Ruhu Hòta. Sembra accertato che la ruota comparve nell’antica Mesopotamia verso il IV millennio Avanti Cristo. L’inventore fu un certo Ruhu Hòta da cui questo oggetto, così indispensabile per il progresso dell’umanità, prese il nome. Ruhu ebbe la famosa intuizione quando vide delle giovani donne affaticarsi nell’intento di portare della frutta al mercato che ogni mercoledì si teneva nella città di Uhr. Era da un po’ di tempo che ci pensava su, non tanto per l’invenzione in se stessa, quanto perchè sperava che le fanciulle, alleviate dello sforzo, gli fossero in qualche modo riconoscenti. Gira che ti rigira inventò la ruota. Dapprincipio nessuno gli diede molto peso ma ben presto, in molti si accorsero di come fosse più comodo trasportare la merce su un carro se questo aveva le ruote. Purtroppo per Ruhu Hòta però, il merito dell’innovazione non andò a lui ma a Khar Roh, l’inventore del carro di cui Ruhu divenne l’ultima ruota. Anche Khar Roh però non godette a lungo della scoperta perchè, con un incredibile errore di valutazione, aveva messo il carro davanti ai buoi e la cosa non funzionò affatto. Ci pensò un anziano scienziato mesopotamico di nome Det Tho a metter tutto a posto con la celebre frase: “Non puoi mettere il carro davanti ai buoi” che può essere letta, a seconda delle diverse interpretazioni etimologiche appartenenti alle varie scuole, anche in questo modo: “Non buoi mettere al carro davanti, se puoi” di significato più oscuro. Quando nel 331 A.C. Alessandro Magno conquistò mezzo mondo e tutta la Mesopotamia, nella vasta regione compresa fra il Tigri e l’Eufrate si commerciava già da secoli a ruota libera. Tutto questo grazie alla geniale intuizione di Ruhu Hòta.
Il Mago di Magonza. In Cina, sin dai tempi antichissimi, si usavano tavolette di legno inchiostrate per stampare disegni ed ideogrammi ma siccome quasi tutte le idee dei cinesi erano per gli ideogrammi, la stampa vera e propria fu trascurata. Anche in Europa nel Medioevo, i miniatori usavano piccoli legni incisi per stampigliare sui codici le lettere primiere mentre i minatori usavano picconi di legno, decisi, per scavare sulle dodici ore giornaliere. I copisti copiavano, i coristi cantavano, gli amanuensi, mansueti, immense mansioni svolgevano e messe di manoscritti scrivevano a mano, a mano a mano. Questo metodo un po’ troppo manesco finì con lo stancare la società umanistica di allora, la più umana di tutta la storia dell’umanità. Verso la metà del XV secolo, il Mago di Magonza decise di escogitare un sistema per manlevare gli amanuensi e il manipolo di manovali della letteratura, dalla coscrizione della copia scritta a penna d’oca. Lavorando alacremente giorni e notti il Mago di Magonza riuscì a mettere insieme, grazie a preziosi papiri e formule magiche vecchie di millenni, un complicatissimo sistema in grado di fare in un giorno quello che uno scriba faceva in un’ora e che per funzionare richiedeva una settimana di lavoro da parte di sette copisti che lavoravano certo di più ma comunque scrivevano di meno. A questi particolari però non si dette gran peso. L’invenzione era stata fatta e, per darle un certo alone d’aristocrazia, il Mago di Magonza la chiamò Stampa a Caratteri Nobili. L’entusiasmo fu enorme. Tutti quanti, dai giovani messeri ai cavalieri di vecchio stampo, erano entusiasti della stampa. L’eccitazione l’avevano stampata in viso, ognuno al contempo orgoglioso e fiero del proprio libriccino, parean fatti con lo stampino! Ma qualcuno stava tramando nell’ombra ai danni del Mago di Magonza. Gli amanuensi, ormai tutti in scrigno-integrazione fecero pressione presso i loro Ordini Religiosi affinchè il Mago fosse incriminato per eresia e incarcerato. “Il suo marchingegno è sicuramente opera del demonio- si diceva- processiamolo per stregoneria!”. Ma era tutta invidia. Al processo il Mago si difese strenuamente e le sorti del verdetto sembravano ormai propendere in suo favore quando ebbe la sciagurata idea di voler mostrare ai giudici la sua nuova creazione. “Il mio interesse, signori, è solo quello di far progredire l’umanità –esclamò- e prova ne sia il mio ultimo lavoro” “Di che si tratta, o Mago?” chiese il Cardinal Severo in qualità di Pubblico Ministero. “L’incunabolo!” rispose raggiante il Mago di Magonza. Non gli diedero nemmeno il tempo di andare a prenderlo. Equivocando sulle parole, al grido di “Sodomia! Eresia!” lo trasportarono di peso in piazza e l’arsero sul rogo in barba all’Umanesimo. Le ultime parole del Mago furono: ”La prossima volta invento prima il vocabolario”. Poi tutti i suoi sforzi andarono in fumo insieme a lui. Su questa oscura e bruciante pagina della storia non si sa molto di più. Il successore del Mago di Magonza, un certo Johann Gutenberg, fu sicuramente più furbo. Quatto quatto, senza dare nell’occhio, acquistò a prezzo stracciato tutte le apparecchiature del Mago e le riparò alla bell’e meglio. Invece di stampare incunaboli stampò una Bibbia (che poi era lo stesso ma a quei tempi, così come oggi, quel che conta sono le apparenze) ne mandò una copia al Cardinale Mazarino, qualche altra dozzina la regalò a conventi, prelati e potenti ed assunse gli amanuensi nella sua tipografia evitando ogni contrasto con un contratto. Grazie alla sua scaltrezza ed astuzia Gutemberg è oggi considerato da molti l’inventore della stampa ma non è così. Ora noi conosciamo la verità.
Archie Bouge. All’inizio del XVI secolo i vari eserciti che si fronteggiavano sui campi di battaglia europei ebbero a loro disposizione una nuova e micidiale arma: l’archibugio. Naturalmente a quel tempo i nemici si preferiva passarli a fil di spada ma chi non eccelleva nella nobile e difficile arte della scherma trovò subito nell’archibugio un valido alleato per fronteggiare vittoriosamente in duello un abile spadaccino. L’inventore di questo aggeggio, l’antenato del moderno fucile, fu l’anglo-francese Archie Bouge che, consapevole dell’importanza della sua scoperta, chiese immediatamente udienza al Re di Francia Luigi XII. Ben presto, però, si rese conto che le cose a Corte andavano per le lunghe e, da uomo di polso qual’era, decise di non starsene con le mani in mano, attraversò il braccio di mare della Manica gettandosi alle spalle il passato per offrire i suoi servigi al Re d’Inghilterra Enrico VIII che lo prese in simpatia. “Non male questo arnese” - commentò il sovrano - potrei farci fuori qualcuna delle mie mogli. Mi piace, fabbricamene un po’ Archie”. E Archie si mise al lavoro. Tutto sembrava andare per il meglio quando, come un fulmine a ciel sereno, fu arrestato con l’accusa di alto tradimento. Era giunta notizia che i francesi stavano anche loro costruendo un gran numero di armi da fuoco del tutto simili a quelle inglesi. Non si seppe mai se Archie Bouge avesse fatto il doppio gioco. Portò il segreto con se’ nella tomba. Fu condannato a morte dallo stesso Enrico VIII tra una moglie e l’altra. Ma un’ora prima dell’esecuzione riuscì, con una rocambolesca fuga, a mettersi in salvo. Grazie ad alcuni complici sbarcò a Calais ma non ebbe miglior fortuna. Anche i francesi si sentivano traditi. Fu subito arrestato e condotto in catene a Parigi. Qui subì un nuovo processo ed una nuova condanna alla pena capitale. Francesco I, succeduto nel frattempo a Luigi XII, gli riconobbe tuttavia il merito dell’invenzione e gli concesse di non finire sulla ghigliottina. Fu il primo ad essere giustiziato in un modo nuovo: fucilato. Da franchi tiratori.
Guido Lauto. Nel 1769 N. J. Cugnot applicò ad un veicolo in legno a tre ruote una primordiale macchina a vapore. Analoghi tentativi furono effettuati tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo ma, a causa dell’eccessivo ingombro e dell’elevato peso della motrice a vapore, si rivelarono fondamentalmente un insuccesso. Tuttavia questi sforzi non furono vani in quanto contribuirono a far progredire la tecnica generale dei veicoli. I primi passi verso la creazione di un carro mobile erano stati fatti all’inizio dell’ottocento dopo che Alessandro Volta aveva dato una svolta alle ricerche con l’invenzione del voltante, che in seguito si sarebbe chiamato volante, e che permetteva un’ampia capacità di manovra. Nel 1854 E. Barsanti e F. Matteucci progettarono e realizzarono un motore piuttosto rudimentale a due cilindri, dopo il fallimento di quello a bombetta che era esploso durante il collaudo. L’esito positivo del motore bicilindrico portò nel 1877 alla costruzione del primo motore a benzina da parte di S. Marcus. Qualche anno prima (1862) il francese Beau de Rochas aveva ideato il ciclo a quattro tempi ma l’invenzione fu snobbata da molti che credevano trattarsi di un nuovo tipo di bicicletta. “Ripassa quando inventeremo la moto” fu la risposta dei colleghi e Beau de Rochas ci rimase così male che pianse nell’intervallo tra i due tempi. Gli unici che gli diedero fiducia furono N. Otto ed E. Langen ed alcuni anni più tardi, tra il 1885 e il 1836, K. Benz che, grazie ai loro studi, brevettò e costruì un triciclo con motore a benzina a 4 tempi modello Otto, poi volle strafare e fece un motore a 8 tempi modello Otto che esplose in sessantaquattro pezzi. Malgrado questo incidente si andò avanti per la stessa strada e fu grazie al talento di un italiano che la prima automobile vera e propria vide la luce. Il suo nome era Guido Lauto. Dopo diverse prove, tutte felicemente conclusesi, il grande progettista ed inventore decise di presentare la sua vettura al pubblico e convocò una conferenza stampa. Sicuramente il mondo intero avrebbe parlato di lui. L’automobile che aveva inventato era infatti perfettamente funzionante e dotata di tutti i comfort. Montava due cilindri orizzontali posteriori, 8 HP, la ruota di scorta, quattro posti a sedere, sedili ribaltabili, lunotto termico, quattro marce sincronizzate più la retromarcia e la marcia trionfale in optional per le vetture da cerimonia, clacson bitonale, luci antinebbia, due specchietti retrovisori, cinture di sicurezza, alzacristalli a manovella ma messa in moto elettrica, autoradio con ricerca automatica delle stazioni di servizio dove far benzina che allora scarseggiavano. Per uno strano scherzo del destino però, mentre stava recandosi alla conferenza stampa, Guido Lauto guidò l’auto fuoristrada per un ultimo collaudo: un gesto che gli risultò fatale. Sbandò paurosamente e cappottò. Purtroppo l’auto era decappottabile e Lauto era di capo labile: spirò sul colpo. Fu il primo incidente automobilistico della storia, un grave lutto per tutti. La scomparsa di Guido Lauto ebbe ripercussioni notevoli nel mondo dei motori, molte delle sue geniali intuizioni andarono infatti perdute. Tuttavia la strada era ormai stata intrapresa. Sulla scia dell’esempio di Lauto molti altri inventori e progettisti si diedero da fare per raggiungere i suoi risultati che comunque restarono per molto tempo ineguagliati. Il resto è storia nota. Nel 1899 venne fondata la FIAT, nel 1900 la Mercedes-Benz, nel 1906 la Lancia e l’Alfa. Negli Stati Uniti dal 1908 venne prodotto da Henry Ford il modello “T” applicando per la prima volta la catena di montaggio che consisteva nel tenere incatenati gli operai della fabbrica finchè non avevano finito di montare l’automobile. A poco a poco il progresso fece il suo corso, ma come sarebbero oggi le nostre autovetture se Guido Lauto non fosse prematuramente scomparso?
|