vita che mi succede per cui ci ho fatto il callo, Una volta scrissi che capivo il senso della frase di Padoa Schioppa "Pagare le tasse è bello" e rischiai il linciaggio. Vai a fare capire alla gente che le tasse sono quella cosa che consente a una società di organizzare la vita associata, garantire servizi essenziali a tutti, ricchi e poveri, atei e credenti, bianchi e neri e che senza le tase si tornerebbe all'età della pietra o forse anche a prima perchè già a quell'epoca gli uomini si erano associati formando comunità che si erano date delle regole precise e rigorose. Ovviamente è bello se le tasse le pagano tutti, in misura equa e se non "ammazzano il contribuente." Ecco, questo è il busillis, riuscire a rendere le tasse eque e sopportabili. Qualche settimana fa ho accompagnato un amico all'Agenzia delle entrate per presenatre una denuncia di successione. Valore dei cespiti in successione intorno ai 27.000 euro; tassa di successione pagata quasi 1.200 euro. Siccome mi va di sfottere, ho chiesto all'impiegato retoricamente: "Ma come, la tassa di successione non era stata abolita?" A quel punto, pazientemente mi ha spiegato qualcosa che non ho capito, o meglio ho capito solo confusamente, che cioè era stata abolita, ma  per i ricchi (anche se lui non ha usato questa epressione) che esiste una franchigia di  1.000.000 di euro e che quindi si paga oltre quella somma. Allora come si spiega il fatto che il mio amico per un valore di 27.000 euro  ha pagato 1.200 euro senza poter usufruire della franchigia? Mistero! Presumo che  fosse stata abolita, ma solo per  i patrimoni finanziari, per le garndi aziende, per i ricchi insomma, non per  i  tuguri della povera gente, ma si è fatto credere agli italiani che era stata abolita per tutti.  Quanto è costato alle casse dello Stato quel regalo ai poveri milionari? Evidentemente un bel po' di Tares, ma vallo a spiegare a certi pasdaran.
Certo è difficile far capire alla gente che ferma restando la lotta agli sprechi, (anche nei paesi come Caccuri dove non mancano di certo, anzi in questi ultimi anni sono pure aumentati),  all'evasione, alle ruberie dei politici e dei furbastri a ogni livello e la necessità di ridurre la pressione fiscale,  le tasse vanno comunque pagate, soprattutto quando sono proprio le istituzioni a indossare l'elmo e il forcone e a mettersi alla testa di chi protesta (ripeto anche se giustamente) facendo a gara a chi si mostra più amico della povera gente. E' un atteggiamento che faccio fatica a capire, a meno che non non si tratti di un metodo di lotta politica intestina  legato alle vicende politiche di queste ultime ore all'interno dei palazzi romani o alle vicine elezioni di primavera. La Tares come un grimaldello o una clava, insomma.  Pazzesco!
                         
Peppino Marino

            Qualche considerazione sulla Tares

                     

   E’ arrivato anche a me il famigerato modello di pagamento della TARES, la tassa sulla quale si sta discutendo da un po’ di giorni e che ha fatto infuriare molti contribuenti, giustamente disorientati, fra l’altro, anche dal cambiamento continuo del nome dei tributi e lasciati spesso nella più totale disinformazione essendo oramai l’informazione (si fa per dire) affidata ai giornali, ai telegiornali e alle televisioni con i loro maledetti talk show  nei quali si assiste a risse continue con ospiti che si interrompono a vicenda, urlano e disorientano l’ascoltatore che alla fine non riesce a capire niente di quello di cui si parla.
    Bene, innanzi tutto mi è stato spiegato dagli
uffici comunali che la TARES sostituisce la TARSU per cui pagando la TARES, ovviamente non dovrò più pagare la TARSU,  poi, ogni tanto, una gradita sorpresa; l’importo della TARES risulta notevolmente inferiore alla vecchia TARSU. Anch’io, però, ho avuto l’impressione di pagare più tasse, ma mi è stato spiegato che questa impressione nasce dal fatto che per ritardi nell’invio delle bollette TARSU relative al 2012 e pagate quasi alla fine del 2013, si ha l’impressione che la TARES sia una tassa aggiuntiva alla TARSU.
   Acquisite queste informazioni e fino a prova contraria, essendo abbastanza ignorante in materia, ritengo, perciò, che l’introduzione di questa tassa che, ripeto, sostituisce la TARSU, si sia rivelata, almeno per me, meno onerosa della vecchia, a meno che gli uffici preposti non siano incorsi in qualche errore che, però, escluderei in quanto da un controllo degli indicatori di calcolo mi pare non ci siano errori. Ciò non significa che per altri non si sia rivelata più onerosa per motivi che ignoro o per sempre possibili errori di calcolo che, comunque, si possono  correggere a richiesta dei contribuenti. Quando il prossimo anno l’Amministrazione comunale adeguerà le bollette ai nuovi dati dei costi dei servizi i quali, grazie alla differenziata dovrebbero essere meno onerosi, anche le bollette potrebbero subire una consistente riduzione. Ovviamente questo ragionamento si basa su quanto mi è stato spiegato per cui non va inteso come un pronunciamento della Cassazione  perché potrebbe anche risultare sballato. Premesso che a nessuno piace pagare le tasse e tra quel nessuno comprendo anche me stesso, quel che invece mi preme stigmatizzare sono quei comportamenti sbagliati di chi diffonde notizie allarmistiche soprattutto quando istituzionalmente dovrebbe fare il contrario. Ciò non significa ovviamente che non si debba fare tutto il possibile per ridurre ancora le tasse, soprattutto limitando certi sprechi che poi finiscono per incidere sulle tasche di tutti. Parlo di sprechi spesso sotto gli occhi di tutti, non di servizi essenziali. Solo così i cittadini potranno pagare meno tasse e riconciliarsi con la pubblica amministrazione. Una volta queste cose si spiegavano nelle assemblee pubbliche, soprattutto nelle sezioni dei partiti, poi col tempo i partiti furono considerati palle di piombo ai piedi e svuotati del loro ruolo di centri di elaborazione di progetti politici e di informazione/formazione per cui i risultati oggi sono questi.  
Ps.
Se qualcuno considerasse questo pezzo una difesa d'ufficio di questo governo o di quello che l'ha preceduto o di qualcun altro prenderebbe soltanto una solenne cantonata.
                             
Peppino Marino

 

                                 Democratici e renziani

   

“La proposta di Electrolux è razionale. Il costo del lavoro per azienda è il triplo dopo gli oneri sociali. Per salvare il lavoro deve abbassare del 40% gli stipendi”.

"L'attuale retribuzione minima è del 20% inferiore rispetto ai tempi in cui era presidente Ronald Reagan. Date all'America un aumento. Chi ha un lavoro a tempo pieno non può vivere in povertà'. Washington (TMNews) - "Nelle prossime settimane emetterò un ordine esecutivo per imporre agli appaltatori federali di pagare i propri dipendenti un salario minimo di almeno 10 dollari l'ora, perché se cucini per le nostre truppe o lavi i loro piatti non puoi vivere in povertà"

   Ecco due dichiarazioni che ci fanno riflettere molto sul concetto di Partito democratico e su come affrontare e risolvere i problemi. La prima è di Davide Serra, imprenditore italiano, bocconiano, in passato elettore del centro – sinistra (almeno così si dice), sostenitore di Matteo Renzi alle primarie del 2012 , elettore  di Monti alle ultime elezioni per poi tornare a sostenere Renzi alle primarie  del 2013, la seconda è di un tale Barack Obama, un tipo strano conosciuto come presidente degli Stati Uniti. Due democratici, due modi diametralmente opposti di affrontare e risolvere i problemi e la grave crisi economica che investe l’Occidente e il resto del mondo. Per il bocconiano il problema si risolve tagliando il 40% del salario dei lavoratori “che è triplo dopo oneri sociali” (triplo rispetto a cosa, ai salari tedeschi o francesi o a quelli dei paesi più poveri del pianeta?) ovvero riducendo il salario e i diritti dei lavoratori italiani a livello di quelli dei lavoratori cinesi, ukraini, della Botswana, per Obama, invece, la ricetta prevede l’aumento della paga oraria dei lavoratori pubblici americani. Evidentemente Obama è un democratico, Serra solo un renziano come conferma il suo intermezzo "montiano".  
   
Al di là di considerazioni di ordine etico e politico, vorremmo capire com’è possibile risolvere il problemi di una crisi economica che è essenzialmente crisi dei consumi continuando a ridurre i salari e gli stipendi? Con quali soldi operai, pensionati, impiegati, insegnanti potranno acquistare generi alimentari, di abbigliamento, automobili, elettrodomestici, libri, giornali, cultura facendo ripartire i consumi e quindi l’economia se si continua a spolpare salari e stipendi? E’ questa, probabilmente, la domanda che si sarà posta il presidente Obama e alla quale cerca di dare una risposta con una ricetta efficace e socialmente equa come dovrebbe fare un vero partito democratico che poi è quello che Bersani, una persona che non sapeva urlare, né usare slogan a effetto, dichiarava sobriamente di voler fare, durante la campagna elettorale quando diceva che bisognava mettere in circolazione un po’ di soldi per fare ripartire l’economia. Il bello è che, curiosamente, quelli che vogliono riportare il mondo a prima del ’48 (1848, non 1948) si spacciano per riformisti e modernizzatori, mentre quelli come Obama, almeno in Italia, vengono considerati conservatori. Così va il mondo. 

                            
Peppino Marino


         
     Scusate se sono poche, ma una legge elettorale.... 

Davvero esilarante il Renzi di ieri mattina al TG1; esilarante e patetico: commovente, quasi simpatico se così si può dire di uno come lui. Il politico che ha convinto centinaia di migliaia di italiani  di essere l'uomo della Provvidenza, che con la sua rottamazione avrebbe fatto sfracelli e risolto tutti i problemi dell' Italia, ma che si è consegnato incaprettato al pregiudicato  Berlusconi come il più ingenuo dei pivelli, intervistato dal TG1 ha espresso più o meno questo concetto (cito a memoria per cui le parole   probabilmente potrebbero risultare leggermente diverse, ma il significato non cambia): " Il fatto di poter scrivere finalmente le regole insieme ha creato scompiglio."  Bravo. Ha perfettamente ragione; scrivere le regole insieme a Berlusconi è facilissimo e oltremodo rapido quando uno fa da scrivano e un altro detta. Il problema, vista la bozza di legge proposta ( una porcata al quadrato)  è quello di stabilire chi dettava e chi scriveva sotto dettatura e, avendo osservato per anni, nel corso del mio lavoro di insegnante, colleghi che dettavano e alunni che scrivevano, sinceramente non riesco a immaginare un Renzi nelle vesti di Totò nel fortunato sketch di Totò, Peppino e la malafemmena, piuttosto in quelle di Peppino.  
                                  
Peppino Marino

                                         Morire a rate

                 

Nel paese di Machiavelli e di Cavour può mancare tutto, ma non certo il cinismo che spesso si accompagna al sarcasmo o, se volete, all'ironia, fate voi, con risultati davvero esilaranti. Provare per creder a dare un'occhiata a questo cartellone  pubblicitario che mi è capitato di vedere in una città italiana. Lo slogan, ovviamente macabro, dato il tema trattato,  è degno dei più grandi maestri dell'horror come Hitchcock, Breton,  Magritte o Bunuel e anche la trovata non è niente male. Se oltre a pagare  il funerale a rate si  potesse, magari in futuro, anche morire a rate, lentamente, senza nessuna fretta potrebbe risultare molto consolante e potrebbe anche contribuire a esorcizzare efficacemente la paura della morte. A proposito mi viene in mente il tiro mancino che un ignoto buontempone parigino giocò a un povero pubblicitario stroncandogli la carriera. Una volta Parigi fu inondata da migliaia di manifesti che promuovevano una campagna contro l'abuso di alcol. Il pubblicitario ebbe l'infelice idea di far scrivere sui manifesti lo slogan "L'alcol uccide lentamente" per cui il burlone si divertì ad aggiungervi in caratteri ben visibili con un pennarello: "E a me che me ne frega? Mica ho fretta. "
                         Peppino Marino

                              Provincialismo alla rovescia

                        

  Dopo l’interminabile bombardamento di  devolution, di welfare, di exit polls’, di antitrust, di election day, di family day,  di Gay pride  ci siamo dovuti sorbire per quasi due anni la spendig review annunciata in tutti i telegiornali, videogiornali, talk show, salotti e salottini televisivi. Insomma una specie di mobbing aggravato dalla no tax area, dalla carbon tax, dai  question time, dalle autority e dalle leadership vere o presunte.
Speravamo che politici e giornalisti della televisione, della carta stampata e di quella riciclata avessero finalmente esaurito le scorte del loro magazzino di termini inglesi che quotidianamente ci propinano quando ecco caderci addosso il job act.  A questo punto non sappiamo se rallegrarci per la prospettiva di dare lavoro a tanti disoccupati o indignarci per il provincialismo alla rovescia dei nostri politici e dei nostri giornalisti.  E’ inutile, non c’è più rimedio: entri in un ospedale e senti parlare di day surgery, di day hospital, di chek up, accendi un computer e ti ritrovi sommerso di termini inglesi, cerchi di tenerti informato sulle vicende politiche e devi desistere immediatamente. Già una volta ci si lamentava del politichese  adoperato forse per non farsi capire, ma che almeno si limitava a all’uso di un italiano ancorché gergale , ora al politichese si è aggiunto l’inglese per cui è diventato ancor più complicato districarsi nei meandri della politica. Non sarebbe più semplice e più corretto nei confronti di noi buzzurri che non conosciamo le lingue dire “revisione della spesa” al posto di spending review o “piano per il lavoro” al posto di  job act? E dire che non ho mai voluto emigrare perché non conoscevo le lingue! Ma allora ditelo chiaramente che la lingua italiana è abolita, magari approvate anche una legge ad hoc (questo è latino, non inglese) composta da un solo breve articolo: la lingua italiana è abolita e sostituita dall’inglese.
                             
Peppino Marino

                                 

                                            Gli insegnanti come Lupin?                                                  
                                  Restituite il maltolto

                  

Dopo le clamorose gaffes di alcuni ministri del governo Monti credevamo di aver visto ormai tutto, ma in questa nostra pazza Italia dobbiamo abituarci all'idea che al peggio non c'è mai fine e che fin quando non saremo sul letto di morte potremmo vederne ancora di pù clamorose. La vicenda dei 150 euro mensili  percepiti nel 2013 come scatti di anzianità sottratti negli anni scorsi da Tremonti, poi restituiti lo scorso settembre dal governo in carica e che ora gli insegnanti avrebbero dovuto restituire a loro volta, se non fosse tragica sarebbe tutta da ridere.  Insomma per qualche ora si è pensato che i docenti italiani dovessero restituire una sorta di maltolto come dei volgari truffatori colti con le mani nel sacco. Bene ha fatto Matteo Renzi a chiedere di porre immediatamente rimedio a questa decisione vergognosa e bene hanno fatto anche Gianni Cuperlo ad ammonire il governo a non "prendere in futuro l'autostrada contromano" ed Enrico Letta a intervenire sui suoi maldestri ministri per annullare questo insano progetto, ma per gli insegnanti, una categoria di lavoratori che sono da anni in trincea sui fronti più caldi, frustrati, dileggiati, costretti a lavorare per stipendi di fame in edifici fatiscenti, ciò non può bastare. Sono decenni oramai che, complici anche i sindacati che hanno barattato spesso gli aumenti salariali degli insegnanti per mezzo piatto di lenticchie, mentre creavano  all'interno della stessa scuola figure inutili e super pagate,   gli stipendi restano fermi, mentre il costo della vita continua a salire vertiginosamente. Si chiede ai docenti di restituire quattro miserabili soldi dopo anni di blocco degli stipendi nel mentre si concedono vergognosi aumenti dei pedaggi autostradali quando con tutto quello che incassano i concessionari le si potrebbe lastricare d'oro. Ma veramente si pensa di poter continuare ad andare avanti così mantenendo gli stipendi dei docenti italiani bassissimi, i più bassi tra i paesi europei più avanzati, aumentando a dismisura i carichi di lavoro come il padrone dell'asino di Apuleio  e pretendendo nel contempo sempre maggiore professionalità? Qui oramai non si vogliono più  fare le nozze coi fichi secchi, ma  addirittura con fichi marci.
                      
Peppino Marino


            Napolitano batte i populisti con 776 .000 spettatori in più

  Ogni tanto una buona notizia. Nonostante il boicottaggio di sedicenti comici che non hanno mai fatto ridere, di camicie verdi ed elmi celtici, di brunette e di biondine, il discorso di fine anno con il tradizionale messaggio augurale di Napolitano ha registrato un incremento di ascolti pari al 12,2% rispetto all'anno precedente con un incremento di ben 776.000 spettatori. E' un dato stupefacente in quest'Italia dell'antipolitica e dopo anni e anni di spappolamento dei cervelli operato da televisioni insulse e da media sempre più asserviti al potere e/o a un populismo d'accatto e d'accattoni che fa da coltraltare a una mala politica spesso intollerabile che ha finito per trascinare nella melma anche i tanti politici onesti e competenti che pure ci sono in questo martoriato paese. Non entro nel merito delle cose dette in questa occasione dal Presidente, né delle scelte operate in questi quasi otto anni di "regno". Molte scelte le ho condivise e le ho ritenute convincenti, altre mi hanno lasciato perplesso e le ho trovate difficili da digerire come quella di averci fatto diventare per qualche tempo tutti bocconiani convinti che solo i bocconiani avrebbero potuto salvare la Nazione, salvo poi ritro-varci ministri incompetenti e saccenti che hanno prodotto guasti incalcolabili. Ma Giorgio Napolitano è il Presidente della Repubblica, il Capo dello Stato, la massima istitituzione repubblicana, la suprema Magistratura dello Stato e merita, sempre e in ogni caso, il rispetto che si deve alle Istituzioni repubblicane, quelle istituzioni che hanno sempre e comunque garantito, pur nella dialettica a volte anche aspra tra le forze politiche, tra mille difficoltà e problemi che ci hanno afflitto e che ci affliggono tuttora, anche  in anni bui  vissuti pericolosamente, la libertà , la democrazia e l'integrità del Paese. Ciò, ovviamente, prima che arrivassero barbari, affaristi e populisti.
                                     
Peppino Marino


                                
Caro 2014,  portaci .............


  
 Cosa chiedere al nuovo anno che é appena arrivato, oltre alla salute, alla pace, alla serenità e alla prosperità? Io qualche idea ce l’avrei. Intanto la fine dei conflitti che insanguinano il mondo, a partire da quelli del vicino Medio Oriente, ma ciò è già compreso nella richiesta di pace;  poi una ripresa economica, un lavoro per tutti  che non sia precario, ma dignitoso e sicuro e in grado di evitare tragedie come quella di ieri a Collegno, ma anche questo è compreso nella richiesta di serenità e prosperità. Ci sarebbe la richiesta di una classe politica meno litigiosa, più seria,  più impegnata a risolvere i problemi della collettività, insomma una classe politica come quella dei primi decenni della tanto vituperata “Prima Repubblica”, ma questa è un’utopia, così com’è un’utopia la speranza che i mezzi di informazione la smettano di occuparsi di pettegolezzi, di attizzare liti da comari tra i politici presenzialisti che passano più tempo negli studi televisivi a registrare talk show ( liti da pollaio secondo l’unica affermazione condivisibile di Berlusconi) che non nei luoghi istituzionali e che faccia, finalmente informazione vera sul modello anglo sassone. E’ un’utopia anche quella di liberarci dei comici che non fanno ridere e che tengono oramai in pugno l’Italia come l’avevano in pugno durante il ventennio i maestri di scuola, come fece notare acutamente Carlo Levi, e che tanti guasti stanno provocando, a cominciare dalla diffusione della maleducazione e dal turpiloquio. Come si vede, tutto è difficile e utopico in Italia in questo primo scorcio del XXI secolo e allora non ci rimane che ripiegare su obiettivi minimi. Ad esempio, sperare che il nuovo anno ci porti davvero l’abolizione delle province. Sarebbe certamente un bel regalo che potrebbe cominciare a riconciliarci con la classe politica.
                            
Peppino Marino