Rock Duraturo

Trecentomila persone erano assiepate nell’enorme Giant Stadium per assistere all’avvenimento dell’anno: il grande concerto degli Apocalypse, il complesso di rock duraturo più famoso del mondo il cui successo poteva essere paragonato a quello avuto dai Beatles, molti anni prima, quando fu reso di pubblico dominio che John Lennon era ancora vivo e che con mirabile mossa commerciale aveva, d’accordo con Paul Mc Cartney, George Harrison e Ringo Starr, riformato il gruppo ed inciso un decuplo compact disc dal vivo intitolato "Surprise Alive".
Tutto era pronto per quello che sarebbe sicuramente stato uno spettacolo memorabile: l’amplificazione, le luci, le scenografie e gli effetti speciali.
L’intero show, trasmesso in diretta in mondovisione, avrebbe avuto diversi miliardi di telespettatori. Da mesi in ogni angolo del globo non si parlava d’altro e aveva addirittura fatto passare in second’ordine la scoperta dei siti internet porno-olografici e i relativi strascichi polemici.
Puntualissimo alle 22.00 si alzò il sipario e Michael Mike, il presentatore più popolare della Terra, salì sul palco e prese il microfono.
Si udì un fischio acuto, breve e fastidioso ma dopo pochi secondi la voce di Michael Mike uscì potente dalla montagna di altoparlanti alti come palazzi: "Pubblico di tutto il mondo questa sera sarà scritta una pagina di storia! State per assistere al più grande avvenimento di tutti i tempi! E’ un grande onore ed un’immensa gioia per me presentarvi The Great Final Show degli Apocccc...."
Non riuscì a finire la frase, un roadie-cecchino appostato poco sopra il banco del mixer lo fulminò con un raggio laser; era la prima grande trovata scenica dello show.
Il pubblico esplose in un boato impressionante, udibile a decine e decine di chilometri di distanza, si spensero tutte le luci e la terra tremò.
Di colpo una cometa comparve nel cielo abbagliando il mondo e, quando l’effetto svanì, gli Apocalypse erano già sul palco ai rispettivi posti di combattimento nella formazione-tipo: Big One alla batteria, Public Enemy al basso, Meteor Kid alla chitarra elettrica e Captain Blood, il cantante, al centro con l’asta del microfono in mano come fosse una bandiera da battaglia.
Attaccarono subito con il loro primo hit, "The Fall", una canzone che aveva venduto un miliardo di copie e fatto saltare un governo in Europa, due in Sud-America e quattro in Africa.
L’impatto sonoro ed emotivo fu tremendo, i fan delle prime file caddero come birilli subito rimpiazzati da altri volontari. Intanto nel mondo si cominciavano a registrare i primi crolli di dighe, ponti, edifici; i primi tafferugli, incidenti e malori.
Dopo un urlo straziante che ben poco aveva di umano, da interpretare come un cenno di saluto, Captain Blood presentò il secondo pezzo, responsabile dell’aumento della criminalità minorile nelle metropoli del mille per cento:"Revolution Town".
Dopo pochi secondi divamparono i primi tumulti nelle principali città mentre al Giant Stadium scoppiò una rissa gigantesca alimentata dalle forze di polizia finalmente a loro agio.
A metà concerto l’atmosfera era calda al punto giusto ed allora la band decise che era il momento di presentare la suite "Stermination", un lungo pezzo di venti minuti, da anni bandito dalle stazioni radio e TV dopo la distruzione di Nuova Delhi, quando, nel bel mezzo di un a-solo, Big One innescò una bomba atomica nascosta nella batteria e se la svignò in elicottero con il resto della band.
Anche stavolta la scena si ripetè ma l’ordigno fu disattivato appena in tempo dal servizio d’ordine con grande disappunto dei fan. Intanto il volume era arrivato ad un livello così alto da compromettere per sempre l’udito degli abitanti della regione mentre in tutto il mondo la suggestione era notevole.
L’intero pianeta era sottosopra. Ogni schermo trasmetteva l’avvenimento e tutti stavano vedendo qualcosa di atteso, terrificante, sconvolgente e coinvolgente al tempo stesso.
Fu allora che Captain Blood cominciò a squartare chiunque gli capitasse a tiro con l’uncino che aveva al posto della mano destra divoratagli da un leone durante il memorabile Safari-Concert a Ouagadougou. Questo prologo era l’inizio di "Killer War", la canzone capace di trasformare in feroce assassino anche il più pavido degli uomini, era tratta dall’album "Hate and destroy" pubblicato con una copertina esplosiva, in pochi erano riusciti ad aprirlo ed ascoltarlo e proprio per questo le copie erano andate a ruba.
Sulle note di "Killer War" milioni di persone in tutto il mondo cominciarono ritmicamente a battere le mani sempre più forte e poi presero a battere i pugni, a scalciarsi, a dimenarsi, a strozzarsi, accoltellarsi o spararsi in un crescendo emozionante.
Questo accadeva un po’ dappertutto, nello stadio come nelle strade e nelle piazze, mentre i ponti crollavano, i grattacieli bruciavano, le auto esplodevano, i treni deragliavano, le navi affondavano, gli aerei precipitavano e ovunque si avevano notizie di disastri, diffusi in tempo reale grazie ad un enorme schermo luminoso posto sopra al palco che veniva costantemente aggiornato con dati e con immagini in diretta da una sapiente regia.
Fu allora che la band eseguì "Disaster" e "Fire" che infiammò i fan più accesi.
Era giunto il momento più atteso dello show, il pezzo finale: "The Doomsday", la canzone più venduta d’ogni tempo il cui acquisto (una copia pro capite) era stato dichiarato obbligatorio per legge in ben 102 stati e che un’apposita commissione di esperti nominata dall’O.N.U. aveva sconsigliato di eseguire dal vivo.
Malgrado queste raccomandazioni, Big One guardò negli occhi Public Enemy e Meteor Kid con l’intenzione di suonarla. Captain Blood si voltò verso di loro e, con un ghigno d’intesa, brandì il microfono ed urlò:"One, two, three, four"... e fu l’ecatombe.
Il muro di suono degli Apocalypse si abbattè sul mondo seppellendolo inesorabilmente. Si vedeva che i quattro ragazzi sul palco traballante stavano dando il massimo come forse mai era capitato; uno spettacolo fantastico. La gente capiva l’eccezionalità del momento.
Una tra le particolarità della canzone (se così si può chiamare) "The Doomsday" e che la faceva unica nel suo genere, era che poteva essere suonata dal vivo soltanto una volta: il concerto diveniva qualcosa di unico, esclusivo, ineguagliabile, inimitabile e definitivo.
Verso la fine, mentre terremoti e maremoti devastavano la Terra, voragini si aprivano nel suolo, il magma fuoriusciva dalla crosta terrestre e Captain Blood urlava l’unica parola del testo che era appunto "doomsday" (il giorno del giudizio), i riflettori illuminarono Meteor Kid , il più grande chitarrista del mondo, famoso per non aver mai più eseguito un a-solo in pubblico dopo quello che era successo quando, a dodici anni, tenne il suo primo concerto a Londra , fatto che costò la scomparsa del Regno Unito. Da quel giorno fu costretto a suonare soltanto accordi, o meglio "discordi", ed era già pericoloso così.
Tutti sapevano quello che sarebbe accaduto ed infatti accadde.
Meteor Kid, imbracciando la sua fida chitarra Stratoblaster, si lanciò nel più rabbioso, veloce, incredibile e lancinante a-solo mai udito. Una pioggia di note si abbattè sulla Terra scavando grossi crateri in un caleidoscopio di luci.
Pubblico, auto, stadio, case, quartieri, strade, città, fiumi, laghi, monti e valli furono spazzati via con violenza inaudita dalla forza scatenata degli elementi e degli strumenti. I satelliti artificiali caddero come coriandoli e la luna uscì dalla sua orbita dirigendosi verso il nostro pianeta. In quel momento Meteor Kid prese la nota più acuta mai suonata nell’Universo, un sibilo agghiacciante e mortale che sterminò prima gli insetti, poi gli animali e quindi le persone, penetrando nel cervello e facendo esplodere le teste come tanti palloncini proprio mentre l’ultima rullata di Big One stava per concludere "The Doomsday" in un'apoteosi di suoni e colori.
Il concerto era finito ma nessuno applaudì. Contrariamente alle aspettative non ci fu il bis.


(Questo racconto ha vinto il concorso del settimanale Musica!-La Repubblica ed è stato pubblicato nel libro "Molte più cose - Mappe della nuova intelligenza" edito da Castelvecchi - 1999)



I Racconti Dell'Assente
Homepage