Pagina iniziale
Rassegna stampa locale
Rassegna stampa nazionale
Approfondimenti

Da LA REPUBBLICA del 14 marzo 2004

Al Qaeda ha portato l'11 settembre in Europa con un duro attacco alla democrazia dell'occidente

L'attacco terrorista alla democrazia

di Ezio Mauro

ADESSO che la peste è arrivata tra noi, con Al Qaeda che ha portato l'11 settembre in Europa, trasformando un continente in bersaglio, c'è una seconda domanda che tutti ci facciamo, dopo esserci chiesti per giorni chi è stato. È una domanda da fine secolo disorientato, più che da inizio di un nuovo millennio: nel mondo in cui stiamo entrando, noi chi siamo, i vincitori tecnologici ed economici o le vittime sacrificali designate? E nello stesso tempo, chi sono e contro cosa combattono coloro che ci attaccano? Perché siamo diventati loro nemici noi, l'Occidente che ha vinto, i Paesi liberi, i vecchi Stati di diritto liberali? Che cosa ci lega alla parte oscura del mondo e rovescia la nostra civiltà in qualcosa da annientare?

A questa unica domanda siamo impreparati, come se il Novecento ci avesse lasciati esausti. Faticosamente, proprio qui in Europa siamo fuorusciti dalle ideologie che hanno messo a ferro e fuoco il continente minacciando il mondo, con la convinzione di aver compiuto la storia, affermando un modello universale, l'unico superstite dopo lo scontro con i totalitarismi. Gli Stati democratici hanno vinto quella sfida, attraverso una guerra mondiale e un lunghissimo dopoguerra e abbiamo pensato, alla fine, che avesse vinto la cultura della democrazia.

Che dunque si aprisse un periodo di tregua ideologica, con il sistema complessivo chiamato a governare crisi, lotte e antagonismi interni al modello culturale democratico, ma non costretto a difendersi da una contestazione e una minaccia di quel modello. Invece, com'è naturale la storia non era compiuta e l'11 settembre l'ha in ogni caso riaperta, sfigurandola.

Ho sempre considerato, da quel giorno a oggi, l'attacco alle Torri come un attentato non solo all'America ma alla democrazia, in questo senso all'Occidente intero, qualcosa che ci interpellava direttamente e ci obbligava a uscire dalla facile compassione a distanza del "siamo tutti americani" per assumere la responsabilità di una condivisione, in quanto "siamo tutti occidentali": e oggi capiamo perché.

La riflessione avviata allora è stata presto travolta dallo spartiacque prepolitico, naturalmente emotivo, rapidamente e nuovamente ideologico tra guerra e pace. Sono rimasti sommersi e travolti, come gusci vuoti, alcuni concetti nati l'11 settembre e lasciati senza risposta, finché la strage spagnola ce li ripropone intatti, e soprattutto urgenti.

Ciò che sta accadendo nei nostri anni, infatti, ci dice che il secolo si apre - se vogliamo dare un nome alla fase - con qualcosa che non avevamo previsto e che cambia l'intero paradigma costruito dopo la caduta del Muro: l'attacco alla democrazia. La cultura politico-istituzionale superstite del Novecento, che credevamo pacificamente egemone, è sfidata dopo aver vinto, e noi vediamo che il vecchio secolo non riesce a chiudersi, non riconosce il saldo; o che il nuovo non accetta il suo lascito più importante e riconoscibile.

Questo è il segno più evidente di ciò che sta accadendo, anzi qui sta il suo deposito di senso, di significato, per noi che non siamo le vittime direttamente designate questa volta per il massacro. E proprio qui sta quel sentimento di condivisione che l'11 settembre aveva innescato, che la guerra ha represso, e che oggi è la forma della nostra più vera inquietudine, l'anticipo di come cambierà la nostra vita.

Lo ha scritto venerdì Sandro Viola, ci ha avvertiti: prima ancora di sapere chi è stato, e dovunque sia successo, per qualsiasi ragione, di fronte al terrorismo ci è ormai impedito "quando suona la campana di pensare che essa suoni per altri e non per noi". Questo vale naturalmente per Al Qaeda e la sua minaccia per definizione globale, ma non è diverso ormai per gli altri terrorismi, anche quelli nazionali.

La campana di cui parla Viola, ha suonato in Spagna per tutta l'Europa fin da primo giorno, quando non si sapeva chi avesse firmato la strage. Nulla ormai, neppure la comprovata autonomia dei diversi terrorismi, può impedirci di fare sequenza dopo le due Torri con quella data vera d'inizio secolo che è l'11 settembre. Perché partendo da oggi per tornare a quel giorno ci è più facile capire come si tratti di episodi distinti, probabilmente separati, certamente lontani da quello che però per noi è e deve essere un unico problema: l'attacco alla democrazia.

Ho detto che questa percezione oggi è più facile, dopo Madrid. In realtà è semplicemente inevitabile, non dipende da noi. La nostra inquietudine nasce da un rovesciamento concettuale di certezza, la democrazia è trasformata in nemico da abbattere. Basta fermarsi a riflettere, ognuno di noi, per capire che la portata globale della strage di Madrid non è dovuta al numero enorme di vittime (che di per sé segna un salto organizzativo e strategico in Europa) ma al coinvolgimento di sistema, alla sensazione di far parte dello stesso mondo scelto a bersaglio da un altro mondo che non consideravamo nemico, ma ci sta braccando, negando valore - ecco la scoperta inaudita - ad ognuno dei nostri valori più alti.

Questo coinvolgimento ci dice che muoiono gli uomini, si colpiscono gli Stati, ma la sfida è alla democrazia, un sistema di regole e di diritti che a noi sembrava risolto nella sua capacità di garantire la convivenza, che era comunque il portato delle nostre storie, addirittura il superamento dei nostri errori, e faticosamente si era imposto.

La condivisione nasce dalla minaccia a questa costruzione politico-istituzionale-sociale che è insieme il risultato di lotte e conquiste, e un sistema condiviso di garanzie. Che oggi è il vero sistema di credenze dell'Occidente, la vera religione secolarizzata. Così si spiega come il coinvolgimento abbia funzionato ormai anche quando nelle prime ore si pensava all'Eta.

Lo specifico spagnolo conta, naturalmente: ma quando un'altra volta dopo l'11 settembre una democrazia occidentale viene squassata da un attacco frontale del terrorismo che la contesta nei fondamentali, noi ci sentiamo per forza di cose coinvolti come destinatari della stessa minaccia. C'è il timore della vulnerabilità complessiva del nostro sistema, c'è lo stupore - soprattutto - per la scoperta improvvisa del relativismo di un valore assoluto come la democrazia, così relativa da poter essere trasformata per qualcuno in insegna con cui si marchia quella parte del mondo dove bisogna portare la morte.

Non eravamo preparati, mentre compivamo la nostra storia. Vale, almeno per metà, il vecchio precetto di Huntington: noi occidentali abbiamo il vizio di considerare universali dei valori che i non occidentali considerano invece semplicemente occidentali. E questo limite dell'universalismo democratico, questo ecumenismo impossibile della benevola egemonia superstite, vale anche qui in casa nostra, all'interno dell'Occidente, come dimostrano i terrorismi indigeni.

Ma nello stesso tempo è vero qualcos'altro che Huntington non aveva previsto: l'attacco ad un Paese democratico universalizza la minaccia, rende la democrazia sistema o addirittura civiltà comune, ci fa capire che siamo cittadini di singoli Stati, di un'Europa che non riesce a compiersi, ma soprattutto di un'unica cultura democratica da difendere.

Perché ritorna, a questo punto, uno dei concetti centrali emersi dopo l'attacco alle Torri. Quando è minacciata, la democrazia si deve difendere. Sia per non cedere il passo alla barbarie, sia per proteggere i suoi cittadini che agli Stati democratici hanno conferito il monopolio della forza in cambio di garanzie. A mio parere la democrazia deve difendersi e difendere i suoi valori con ogni mezzo, anche con il mezzo estremo e per le democrazie innaturale della guerra: e se necessario per evitare conseguenze peggiori, persino con la contraddizione della guerra preventiva, quando non esistano altri strumenti di protezione.

Ma ecco il punto: per non cedere alla barbarie, la democrazia deve difendersi restando se stessa, e dunque mai abdicando quei principi di diritto o di salvaguardia dei diritti, di rispetto delle regole e delle istituzioni che la caratterizzano e la distinguono da altri sistemi.

La risposta politico-militare in Afghanistan all'11 settembre ha seguito questo percorso. La guerra in Iraq no. Per questo era sbagliata, anche se ha battuto il dittatore. Mancava la motivazione diretta della lotta al terrorismo, della risposta ad Al Qaeda, della distruzione delle armi speciali, che non c'erano. In questo modo la democrazia ha indebolito se stessa, si è mostrata ideologica, e non ha saputo difendersi.

Le democrazie hanno il dovere, anche nella loro risposta di difesa, di misurare i mezzi ai fini, e anche i risultati alle motivazioni. Non possono - non devono - costruire una giustificazione artificiale ad azioni che non si giustificano in sé.

Ma c'è qualcosa di peggio, che non è stato denunciato abbastanza, ed è una sorta di tradimento dei principi democratici, basati sulla fiducia tra gli elettori e gli eletti, che sta alla base della delega rappresentativa: le democrazie non possono - come invece è accaduto a Washington - chiedere ai cittadini di sostenere le scelte più difficili dei governi mistificando i dati di conoscenza, perché non è accettabile una costruzione del consenso sulla base della menzogna, o di una verità forzata e obbligata, come è sembrato per due interi giorni a Madrid quando il governo parlava solo di Eta.

C'è ancora un passaggio da compiere. Se le democrazie e il loro popolo si sentono "sistema" davanti ad una strage come quella spagnola, di fronte a una sequenza che va dalle Torri di New York ai treni di Madrid, devono ricordare che quel sistema esiste nella realtà, e si chiama Occidente. È qui il deposito dei nostri valori, che non a caso viene minacciato e attaccato. Mai come oggi, quando la Spagna è colpita dopo l'America, si dovrebbe capire - non fosse altro per necessità - che l'Occidente è l'insieme di Europa e Stati Uniti, ha bisogno delle due culture, che i terroristi vedono congiunte.

Come Al Qaeda è sempre più il preambolo comune dei terrorismi tra loro distinti, che sfidano la democrazia occidentale vedendola come una cosa sola, così la democrazia è il carattere fondamentale delle due civiltà politiche, quella europea e quella americana. Se è così, gli Stati Uniti non possono procedere da soli come hanno fatto per arrivare in Iraq, dividendo l'Europa per usare i singoli Stati invece dell'insieme, interpretando l'Occidente come un sistema di delega per la loro sovranità egemone: anche se fare i conti con l'Europa significa fare i conti con il diritto internazionale, con la politica e non solo con la forza, con gli organismi di garanzia e il loro sigillo di legalità.

Dall'altra parte l'Europa che oggi è il teatro dell'attacco deve sapere che se il bersaglio è la democrazia occidentale nel suo insieme, non si può dimenticare l'America, non si può fare da soli. La strage di Madrid, in particolare da quando sappiamo che Al Qaeda è l'assassino, ci dice prima di tutto che l'11 settembre non è finito, quella vicenda non è chiusa, non può riguardare la sola America, anzi politicamente ci interpella perché aspetta una risposta, anche da noi.

Da tutti noi. E il movimento pacifista, per primo, proprio perché ha messo in campo un valore universale come la pace mobilitando coscienze e generazioni, ha il dovere di assumere la condanna del terrorismo come priorità, facendo pesare la sua forza e i suoi ideali contro le bombe. Può essere scomodo dirlo, ma è inevitabile: parlare solo di pace, oggi, non basta più, perché la difesa della democrazia è il primo problema.

C'è dunque bisogno di più Europa, per difendere la democrazia minacciata, e c'è bisogno di Occidente, nella libera alleanza (culturale e politica, ben più che militare) con gli Stati Uniti. Questa è l'unica risposta possibile alla strage di Madrid. E può essere data nello stesso tempo in cui si giudica un grave errore la guerra in Iraq e con la stessa convinzione con cui ci si batte per la sconfitta di George Bush alle elezioni americane di novembre: senza alcun imbarazzo per l'opinione pubblica democratica dei nostri Paesi, per le forze di sinistra, perché la democrazia si difenda a testa alta rendendola anche più giusta e credibile, sapendo che deve sempre legittimare se stessa.




Scriveteci a: margherita.alba@libero.it
Realizzazione del sito a cura di Luciano Rosso