Andrea Marini parte da una serie di interrogazioni filosofiche le cui radici risalgono agli albori dell´era tecnologica, quando già La Mettrie con il suo Homme-machine e Thomas Carlyle con The Signs of the Times ponevano sul piatto questioni divenute sempre più complesse con il progredire della scienza. Il campo dell´arte coglie dunque l´immaginario collettivo che cambia con lo sviluppo dell´artificio. Con un'ottica di tipo critico-negativo, intorno al binomio naturale-artificiale, l´artista, con un processo in apparenza mimetico, ricostruisce forme paranaturali: bozzoli, larve, spore, forme evocative di embrioni, germinazioni, proliferazioni, contaminazioni.
L´idea fondante è quella dell´ambiguità messa in atto dalla simulazione mimetica, creazione artificiale messa in rapporto e a confronto con la creazione naturale. L´uomo sfida la natura sul terreno stesso della creazione, un uomo-dio che giunto sul limite osa e pone lo sguardo verso l´abisso. Gli esiti, però, restano ignoti, sospesi, inquietanti, fissati sul piano dell´interrogazione, sospesa ed irrisolta anch´essa. Le questioni restano dunque tutte aperte senza risposta definitiva. L´ambiguità della simulazione mimetica resta costante, in apparenza forme naturali, in realtà artificiali. Le opere di Andrea Marini in mostra sono significative di quanto detto. Proliferazione è un'installazione del 1997, costruita con carta, alluminio, piombo e stagno. L'opera suggerisce l'immagine di forme ibride, licheni, funghi, muffe, escrescenze, che tendono a moltiplicarsi e a contaminare l'ambiente circostante. Del 2006 Spore, in polietilene espanso. Qui l'ambiguità ancora più evidente, il colore bianco lucido si mostra invitante e piacevole, le cellule si moltiplicano vibranti di luci, suggerendo l'idea di una soluzione felice, ma l'esito finale resta inconoscibile e, proprio perché in apparenza inoffensivo, risulta ancora più inquietante. Resta sospeso anche l´interrogativo se il processo di proliferazione-contaminazione sia dovuto ad azione umana voluta o involontaria, certi però i risvolti angosciosi dell´azione perturbante, compresi quelli degli esiti delle biotecnologie. Una "gestazione misterica" che lascia nella condizione del dubbio. Equilibrio difficile tra uomo e natura in tempi di continua trasformazione ove l´unica certezza è l´incertezza permanente.
Elda Torres, 2007

"For me" o il dono dell´artista a se stesso, la ricerca di un´identità, di un´individualità espressiva, di un diverso modo di stare al mondo, di osservare la realtà e di immaginare le cose. "For me" ma anche FORME ricercate, scoperte, improvvisamente trovate oltre la razionalità, oltre la rappresentazione o l´interpretazione. Forme colte sul ciglio di una strada, dietro un finestrino sfuggente, accumulate, moltiplicate, gettate in un angolo, sognate in una notte di insonnia, viste sullo schermo di un Pc, ideate e lasciate fluire dallo scorrere delle mani sulla materia. Ogni artista cerca la sua forma, scavando nella propria sensibilità visiva e poetica alla ricerca di un personale sguardo e di un´idea emozionale e autocosciente.
Nell´eterna questione tra "forma significante" ed "espressione emotiva", nel conflitto sempre aperto tra progettazione e istinto creativo e nella logica binaria modernista di forma/contenuto o di astrazione/figurazione, si può giungere infine a rintracciare la vera essenza dell´arte, suggerita da molti artisti contemporanei: quella della forma come visione "privata", come sintesi visiva e semantica del proprio personale immaginario che si offre "in dono" agli spettatori, alla gente comune, all´umanità, ma soprattutto a se stessi, come condizione necessaria e personale di comprensione del mondo.
Qui gli artisti sono 4: quattro concezioni dell´arte, quattro diversi progetti di forme − che con un ulteriore gioco di senso linguistico abbiamo definto "Fourme" − che alterano il reale in un senso riflessivo e autentico. Ciascuno, per creare il proprio mondo morfologico e semantico, ha ribaltato l´equilibrio visivo, ha superato l´idealismo della materia e la regolarità dello spazio tradizionale. ............... La ricerca della forma diventa, dunque, desiderio di nuova nascita, di metamorfosi corporea e trasformazione poetica per una diversa visione del reale. Come le affascinanti sculture-creature di Andrea Marini che si autogenerano e prolificano in intere famiglie di organismi nuovi che stanno a metà tra il mondo naturale e quello animale, tra l´umano e l´artificiale, tra una vita biologica primordiale e un´esistenza post human, in cui il tecnologico ha lasciato spazio alla manipolazione naturale, spontanea e poetica della forma. Gli "agglomerati" di esseri biomorfici, chiusi nelle loro dimore-alveoli, nei loro bozzoli vitrei come membrane di placenta, come feti racchiusi in incubatrici protettive si moltiplicano in un divenire quasi vivente, dove la materia si confonde con la vita, l´arte con la scienza. L´artista-creatore si trova, così, nella condizione di osservare, analizzare, interpretare il reale per denunciarlo, criticarlo o distaccarsene attraverso una propria sintesi ideale. ...........
Fiorella Nicosia, 2006

Un viaggio nella psiche, attraverso le porte della memoria. I ricordi, evanescenti, si materializzano confondendosi col sogno, affiorano particolari, altri si perdono.
Alice è corsa dietro al coniglio bianco, verso un onirico mondo sotterraneo fatto di paradossi, di assurdità e non sense. Alice ha guardato dentro di sé, immergendosi in una dimensione fantastica costituita da sogni e reminescenze dell'esperienza reale in continuo contatto. Dove porta il suo viaggio allucinatorio? Dov´è ora Alice?
................ Un desiderio freudiano di materializzare ciò che popola il subconscio, lo stesso che caratterizza il lavoro di Andrea Marini, compagno di viaggio di Pupi in questa mostra a due. Marini ritrova i luoghi del meraviglioso peregrinare, evocando contrasti e contatti tra dimensione naturale e artificiale. Resine, vetroresine, materiali plastici e metalli si combinano in strutture che suggeriscono possibili forme organiche dalle immense potenzialità evolutive. Elementi primordiali che sembrano alludere ad una nuova biologicità che come un virus si adatta a diverse situazioni. Marini plasma la materia giocando con le proprietà fisiche dei materiali, sottomettendole alla morbidezza delle forme organiche che sembrano attendere solo un soffio, un alito di vita. Se è vero che la fotografia è di per se sublimazione di un esatto momento è altrettanto vero che la scultura ne amplifica le intrinseche caratteristiche. Una lezione che i due artisti sembrano conoscere a fondo: Pupi rende la fotografia tridimensionale e Marini, viceversa, cogliendo l'attimo esatto di una imminente trasformazione, trasferisce le potenzialità del media fotografico nella scultura. Il comune obiettivo di rendere eterno il momento fugace sembra inseguire l'ancestrale umana illusione di sconfiggere la morte. La dimensione allucinatoria del viaggio interiore, solo apparentemente offre una protezione dalla realtà esterna e inevitabilmente si fa strumento per svelare i lati più oscuri della nostra interioritè, da un lato memoria di momenti passati e dall'altro visione di un futuro inquietante.
Loris Schermi, 2005

Ri-creazione del mondo, ri-creazione di un mondo "altro" tra le bianche e asettiche pareti di due sale espositive in un viaggio che si insinua tra il conscio e l´inconscio tra lo stupore e l´angoscia. Roberto Pupi e Andrea Marini agiscono insieme in questo spazio plasmato da immagini che disorientano e forme di vita allo stato primordiale e sul punto di divenire chissà che cosa. ...................
Anche le sculture di Andrea Marini sembrano muoversi in questo limbo di incompiutezza con tutta la forza, però, che essi serbano in potenza. Esseri incubati in placente di vetroresina (gestazioni 2005), microrganismi giganti che si insinuano tra i piedi (Organismi 1993), foreste svianti che fanno da soglia ad un mondo, forse quello di Alice, quello onirico o quello della psiche che comunque cerca di trovare una collocazione, un ordine per poi subito sovvertirlo. .............
Francesca Pontuale, 2005

Andrea Marini ama definirsi "costruttore", le sue opere si sviluppano nella terza dimensione, s´inseriscono nell´ambiente circostante e lo modificano. La sua poetica da sempre si basa sul rapporto Natura e Artificio: egli crea "esseri" dalle sembianze attualmente paradossali e inconcepibili, ma che in un futuro non poi così lontano, potrebbero nascere, crescere, svilupparsi, secondo regole biologiche. Ibernauti è un curioso neologismo, coniato dall´artista stesso, che dà il titolo alla mostra e all´installazione appositamente ideata per lo spazio espositivo all´interno della Libera Accademia di Belle Arti di Firenze: una sorta di environment che ci trasporta in una dimensione altra. Conoscevamo gli argonauti, gli astronauti, i cosmonauti e quant´altro, ma di navigatori dello spazio conservati a bassissime temperature non avevamo ancora sentito parlare. Chi sono? Da dove vengono? Dove vanno? Sono esseri unicellulari, plurisensoriali (maschio o femmina?), tridimensionali e bidimensionali al tempo stesso; vivono di luce riflessa ma poi emettono radiazioni e vibrazioni proprie, sono presenze che sfumano in assenze; sono docili e fragili, sono malleabili: fluorescenze, escrescenze, protuberanze ..... hanno arti-tentacolo, volti-proboscide, sono tutta-mente, sono esseri superiori. Sono scultorei e pittorici, reali e virtuali, elettromagnetici, robotici, cibernetici, transgenici. Sono avvolti in garze di mistero, simboleggiano l'incertezza del nostro futuro. Affondano le radici in un immaginario collettivo ai confini della realtà, in bilico tra scienza, horror e fantascienza: Alien, E.T., The elephant man, 2001: Odissea nello Spazio. Vivono all'interno di un ambiente indefinito e indefinibile, circondato da impulsi elettrici, suoni ed ultrasuoni, sono immersi nelle note della notte "sanza tempo tinta". Rappresentano tutto quello che non siamo e che vorremmo essere, sono la nostra storia, la nostra memoria, sono il chip, sono il bip, il bit, il battito animale, la nostra evoluzione e la nostra involuzione. Sono la soluzione? Future generation: il verbo essere di una coniugazione incerta. Sono il sogno di Icaro, il mito di Ulisse, ordinate e ascisse, la chiaroveggenza, la volontà di potenza, l'ubiquità e l'immortalità. Sono le lancette senza le ore, il nostro organo riproduttore, la storia infinita, la stella cometa, la speranza di vita su un altro pianeta. O forse sono solo una scheggia impazzita, un lapsus, un cortocircuito della nostra mente. Chissà .... ai posteri l'hardware sentenza.
Patrizia Landi, 2004

Ibernauti è un neologismo ideato per attribuire un nome ai protagonisti dell'ultima invenzione di Andrea Marini. Sono tre forme di vita, cefalopodi mutanti, extraterrestri tentacolari, che fluttuano appena staccati dalla parete in una stanza quasi completamente buia. Sono viaggiatori, che provengono da lontananze siderali - o dal più vicino laboratorio scientifico - nauti, appunto, naviganti. E si spostano in una navicella immaginaria, che per conservarli ha ridotto al minimo le loro funzioni vitali, li ha ibernati. Lampade wood illuminano la superficie scabrosa, impregnata di un liquido fosforescente, mentre risuona il basso continuo di una distorsione sonora composta con la rielaborazione di un mandala tibetano e il ticchettio ferroso di un macchinario in movimento. Il repertorio della fantascienza c'è tutto, quello letterario, quello iconico e quello cinematografico; da Lovecraft a Ridley Scott, dall'Abisso di Maracot alle mostruose macchine di Matrix, senza trascurare le atmosfere indimenticabili di 2001 Odissea nello Spazio. Ma nelle intenzioni, e negli esiti, la citazione dell'immaginario fantascientifico è solo uno degli ingredienti, un elemento che rispetto all'operazione concettuale ha la dimensione di un contesto scenografico. Patrizia Landi, nella presentazione della mostra, esordisce con una dichiarazione dell'artista che ama definirsi "costruttore". Andrea Marini, infatti, con Ibernauti dà seguito ad un'inclinazione già manifestata altrove, un'attenzione per la forma - e le forme - che si connota di una certa vocazione demiurgica. L'artista è creatore di identità mutanti, transgeniche si potrebbe dire; operazioni che da un lato si allineano con l'instabilità del tempo corrente (quello delle nuove frontiere della scienza, dell'etica, di possibilità sempre meno remote sull'esistenza di altri mondi), e parallelamente rimandano alla figura ancestrale di un creatore, costruttore appunto, architetto dell'universo. Le sculture è necessario chiamarle così, perché alla base c'è una raffinata consapevolezza del senso plastico dell'opera - suscitano orrore o un sentimento di solidarietà, secondo quanto maturi nello spettatore la coscienza della prossimità tra il loro mondo e il nostro.
Pietro Gaglianò, 2004

alchemistiche presenze in nero.
Tre magnifici esemplari di qualcosa. Ibernauti, li chiama Andrea Marini, e stanno appesi nel fondo nero di una specie di straordinaria pala d'altare tridimensionale, una camera oscura. Il nero ci avvolge, ci imbarazza, soprattutto ci pietrifica: non capiamo dove siamo, quale ostacolo reale o immaginario, esterno o interno a noi stessi, ci sta forse tendendo un agguato, ogni passo sembra un azzardo. Il nero nel quale le tre creature e noi siamo immersi ci smaterializza, ci confonde le coordinate, l'avanti e l'indietro, il sotto ed il sopra si prendono tutte le libertà che vogliono.
Dal nero emergono i tre Ibernauti, ma è forse più esatto dire che dal nero emerge il tre. Sono le Grazie, le Parche, le Ore, le Gorgoni, le Graie, le Erinni o le Eumenidi. Sono la Trimurti e la Trinità;, la "triratna", il Corpus, anima e spiritus del mondo alchemico, i Re Magi, le Tre Marie.
Sono tre figure che si palesano lievi e verdastre sotto le lampade di Wood mentre il buio è invaso da una vibrazione sonora primordiale preparata da Andrea Baggio: non si tratta solo di un'opera da vedere quanto di un'esperienza da condividere.
Gianni Caverni, 2004

Forme sinuose, creature allo stato embrionale, che però possono ormai vantare solo una parziale somiglianza con ciò che la Natura crea: queste le sculture di Andrea Marini, scultore e artista fiorentino, che martedì hanno inaugurato la sua mostra presso la sede del Tessilform della stilista Patrizia Pepe. L'installazione di Marini, con la grande opera Sradicati, iniziata nel 2002 ma finita nell'anno in corso, e con un'altra opera di dimensioni minori, ma dall'innegabile fascino, ha avuto come collocazione la zona semicircolare creata dalle scale nella hall dello stabile. La scultura, intreccio pseudo-naturalistico dalla raffinata bellezza, realizzato in vetroresina, è un incredibile connubio tra realtà e fantasia. Gli intrecci di Sradicati si sviluppano, si intersecano tra loro ma, se si osservano con attenzione, appaiono come dolenti - spiega l'artista. Queste sculture parlano di una realtà naturale anomala, modificata fino al punto ad essere (paradossalmente) colorata.
Le tonalità che colorano la superficie, costituita da vetroresina, si concentrano, infatti, nelle sue radici. Proprio le radici, che oltre da fungere come basi di sostegno dovrebbero essere il mezzo attraverso il quale l'essenza organica nutre la pianta, sono state rese come parti di un essere ormai del tutto corrotto. Le opere di Marini, frammenti e ricordi di creature un tempo vive, portano così lo spettatore a riflettere di quanto sia possibile una interazione e un dialogo tra l'artificiale e il naturale, la coesistenza in un universo nel quale non sia più possibile scindere tra una realtà sofferente (in quanto contaminate ed alterata) ed una del tutto irreale e fantastica. Il progetto della mostra si inserisce in quella che è la scelta artistica seguita dall'azienda, ossia di unire l'arte alla moda, come fossero un binomio inscindibile. Sradicati composta dai suoi esili steli, si inserisce nello spazio che la circonda in modo armonico e non intrusivo, anche grazie alla struttura che la ospita.
Marta Casati, 2003

Centro gravitazionale della moda, la Tessilform della stilista fiorentina Patrizia Pepe si inserisce anche nei circuiti dell'arte contemporanea. Molte iniziative curate dal Direttore Artistico Ronaldo Fiesoli hanno animato la stagione invernale. L'ultima, solo in ordine temporale, è stata inaugurata il 1 Aprile con Sradicati, installazioni di Andrea Marini. Frammenti di natura, radici che non radicano, rami spezzati di improbabile colore lattescente. Elementi naturali che naturali non lo sono affatto, elementi che rasentano la fantasia e l'incubo, limite estremo fra reale ed immaginario. Gli steli in vetroresina si stagliano in altezza ripercorrendo il contorno dello spazio che li avvolge. L'apparato radicale, principio di essenza e nutrimento sorregge le strutture ma non le alimenta, funge da sterile piedistallo su un pavimento lucido. Non linfa vitale ma tenui colori, patetici e sofferenti, sembrano circolare in questi strani scheletri arborei contaminati che non possiedono più DNA di richiamo all'esistenza e alla continuazione della specie. L'artista coniuga sapientemente realtà ed artificio in una raffinata sintesi. Dosando l'idea di elementi naturali con materiali artificiali genera creature border line fra vita e morte, fra fertilità e inefficace aridità. Le due installazioni ancora una volta stimolano la dialettica fra naturale e artificiale non delineando mai confini netti, ma dissolvenze ad effetto che suscitano sensazioni di disagio e spaesamento. E l'effetto è amplificato dall'ambiente espositivo, così raffinato, così architettonicamente pulito da esaltare questi esili steli che costituiscono il fulcro della grande hall. Lo scalone elicoidale li avvolge, quasi a proteggerli dalla inevitabile fine e contrappone ad essi un colore rosso vitale, antitesi e nello stesso tempo thèsis come corollario di un universo dove il confine tra realtà contaminata e realtà fantastica appare estremamente labile, come dice l'artista stesso. Andrea Marini sente l'esigenza di esprimere lo sradicamento che ogni essere subisce di fronte alle enormi trasformazioni che alterano e corrompono i normali flussi vitali. Ma il risultato estetico non è sgraziato. Piuttosto è grottesco, crea distacco emotivo con l'uso di un esagerato rigore formale, esalta il contrasto nella ricerca di un nuovo quanto illusorio equilibrio biologico.
Daniela Cresti, 2003

...... Andrea Marini crea oggetti "che non esistono in natura, ma che potrebbero nascere e svilupparsi secondo proprie regole" (P. Landi). Inventa "forme allo stato embrionale", a cui da titoli significativi: Coltura, Infiorescenza, Incubazione. L'artista gioca sulla mutevolezza dell'oggetto, sulla sua ambiguità: "i Nidi", costruiti di filo spinato, possono diventare anche "Trappole"; sono involucri che rimandano a "percorsi interiori, fili della memoria che a volte si dipanano e alle volte si inviluppano riavvolgendosi su se stessi in atteggiamenti di attesa" (P. Landi). Attraverso l'immaginario organico fantastico di Marini, materiali della produzione industriale (polistiroli, resine, vetroresine, smalti, metalli) si trasformano in volumi di formale semplicità, la luce naturale viene sostituita da luci artificiali (neon e lampade Wood), giungendo infine ad essere concepiti come nuovi codici di vita ......
Introduzione alla Mostra di Villa Vogel, Firenze 2001

...... Andrea Marini ama definirsi costruttore; le sue opere, infatti, si sviluppano nella terza dimensione, sono lavori a tutto tondo che s'inseriscono nell'ambiente circostante e lo modificano. Egli crea nuovi oggetti, forme che non esistono in natura ma che potrebbero nascere e svilupparsi secondo proprie regole. Marini inventa "macchine per far crescere forme allo stato embrionale" (a tal proposito i titoli sono significativi: coltura, infiorescenza, incubazione ) e nel processo di fotosintesi sostituisce la luce naturale con fonti luminose artificiali come il neon o la lampada di Wood. Inoltre l'artista gioca sull'ambiguità dell'oggetto, del rapporto contenitore-contenuto. I nidi, costruiti di filo spinato, possono diventare anche trappole a seconda del punto di vista dal quale si osservano. Sono strutture esterne che simboleggiano percorsi interiori, fili della memoria che a volte si dipanano e altre volte si inviluppano riavvolgendosi su se stessi in atteggiamento di difesa. Così anche la selva, costituita con arbusti in vetroresina, è sinonimo di tana, rifugio, ma anche di quel senso di turbamento e smarrimento di dantesca memoria ......
Patrizia Landi, 2000

...... Andrea Marini, muove da una dimensione avvolgente e tondeggiante direttamente in fronte altrimenti avvolgente, che è forse più proprio definire acuto, spigoloso, in alcune opere - per i materiali usati - scomodo al tatto e però ogni volta tale da risultare fascinoso alla vista. I titoli delle opere, tutti, fanno esplicito, poetico riferimento ad una situazione di vitalismo rilevato ovunque, dell'aria come nella materia: questi ambedue si fanno oggetto, scultura fisico/sensibile che impegna lo spazio, dichiaratamente per priorità installative, quindi anche per scansione di tempi, di ritmi. Se il nucleo primario dell'opera è da individuarsi nella necessità o problema linguistico che fisicamente si pone all'artista ogni volta in maniera differente - dalla resina al filo di ferro, ebbene è proprio a procedere su questo che cresce e si sviluppa la forma, ammiccante, ambigua nella sua fisicità, quindi anche magari surreale (lunare), in ogni caso tale da risultare calda e disincantata, ovvero prossima all'ironia che sempre si accompagna alla riflessione ......
Giandomenico Semeraro, 2000

...... Andrea Marini, senza troppo facili toni drammatici, cercando l'obiettività e il distacco dell'osservatore imparziale, ma non rinunciando a una certa dose di ironia, ha creato questo universo dai toni grigi, dalle superfici opache, mantenendo o trasformando, con grande conoscenza inventiva, le caratteristiche dei materiali usati. Un universo nel quale naturale e artificiale non si scontrano più ma al contrario si intrecciano partorendo una nuova era del mondo nella quale, pur essendone stato l'artefice, sembra essere proprio l'uomo a doversi sentire a disagio e, rassegnato e stupito, a dover aspettare il lento procedere della propria estinzione ......
Gianni Caverni, 1998

...... L'idea fondante della produzione artistica di Marini, sin dagli inizi, è quella del divenire che si attua attraverso la trasformazione, generando la forma un altra forma, la materia altra materia, in un continuum che evoca quello della natura. Da sempre sono elementi basici della sua ricerca i nessi, il continuo rapporto dialogico tra il mondo organico, vegetale e animale, e quello inorganico, tra gli elementi naturali e quelli artificiali, e questo risulta evidente anche dai materiali usati, con l'accostamento di materie naturali, come il legno, il ferro, il piombo, l'alluminio, il rame, con altre artificiali come la gomma, il plexiglas, il polistirolo, il vetroresina ......
Elda Torres, 1995

...... Oggetti che negano ogni possibilità di essere utilizzati ed evocano sia un immaginario architettonico dagli apparenti, precari equilibri, mettendo a diretto contrasto solidità e fragilità, sia forme zoomorfe, unicellulari, appartenenti a quel mondo biologico che per sua stessa semplicità strutturale, si rende immortale. E' una fusione di memoria e invenzione, organicità delle forme e artificialità dei materiali ......
Fiammetta Strigoli, 1994

...... Per Marini il fare è verifica processuale delle possibilità della forma (e quindi della scultura) di rinnovarsi senza tradire il proprio statuto. I suoi lavori sono legati l'un l'altro non solo da una familiarità formale ma anche da una coerenza metodologica, che possiede una caratteristica del lavoro scientifica, la disponibilità al sottoporre a verifica continua e - se necessario - a revisione ogni acquisizione ......
In filigrana nel lavoro di Marini si legge il tentativo di sondare la capacità dell'uomo - e per riflesso dell'arte - di confrontarsi con il potere della natura stessa di autorigenerarsi, di trovare in se la ragione, l'energia e la sostanza per giustificare la propria esistenza ......
Lia De Venere, 1993

...... Ma l'evidente predilezione per il doppio, per la concordia discors (armonia discorde cara ad Orazio), è forse in definitiva la corda più autentica dell'immaginario poetico ed espressivo evocato da Andrea Marini: nelle sue opere si legge infatti, con l'efficacia propria di quegli artisti che sanno coniugare l'adeguatezza formale alla chiarezza del loro assunto, una lotta tuttora in atto tra l'esigenza di sottoporre ogni pulsione esistenziale alla forza ordinatrice della ragione e il bisogno, egualmente insopprimibile, di abbandonarsi alle seduzioni della natura e della materia ...... Non pare inutile, in conclusione, tentare di individuare le radici estetiche dello stile di Marini nella profonda riflessione sulla stagione concettuale degli anni Settanta - che sembra avergli offerto spunti soprattutto in direzione della sintesi espressiva - unita anche a un'attenzione verso alcune esperienze di certo poverismo legato all'espressività e all'evocatività materica, quale, per limitarci a un solo possibile esempio, quello di Giuseppe Penone. Ma, probabilmente, è proprio la radice fiorentina - con il mio dell'umanesimo ancora oggi così radicato - ad aver fornito più di uno stimolo alla poetica di Marini: forse, se si dovesse suggerire un nome di artista di quella lontana e gloriosa stagione dell'arte toscana, non sbaglieremmo troppo nell'indicare in Donatello, creatore dell'equilibrio formale umanistico e al tempo stesso suo distruttore, un punto di riferimento ideale di Andrea Marini ......
Emidio De Albentiis, 1993

...... Le colonne alberi nascono dalla piallatura di reperti lignei che involontariamente disegnano strutture possibili, ancora possibili per il faber Marini, artefice demitizzatore, che conosce la forza della decostruzione, del filo sottile che lega, nel lavoro creativo, il minimo di organizzazione strutturale e il massimo delle invarianti casuali. Marini è artefice che costringe per inserti taglienti, seduttivi, la malleabilità plastica e carnale del legno con la durezza e freddezza delle lastre metalliche, che mette in relazione d'attrito lo spazio con la direzionalità plurima, precaria, ritmica, indicata dalla asimmetria degli incastri organici tra piani plastici ......
Gino Calenda, 1989