LE DECISIONI POLITICO-AMMINISTRATIVE DEL

GOVERNO VENETO IN VALCAMONICA

 

BREVE DECRIZIONE DEL CONTENUTO

La struttura politico-amministrativa sotto il governo veneto in Valcamonica; i castelli sotto il governo veneto in Valcamonica.

 

 

La Valcamonica entrò nell’orbita veneziana nel 1428, due anni dopo l’annessione alla Repubblica veneta di Brescia. Proseguirono comunque gli scontri armati, a fasi alterne, fra Venezia e Milano per il possesso della Valle. Va ricordato che tra il 1453 ed il 1454 il castello guelfo di Breno fu soggetto un assedio ininterrotto da parte delle truppe milanesi dei Visconti fino a capitolare <<a patti onorevoli>> il 28 febbraio (Cfr. PUTELLI., Intorno al castello di Breno. Storia di Valle Camonica. Lago d’Iseo e Vicinanze, Associazione "Pro Valle Camonica", 1915, . p. 393).

La pace definitiva fu stipulata il 9 aprile 1454 (Cfr. Ibid, p. 395).

Venezia ricompensò per primi i guelfi Nobili di Lozio che le erano stati fedeli, esentandoli <<in perpetuo dal contributo annuo di lire centodieci d’imposta>> (Ibid, p. 396). Si dimostrò riconoscente anche nei confronti dei Ronchi di Breno che <<erano chiusi nei loro affari e gli unici libri che consultavano erano i codici dei tribunali>> ( F. BONTEMPI, La civiltà del ferro nelle Alpi. Storia della Valle dell'Allione, Comune di Paisco Loveno, p. 184).

In questo contesto, <<il carrozzone federiciano, sia pure declinante, si tenne discretamente in carreggiata. Solo nel Settecento le sue fortune risultarono sensibilmente diminuite, pur mantenendo la dignità riconosciuta ad un pievatico. Contro l'anacronistico privilegio brigarono i Panzerini di Cedegolo che, ingolositi dalle esenzioni in godimento agli avversari, mossero le leve del potere locale, cercando di annientare la famiglia nemica "con l'intiera distruzione delle antichissime speciose sue raggioni e diritti e per stabilire in sè la procurata indipendenza autorevole di dominare sopra il governo" della Valle>> (O. FRANZONI, Famiglie e personaggi di Valle Camonica, Fondazione Annunciata Cocchetti, 2002, pp. 28-29).

I Panzerini erano dediti al commercio ambulante ed alla ferrarezza. Nel Seicento divennero una delle famiglie più influenti della Valle. Nel Settecento raggiunsero con Lodovico (Cedegolo 1706-1764) <<un potere quasi assoluto>> fondato sulla <<produzione e commercio di ferro su larga scala con depositi a Cedegolo, Paisco, Capo di Ponte, Pisogne e Vezza>> e sui legami affaristici intrattenuti con <<imprenditori bergamaschi, bresciani, trentini, valtellinesi, mercanti milanesi di "masse rigate e soglie" atte alla lavorazione della terra (vomeri)>> (Ibid, pp. 29-30). Sorse così un ceto borghese che soppiantò progressivamente l'antica aristocrazia costretta talvolta a <<spingersi anche lontano, come gli Scarsi di Ponte di Legno a vendere mercanzia in Germania ed a Vienna, alcuni cadetti Federici di Esine a risiedere a Cracovia, i Sola di Saviore a trafficar telerie a Cadice e Candia e barili di ferro con il Regno di Napoli, un Giovanni Antonio Boninchi (Edolo 1602 - 1683) ad arricchirsi con le spezie a Lisbona, molti a Venezia addetti ad appalti di forniture e dazi pubblici>> (Ibid, p. 46).
Della casata Panzerini è da menzionare Giacomo Panzerini vissuto nel Settecento e ricordato come il "Don Rodrigo" di Valcamonica. Si macchiò di gravissimi delitti nei confronti non soltanto delle famiglie ghibelline avverse ma anche verso inermi persone.<<Contro di lui nel 1770 il governo emise un bando perpetuo dai domini veneti e di confisca dei beni che colpiva anche la masnada di sgherri ai suoi ordini>>> (Ibid, p. 53). Morì in miseria nel 1777 a Sondrio.

Per le decisioni amministrative, va ricordato che, al fine di risanare i bilanci finanziari impoveriti dalle continue guerre, il Senato veneto impose il 12 dicembre 1516 <<contributi da redimersi coi dazi delle due seguenti annate; e mentre per Brescia e suoi castelli stabiliva avere ventimila ducati, ne fissava diecimila per Bergamo, tremila per Crema, duemila per Lovere, mille per Asola>> Cfr. PUTELLI., . Intorno al castello di Breno. Storia di Valle Camonica. Lago d’Iseo e Vicinanze, op. cit, p. 523)

La struttura politico-amministrativa era retta dalla Comunità di Valle. Possiamo dire che essa era soggetta ad un particolare circolo vizioso che trascurava i principi della democrazia e della trasparenza ed assolveva, invece, l’esclusiva funzione di salvaguardare la classe dominante. Il nucleo centrale era rappresentato dalla magistratura chiamata Consiglio generale che ogni anno eleggeva oltre al sindaco generale ed all’avvocato pubblico, nonché il tesoriere ed il presidente dell’Ospedale degli Esposti di Malegno, 6 elezionari (rappresentanti dei pievati in cui era suddivisa amministrativamente la Valle, ovvero Cemmo, Cividate, Edolo, Rogno, Dalegno/Borno e la famiglia Federici) i quali, a loro volta, erano chiamati a nominare nientemeno che i nuovi componenti del Consiglio generale (. Cfr. B. RIZZI., Illustrazione della Valle Camonica, Fausto Sardini Editore, Treviglio, 1870, pp. 100-109).

Nel 1455 il governo di Venezia fece demolire quasi tutti i castelli camuni, essendo per lo più nelle mani delle potenti famiglie ghibelline, ad eccezione dei castelli guelfi di Breno, Lozio e della Rocca di Cimbergo (Cfr. PADRE GREGORIO DI VALCAMONICA., Curiosj trattenimenti continenti ragguagli sacri e profani dé popoli camuni; Forni editore, Bologna 1965, p. 504). Al riguardo, <<la difesa della Valle venne demandata esclusivamente al castello di Breno che assunse il ruolo di una vera e propria fortezza la quale fu ristrutturata in modo da poter ospitare in maniera adeguata postazioni da fuoco>> (G. VILLARI., Castelli e residenze fortificate nel Bresciano, Ed. Giornale di Brescia, Brescia 1989, p. 12).

Nel luglio 1551 <<quattromila tedeschi passavano il Tonale e traversavano la nostra regione danneggiando da lor pari Vezza, Cemmo, Breno, Cividate, Malegno>> (PUTELLI, . Intorno al castello di Breno. Storia di Valle Camonica. Lago d’Iseo e Vicinanze, op. cit., p. 575). Va aggiunto che "i Camuni furono tanto infastiditi per la detta traversata alemanna che subito mandarono lagnanze a Brescia, esponendo i danni patiti; tal <<dominus Zaccaria Lana>> ed i Rettori bresciani e poi Venezia il primo ed il 12 agosto dovevano assicurarli che altra volta sarebbesi provveduto per evitare od almeno regolare bene tali passaggi che ragioni politiche suadevano" (Ibid, p. 576).

Il 17 marzo 1570, in appoggio a Venezia impegnata nella guerra di Lepanto, il Consiglio generale di Valle deliberò << di donare a Venezia quarantamila chilogrammi di ferro crudo tolto dalle nostre miniere>> (Ibid, p. 586).

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