VITA CULTURALE DELLA VALCAMONICA SOTTO LA DOMINAZIONE VENETA

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Fu estremamente povera ed inficiata dal diffondersi della superstizione e dell’eresia che fece pure credere all’esistenza delle streghe sul passo del Tonale, loro sede principale, a Edolo e in altre località. Al riguardo, molte donne furono addirittura condannate al rogo nel XVI sec.

I sospettati furono sottoposti alla procedura dell’Inquisizione pontificia e romana che ebbe le sue origini al tempo di papa Gregorio IX che emanò al riguardo gli "Statuti della Santa Sede" (Cfr. F. CARDINI., L’Inquisizione, Giunti, Firenze 1999, p. 17).

Va ricordato che <<nonostante si potesse condannare un inquisito anche sulla base delle prove senza tener conto delle sue proteste d’innocenza, la Chiesa preferiva la confessione. Per questo, i giudici potevano a loro discrezione adottare anche mezzi coercitivi, che peraltro dovevano essere moderati , se non si voleva che l’imputato confessasse qualunque cosa pur di evitare o di far cessare la costrizione>> (Ibid, p. 33). Tuttavia, nel caso di ulteriori dubbi poteva diventare legittima la tortura. Si dimentica spesso che essa <<apparteneva a pieno titolo alla prassi giuridica del diritto romano e che i tribunali laici continuarono a impiegarla abitualmente fino al Settecento>> (Ibid, p. 36).

Sull’onda delle prassi inquisitorie in vigore in Italia e in tutta l’Europa, <<in Pisogne e in Edolo furono abbruciate nel 1510 sessanta streghe e alcuni stregoni che assaltavano huomini, donne, animali, seccavano prati, herbe, etc coi loro incantesimi. Quando furono menati al fuoco, dicevano che non lo temevano, che avrebbero fatto miracolo, loro era apparso il diavolo. Assurde accuse, ma allora i più le credevano ond’è a lodarsi la prudenza del governo di Venezia in tali occasioni …>> ma . <<il vescovo Zane d’altra parte avuto eccitamenti dalla Valle Camonica, v’andò con un domenicano e predicatori e fece abbruciare alcune streghe ad Edolo>> (C. COCCHETTI.Brescia e sua provincia, tratto dalla Grande Illustrazione del Lombardo – Veneto, Editori Corona e Caimi, Milano 1859, p. 90.).

In realtà, si trattava, per lo più, di donne che volevano attirare l’attenzione su di sé in un’epoca che trascurava il valore delle donne (Cfr. DON LINO ERTANI., ,La Valle Camonica attraverso la storia, Tipolitografia Valgrigna., Esine, 1996, pp. 111-113).

Secondo Cocchetti <<fu merito della repubblica se qui l’Inquisizione si limitò ad imporre ai bestemmiatori e ai profanatori delle feste il pagamento di alcune lire o periodiche preghiere>> (C. COCCHETTI.,Brescia e sua provincia, op. cit, p. 90).

A parte le streghe, si tramanda la presenza di soggetti che partecipavano a misteriosi riti, come quello di versare acqua in una pietra forata, come sembra aver fatto Stefano Comandini, sacerdote di Incudine e residente a Vione, sul monte Fossano. Si saliva pure in processione sul monte Pressonino, vicino a Vione, alla ricerca di acqua e pioggia (Cfr. C. TESTINI., Illustrazione dell’antico castello di Vione, Breno 1944, p. 19).

In questo scorcio storico, lo spazio circostante la chiesa è <<certamente il luogo teatrale dove si svolgevano ludi di vario genere e non solo sacri, come appare dalla violenza delle repressioni e delle proibizioni controriformistiche. All'interno di queste forme teatrali compaiono anche episodi di utilizzazione spettacolare del sacro che assume nella cultura popolare valenza taumaturgica e forse magica>> (GABRIELLA FERRI PICCALUGA., Il confine del Nord. Microstoria in ValleCamonica per una storia dell'Europa, La Cittadina, Boario Terme, 1989, p. 146).

Il Lezze riferisce che in una popolazione che si aggirava approssimativamente attorno ai 45.000 abitanti, <<ve ne sono una infinità de matti, stupidi, insensati, nati solo a consummar li frutti della terra et non sono atti ad essercitio alcuno, et essendo un paese d’aria molto temperata, et salubre produce molta gente, che moltiplicano assai, et pocche donne vi si trovano sterili, et ogni matto che sia vuol prendere moglie, et vi sono infiniti poveri, et miserabili persone>> [G. VITALI., A. D. 1609. Dossier sulla Valcamonica. Il catastico di Giovanni da Lezze., San Marco Cividate Camuno (BS), p. 76. Sembra da doversi intendere la moltitudine di <<matti, stupidi e insensati>> come presenza di molte persone strane e bizzarre, secondo l’indicazione del Vitali].

Il rinnovamento culturale e soprattutto spirituale della Valle si ebbe grazie alle visite pastorali delle quali va sicuramente ricordata quella del vescovo bresciano Domenico Bollani (7 settembre – 2 ottobre 1567). Ancor più famosa fu la visita pastorale dell’arcivescovo milanese Carlo Borromeo (21 agosto – 5 settembre 1580). Tali visite ebbero la grande utilità di ridare ordine e significato al ruolo svolto dal clero in Valle. I vescovi richiamarono il clero all’applicazione dei dettami, delle norme e dei principi emanati dal Concilio di Trento (in particolare, fu fatto obbligo ai sacerdoti di seguire corsi organici riguardo alla formazione della persona sotto tutti i suoi aspetti, oltre che l’aggiornamento sulla Pastorale). Si sa <<che il Borromeo, avute le relazioni del Tartugi, procedè, nel termine di tempo detto, con Mons. Centurione alla visita più solenne ed efficace _ perché sanzionata dalla diffusa fama della santità di lui e dal prestigio suo di Visitatore apostolico _ di molte terre valligiane soltanto alquanto in taluna (23 e 24 agosto in Edolo, 4 e 5 settembre in Lovere) ma soprattutto a Breno (29 agosto – 2 settembre) dove, al dire del Legena, convocò tutto il clero valligiano _ più probabilmente e specialmente quello delle varie chiese ch’egli non potè visitare _ rivolgendo a lui ed al popolo, nella chiesa di S. Antonio, fervide raccomandazioni>> (PUTELLI., Intorno al castello di Breno. Storia di Valle Camonica. Lago d’Iseo e Vicinanze , Associazione "Pro Valle Camonica", 1915., p. 596).

Va però sfatata la tesi che sia stato il Borromeo a convertire la Vallecamonica se è vero che nel 1573 il delegato vescovile Cristoforo Pilati trovò in tutte le parrocchie valligiane una situazione soddisfacente sotto il profilo dell’insegnamento e della pratica della catechesi per merito di Confraternite e <<Scholae>>: congregazioni laicali sorte per vivere in modo più autentico l’insegnamento cristiano (Cfr. DON LINO ERTANI., La Valle Camonica attraverso la storia,, op. cit., p. 137). Va ricordata la relazione del Celeri risalente al 1578 che <<confrontata con le precedenti informa di miglioramenti religiosi notevolissimi ottenuti fra noi>> (PUTELLI., Intorno al castello di Breno. Storia di Valle Camonica. Lago d’Iseo e Vicinanze, op. cit., p. 600). In particolare, si sottolinea il valore di alcuni sacerdoti. "Sopra tutti è lodato il monaco benedettino P. Giacomo, parroco a Bienno, mentre di frà Matteo Selvini dei Minori, curato a Toline, notasi ch’ è di fama discreta però poco idoneo alla cura d’anime. Si plaude alla carità di Don Defendo Bordonali, rettore a Grignaghe, di vita esemplare e gradita al popolo e Don Paolo Beccagutti di Montecchio dicesi <<probate vitae>> mentre a don Battista Omodei valtellinese, rettore in Corna, si rimprovera che tenga in casa una donna con figlia giovane e poco ammodo" (Ibid, p. 602). Miglioramenti significativi vi sono stati anche nell’aumento del numero dei comunicandi che nel 1573 erano appena 20.000 mentre la popolazione si aggirava sulle 50.000 anime per arrivare alla metà nel 1578 (Cfr. Ibid, pp. 604-605).

 

Tra il 1645 e il 1654 fu vescovo di Brescia Marco Morosini che condannò in Valcamonica il movimento dei <<pelagini>> che <<a pratiche di devozione accettabili o addirittura seducenti per certi spiriti meditativi mescolava dottrine e comportamenti morali stravaganti ed equivoci di evidente ispirazione quietistica>> [E. ABENI., Il frammento e l'insieme. La storia bresciana. 4. 1630-1849: dalla grande peste alla <<festa di guerra>> delle Dieci Giornate, Edizione del Moretto, anno 1987, p. 57].

Il suo successore, Pietro Ottoboni, che dieci anni dopo divenne cardinale e poi fu eletto nel 1689 papa col nome di Alessandro VIII, proseguì l'offensiva vescovile nei confronti del quietismo. Tale movimento ebbe sostenitori anche nel clero come l'arciprete Recaldini di Pisogne- Costui <<fu processato dal tribunale dell'inquisizione di Brescia e durante il dibattimento emerse che era in rapporti col leader del quietismo italiano, il cardinale filippino Pier Matteo Petrucci>> (Ibid, p. 58).

Per l’istruzione, si assistette al monopolio culturale del mondo ecclesiastico.

Fra le biblioteche ecclesiastiche più importanti della Valle, tra il XVII e il XVIII secolo, ricordiamo quelle dell’ <<arciprete di –Piano Ludovico Michele Andreoli, (Artogne 1613- Piano 1684) forte di circa settecento titoli; o quella di don Giovanni Guarneri (Vione 1646 – Vezza d’Oglio 1682), "virtuosissimo" organista, già canonico della cattedrale di Mantova "per meriti" conseguiti presso l’ultimo duca di quella città Ferdinando Carlo Gonzaga di cui era stato precettore, distrutta da "voracissime fiamme" nel furioso incendio di Vezza del 1681; o, ancora, quella - costituita da oltre seicento volumi - lasciata alla parrocchia nativa da don Giovanni Antonio Baldassare Cattaneo (Canè1702- Gardone 1762), prevosto di Gardone Val Trompia; o, infine, la "bella libreria, che ha delle opere molto classiche ed è copiosa di libri" dell’arciprete di Breno Giovan Battista Guelfi (Breno 1747 – 1816) , apprezzata dal vescovo Gabrio Maria Nava (1758 – 1831) che la ispezionò nel 1808>> [Cfr. O. FRANZONI., Storici ed eruditi nella Valle Camonica d’età moderna, in Don Alessandro Sina, in . " Quaderni della "Fondazione Comunitas", I (1996), p. 14].

Non mancavano tomi dei classici di Cicerone, Seneca, Tito Livio, Orazio, Cesare, Plutarco, Polibio, Plinio il Giovane, Erodoto, Lorenzo Valla (1407-1457), Cesare Baronio (1538- 1607), Odorico Rinaldi (1595-1671), Jean Mabillon (1632- 1707), Augustin Calmet (1672-1757) [Cfr. Ivi].

In questo periodo, l’opera storiografica più importante sulla Valle fu quella di Padre Gregorio Brunelli (Canè 1644 – Treviso 1713). Egli fu l’autore del saggio "Curiosj trattenimenti continenti ragguagli sacri e profani dé popoli camuni". Per il periodo veneto (1400-1797), i fatti sono tratti con fedeltà alle fonti; per i periodi precedenti, dalla preistoria in poi, sono presenti inesattezze o riferiti eventi che sono poi risultati essere non storici. Va però detto che il Brunelli non aveva a disposizione gli strumenti investigativi degli storici moderni. Tuttavia è ancora l’unica opera generale sulla Valcamonica e pone il suo autore come primo storico della Valle in ordine cronologico (Cfr. Ibid, pp. 15-17).

Gli scrittori del XVII sec. hanno parlato delle geste dei Federici e un capitolo importante ha riguardato la possibile venuta di Carlo Magno in Valle, ma di ciò non vi è certezza, anche perché nelle loro opere manca l’analisi critica delle fonti (Cfr. Ibid, pp. 19-22).

Della casata Federici risulta introvabile il documento "Cronologia della Casata Federici" composto dal giureconsulto Stefano Federici di Sonico. È importante ricordare pure il sacerdote Camillo Federici (Darfo 1651- Rovato 1715) il quale, nell’opera "Memorie antiche e moderne dell’origine, diramazione e privilegi della famiglia dei Federici", fa derivare il suo casato nientemeno che dal fratello dell’imperatore Augusto, al fine di giustificare i privilegi di cui essi godevano.

La Santità è un altro capitolo discusso spesso con rimandi a personaggi della Valle vissuti nel XVI e XVII sec. Si tratta di persone che, per lo stile della loro vita, hanno ottenuto la considerazione popolare, al di là del mancato riconoscimento della loro Santità da parte della Chiesa. Possiamo citare, tra gli altri storici, l’arciprete di Cemmo don Antonio Ricci di Monno (Cemmo 1634) che ha scritto il volumetto "La vita delle Sante Liberata e Faustina Vergini" (Cfr. Ibid, pp. 22-23).

Merita di essere menzionato l'eclettico arciprete Guadagnini Giambattista, pievano di Cividate, <<studioso di scienze sacre ed ingegno brillante.

Egli fu teologo dogmatico e morale, scrittore politico, agiografo, poeta, storico, aritmetico, cronologo e calendarista, apologeta, biografo, causidico, paleografo di rara sensibilità, organista, oratore di tempra, autore di pamphlets polemici; ha prodotto una sessantina di opere a stampa ed oltre 270 inediti>> (O. FRANZONI, Famiglie e personaggi di Valle Camonica, Fondazione Annunciata Cocchetti, 2002, p. 112).

Nel mondo culturale camuno era attivo pure il <<matematico Bernardino Zendrini, nato a Valle di Saviore nel 1679, in una famiglia del locale ceto medio>> (Ibid, p. 127). Pubblicò diversi trattati tra cui la Soluzione di tre problemi geometrici con un sistema sopra la gravità, il Trattato della chinachina e l'Osservazione dell'aurora boreale.

Divenne così noto da intrattenere corrispondenza con i più grandi scienziati ed eruditi d'Europa.

L'arte camuna fu notevolmente influenzata dalla Controriforma cattolica, tanto è vero che <<il rinnovamento si configura essenzialmente come introduzione di un nuovo linguaggio architettonico, dapprima sotto forma di sperimentazione propositiva dell'ordine architettonico e della spazialità classica, forme significanti di nuovi valori spirituali; in seguito, quando, in stretta relazione con la visita apostolica, la normalizzazione giuridica e liturgica sarà una conquista acquisita della curia milanese, come diffusione del tutto omogenea di tipologie e fonemi architettonici.

L'autorità del mondo classico diventerà a questo punto la forma espressiva di una disciplinata sottomissione>> (GABRIELLA FERRI PICCALUGA., Il confine del Nord. Microstoria in ValleCamonica per una storia dell'Europa, op.cit, p. 94). Il primo esempio di arte classica ci è fornito dalla ricostruzione della chiesa di Davena che <<venne intrapresa a partire dall'arco trionfale a sezione acuta, integralmente conservato nel nuovo edificio>> (Ibid, p. 95).

Sul piano culturale e spirituale, non va trascurata la presenza, a partire dal 1586, di francescani Cappuccini a Breno, a Cemmo e a Edolo, al fine di fermare l'eresia dilagante e svolgere una forte azione missionaria.

Per opera degli stessi, fu eretto il santuario della Via Crucis a Cerveno, come segno della religiosità popolare (Cfr.Ibid, pp. 166-167 ).

Il tema religioso-artistico della Via Crucis era in effetti presente in Valcamonica col muovere dal XVI secolo. Le opere del pittore Gerolamo Romanino, nella chiesa di Santa Maria della Neve di Pisogne, erano legate "ai principi teologici e alle consuetudini narrative e didascaliche della raffigurazione dei <<misteri>> della redenzione. Pur predicando il maggior interesse e la maggior ampiezza narrativa alla Passione, il Romanino sembra ricollegarsi in organica e storicamente precisata connessione con i cicli preesistenti della creazione e del peccato del primo uomo (nel portico esterno della chiesa) e del Giudizio finale, nella forma della Danza macabra quattrocentesca, ora perduta, originariamente affrescata sulla facciata" (Ibid, p. 174).

Stefano Fenaroli, riguardo all'attività di Romanino nella nostra valle, ha tramandato che il pittore <<avendo ricevuto incarico di dipingere un S. Cristoforo, lo dipinse con veste sì corta, che non giungeva a coprire ciò che la decenza vuole coperto. Stupefatti quei valligiani di sì bizzarra licenza, gli furono addosso, con rabbuffi, domandandogli del perché avesse così fatto, ed egli bellamente rispose, che col denaro che gli avevano assegnato pel suo lavoro, egli non aveva potuto acquistar panno bastevole a fargli più lunga veste; e con questa scappata ottenne che gli fosse aggiunto un regalo conveniente, perché il suo pennello gliela allungasse>> ( STEFANO FENAROLI., Dizionario degli artisti bresciani, tip. editrice del Pio Istituto Pavoni, 1877, p. 205). Va aggiunto che <<fu probabilmente dal soggiorno prolungato fra quei monti e dalla familiare convivenza con qué bei tarchiati alpigiani ed alpigiane, che trasse modelli di figure così robuste e ben colorite, di cui usò frequentemente nei quadri di sua composizione>> (Ibid, p. 206).

Nel corso del XVIII secolo, l'<<intagliatore in legno e plasticista>> Beniamino Simoni (Ibid, p. 234), nativo di Saviore dell'Adamello, realizzò nel santuario di Cerveno 14 cappelle della Via Crucis, , sebbene vi sia stato pure l'intervento separato di Donato e Grazioso Fantoni di Rovetta per il completamento di 3 cappelle (Cfr. GABRIELLA MINERVINO., Beniamino Simoni, Electa, 2000, pp. 15-25).

Per l'aspetto istituzionale, l' <<ordine religioso che promuove, come nel caso di Cerveno, la nuova devozione attraverso la predicazione o altre forme di incentivazione, non detiene più l'esclusività della sua gestione; alla serie di immagini già presenti nelle chiese dei conventi si sostituiscono le quattordici tele distribuite sui pilastri o sulle pareti della chiesa parrocchiale. Allo stesso modo il percorso di devozione che deve svolgersi all'interno della chiesa parrocchiale finisce per sostituire la sacra rappresentazione che si svolgeva all'esterno della chiesa, o la processione alle cappelle, stabili o effimere ma esterne alla chiesa parrocchiale, affidata, come pare, nei secoli precedenti all'organizzazione dei Terziari o alle confraternite dei Disciplinati.

Anche il santuario di Cerveno, costruito proprio a fianco della chiesa parrocchiale o gestito nel corso della sua realizzazione essenzialmente dal parroco del paese può essere una riprova di tale trasformazione istituzionale...>> (GABRIELLA FERRI PICCALUGA., Il confine del Nord. Microstoria in ValleCamonica per una storia dell'Europa, op.cit, p. 181).

Ricordo, infine, alcune usanze tipiche della Valcamonica relative a particolari momenti della vita quotidiana.

In occasione di un matrimonio, <<in Valcamonica, si raddoppiano i banchetti prima a casa della sposa, invitandovi ogn'un di loro a piacere i propri parenti ed amici, quali doppo la funzione della chiesa offeriscono alla novizia larghi doni di monete, e passato tutto quel giorno in feste, suoni canti et balli, viene questa infine con numeroso accompagnamento tra continui spari festosamente a i tetti dello sposo condotta>> (G. BIGNAMI, Sponsali, in G. BIGNAMI, GIACOMO SEBASTIANO PEDERSOLI, MARCELLO RICARDI, Le vere tradizioni bresciane, Edizioni Toroselle, 2002, pp. 35-36). Va aggiunto che erano mal visti i vedovi che si risposavano. Infatti, <<vien conosciuta anche qui la macchia di imperfezione, che contengono le seconde nozze, come contrarie al mistero dello sposalizio di Gesù con la Chiesa unica sua sposa, onde i vedovi, che si rimaritano, sono condannati a donare la mancia alli putti sotto pena di soggiacere le tre prime notti a spiacevoli serenate di sconcertanti stromenti>> ( Ibid, p. 35).

Per lo svolgimento delle tradizionali attività di montagna, si era soliti considerare l'influenza della Luna, come è stato tramandato fino ai giorni d'oggi. Ad esempio, si sapeva che la legna da ardere va tagliata in luna calante perché brucia più velocemente di quella tagliata in luna crescente. Al contrario, la legna destinata alle costruzioni va tagliata in luna crescente perché quella tagliata in luna calante è soggetta alla formazione di tarli. Allo stesso modo, semine e potature richiedono luna crescente (Cfr. G. BIGNAMI, Usi e costumi, in G. BIGNAMI, GIACOMO SEBASTIANO PEDERSOLI, MARCELLO RICARDI, Le vere tradizioni bresciane, pp. 17-18).

Un'altra tradizione antica è di accendere dei falò durante le sagre patronali. <<Già gli antichi pastori praticavano questa usanza, senz'altro di origine pagana e il poeta latino Ovidio la ricorda: Certe ergo transilui, positas ter in ordine flammas>> (G. BIGNAMI, Miti e superstizioni, in G. BIGNAMI, GIACOMO SEBASTIANO PEDERSOLI, MARCELLO RICARDI, Le vere tradizioni bresciane, p. 72). Si può ricordare che <<a Pisogne, a Govine si fanno falò sui monti circostanti per la festa dellaMadonnina. A Temù in occasione della festa del patrono San Bartolomeo si preparano cataste di legna di pino o di abete, che verranno accese nella notte sulle balze della montagna>>(Ibid, pp. 72-73). Falò si tenevano anche a Lava di Malonno e a Edolo.

Delle numerose sagre che si tenevano in Valcamonica, ricordo la Sagra del fungo e della castagna a Pisogne, in pieno autunno (Cfr. G. BIGNAMI, Sagre e Fiere, in G. BIGNAMI, GIACOMO SEBASTIANO PEDERSOLI, MARCELLO RICARDI, Le vere tradizioni bresciane, p. 133).

Per la cucina camuna, guardando anche oltre il periodo veneto, possiamo dire che essa era <<tutta impostata sui prodotti della terra e delle mandrie: la polenta che spesso sostituisce il pane, il latte, la farina di frumento e di grano saraceno, formaggi, salumi, uova e erbe aromatiche che vengono utilizzati in vari modi>> (G. BIGNAMI, Gastronomia rusticana, in G. BIGNAMI, GIACOMO SEBASTIANO PEDERSOLI, MARCELLO RICARDI, Le vere tradizioni bresciane, p. 179).

Tipico piatto era la minestra di scandella <<una varietà di orzo, cotta con il latte, rape e verdure della stagione, sia dell'orto che erbe selvatiche come le giovani punte del cardo, luppolo nonché le tenere foglie delle primule e del soffione>> (Ibid, p. 184).

Così, <<a Edolo erano prelibati il capù a les col impiöm dè nus, cappone a lesso con ripieno di noci, la fricassea di coniglio e le costine di montone all'amorosa>> (Ibid, p. 185).

Per gli abiti nei secoli passati, considero quelli tipici dei montanari e degli artigiani.

I montanari <<usavano corti calzoni verde scuro di camoscio, il giubbetto di panno quasi sempre color rosso, il cappello a larghe falde pure verde scuro o marrone, la cintura marrone; al collo un largo fazzoletto tenuto chiuso con un anello, in cui si fa passare due capi di fazzoletto>> (G. BIGNAMI, Fogge e indumenti, in G. BIGNAMI, GIACOMO SEBASTIANO PEDERSOLI, MARCELLO RICARDI, Le vere tradizioni bresciane, p. 39).

Gli artigiani indossavano <<calzoni di grosso fustagno - pignolàt - marrone con cintura rossa di tela, giacca larga di panno marrone>> (Ivi).

Le donne <<di solito indossavano un corto corsaletto di lana o di cotone, allacciato sul petto, una lunga sottana, detta treèrsa increspata, un bigaröl di cotone con disegni ricamati e sulla testa un grande fazzoletto colorato. Nella stagione invernale si mettevano un grande e pesante scialèt scuro>> (Ibid, p. 42).

Concludo il capitolo relativo agli indumenti, ricordando che <<molti dei tessuti necessari al fabbisogno sia personale che casalingo venivano fabbricati in casa. Anticamente funzionavano robusti telai nella Valle di Corteno, in particolare a Lombro, Megno, Ronco, Doverio che tessevano il panno, il mezzalana, il pelórz, il turchino>> ((Ibid, p. 43).

 

 

 

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