Ho perso il sonno per scrivere solo “io volo” - (Pasquale Panella)
(Questa è l’ultima pagina del diario di Ilario Giovanni Noto, scrittore del movimento Scomparsivista della fine del ‘900, così com'è pervenuta dopo il casuale quanto miracoloso ritrovamento di cui tanto si è detto e scritto. Si tratta di un frammento molto importante per capire la complessa personalità dell’artista, scomparso prematuramente alla vigilia della sua prima apparizione televisiva. Il testo integrale, curato dal più autorevole critico dello Scomparsivismo, l’illustre professor Umberto Voce, è la versione più accreditata anche se su alcune parti sussiste ancora qualche dubbio in quanto, come si sa, diverse pagine del diario di I.G.Noto furono usate dai primi soccorritori per far luce sull’accaduto e non tutto è perfettamente leggibile). Roma, 29 settembre Ormai non riesco più a scrivere quasi niente. Quasi niente. Sono arrivato a questo punto, a un punto morto. Non riesco più a rincorrere le perle dei miei pensieri, parole che da sole incollanano emozioni intorno ad un esile filo. Logico. Approdato ad un isolato di distanza dalla mia stanza, naufrago nel mare delle idee, sulla crisi dell’onda. Verranno a prendermi e mi porteranno in tv, tutti mi vedranno in balìa dell’azzerata zattera della mia stinta fantasia. Rideranno delle mie misere parole. In parole povere, sono povero d’idee, d’animo, di spirito. Sto evaporando… Tre puntini… tra poco i miei racconti saranno composti soltanto da tre puntini…discreti, anonimi, lontani. Cosa devo dire, cosa devo scrivere? Uno scrittore che ha qualcosa da dire scrive qualcosa; uno scrittore che non ha più nulla da dire non scrive nulla, anzi, scrive ancora meno. Meno. Meno di così. Sì. Così sia. Ho pregato giorni e noti santi in cielo e in terra ma in alto mare ancora boccheggio senza una parola. Sono alla derivazione. Sospiro: l’ispirazione è sparita, spirata, rapita da un pirata rapace e capace di tutto, corsaro del corsivo. Distrutto: il mio presunto talento è svanito all’istante, lo sento. A scriver ritento di tanto in tanto, cose di poco conto, d’acchito, d’accatto, da cane. Ora, momenti a frammenti raccolgo sgomento: rammendi di tempo. Pezzo dopo pezzo, in mille stupidi, futili e tiepidi fuochi di parole. Giuochi fatui. A questo punto, scrittore presunto, fermo la penna e la pena, e mi ritrovo seduto, perduto, immobile, inutile, solo. Io volo. Lo sguardo fisso nel vuoto. A rendere. L’anima in folio. In fondo. Sommerso per sempre da un mare di parole. Impossibile ricostruire l’universo lettera per lettera. Anche il poeta gli fa soltanto il verso. Eguale, diverso, inverso, elauge. D’incanto me ne rendo conto, precipitando vedo l’inutilità del verso e del racconto. Smetto di scrivere. Parole inutili. Smetto di scrivere.
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