L’ECONOMIA CAMUNA NEL PERIODO VENETO

BREVE DECRIZIONE DEL CONTENUTO

Attività pastorale in Valcamonica; lanifici in Valcamonica nel periodo veneto; ferrarezza in Valcamonica nel periodo veneto; terreni in Valcamonica nel periodo veneto; contrabbando in Valcamonica nel periodo veneto.

 

Punto di forza dell’economia camuna era la lavorazione della lana ad opera dei frati Umiliati, potendo contare nel 1562 su 100.000 pecore, ovvero 2 per abitante. Inoltre, occupava un posto di primo piano l’attività pastorale, specialmente in Alta Valle, come è attestato da alcuni manoscritti riguardanti la comunità di Ponte di Legno [Cfr. G. GOLDANIGA., Gaì, Gavì, Gaù di Valcamonica e delle Valli Bergamasche, l’antico gergo dei pastori, tipolitografia Lineatografica, Boario Terme, (BS) 1995, p. 8].

Dal catastico di Giovanni da Lezze si legge che:<<Li habitanti di questo Commune sono tutti contadini, ma gente accorta, pronta, risoluta, ferroce, et brava, et armigera, et d’arrischiarsi ad ogni pericolo, et quasi tutti sono pegorari, et dalle pecore cavano ogn’anno qualche quantità di denaro, così di lane, come di castrati, che vendono et buona parte di loro stanno assenti da questa Valle dal principio d’Ottobre sino al Maggio con le pecore parte nel territorio Bresciano, et parte nel Cremonese, et Stato di Milano, et poi ritornano a casa a mezo Maggio, dove stanno sino all’Ottobrio, et quelli che restano a casa attendono all’agricoltura>> [G. VITALI. ., A. D. 1609. Dossier sulla Valcamonica. Il catastico di Giovanni da Lezze, San Marco Cividate Camuno (BS), 1977, pp. 34-36- Sembra plausibile interpretare termini quali <<ferroce et armigera>> nel senso di gente fiera].

Sempre il Lezze ci informa che i terreni della Valle si distinguevano in tre categorie: domestici, semidomestici e selvatici. In ogni caso, l’insufficienza alimentare è confermata dal fatto che <<le entrade de particolari persone fisiche di essa Valle consistono parte in biade, quali sono assai buone, et parte in castagne; quali però biade et castagne con le rape suppliscono a pena per il vivere di essi habitanti per quattro mesi dell’anno, et parte de vini quali però sono puochi, non vedendone se non sono a meza Valle, et in pocca quantità, che non basta per mesi doi all’anno, et chi latte, et molti anco che si pasceranno solo di rape, et castagne per tre, overo quattro mesi, et dette entrate consistono anco parte in fieni, et parte in monti che si affittano a malghesi, et pegorari da pascere, et pegorari anco in legne de boschi, che si vendono per far carboni.

Questa Valle per supplimento del suo vivere si serve de biade, et vini che cavano dal territorio Bresciano, et de vini della Valtellina qual serve un pezzo della Valle dalla parte di sopra>> (Ibid, pp. 78-79).

Nel corso dei secoli, col muovere dal periodo preromano, negli antichi vici di Dalegno e Vezza d'Oglio ( Cfr. DINO MARINO TOGNALI, I pastori dell'Alta Valcamonica, in G. BERRUTI, W. BELOTTI, D. M. TOGNALI, E. BRESSAN, A. MAJO, Malghe e alpeggi dell'Alta Valcamonica, NED, 1989, p. 53), la <<monticazione del bestiame è altresì dettata dal ciclo vegetativo che comporta l'effettuazione del pascolo in due zone distinte. La prima zona, posta a quote più basse, consente lo sfruttamento degli alpeggi situati più vicino ai centri abitati, utilizzati durante il periodo primaverile, quando alle quote più elevate la cotica erbosa non permette ancora il pascolamento, nonché al rientro autunnale, prima delle brinate che precedono l'inverno>>. Invece, <<la seconda zona è quella propriamente degli alpeggi di alta quota, dove la monticazione è limitata ai mesi estivi, compatibilmente ai condizionamenti imposti dalle avversità atmosferiche che ne determinano il maggiore o minore sfruttamento>> (W. BELOTTI, Malghe e alpeggi, in G. BERRUTI, W. BELOTTI, D. M. TOGNALI, E. BRESSAN, A. MAJO, Malghe e alpeggi dell'Alta Valcamonica, op. cit, p. 21).

Sopra i 2300 m. di altitudine, la zona è <<destinata al pascolo degli ovini, caprini e dei bovini sterili, con dimore limitate a rudimentali baitelli, adibiti al ricovero provvisorio dei pastori>> (Ivi).

L'alpeggio era normalmente edificato con muri di elevazione di graniti a secco o di pietra scistosa e malta di calce. La copertura tradizionale era di préde, di lamiere o di scàndole.

La baita dell'alpeggio << è in linea generale sviluppata su due piani, con la stalla al piano terreno e il fienile al primo piano: di qui la definizione di "stalla-fienile". Solo una piccola parte del fienile è riservata a dormitorio e cucina>> (Ibid, p. 17). Inoltre, poteva era affiancata da un baitello ('l baitèl) <<per il ricovero dei maiali>> e da un altro baitello (cazèl o cazèra) <<per la conservazione e la lavorazione del latte>> (Cfr. Ibid, p. 16). Altra caratteristica dell'alpeggio è la dotazione di acqua o proveniente da sorgenti vicine o <<portata per mezzo di canalette nel terreno (lés, lècc). Una fontana o abbeveratorio è posta in prossimità della cazèra e spesso porta la data di costruzione. Le baite quindi rappresentano, in un certo modo, un prodotto naturale dell'ambiente, in stretta relazione con le condizioni geografiche circostanti>> (Ibid, pp. 18-19).

Talvolta, nelle vicinanze degli alpeggi, per far fronte ai doveri religiosi dei pastori, sono stati edificati dei luoghi di culto come la chiesetta di San Giacomo a Mortirolo (1833); il santuario di San Vito e Sant'Anna a Incudine (risalente probabilmente al XIV o XV sec.); Santa Giulia a Pontagna (origine sconosciuta) e San Bartolomeo al Passo del Tonale (esistente forse come ospizio già nel XII sec.) [Cfr. DINO MARINO TOGNALI, Tradizione e vita religiosa, in G. BERRUTI, W. BELOTTI, D. M. TOGNALI, E. BRESSAN, A. MAJO, Malghe e alpeggi dell'Alta Valcamonica, op. cit, pp. 65-73].

Risulta dalla ricerca di Walter Belotti che degli alpeggi d'Alta Valle, per i quali è certa la data di costruzione, il più antico è situato a Monno in località Savena (anno 1613) [Cfr. W. BELOTTI, Malghe e alpeggi, in op cit, pp. 30-52].

Ai giorni d'oggi molte cose sono cambiate col muovere dal venir meno dell'attività pastorale. Merita di essere in ogni caso considerata la distinzione tra alpeggio e malga.

Gli alpeggi moderni sono <<nella zona inferiore posta al di sotto della quota dei 1800-1900 m.>> e <<su aree di proprietà privata e situati al limite dei boschi e pascoli di proprietà comunale, con sfruttamento da maggio ad ottobre>>; le malghe sono di proprietà comunale, tra i 1900 ed i 2300 m., con << pascoli nei boschi sottostanti e sulla sovrastante vegetazione di fieno selvatico, ìzga, con sfruttamento da luglio a settembre>> (Ibid, p. 21).

Nel periodo veneto, le attività commerciali principali concernevano il lanificio e la "ferrarezza". <<Il primo soleva già molti anni sono frequentarsi et venivano da questo molti denari in essa Valle, ma da alcuni in qua è andato di mal in peggio, et hora s’essercita poco, et in questo modo li mercanti comprano le lane, et quelle fanno mundare, lavare, verghezare, pettenar, scartezzar, filar, et ordire, quali mandano poi a Cremona, così ordite senza tingerle, dove poi ne fabricano le sarze, et mezzelani, ma questo traffico, come s’è detto, è quasi ridotto a niente, et vi sono solo otto o dieci mercanti di poco rilievo che lo esercitano.

Il secondo è la ferrarezza, et questa si essercita assai per tutta questa Valle, et quasi tutti li denari, che vengono in essa, sono per occasione di detta ferrarezza, et cessando questa li abitanti converebbero disabitare, o morir di fame, non havendo altro d’onde possano cavar denari per comprar biave, vino, et altre cose necessarie al viver loro>> (G. VITALI. ., A. D. 1609. Dossier sulla Valcamonica. Il catastico di Giovanni da Lezze, op cit, pp. 99-100).

I paesi della Valle che disponevano di miniere di ferro furono Malonno, Paisco, Loveno, Cemmo, Ono San Pietro, Cerveno e Pisogne.

Vi era la presenza di 6 forni da ferro (uno a Malonno, uno a Paisco, uno a Cerveno, uno a Gratacasolo e due a Pisogne) nonché di 87 fucine (Cfr. Ibid, p. 100).

In ogni caso, <<le cattive condizioni economiche>> hanno scandito <<da sempre i ritmi quotidiani della popolazione camuna. Infatti, la polverizzazione della terra, la difficoltà di introdurre avvicendamenti agrari, i frequenti franamenti sui ripidi terrazzi che ospitavano esigui campicelli, gli straripamenti dei rabbiosi corsi d’acqua, le morie di capi di bestiame, la piaga dagli incendi, bastavano a gettare sul lastrico intere famiglie di piccoli agricoltori diretti e fittavoli>> [O. FRANZONI., Fonti per la storia sociale della montagna, in E. BRESSAN, D. MONTANARI, S. ONGER (a cura di), Tra storia dell’assistenza e storia sociale. Brescia e il caso italiano, Fondazione Civiltà Bresciana, p. 130].

Il Rizzi ci informa che nel 1610 furono scarse le raccolte di messi, per cui furono acquistate al mercato di Pisogne <<18,208 some di grano>> (Cfr. B. RIZZI., Illustrazione della Valle Camonica, Fausto Sardini Editore, Treviglio 1870, p. 97). La situazione non migliorò in modo significativo nei due anni seguenti.

Sotto la dominazione veneta, fu imposto il passaggio di tutti i manufatti prodotti a Venezia, sottoponendoli alla tassazione sia di entrata che di uscita. Il forte risentimento in Valle sospinse al fenomeno del contrabbando, che aveva messo radici specialmente in Alta valle, in direzione della Valtellina e del Trentino. <<[…] i mercanti della Repubblica veneta passando per il Mortirolo e poi risalendo la Valtellina sino alle Torri di Fraele, si spingevano sino a Monaco di Baviera. Dal Mortirolo transitavano i Bergamaschi per la transumanza delle greggi verso i pascoli del bormiese; viceversa gli abitanti di Grosio se ne servivano per recarsi a Venezia, dove avevano ottenuto dal Doge il monopolio dello scarico delle merci al portico. I Valtellinesi passavano il Mortirolo per recarsi alla "pelanda" dei gelsi per i "cavalér", cioè i bachi da seta che rifornivano del prezioso bozzolo le filande della bergamasca e del bresciano>> (A. FAPPANI., Enciclopedia Bresciana, vol. X, La Voce del Popolo Brescia, p. 27).

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