Mandamenti di Breno, Edolo e
Pisogne; amministrazione ecclesiastica in Valcamonica; ferrarezza
in Valcamonica dal 1859 all'inizio del Novecento; economia della
Valcamonica dal 1859 all'inizio del Novecento; animali in
Valcamonica dal 1859 all'inizio del Novecento; cereali in
Valcamonica dal 1859 all'inizio del Novecento;mercati e fiere in
Valcamonica dal 1859 all'inizio del Novecento; guerra del 1866 in
Valcamonica; sanità in Valcamonica dal 1859 all'inizio del
Novecento; istruzione in Valcamonica dal 1859 all'inizio del
Novecento; danze folkloristiche in Valcamonica; viabilità in
Valcamonica dal 1859 all'inizio del Novecento; centrali
idroelettriche in Valcamonica; emigrazione dalla Valcamonica;
danze folcloristiche.
I Comuni della Valle, allinizio del
Regno dItalia, erano 52 e suddivisi nei tre Mandamenti di
Breno, Edolo e Pisogne, che facevano capo al Circondario di Breno
(Cfr. B. RIZZI., Illustrazione della Valle Camonica, Fausto
Sardini Editore. Treviglio 1870., pp. 41-42).
MANDAMENTO DI EDOLO E DI
PISOGNE
Lamministrazione ecclesiastica della
Valle, compresa nella diocesi di Brescia, era suddivisa in 5
pievanati (Edolo, Cemmo, Cividate, Pisogne e Rogno) con 13
vicarie e 81 parrocchie (Cfr. Ibid, pp. 35-40).
Leconomia camuna si stava
avviando verso uno sviluppo industriale con la lavorazione del ferro
che <<vien fuso in sette forni, che esistono a Pisogne,
allAllione, a Cemmo, a Cerveno, a Malonno, a Loveno ed a
Paisco; i primi cinque ridotti a metodo moderno; gli ultimi due
conservano la loro vecchia forma>> ((Ibid, p.
31).. Secondo quanto è stato riportato dal Guarneri di Vione,
<<in pieno il ferro della Valcamonica ha un grande
credito per la sua durata, ed è migliore di qualunque altro per
le scartade, le ruote, i ferri di cavallo, e per qualunque
istrumento per il lavoro della terra; ed in ciò supera di molto
il ferro di Carinzia, ed è molto più ricercato dai coltivatori
dei terreni, e massime se questi siano ghiajosi o frammisti con
ciotoli>> (Ivi).
Riporto la tabella di V.Zoppetti relativa
all'attività mineraria nel 1872 [V.ZOPPETTI., Sullo stato
attuale dell'industria del ferro in Lombardia, Milano, 1873, pp.
26,29, ripresa da L.TREZZI (a cura di), Per una storia economica
della Valle Camonica nei secoli XIX e XX.. Attività di base e
vie di comunicazione, Tipografia Camuna 1993, p.105].
Negli anni '80 del XIX secolo si assistette
comunque ad una crisi della lavorazione del ferro per diversi
fattori, tra i quali la mancanza di collegamenti stradali con i
centri commerciali e la riduzione del valore del ferro, sebbene
vi sia stato un aumento dell'attività mineraria, nel 1888
rispetto al 1872.
La crisi investì anche gli altri settori
economici , assoggettando la Valle, dagli anni '80 in poi, ad un
progressivo impoverimento.
Sul finir del secolo <<di sette alti
forni già esistenti nel circondario di Breno non è rimasto in
attività che quello detto di Gavine nel territorio di Pisogne.
La produzione del 1895, quale risulta dalla Rivista del servizio
minerario del Regno, è di 620 tonnellate.
Nell'alta val Camonica si può dire che è
scomparsa ogni traccia di vita industriale ed a Pontagna, Edolo,
Mu, Corteno, Rino, Sonico giacciono inoperose le antiche fucine,
in taluna delle quali si levarono perfino le tegole onde
sottrarle alle imposte. Nella valle inferiore esistono tuttavia
37 fucine, delle quali 25 a Bienno e 12 a Malegno; vi si lavora
per la maggior parte rottami di ferro per la fabbricazione di
padelle; secchielli per muratori, vomeri, cerchioni per ruote,
badili, vanghe, zappe, falcetti, utensili ed attrezzi diversi per
un complesso di circa 115, 000 quintali annui di ferro lavorato>>
(GUSTAVO STRAFFORELLO, Brescia e provincia alla fine dell'800.
Illustrazione di Storia, Costumi e Arte, Fausto Sardini Editore,
p. 397).
Nel 1902 il forno all'Allione <<insieme
con tutti quelli della provincia di Brescia fu spento>>
(FRANCESCO GINO FRATTINI., Storia dell'insediamento industriale
di Forno Allione. Sessant'anni di vita dello stabilimento e dei
suoi lavoratori, Ed. Biblioteca comunale - Cedegolo, tip. Camuna
S.p.A. Breno, 1993, p.16).
La seconda industria della Valle era quella serica
di cui erano attive alcune filande a Pisogne o in casa di privati
cittadini, garantendo una produzione annua di 270 chilogrammi di
bozzoli (Cfr.Cfr. B. RIZZI., Illustrazione della Valle
Camonica, op. cit., p. 34).
Nel campo agricolo, va ricordata la
coltivazione di grano turco, che tra i cereali <<occupa
il primo posto>> (Ibid, p. 29), di grano a
segale, di grano a frumento, di patate, di orzo, di canape, di
lino e di legumi.
Inoltre, non si deve dimenticare la
coltivazione della vite e del gelso presente in 36 Comuni su 52
(Cfr. Ibid, p. 30)
In ogni caso, riguardo agli anni 1967-69,
<<i raccolti stessi dovrebbero essere annoverati tra i
mediocri>> (Ivi).
Il Nostro ci ricorda che fu <<antichissimo
il mercato di granaglie, ferro, legname e sale in Pisogne>>
(Ibid, p. 31). Altri mercati, in giorni diversi della
settimana, si tenevano a Cividate, a Breno, a Capo di Ponte, a
Cedegolo, a Edolo, a Vezza e a Ponte di Legno. Inoltre, sono da
annoverare la fiera di Breno in quanto <<molto
frequentata>> (Cfr. Ibid, p. 32)e la
fiera del bestiame che si svolgeva il 9 settembre a Pontagna ed
era <<animatissima>> (Cfr. Ivi).
Negli anni immediatamente precedenti il 1870,
<<la ricchezza della Valle va molto sensibilmente
crescendo>>, avendo il rapporto tra esportazione ed
importazione un attivo di L. 1.150.000 (Cfr. Ibid, pp.
32-33).
L'impoverimento economico della Valle sospinse
molti camuni all'emigrazione, tra la seconda metà dell'Ottocento
ed i primi decenni del Novecento. I Paesi che offrivano nuova
occupazione erano la Svizzera, la Francia, gli Stati Uniti,
l'America del Sud, l'Argentina e l'Australia.
Una rotta molto seguita era porto di
Genova-Ellis Island per giungere a Brunswich o in Virginia.
Possiamo citare, fra gli altri, il caso dei fratelli Ziliani che
acquistano barche da pesca per trasporti e poi fondano la
società "Service Import Ziliani e Jason" (Cfr. LUCIA
PARIS, I sentieri del maestrale. Storie di emigranti camuni, La
Cartotecnica, 2002, pp. 19-21). Ricordo anche la famiglia di Toni
Dopas che nel 1947 si trasferisce da Pola in Nuova Zelanda. Là
<<vivono tuttora i quattro figli e i figli di questi.
Sono benestanti, sereni e liberi in una terra da sempre libera>>
(Ibid, p. 29).
Il settore sanitario della
Valle registrava 26 condotte medico-chirurgiche e 18 farmacie.
Si verificavano spessissimo casi di bronchiti,
di pleuriti, di pneumoniti, di sinoche reumatiche, di febbri
intermittenti a fondo infiammatorio. Nei mesi estivi, <<a
cagione dei calori alternati colle frescure notturne, sono
comuni, con maggiore o minore estensione, le diarree e le
dissenterie>> (B. RIZZI., Illustrazione della Valle
Camonica, op. cit., pp. 34-35).
Nellambito delle malattie epidemiche,
capitavano spesso casi di febbre gastrico-tifoidea. Inoltre,
<<senza regola infestano la Valle di quando in quando,
con maggiore o minore estensione, il vajolo, cui si rimedia colla
vaccinazione o rivaccinazione, il morbillo, la tosse ferina e
più di rado la scarlattina. Da alcuni anni si introdusse tra noi
anche la febbre migliare>> (Ibid, p. 35.).
Talvolta, nelle sue forme, ha fatto visita
pure il colera-morbus (Cfr. Ivi).
La situazione sanitaria migliorò, comunque,
notevolmente, rispetto alle <<condizioni preoccupanti>>
dei secoli XVII e XVIII con l <<introduzione
dellobbligo per le aspiranti levatrici di frequentare
appositi corsi parauniversitari>> [O. FRANZONI.., Storici
ed eruditi nella Valle Camonica detà moderna, in .
" Quaderni della "Fondazione Comunitas", I (1996),
p. 138]e per merito di valenti dottori e studiosi.
Citiamo tra gli altri , il senatore Camillo Golgi (Corteno 1843
Pavia 1926), istologo e patologo che vinse nel 1926 il
premio Nobel; Camillo Farisoglio (Bienno 1868 1923)
direttore dellOspedale degli Esposti di Valle e i dottori
Girolamo Tempini (Capo di Ponte 1847 Bienno 1924) e Marino
Tempini (Capo di Ponte 1878 Milano 1954) che scrissero
trattati di igiene popolare (Cfr. Ivi).
Il comparto dellistruzione
continuava a fondarsi sullistituzione di scuole
pubbliche primarie presenti non soltanto nei capoluoghi ma
anche nelle frazioni. Da esse, tuttavia, non si ricavavano
notevoli benefici a favore degli alunni <<per la
negligenza dei genitori, i quali, essendo essi ignoranti, non
sono solleciti a procurare alla lor prole, col comando e con
iscrupolosa sorveglianza, il massimo dei vantaggi,
leducazione della mente e del cuore>> (B. RIZZI.,
Illustrazione della Valle Camonica., p. 34).
Nel 1863 fu fondata a Breno la prima scuola
tecnica che <<entrata in difficoltà nel 1876 per la
perdita della parificazione (poi ripristinata) cessò le lezioni
nel 1881. Dopo lesperienza dei corsi popolari finanziati
dal comune (dal 1917), la scuola tecnica riprese solo nel 1921,
diventando nel 1923 scuola complementare>> [O.
FRANZONI., Fonti per la storia sociale della montagna in
E. BRESSAN, D. MONTANARI, S. ONGER (a cura di), Tra storia
dellassistenza e storia sociale. Brescia e il caso
italiano, Fondazione Civiltà Bresciana, p. 142].
Per la viabilità, sono da segnalare
lapertura, nel 1860, della strada Edolo-Aprica;
lulteriore collegamento della Valcamonica con la Valtellina
attraverso la vecchia strada Mazzo-Mortirolo (1867) che verrà
risistemata nel 1906 assieme a quella per Grosio e la costruzione
del primo tratto della ferrovia Brescia-Iseo (1885) e del secondo
tratto (Iseo-Pisogne) nel 1907 (Cfr. AA.VV., Viaggiare in
Valle Camonica., Ed. BVC, Breno 1997, p. 286). Inoltre, nel
1867 fu aperta al traffico la nuova strada di collegamento della
Valcamonica con la Valle di Scalve
È da ricordare che nel 1866, nel corso della
guerra fra il Regno dItalia e lAustria, lalta
Valcamonica fu chiamata in causa in diversi scontri, anche se
<<il loro significato non oltrepassò mai lazione
di assaggio o di diversione ad azioni più importanti.
Tutto ciò era stato del resto previsto nei
piani di difesa e di guerra>> (A. FAPPANI., La
guerra del 1866 in Valle Camonica e il combattimento di Vezza
dOglio, Squassina Brescia, 1966, p. 5).
Non possiamo, comunque, trascurare che, il 4
luglio 1866, a Vezza dOglio si tenne un combattimento che
fu conseguenza del fatto che allalba gli Austriaci erano
scesi <<in massa, facendo prigionieri alcuni volontari
degli avamposti mentre la compagnia Malacrida, dopo lo scambio di
alcune fucilate col nemico, alle ore 1,30 riceveva lordine
di ritirarsi>> (Ibid, p. 17).
La 2° compagnia Malacrida ricevette in
seguito lordine di rioccupare Vezza dOglio con
lappoggio del battaglione Castellini, lasciando <<sguarnita
la linea di difesa di Incudine fissata dal col. Cadolini>>
(Ibid, p. 18). Contemporaneamente gli Austriaci cercavano
di occupare la località Grano. Nei pressi di Vezza dOglio
avvennero gli scontri più violenti e più tragici per gli
italiani che persero sul campo 20 uomini tra cuiil capitano
Achille Prada, lingegnere Antonio Maldifassi ,
lufficiale Castellini ed infine il capitano Frigerio.
Gli italiani furono così costretti a
ritirarsi definitivamente. (Cfr. Ibid, pp. 18-23).
Nei primi anni del Novecento, si assistette ad
un primo sviluppo industriale della Valle. Ricordiamo che a
Cogno, nel 1905, si sviluppò il settore tessile con lo
stabilimento di Vittorio Olcese per la lavorazione del cotone
(Cfr. M. FRANZINELLI., Democrazia e socialismo in Valcamonica.
La vita e lopera di Guglielmo Ghislandi, Valgrigna
Esine, 1985, p. 13).
Vittorio Olcese, Antonio Rusconi e Carlo
Tassara <<ottennero nei primi anni del 900 le
concessioni per la derivazione di corsi dacqua e
costruirono in prossimità dei rispettivi stabilimenti alcune
centrali idroelettriche, che alimentarono gli impianti di Darfo,
Cogno-Boario e Malegno>> (Ibid, p. 14).
Va però detto che le più importanti aziende
elettriche in Valle furono non camune, ovvero Adamello fondata a
Milano nel 1907, la Società elettrica Bresciana fondata nel 1905
e lElva (1907). La conseguenza fu che, contrariamente alle
attese, gli impianti elettrici non incentivarono <<il
sorgere di nuovi stabilimenti industriali, mentre lenergia
elettrica venne trasformata lontano dalla Valle>>
(Ibid, p. 16).
Raggruppo in questo paragrafo alcune notizie
relative alle danze folkloristiche in voga in Valcamonica già
nel XIX secolo.
Una di esse era la Furlana che, come si
comprende dal nome, era di origini friuliane. <<Sviluppatasi
in Friuli tra il Cinquecento e il Seicento, da danza campestre
raggiunse la forma colta. In seguito alla sua introduzione nelle
sale dei palazzi della città lagunare, si diffuse gradualmente
in tutta l'Europa. La furlana, comunemente eseguita a coppie con
dei movimenti corali in cerchio, è stata durante i secoli più
volte rivisitata e arricchita con nuove figure coreografiche. Nel
1914 Papa Pio X consigliò questo ballo per combattere la
diffusione peccaminosa del tango>> (G. MELOTTI, Su su
pastori. Canti popolari, balli tradizionali, filastrocche,
leggende, giochi, scherzi e indovinelli, in Usi, costumi e
tradizioni nella montagna di Lombardia, 1, 2004, p. 300.
In qust'opera Germano Melotti di Monno ha trattato
esaurientemente della storia dei balli e delle musiche in Valle
Camonica, pubblicando inoltre raccolte di canti, filastrocche,
giochi, indovinelli, scherzi e modi di dire tipici della Valle).
La Furlana, più tecnicamente, era una danza
ballata da <<tre coppie che giravano su se stesse, poi
si scambiavano la compagna facendo piccole evoluzioni ed
esibizioni personali, mentre la parte strumentale era sostenuta
da una chitarra e da un clarinetto con alcune persone che
battevano le mani accentuando però soltanto il tempo forte della
battuta>> (G. BIGNAMI, Danze folkloristiche, in G.
BIGNAMI, GIACOMO SEBASTIANO PEDERSOLI, MARCELLO RICARDI, Le vere
tradizioni bresciane, Edizioni Toroselle, 2002, p. 239).
Una canzone-ballo di cui non è facile
accertare l'antica origine è la Girometta che Bignami,
riprendendo le parole di Ungarelli, ha così descritto: <<Sorta
di ballo contadinesco che si fa in due, su musica propria, in
tempo di due quarti, cominciando con un giro in tondo e
continuando poi col suo balletto, che finisce con una piroetta
distaccata>> (Ibid, p. 240; Cfr. Oreste Trebbi;
G. Ungarelli, "Le danze Villaresche", in Costumanze e
tradizioni bolognesi, 1933). Risalgono al 1938 a Capo di Ponte e
al 1839 a Sonico le ultime testimonianze della sua presenza in
Valcamonica (Cfr. G. MELOTTI, Su su pastori. Canti popolari,
balli tradizionali, filastrocche, leggende, giochi, scherzi e
indovinelli, op. cit., p. 301).
Significativo è ricordare pure la Polesana
che <<è un saggio caratteristico e completo di canzone
a balletto>> e che <<era già nota a Capo di Ponte e
dintorni fin dal 1893>> (G. BIGNAMI, Danze
folkloristiche, op. cit., p. 241). É una canzone <<a
ballo in tempo di 6/8 con ritmo allegro. La sua struttura
musicale è simile alle vilote venete con liolela>>.
(G. MELOTTI, Su su pastori. Canti popolari, balli tradizionali,
filastrocche, leggende, giochi, scherzi e indovinelli, op. cit.,
p. 295; Cfr. A. CORNOLDI, Ande, Bali e cante del Veneto, Regione
del Veneto-Minellanea, 2002, p. 167). La sua origine <<deriverebbe
dalle tradizioni legate alle antiche ceimonie nuziali del Delta
del Po. Secondo un'usanza locale, i novelli sposi, terminata la
funzione, si separavano, ritornando per alcune ore ciascuno alla
propria famiglia d'origine. Durante questo periodo, toccava al
menestrello accompagnare la sposa, assecondando ogni sua
richiesta. Alla sera, quando il marito andava a riprendere la
legittima consorte, il cantastorie intonava il "Canto della
parternzia">> (Ivi; Cfr.S. CHIARELLI,
Nozze a Porto Tolle, in Rivista delle tradizioni Popolari, Roma,
1894, pp. 211-214).
Tipico di Pescarzo di Cemmo era il "ballo
dell'Orso"che <<ha musica propria in tempo di 6/8,
chiamata genericamente Tarantèla. La struttura musicale si
compone dall'introduzione, formata da quattro battute, seguita da
tre periodi a loro volta suddivisi in due frasi>> ( Ibid,
p. 289).
Otto danze folkloristiche camune sono state
scoperte o riproposte dal gruppo folkloristico "i
Galber" di Monno: 'l' bal de le 'ncigne', de la candela, del
bacio, de la scùa, del chegol, de l'umbrela, de l'urss e de la
marcia a la vègia ( Cfr. Ibid, pp. 268-290).
Faccio presente che il gruppo "i
Galber" è stato fondato nel 1983 da Angelo Trotti e Germano
Melotti. La denominazione del gruppo richiama il nome degli
scarponi indossati dai nostri antenati. Nel 1983 era composto da
cinque elementi a cui poi se ne sono aggiunti altri. Per i
particolari balli e canti costituenti il repertorio, vi è la
presenza di uomini, di donne, di bambini e di ragazzi. Il gruppo
che si è dedicato alla ricerca storica è composto dal famoso
cantastorie Germano Melotti, dal noto poeta Angelo Trotti, che ha
vinto importanti premi di poesia dialettale, e da Marco
Lazzarini.
Il "bal dé l'ombrèla" o
"ballo del morto" era un ballo tipico di Stadolina in
cui, prevedendo <<momenti di sfida,
corteggiamento, atto sessuale, morte e risurrezione>>,
si dava spazio ad <<azioni rituali
attuate rispettivamente mediante lo studio reciproco,
l'inseguimento, la caduta, le mosse con l'ombrello e il balletto
finale>> (Ibid,
p. 283). Infatti, <<nella figurazione
coreutica originale, un uomo rincorre il compagno che, poco dopo,
cade a terra morto. L'inseguitore lo risuscita, infondendogli
nuovo spirito vitale, aprendo e chiudendo rispettivamente
l'ombrello e indirizzando il puntale verso le natiche del
compagno. Al termine, il risorto balza in piedi ed esegue alcuni
giri sottobraccio al suo salvatore>>
(Ibid, p. 284).
Per l'aspetto musicale delle danze
tradizionali, l'armonica era lo strumento di <<suonatori
a orecchio, privi di conoscenze musicali>> >> (Ibid,
p. 263) ed accompagnava le antiche danze popolari . Si può
parlare di uno <<stile che era proprio dei vecchi pìa
baghèt, melodie costellate da acciaccature e caratterizzate
dall'allungamento dei due accordi finali, eseguiti a
bassi tenuti>> (Ivi).
La tòla (bidofono) supportava la
<<scansione ritmica, creata
dall'alterno gioco di bassi, contrabbassi e accordi>>
, assieme al <<sicronico battere di
cûgià, scarpù e ciupèi>> [Ibid,
p.264;
(cûgià sono le gambe; scarpù gli scarponi; ciupèi gli
zoccoli)].