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La Buona Novella di Satana

di Marco G. Corsini

3. La cattiva dottrina

Novembre 2005. Tutti i diritti riservati.

 

Poiché il protoevangelista fu Saul Paolo, l'agente di Nerone infiltrato fra gli ebrei e soprattutto fra gli zeloti, col compito di eliminare dalla faccia della terra gli ebrei e in subordine la religione ebraica o almeno renderla civile e rispettosa delle leggi e dell'impero, occorre partire dalla sua dottrina, dal suo vangelo: « se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicase un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! » (Galati I, 8) A Paolo si fanno risalire il vangelo di Luca e gli Atti degli apostoli, sempre attribuito a Luca, nonché quasi tutte le lettere pastorali, ben 14 e sostanziose, contro le asfittiche 7 degli altri (Pietro e Giovanni capi della resistenza di Gerusalemme, Giacomo pseudofratello e Giuda/Taddeo fratello - ma sarà poi vero? - di Gesù) che dunque paiono a prima vista un'invenzione molto successiva per accreditare un'inesistente attività pastorale dei presunti seguaci primi di Gesù (fra cui assurdamente un sommo sacerdote del tempio) che invece è posteriore, spesso di molto, al 70 d. C. Certo occorre tenere ben presente che Paolo intendeva diffondere nell'impero una religione ecumenica e rispettosa dell'ordine romano soprattutto per sostituire tutte le religioni, ma soprattutto la violenta religione ebraica diffusa ovunque nell'impero soprattutto dopo la conquista della Siria-palestina da parte di Pompeo e la conseguente diaspora. Tutto ciò che non quadra con questo programma va attribuito all'invenzione e manipolazione degli Atti da parte dei tardi vescovi cristiani. Uno di questi casi di manipolazione palese è divertente perché ci dipinge un Paolo che riesce ad esporre la sua dottrina all'Areopago per... almeno un minuto e mezzo: « “ Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è il signore del cielo e della terra… ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti ”. Quando sentirono parlare di resurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: “ Ti sentiremo su questo un’altra volta ”. Così Paolo uscì da quella riunione. Ma alcuni aderirono a lui… Dionigi membro dell’Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro » (Atti XVII 22ss), insomma, un fiasco totale.

La comunità della Nuova Alleanza (che fa capo a Giovanni ed Eleazar di Masada) recepisce forti influssi iranici che sono presenti anche in Paolo (si veda la contrapposizione tra figli della luce e figli della tenebra in Ef V 8 e 1 Ts V 5, e ancora fra giustizia e iniquità, luce e tenebre, Cristo e Beliar, 2 Cor VI 14ss). Forse Paolo, recandosi a "Damasco", utilizza il linguaggio qumranico per farsi meglio intendere dagli zeloti. Tutto, la comunità dei beni, la confessione, la Cena, il rito lustrale, la scomunica contro i trasgressori, sono in funzione dell’amore della benedizione data al partito di dio e dell’odio della maledizione al partito di Belial (Satana). Anche la vita nel deserto indica l’allontanamento dalla città degli uomini d’iniquità, mentre il deserto (per la verità luogo infernale quanti altri mai) è il luogo dove l’Ebreo torna ogni qual volta vuole ritrovare le sue radici e dio. Da qui anche il tono bellicoso della comunità. Paolo ha dei riferimenti al dualismo zoroastriano tanto che il suo cristianesimo è piuttosto affine al manicheismo che tenta di conciliare zoroastrismo e cristianesimo, insegnando che il male è un principio positivo insito nella materia, mentre il principio del bene è insito nello spirito. Condanna il mangiar carne e tutte le attività sessuali, perfino nel matrimonio. Da questo punto di vista pare uno gnostico.

Paolo aveva come primo obiettivo trasformare tutti gli ebrei in cristiani e successivamente estinguere i cristiani per astinenza sessuale o almeno renderli tutti buoni sudditi dell'impero. La lettera ai Romani è fondamentale per comprendere il pensiero paolino. Se i pagani credono in dio che ha mandato sulla terra Gesù per morire e morendo crocifisso abolire la legge di Mosè, cioè degli ebrei, e dunque abolire il peccato (che esiste solo in quanto previsto dalla legge, ma se cade la legge cade pure il peccato) per l'umanità intera, ebrei credenti compresi, essi sono liberati (giustificati) dal peccato e dalla morte eterna. Ciò è spiegato bene in Galati III, 6-14: « Fu così che Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia. Sappiate dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede. E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani per la fede, preannunziò ad Abramo questo lieto annunzio: In te saranno benedette tutte le genti. Di conseguenza, quelli che hanno la fede vengono benedetti insieme ad Abramo che credette. Quelli invece che si richiamano alle opere della legge, stanno sotto la maledizione, poiché sta scritto: Maledetto chiunque non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle. E che nessuno possa giustificarsi davanti a Dio per la legge risulta dal fatto che il giusto vivrà in virtù della fede. Ora la legge non si basa sulla fede; al contrario dice che chi praticherà queste cose vivrà per esse. Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promesa dello Spirito mediante la fede. »

 

« Il serpente di bronzo », arazzo della manifattura Karcher, ca. 1540-1550, Milano, fabbrica del duomo.

 

(vedi anche Gv: « E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna » III 14) « E non soltanto per lui [cioè Abramo] è stato scritto che [il credere in dio] gli fu accreditato come giustizia, ma anche per noi, ai quali sarà egualmente accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione. » (Romani IV, 23-25) Dunque gli ebrei devono convertirsi al cristianesimo perché « Noi che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori, sapendo tuttavia che l'uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno. » (Galati II, 15-16), e ancora perché: « Noi riteniamo infatti che l'uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge. Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche dei pagani? Certo, anche dei pagani! Poiché non c'è che un solo Dio, il quale giustificherà per la fede i circoncisi, e per mezzo della fede anche i non circoncisi. » (Romani III, 28-30) Ma allora per quale motivo dio avrebbe dato a Mosè la legge se poi doveva annullarla tramite Gesù? Ce lo spiega sempre Galati III, 23-29: « Prima però che venisse la fede, noi eravamo rinchiusi sotto la custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. Ma appena è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo. Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù... Non c'è più giudeo né greco... poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa. » (Contrariamente a quanto si legge in giro Paolo oltre alla fede fu altrettanto interessato alle opere di carità, tanto è vero che fu il più grande collettore di denaro in opere di assistenza alle varie chiese: « Poiché in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità » Galati IV, 6) A questo punto si dovrebbe concludere che caduta la legge tutto sia lecito mentre prima non lo era, era peccato, perché contemplato dalla legge mosaica. [Coerentemente Ida Magli scrive: « Gesù di Nazaret... prende posizione contro tutti gli usi della parola potente in quanto rifiuta qualsiasi rituale, mentre ogni «azione» sacrale include la potenza della parola. Quando Gesù dice: « Non giurare perché tu non hai il potere neanche di cambiare il colore di un capello sul tuo capo », in realtà afferma non la debolezza ma la forza della parola dell'uomo. Infatti prosegue dicendo: « La tua parola sia: sì sì, no no ». In altri termini, la parola dell'uomo è forte di per sé, proprio in quanto è parola, e non può quindi, né deve, essere rafforzata in nessun modo ad altre potenze trascendenti. » (La sessualità maschile, Arnoldo Mondadori Editore, 1989, pp.32-33). E ancora: « Ma come è possibile pensare che Gesù, che ha fondato tutta la sua rivoluzione nel riconsegnare soltanto all'uomo e alla sua volontà d'amore il rapporto con Dio, si sia servito di un tipo di rituale così psicologicamente rozzo come l'appropriazione dell'essenza divina attraverso il cibo? Come è possibile che abbia avvalorato, proprio lui che ne aveva violentemente negato qualsiasi validità, una forma così materiale come l'assunzione di cibo, per raggiungere una somiglianza con Dio? ... Per gli ebrei il simbolismo non era « concettualmente » pensabile: essi pensavano di fatto, ... dal concreto al nulla. » (ivi, pp. 35-36) E ancora: « C'è poi un'ulteriore difficoltà. Per gli ebrei mangiare sangue è proibito proprio perchè il sangue è essenza vitale... Come avrebbero potuto quindi gli apostoli, così incapaci di distaccarsi dalla mentalità ebraica, immaginare un tipo di sacramento che include una rottura così forte con i significati, i valori delle prescrizioni rituali? Si è costretti, perciò, a supporre che questo rito sia stato elaborato... non dagli apostoli (tranne forse Giovanni) ma da chi era imbevuto di cultura ellenistica e di forme di pensiero astratto molto maturo, e quindi probabilmente da Paolo. » (ivi, p. 37) La verità è più semplice. Gesù ha "distrutto" la religione perché era un bandito miscredente della Samaria e Paolo l'ha "rimessa in piedi" come unico modo per eliminare la razza giudeo-cristiana dalla faccia della terra] E invece no. Perché? In base a quale nuova legge non scritta, che appunto Paolo non fornisce, il cristiano (che cioè crede che Gesù è venuto per abolire la legge mosaica riscattando l'umanità dal peccato di Adamo), che ad esempio continui a fornicare come prima, dovrebbe ora commettere peccato di fornicazione? Paolo evidentemente non è scemo e possiede una certa logica che non può smentire di punto in bianco a meno che non abbia un interesse maggiore a che questa logica sia forzata a fin di bene, l'estinzione dei giudeo-cristiani per astinenza sessuale, o in subordine la loro fedeltà all'imperatore e all'impero. Paolo dapprima ci prova con l'argomento della predestinazione e afferma che il cristiano è tale in quanto predestinato. Al predestinato è facile non ricadere in quello che prima era peccato in base alla legge mosaica e adesso pure (anche se non viene detto in base a quale legge sicuramante illegale, visto che, se Gesù è venuto apposta per abolire la legge, mantenere il peccato sotto altra giustificazione è un palese tradimento del sacrificio di Gesù). Paolo pensa che se uno pretende di essere predestinato dovrà ovviamente astenersi dal peccato, e cioè dai reati contro l'imperatore e l'impero e da quello di moltiplicazione della razza giudeo-cristiana: « Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati. » (8, 28-30) Questo discorso si ritrova anche nel vangelo di Giovanni 10, 22ss « Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d'inverno. Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: " Fino a qualdo terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente. " Gesù rispose loro: " Ve l'ho detto e non credete, le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; ma voi non credete, perché non siete mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono... " I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo. » (si noti fra l'altro l'astuzia in base alla quale Gesù cerca di evitare l'accusa di proselitismo perché fa figurare chi lo segue come sue pecore portate dietro da fuori) e in 1 Giovanni, influenzato da Paolo o manipolato: « Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché il diavolo è peccatore fin dal principio. Ora il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo. Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché un germe divino dimora in lui, e non può peccare perché è nato da Dio » (III 7ss), « Sappiamo che chiunque è nato da Dio non pecca: chi è nato da Dio preserva se stesso e il maligno non lo tocca. Noi sappiamo che siamo da Dio, mentre tutto il mondo giace sotto il potere del maligno » (V 18ss). La predestinazione è sostenuta dai testimoni di Geova, mentre il libero peccato (dopo la caduta della legge) credo sia sostenuto dai carpocraziani e dagli altri che son venuti poi che peccano sessualmente (si riproducono contrariamente all'intento paolino) a tutto spiano tanto non è più peccato (« io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare. Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri. Senza la legge infatti il peccato è morto e io un tempo vivevo senza la legge. Ma sopraggiunto quel comandamento, il peccato ha preso vita e io sono morto; la legge, che doveva servire per la vita, è divenuta per me motivo di morte. Il peccato infatti, prendendo occasione dal comandamento, mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte. Così la legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento. Ciò che è bene è allora diventato morte per me? No davvero! E’ invece il peccato: esso per rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato apparisse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento. Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato. Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo, infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato. » Romani, VII 7ss; Questa lettera ai Romani, dunque alla sede del papa, ambigua com'è è in perfetta sintonia col comportamento lassista dei papi romani che abbiamo già vista sia nella storia del papato dei primi secoli sia dall'esame del vangelo di Marco. Paolo, o il Paolo manipolato dalla curia di Roma, dice chiaramente che se non fosse esistita la legge mosaica ovvero la religione ebraica non ci sarebbe stato il peccato, dunque condanna l'esistenza della religione ebraica, ma, poiché il cristianesimo ha sostituito la legge coi dieci comandamenti, e vedremo perché, ci invita a servire la legge di dio con la mente, e la carne col peccato. E' la quadratura del cerchio e finisce col distruggere la religione, relegata nella sfera intima, mentre nella sfera reale ognuno fa ciò che vuole e dunque sparisce anche il peccato. Questo è il Paolo che amo, ma è anche il Paolo che è servito alla chiesa di Roma per acquistare potere e denaro alle spese degli ignoranti mantenendo sopra di loro il giogo della paura nella punizione del peccato in un'altra vita) e anzi nell'ambiguità di Paolo pare un'esaltazione della grazia. Ma Paolo deve essersi reso conto assai presto che i predestinati sono veramente pochi e dunque come potrà estinguere la razza giudeo-cristiana se prima non riuscirà ad evangelizzarla? E allora ci prova con un altro mezzo, quello dell'esortazione a pensare alla vita spirituale e così facendo (lui crede) ci si dimentica di commettere azioni impure nel campo materiale. Non a caso da 12 a 15 è una sfilza di esortazioni a comportarsi da gente che cammina secondo lo Spirito e non più secondo la carne. Ma al mio paese una legge che non preveda sanzioni in caso di non adempimento non verrà mai rispettata da nessuno. Esortare a rispettare una legge è semplicemente ridicolo. Dunque quando Paolo esorta i presunti predestinati a comportarsi da predestinati fa solo ridere. O dio ha predestinato qualcuno o non lo ha predestinato. Se lo ha predestinato non c'è bisogno di esortazioni di sorta, mentre se non lo ha predestinato hai voglia ad esortare. Invece la lettera di Polo ai Romani è la prova provata che i presunti predestinati sono della comune gentaglia, presuntuosi, vanitosi, ostentatori, violenti, insubordinati alle leggi, soprattutto non versando i tributi. Esortarli a comportarsi da predestinati in teoria (perché in pratica tutto ciò serve a Paolo per distruggere i giudeo-cristiani) è non solo inutile ma anche blasfemo, in quanto presuppone di forzare la mano a dio o viceversa di forzare uno che evidentemente non è predestinato a illudersi di essere predestinato mentre la parola spetta solo a dio. Le pie speranze di Paolo di distruggere i giudeo-cristiani sono andate deluse e i predestinati essendo troppo pochi la missione di Paolo rischia di fallire per carenza di adepti da distruggere. Ecco allora l'importanza della reintroduzione della legge attraverso i dieci comandamenti e la celebrazione domenticale dell'eucarestia che ripetere all'infinito la celebrazione della morte e resurrezione di Gesù per tornare a lavare il peccato e tenere i fedeli nella paura del peccato e della morte eterna. La cosa continua a non convincere perché il peccato era stato eliminato come figura penalmente rilevante e dunque ciò che non è più reato per la legge non può essere di nuovo posto sotto processo perché la legge non esiste più, a meno che non sia stata varata una nuova legge che solo dio o Gesù avrebbero potuto emanare (che non è dunque né il decalogo ebraico né l'eucarestia). Paolo ha di mira l'estinzione dei giudeo-cristiani. Dunque Paolo tiene in vita senza alcuna motivazione il peccato per mordere le coscienze dei fedeli e impedire in primis la prolificazione dei giudeo-cristiani. In 1 Cor 5 rafforza il senso di colpa, nel caso specifico dell'incestuoso, ordinando alla comunità cristiana di escludere dal suo seno il peccatore: « Togliete il malvagio di mezzo a voi! » E' evidente che pur di non essere escluso dalla comunità costui magari rinuncerà alla sua convivenza (nel caso specifico con la matrigna, la moglie di suo padre) e dunque alla possibile prolificazione. In 2 Cor XII 20-21, XIII 1-2 è ancora più categorico: « Temo infatti che, venendo, non vi trovi come desidero... che per caso non vi siano contese, invidie, animosità, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini... e io abbia a piangere su molti che hanno peccato in passato e non si sono convertiti dalle impurità, dalla fornicazione e dalle dissolutezze che hanno commesso. Questa è la terza volta che vengo da voi. Ogni questione si deciderà sulla dichiarazione di due o tre testimoni. L'ho detto prima e lo ripeto ora, allora presente per la seconda volta e ora assente, a tutti quelli che hanno peccato e a tutti gli altri: quando verrò di nuovo non perdonerò più... » Anche in Galati V, 19-21: « Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come ho già detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio. » Tutto ciò, dieci comandamenti e messa domenicale, serve a ricordare all'infinito l'esistenza di peccati mortali e dunque a tenere costantemente sotto pressione i fedeli che nei casi più deboli si astengono dall'attività sessuale. Nonostante ciò Paolo addirittura esclude o minaccia di escludere dalla comunità i peccatori nella materia riproduttiva perché vuole incutere loro paura e dunque non ha come fine il perdono dei peccati e la comunione, bensì la loro reale e totale astinenza dai rapporti sessuali (illegittimi; a parte vedremo cosa pensa Paolo a proposito di quelli legittimi). La messa domenicale e la purgazione periodica dai peccati amplia notevolmente il numero delle adesioni, perché se tutti possono lavare ogni domenica i propri peccati, all'infinito, si sentono ugualmente predestinati. E' noto che alla fine Paolo ha perso perché la chiesa non ha voluto più allontanare i peccatori da sé ma li ha attratti con la speranza della salvezza, in cambio di danari. Naturalmente la mediazione di un ministro della chiesa con la sua funzione domenicale ed esercitando il potere delle penitenze manterrà un rapporto costante coi fedeli e soprattutto con le loro elemosine e donazioni, e questo alla lunga servirà a creare il potere della chiesa e la moltiplicazione dei cristiani, prolifici, contro l'intento di Paolo. Chi scampava all'estinzione era anche, attraverso il perdono all'infinito, portato a convincersi che tutto quel che fanno i cristiani è lecito, non può dirsi peccato, perché i cristiani dal momento in cui entrano a far parte della setta o cricca sono liberi dal peccato. Anche questo pensiero portava acqua al mulino del papa romano.

Paolo, contro natura, predica la verginità maschile e femminile, ma glie lo perdoniamo in quanto mezzo per sterminare i giudei attraverso la loro estinzione biologica. Subordinatamente, per non cadere nel peccato, predica il matrimonio (perché l'unione carnale è lecita al solo scopo di fare figli, e uno non può economicamente permettersi troppi figli). Anche nell’ambito del matrimonio preferisce l’ipotesi dell’uomo che non tocchi sua moglie. Qualora per qualsiasi causa lecita (fra cui ovviamente la morte del coniuge) il matrimonio venga meno, propugna di nuovo la vita da soli e se proprio non se ne può fare a meno un nuovo matrimonio (1 Cor VII). La cosa strana è che al momento di nominare vescovi, presbiteri e diaconi, prescrive che « non siano sposati che una sola volta », « non doppi nel parlare », il che vuol dire che a quel tempo era difficile trovare delle persone veramente irreprensibili (non dedite al vino e non avide di denaro o quanto meno di guadagni illeciti) cui affidare queste cariche e dunque Paolo si doveva accontentare (cosa cui avrebbe fatto volentieri a meno) di persone sposate. Figuriamoci com’era la massa dei cristiani e aspiranti tali! Per Paolo, contrariamente a quanto constatabile nei vangeli, la donna è sottomessa all’uomo (anche 1 Pt III 1), deve comparire in assemblea col capo velato e tacere: « è sconveniente per una donna parlare in assemblea » (1 Cor XIV 35). L'atteggiamento misogino di Paolo è in funzione dello sterminio della razza giudeo-cristiana, contro quello orgiastico iniziale conservato dai pur manipolati vangeli, e curiosamente è quello poi prevalso nella chiesa cattolica.

Paolo è filoromano e dunque la sua dottrina è filoromana e salva la schiavitù e la subordinazione alle autorità ma certi passi delle sue lettere appaiono esagerati rispetto al suo pensiero: (« Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna... Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i tributi, perchè quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tase, le tasse; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto. » Romani 13, 1-7). L'intenzione è chiara. L'autore vuole che i giudeo-cristiani stiano sottomessi all'imperatore e all'impero se non per stima nell'imperatore almeno per timore di dio. Il messaggio posto nella lingua biforcuta dell'astuto Gesù dice più ambiguamente e con minori pretese: Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Mt XXII 21). "Paolo" è andato oltre e ha posto dio al di sopra perfino dell'imperatore, anzi, ha sostituito dio e il papa suo ministro all'imperatore stesso, in quanto i funzionari dell'imperatore sono diventati i funzionari di dio e dunque del papa che lo rappresenta. E' da dubitare che l'astuto Saul/Paolo sia andato così oltre da scrivere il manifesto dei cristiani al potere da Costantino in poi, tanto più se si raccorda questa premessa con la conclusione: « V’è tra voi chi, avendo una questione con un altro, osa farsi giudicare dagli ingiusti anziché dai santi? O non sapete che i santi giudicheranno il mondo? E se è da voi che verrà giudicato il mondo, siete dunque indegni di giudizi di minima importanza? Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più le cose di questa vita! Se dunque avete liti per cose di questo mondo, voi prendete a giudici gente senza autorità nella Chiesa? Lo dico per vostra vergogna! Cosicché non vi sarebbe proprio nessuna persona saggia tra di voi che possa far da arbitro tra fratello e fratello? No, anzi, un fratello viene chiamato in giudizio dal fratello e per di più davanti a infedeli! Perché non subire piuttosto l’ingiustizia? Perché non lasciarvi piuttosto privare di ciò che vi appartiene? Siete voi invece che commettete ingiustizia e rubate, e ciò ai fratelli! O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? » (1 Cor VI 1ss). La verità più credibile sarà che Paolo avrà semplicemente invitato i cristiani ad essere sudditi fedeli dell'impero romano ed obbedire come schiavi fedeli, per far piacere a dio. Nulla di più. Tutto quanto invece troviamo scritto che esula da ciò, come i passi qui esaminati, deve essere una tarda manipolazione d'età costantiniana o che esprime il programma della chiesa di poco anteriore. Fu Costantino per primo ad avvalersi dei vescovi per regolare le controversie giuridiche che coinvolgevano cristiani, e già a partire da Teodosio la chiesa attraverso un semplice suo vescovo (il mai abbastanza maledetto Ambrogio) –  traendo spunto dall’incendio, istigato da Ambrogio, di una sinagoga, misfatto che secondo il "santo" non è punibile – giunge fino ad un perverso braccio di ferro coll’imperatore mettendo in pratica la teoria della supremazia ricattatrice della Chiesa di dio sull’Imperatore.

Quando Paolo predica per il mantenimento della schiavitù (« Sei stato chamato da schiavo? Non ti preoccupare... Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore è un liberto affrancato nel Signore! ... Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato » 1 Cor VII 21ss, « Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, con semplicità di spirito, come a Cristo, e non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, compiendo la volontà di Dio di cuore, prestando servizio di buona voglia come al Signore e non come a uomini » Ef VI 5ss, « Quelli che si trovano sotto il giogo della schiavitù trattino con ogni rispetto i loro padroni, perché non vengano bestemmiati il nome di Dio e la dottrina. Quelli poi che hanno padroni credenti non manchino loro di riguardo perché sono fratelli, ma li servano ancora meglio, proprio perché sono credenti e amati coloro che ricevono i loro servizi. Questo devi insegnare e raccomandare » 1 Tm VI 1ss), della distinzione di classi e dunque della distanza fra ricchi e poveri, i cristiani non fanno una grinza perché anche loro sono ricchi, e latifondisti (cioè stupidi e incapaci di innovazioni come invece lo sono i pagani che nello stesso periodo in cui si affermano i vangeli, sotto i Severi e anche prima, cercano di far fruttare il denaro nei commerci, pensando anche di abolire la schiavitù ormai inutile, ricorrendo semmai a lavoratori retribuiti), e così si mette in bocca a Gesù quel menefreghistico che più non si può: « i poveri li avrete sempre con voi ». La prima lettera di Pietro è messa in bocca a Pietro quando i cristiani dominano già nell'impero romano e dunque dal 200 d. C. in poi : « State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Perché questa è la volontà di Dio... Domestici, state soggetti con profondo timore (in omni timore; en pantì phóbo) ai vostri padroni, non solo a quelli buoni, ma anche a quelli prepotenti (dyscolis; despótais). E' una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente... se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati... » (2,13ss) Naturalmente non ci può essere alcun re (tipo Erode) perché tutto il mondo è sotto l'imperatore di Roma ed è curioso che " Pietro " romano vada più in là di Paolo (che ammoniva i padroni ad essere altrettanto umani verso i loro schiavi in Ef VI 9) ammonendo gli schiavi a servire con " profondo rispetto " (così la traduzione CEI) anche i padroni cristiani(?), anche quelli " difficili " (CEI). Ben presto anche i soldati, sempre sotto Costantino, sarebbero stati bene accetti in quanto combattenti sotto la bandiera di Cristo! Già nel 314 il sinodo di Arelate stabilisce la scomunica pei soldati cristiani che abbandonino il servizio militare. E vi sono indizi che addirittura il cristianesimo se non nato si sia ampiamente diffuso proprio nell'ambito delle legioni romane, analogamente al mitraismo con cui si trovò a competere e vincere.

Occupiamoci adesso del messaggio evangelico attribuito a Gesù dai vangeli sinottici, assai più tardi dei lavori risalenti a Paolo e Giovanni. E’ una religione demagogica, rivolta alla massa, che certo è costituita prevalentemente da ignoranti e malvagi, e non si propone di migliorarla bensì di incontrarne il favore blandendola con parole di miele. Propugna il perdono e la remissività di fronte ai soprusi (se ti percuotono sulla guancia destra porgi anche la sinistra, a chi ti chiede la tunica dai anche il mantello, ama i tuoi nemici, non giudicare se non vuoi essere giudicato, con la misura con la quale misuri sarai misurato, ecc.) e questo porta al dilagare della delinquenza, come possiamo riscontrare nella nostra società cristianizzata da due millenni di storia e in cui le leggi sono permissive. Da un'estremo all'altro, ma meglio, molto meglio, l’occhio per occhio, dente per dente della religione ebraica (e del diritto romano). E’ una religione di deboli, di pigri, di egoisti, di omertosi. Io credo che la punizione del reo faccia male anche a chi la infligge (se ti do uno schiaffo sento dolore pure io) eppure è un male che si risolve nel bene dello stesso reo che così espia la sua colpa. Tutto ciò è ignoto alla religione di Gesù. Esercitare la giustizia, avere il coraggio di esercitarla ed esercitarla bene è difficile, ma solo ciò è eticamente nobile e tutti dovrebbero aspirare a divenirne degni; essere remissivi è roba da massa eticamente assai arretrata, che con questa religione viene mantenuta nei bassifondi della morale in cui pigramente si rigira come il porco nel fango. Comunque osservo negli ultimi tempi una tendenza al rigetto del messaggio cristiano del perdono. E’ sempre più frequente che i parenti dell’ucciso rispondano di no, nettamente di no alla domanda se sono disposti al perdono. Cos’è il perdono? I Romani dicevano: factum infectum fieri non potest. Il fatto è fatto e nessuno può riportare in vita un morto (nemmeno Gesù). A cosa vale un ravvedimento a cose fatte? A parte il fatto che spessissimo il reo si fa vedere pentito al solo scopo di una diminuzione della pena. L’unico che avrebbe diritto di perdonare o meno sarebbe il morto, ma questo non può più dire la sua. Il perdono finisce con il caratterizzarsi come permissivismo, incoraggiando altri in futuro ad agire con la medesima incuranza o violenza, sicuri del perdono (coscienza a posto) e di una riduzione della pena (farla franca). Posto che la pena di morte è giustamente cancellata dal codice, bisognerebbe inasprire tutte le pene (riducendo al massimo la discrezionalità del giudice) in nome di un solo principio: tolleranza zero.

Un’altra serie di parabole di Gesù appare non valida, quelle della pecorella smarrita che il pastore va a cercare abbandonando le altre 99, e l'altra del figliuol prodigo. Gli uomini non sono pecore e le anime sono tutte uguali. Sia bene inteso che non intendo l'anima nel senso cristiano di dualismo anima e corpo, bensì come vitalità di un corpo, per cui quando il corpo muore ne muore anche la vita, come una radio o una televisione schiacciata sotto uno schiacciasassi, non più riparabile, che non dia più colori e suoni anche se vi passa dentro la corrente, che ne costituisce l'alimentazione vitale. Ma dal momento che i cristiani danno della vitalità un'interpretazione sacrale io li seguo in questo ragionamento. Non posso andare dietro ad un’anima e rovinarne 99. Certo il pastore di Gesù ha un suo servo che gli guarda le 99 pecore, altrimenti mai e poi mai lo stesso pastore andrebbe a cercarne una correndo il rischio che i lupi o i ladri gli prendano le 99. Sarebbe totalmente scemo. Mi si dirà che le 99 pecore stanno bene e che solo una è malata e Gesù è venuto per le anime malate e non per quelle sane. Benissimo. Ma applichiamo questo discorso alle nostre leggi permissive e influenzate dal cristianesimo (perché il nostro è un paese cristianizzato, nonostante che il cristianesimo sia in declino) nei confronti del reo. I morti sono tutti uguali. Se punisco leggermente un omicida e questo torna in libertà e uccide ancora, non valgono di più due anime (degli assassinati) piuttosto di una (dell’omicida)? E non mi si venga a dire che chi viene ucciso per ciò stesso ha l’anima sana mentre l’unica malata è quella dell’omicida. La parabola di Gesù potrebbe diventare valida solo se fossimo capaci di leggere nell'anima altrui. Ma anche in questo caso, per quale supremo diritto l'omicida ha diritto di togliere la vita terrena, che è una sola e mai nessuno la restituirà, sia pure ad una persona buona che andrà, o meglio crede di andare, in Paradiso?

Anche la parabola del figliuol prodigo insegna l’ingiustizia. E’ vero che un padre deve amare i figli, ma anche in questo occorre equità e non favoritismi. Ha spartito l’eredità fra i due figli su richiesta del più piccolo, che l’ha dissipata. E’ tornato e il padre gli fa festa. Fin qui nulla di male. Il male viene adesso: « Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa… Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno… si arrabbiò, e non voleva entrare… rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso » (Lc XV 22ss). Anche più ingiustizia trapela dalla parabola dei vignaioli: Vengono chiamati a scaglioni e con essi viene pattuito sempre un denaro, ma v’è chi s’è spezzato la schiena per tutta la giornata e chi ha lavorato un’ora soltanto, sempre per un denaro (Mt XX 1ss). Giuseppe Flavio ci dice che Simone di Ghiora e Giovanni di Giscala amavano far torto ai propri più stretti parenti piuttosto che agli altri e queste parabole sono in perfetta sintonia col ritratto flaviano dei due massimi briganti della Guerra giudaica. E ancora è nota la sentenza secondo cui è più facile ad un cammello passare per la cruna di un ago piuttosto che ad un ricco entrare nel regno dei cieli. I discepoli preoccupati chiedono: « Chi si potrà dunque salvare? » E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: « Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile » (Mt XIX 25ss). Insomma, ai ricchi non manca la speranza di entrare lo stesso nel regno dei cieli, purché siano disposti a pagare la tangente a Pietro che ha le chiavi del cielo, della terra e dell'inferno. Già che parliamo di ricchi e poveri, nei vangeli manca una netta posizione contro la sperequazione delle ricchezze e neppure una parola contro la schiavitù. Abbiamo visto a riprova di ciò che le Lettere tacciono sui poveri e addirittura sostengono la schiavitù; i cristiani avevano infatti i loro bravi schiavi, e a sentire Tertulliano gli schiavi erano i loro peggiori nemici, insieme alle masse pagane. Giuseppe Flavio ci informa che Simone di Ghiora da demagogo faceva proseliti promettendo l'abolizione della schiavitù, ma costui morì nel Tullianum nel 70 d. C. e dunque non potè scrivere un vangelo. Tuttavia le lettere attribuite a Pietro sono a favore della schiavitù come quelle di tutti gli altri seguaci, e non perché nella sostanza Gesù fosse a favore della schiavitù quanto perché la chiesa cristiana dopo aver preso il potere dell'ex impero romano ne accolse tutto, ivi compresa la schiavitù e l'esercito, che adesso combatteva non più contro bensì a favore del cristianesimo. Gesù si rivolge ai ricchi affinché donino ai poveri ma non in nome di una giustizia sociale, bensì solo come atto di carità. Si rivolge ai poveri di spirito cioè, secondo me, letteralmente, ai cattivi (Viene reinterpretato nel senso che si rivolge ai poveri purché di spirito, cioè buoni: ma è difficile trovare un povero buono, altrettanto di come è difficile trovare un ricco buono, perché un povero, un vero povero, non può che essere tanto, ma tanto, incazzato) per dargli un motivo per combattere, il regno dei cieli. Se invece lo ascoltano i poveri buoni lui così parlando gli impedisce di battersi in questa vita per ottenere giustizia. Per tutti i cristiani in generale, ricchi o poveri, è tutta una fuga generale dalle responsabilità di questa terra in nome di un sogno che nemmeno si realizzerà nell’al di là. Un disimpegno dalla vita sociale che finisce col favorire i ricchi che diventeranno sempre più ricchi, e i prepotenti, che diventeranno sempre più prepotenti, e danneggiare le classi povere già emarginate della società. Per non usare una terminologia che sarebbe pur giusto usare, mi limiterò a ripetere con altri che il cristianesimo è una religione da schiavi, però aggiungerò che al contrario fu sostenuta in prevalenza dai ricchi e dai prepotenti, dai lupi travestiti da pecore. In bocca a Gesù viene messa l’umiltà: i primi saranno gli ultimi, gli ultimi saranno i primi, siediti all’ultimo posto, affinché il padrone di casa ti inviti a capotavola, non sedere a capotavola affinché il padrone di casa non chiami al tuo posto uno più importante di te e tu sia umiliato dovendoti sedere all’ultimo posto. Anche in questo caso si insegna quanto meno la prudenza da schiavi. L’umiltà è una virtù da schiavi e da ipocriti. Chi vale deve essere consapevole del suo valore e evitare inutili messinscene che fanno solo ridere. Deve essere umile solo chi non vale. Va bene uno che vale e che sia superbo, va male uno che vale e sia umile, va certo malissimo uno che non vale e sia superbo. Diciamo che la regola d’oro è rendersi conto di quanto si vale. Valere realmente è diverso dall’apparire e anche da quanto si vale nella nostra società iniqua, dove sempre più salgono gli incapaci e i mascalzoni mentre i capaci e onesti se ne stanno confinati nella massa anonima. E’ anzi vero che nella nostra società cristianizzata, e perciò ipocrita e falsa, sono per lo più coloro che non valgono ad emergere. Questo è il mio pensiero di pagano a cavallo fra II e III millennio.

Gesù non era dio perché dio non esiste e perché nella religione ebraica si sono succeduti tanti messia o cristi presunti inviati da dio, e solo perché i cristiani hanno fondato una religione su un capo zelota, che oltretutto fallì la sua missione di prendere Gerusalemme, non ne deriva che avesse natura divina. Di lui sappiamo solo quel che dicono Giuseppe Flavio a Atti a proposito dell'Egiziano. Poteva venire dalla Galilea ma altrettanto bene dalla Samaria, come ci informa Giovanni (8,48), e da dove è partita l'evangelizzazione secondo i vangeli e Atti. Il Gesù dei vangeli non parlava alle masse ma intendeva evangelizzare solo gli apostoli. Parlava con parabole affinché la massa non comprendesse e poi spiegava le parabole solo ai suoi apostoli. La sua, se mai c'è stata, è stata una evangelizzazione per pochi privilegiati, alla Qumran. Gesù nei vangeli rivolti alle masse e in cui le parabole sono spiegate solo agli apostoli ma scritte perché le leggano e siano lette anche alle masse, è uno che parla semplice e pieno di miele per attirare le folle ignoranti e ciuche, e nonostante ciò fu da queste più volte cacciato dai paesi e preso a sassate. Non era un uomo buono, perché nessun uomo è veramente buono, piuttosto era veramente cattivo, perché agli uomini ciò riesce per definizione più facile. Era semplicemente un uomo malvagio, e lo manifestò quando passò davanti a un povero fico e voleva mangiare del suo frutto ma non ne trovò, e allora lo maledisse e al ritorno il fico era seccato. Potenza delle maledizioni cristiane. Mi rifiuto di pensare che un creatore (che non ha nulla da creare in quanto è in ipotesi completamente perfetto in sé e dunque creare equivale a compiere il male perché la creatura non può che essere imperfetta e dunque male; ma se dio ha creato – il male – è male egli stesso) possa maledire una sua creatura priva di discernimento come una povera pianta di fico. Mi sarei atteso che, positivamente, la benedicesse, affinché tutti potessero vedere l’espressione del potere benefico di un dio. Ma la verità è che questo episodio avviene proprio il lunedì e martedì santi, quando Gesù, enormemente incazzato, sentiva imminente la resa dei conti. Condanno quindi il cristianesimo come religione nemica dell’uomo e dell’umanità, come religione iniqua. Il cristianesimo ha fatto tanto male agli uomini che il papa morto da poco ha ritenuto bene di scusarsene con l’umanità. Hitler si suicidò, ma se oggi fosse in vita sarebbe stato da più parti costretto a scusarsi anche lui (condanna a morte o all’ergastolo a parte). Naturalmente il nazismo è un’associazione fuorilegge. Altrettanto non è per la chiesa cattolica (che ha fatto probabilmente anche più morti del nazismo, e nell'arco di venti secoli, non di dieci anni) e per le chiese cristiane in genere. Comunque sono certo che verrà il giorno in cui la religione cristiana sparirà dalla faccia della terra per mancanza di adepti, come tanti altri incubi meno pericolosi e meno subdoli che l’anno preceduta e la seguiranno. Il cristianesimo è nato nel tempo e morirà nel tempo. L’umanità ne ha fatto a meno per millenni e continuerà a farne a meno per altrettanti millenni.

Diverso è il discorso a proposito di Giovanni il Battista. Era questo un uomo buono, che infatti diceva a tutti chiaramente che egli non era dio, ma come tutti aspettava l’avvento del messia. Egli si limitava a predicare e il suo battesimo con acqua era una pura formalità. Egli è uno dei precursori degli eremiti. Come tutti gli ebrei va nel deserto per ritrovarvi dio. E’ curioso che il dio degli Ebrei e dei cristiani primitivi (e di qualcuno dei cristiani moderni) si trovi nel luogo più paragonabile all’Inferno, come ce lo immaginiamo. A differenza di Gesù, che mangiava a beveva con tutti, come certi preti malati di protagonismo dei giorni nostri, Giovanni, malediceva senza mezzi termini gli iniqui, si asteneva dal vino e dalle bevande inebrianti, mangiava locuste e miele selvatico, aveva un vestito di peli di cammello tenuto ai fianchi da una cintura di pelle. Il messaggio di Giovanni è in poche parole ma giuste e capaci davvero di ricondurre al rinnovamento sociale: « (alle folle) Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto » (Non vi si vede un atteggiamento caritativo, da padre padrone, nei confronti dei poveri, ma di obbligo sociale, il che è diverso), « (ai pubblicani) Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato », « (ai soldati) Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe » (Lc III 10ss). Il messaggio di Giovanni è di giustizia disinteressata ed è dunque buono. Non mi stuipisco che fino all'ultimo si sia rifiutato di riconoscere Gesù come il messia.

Passiamo adesso agli Atti degli apostoli, attribuiti ad un tale Luca, medico, autore del 2° vangelo al quale erano uniti prima che si preferisse avere raccolti insieme i quattro vangeli. Sia il vangelo che gli Atti degli apostoli sono infatti dedicati a Teofilo. Narrano dei primi assolutamente inverosimili anni di vita della comunità degli apostoli dopo la morte di Gesù. Degli Atti mi interessa enucleare tre episodi significativi, due della vita di Pietro, uno di quella di Paolo.

L’animo cattivo dei cristiani e in particolare di Pietro si palesa bene nell’episodio di Simon Mago: « V’era da tempo in città un tale di nome Simone, dedito alla magia, il quale mandava in visibilio la popolazione di Samaria, spacciandosi per un gran personaggio. A lui aderivano tutti, piccoli e grandi, esclamando: “ Questi è la potenza di Dio, quella che è chiamata Grande ”. Gli davano ascolto, perché per molto tempo li aveva fatti strabiliare con le sue magie » (Atti VIII 9ss),        « Simone, vedendo che lo Spirito veniva conferito con l’imposizione delle mani degli apostoli, offrì loro del denaro dicendo: “ Date anche a me questo potere perché a chiunque io imponga le mani, egli riceva lo Spirito Santo ” » (VIII 18ss). La reazione di Pietro fu assolutamente sproporzionata alla richiesta fatta evidentemente da uno che non riusciva a pensare se non in termini di magia, e credeva di acquisire pagando un trucco del mestiere. Fu una sequela di maledizioni che solo possono uscire da un’animo malvagio: « Il tuo denaro vada con te in perdizione… prega il Signore che ti sia perdonato questo pensiero. Ti vedo infatti chiuso in fiele amaro e in lacci d’iniquità » (VIII 20ss). Al che, sebbene lì per lì sorpreso dagli improperi di Pietro, Simon Mago non si scompose e rispose in piena e dignitosa tranquillità: « Pregate voi per me il Signore, perché non mi accada nulla di ciò che avete detto. » Da Simone Mago deriva il peccato di simonia, cioè il traffico di cose sacre, come le «indulgenze», che determinarono i Protestanti a staccarsi dalla Chiesa di Roma, tanto per intenderci. A proposito del folle volo di Simon Mago Rodolfo Lanciani scrive: « Queste pie novelle del IV secolo, lo Pseudo-Lino, lo Pseudo-Marcello, gli Acta Apostolorum, gli Acta Petri cum Simone, mentre alteravano ed inventavano i fatti, erano perfettamente precisi nei dettagli topografici che li concernevano; la ragione di ciò è molto chiara. Mentre nessuno poteva mettere in dubbio la loro accuratezza per quanto concerneva gli eventi che avevano avuto luogo nei tempi passati, specialmente in tempi di persecuzione, qualsiasi errore sui posti e i monumenti avrebbe potuto essere subito notata dal lettore. La maggior parte di queste novelle rispettò l’esattezza topografica e così molti portenti passarono come genuini » (Fascino di Roma antica, Edizioni Quasar, pp. 74-75). L’affermazione è grave, ma giustificata, in quanto sulla figura di Simone mago c’è un alone di mistero al cui fondo una sola cosa è certa, che i cristiani vollero misurarsi attraverso Pietro e Paolo con questo personaggio vero o inventato che fosse, espressione del paganesimo, collocato nell’età di Nerone. La storia è la seguente. Simone mago, « infastidito dal comportamento dei Romani che lo avevano abbandonato per seguire l’insegnamento di Pietro, annunciò che sarebbe salito al cielo per il dispiacere della loro condotta. Una grandissima folla si diresse alla via Sacra per vedere compiere la sua promessa; ed egli si era allora già librato in aria, quando Pietro pregò Dio di smascherare l’impostore davanti alla folla… La richiesta dell’apostolo fu accolta e Simone piombò sui basoli della strada rompendosi la gamba destra… morì sotto le cure dei medici che l’assistevano » (Rodolfo Lanciani, op. cit. p. 74). Era Simone mago un Samaritano della città di Gitta? Venne a Roma e Pietro lo conobbe solo a Roma? Era in realtà una divinità italica nota come Semone o Semo Sanco e dunque i cristiani avrebbero inventato, a Roma, questo personaggio pagano traendo spunto da un dio locale? E’ noto che a Roma grazie ai giochi gladiatori, alla punizione spettacolare dei condannati a morte per delitti infami e agli spettacoli teatrali in genere c’era un proliferare di marchingegni capaci, come si dice, di portare in scena il deus ex machina. Dunque è possibile che sia stato condotto all’aperto un esperimento di questo genere e che sia finito male per lo sperimentatore. Ma è anche possibile che questo Simone mago fosse davvero abile nelle sue prove di illusionista o anche di mezzo scienziato fra il Montgolfier e l’Icaro. Giustino, II sec. d. C., gli attribuisce una statua che gli fu innalzata fra i due ponti del Tevere con la dedica Simoni deo sancto, a Simone dio santo (Apol. 1, 26). Più tardi, dal III-IV sec., si mostrava sulla via Sacra la pietra che « recava i segni delle ginocchia dei santi Pietro e Paolo, quando essi si inginocchiarono per smascherare l’impostore; un’altra, di straordinaria grandezza, mostrava un avvallamento ed era rotta in quattro parti, proprio dove era precipitato Simone » (R. L. op. cit. p. 75). L’impostura fu smascherata quando in seguito agli scavi fu evidente « che quelle incisioni profonde sulle pietre, mostrate ai pellegrini come segni del prodigio divino, erano state fatte su basoli rifatti ex novo da massenzio 225 anni dopo che il miracolo aveva avuto luogo! » (loc. cit.).

Pietro è riprovevole anche per il suo attaccamento ai soldi e ai terreni, dunque ai beni materiali, dunque ai beni di questo mondo. Contro di lui pesa come un macigno l’episodio narrato negli Atti degli apostoli, della presunta frode di Ananìa e sua moglie Saffira: « La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune… quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno… Un uomo di nome Ananìa con la moglie Saffira vendette un suo podere e, tenuta per sé una parte dell’importo d’accordo con la moglie, consegnò l’altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. Ma Pietro gli disse. “ Ananìa… perché… ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno?… Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio ”. All’udire queste parole, Ananìa cadde a terra e spirò. E un timore grande prese tutti quelli che ascoltavano. Si alzarono allora i più giovani e, avvoltolo in un lenzuolo, lo portarono fuori e lo seppellirono. Avvenne poi che, circa tre ore più tardi, entrò anche sua moglie, ignara dell’accaduto. Pietro le chiese: “ Dimmi: avete venduto il campo a tal prezzo? ” Ed essa: “ Sì, a tanto ”. Allora Pietro le disse: “ … Ecco qui alla porta i passi di coloro che hanno seppellito tuo marito e porteranno via anche te ”. D’improvviso cadde ai piedi di Pietro e spirò » (Atti, IV 32ss, V 1ss). Con ciò appare evidente anche che i cristiani portano una sfortuna tremenda, ma solo a chi crede alle loro maledizioni. Pietro è il tipico Ebreo strozzino della tradizione di tutti i tempi. La “ punizione ” di Ananìa e sua moglie non solo non appare proporzionata al malfatto ma neppure è giustificata. Il fatto che tutti avessero la consuetudine di mettere i beni in comune non vuol dire necessariamente che lo dovessero anche fare (e a questo punto non vedo perché punire un riserbo sull’entità della proprietà venduta) e se anche nel caso limite lo avessero dovuto fare non appare giustificata come pena la morte.

Gesù aveva espressamente detto ai dodici « Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento » (Mt X 8ss). Per tutta la sua permanenza coi discepoli la sua vita fu un esempio di distacco dai beni materiali e soprattutto dalle ricchezze viste come ostacolo addirittura alla salvezza. C'è poi una parabola ad hoc contro l’avarizia di un proprietario terriero che si preoccupava di ingrandirsi di pari passo col fruttare della terra, ma venne la morte e se lo portò via, e costui lasciò tutti i beni terreni non essendosi nemmeno preoccupato della sua anima e del suo destino celeste (Lc XII 15ss). Dunque le parole messe in bocca a Gesù sono tanto false quanto rapaci i suoi seguaci.

Al contrario Pietro è il fondatore dei beni privati della chiesa, dapprima solo denaro, ricavato dalla vendita di altri beni, specie terreni, poi anche terreni. Di donazione in donazione, infatti contrariamente a quel che si crede i cristiani erano in genere ricchi (le storie di schiavi e poveri cristiani le lasciamo ai vecchi film e romanzi), tutte le varie chiese e in particolare quella di Roma accumularono grandi ricchezze e latifondi, costituenti il cosiddetto Patrimonio di S. Pietro. Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente il potere politico si frantuma e di conseguenza il vescovo di Roma riesce a crearsi una sua autonomia sempre più crescente in seguito al prestigio che conquista gestendo in prima persona le avversità che colpiscono l’Urbe. Il suo potere, di fatto diventa politico e le sue proprietà da private si trasformano in pubbliche. E’ di fatto uno Stato della Chiesa, in grado di contrapporsi ai Longobardi e fermarne l’espansione in Italia. Addirittura Liutprando donò (728) il castello di Sutri al Patrimonio di S. Pietro. Più tardi, nella seconda metà dell’VIII secolo per giustificare questi possedimenti non come proprietà privata ma come territorio dello Stato della Chiesa, la corte papale redigerà un falso (il Medioevo – e c’è solo un Medioevo cristiano – è l’epoca dei falsi) documento, il Constitutum Constantini o Donazione di Costantino, che attesta il dono di Roma a papa Silvestro da parte di Costantino in procinto di stabilirsi definitivamente a Costantinopoli. Il clamoroso falso, ritenuto vero per buona parte del Medioevo – per me il Medioevo finisce con la Rivoluzione Francese – fu smascherato dall’umanista Lorenzo Valla alla metà del XV secolo. Nel corso della storia della Chiesa si contrapposero più volte i sostenitori della necessità che la Chiesa sia povera e quelli che al contrario ritenevano che dovesse possedere dei beni anche immobili. E’ la contrapposizione fra messaggio di Gesù demagogo riportato dai vangeli e messaggio dei seguaci di Simone Pietro di Ghiora brigante matricolato della guerra giudaica soppresso nel Tullianum nel 70 d. C. e "primo Papa". E' di tutta evidenza che i primi papi della lista ufficiale della chiesa sono stati messi lì in modo fittizio. Si tratterà di vedere quando esattamente, dopo il 70 d. C., sia stato eletto un primo vescovo propriamente cristiano di Roma.

Giacomo "fratello di Gesù" dietro cui dobbiamo vedere un sommo sacerdote del tempio di Gerusalemme è più sulla scia di Giovanni il Battista che non di Gesù. Giacomo (che predica ai soli circoncisi in tutto il mondo) è in evidente opposizione a Paolo. Dice Giacomo: « Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “ Andatevene in pace, riscaldatevi e salvatevi ”, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa… “ Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i dèmoni lo credono e tremano!.. » (Gc II 14ss), « E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano!… Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza » (Gc V 1ss). Allineato a Giacomo è eccezionalmente Giovanni, ma deve avere un secondo fine o ha bevuto troppo, o è stato interpolato: « se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come può essere in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità » (1 Gv III 17ss).

Ma chi erano i primi cristiani? I Romani sono presuntuosi, ostentano le opere di carità, sono violenti (XII, 3ss). I Corinzi sono incestuosi (1 Cor V 1) e fornicatori (1 Cor VI 12ss), mangioni e beoni: « Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla chiesa di Dio e far vergognare chi non ha niente? » (1 Cor XI 20ss). Gli Efesini mentitori, iracondi, ladri, maldicenti, maligni, fornicatori, volgari, insulsi, triviali e ubriaconi (IV 25-32 V 1-18) I Tessalonicesi sono degli sfaccendati sediziosi (2 Ts III 6ss). E via di seguito. Ancora una volta, ai cristiani, dei poveri, non frega niente a nessuno. Sono ancora degli esaltati che all’improvviso, dicendosi invasati dallo Spirito Santo, si mettono a profetare e a parlare in varie lingue (ovviamente senza che prima le conoscessero). Disgraziatamente parlare in lingue diverse ha senso se fra chi compone l’uditorio c’è chi comprenda queste lingue. La realtà è ben diversa, in quanto Paolo è costretto a dire: « Quando si parla con il dono delle lingue, siano in due o al massimo in tre a parlare, e per ordine; uno poi faccia da interprete. Se non vi è chi interpreta, ciascuno di essi taccia nell’assemblea e parli solo a se stesso e a Dio. I profeti parlino in due o tre e gli altri giudichino. Se uno di quelli che sono seduti riceve una rivelazione, il primo taccia: tutti infatti potete profetare, uno alla volta… Ma le ispirazioni dei profeti devono essere sottomesse ai profeti, perché Dio non è un Dio di disordine. » (1 Cor XIV 27ss). Negli Atti degli apostoli si parla di un esploit del genere da parte degli apostoli, che presero a parlare le lingue straniere a Gerusalemme, città cosmopolita (e dunque non vi mancava chi avrebbe potuto intendere una delle lingue con cui gli apostoli profetavano), eppure anche in quel caso a Pietro che invocava le Scritture a prova dell’intervento dello Spirito Santo datore di crismi, la folla li derideva dicendo che erano ubriachi fin dalla prima mattina (Atti II 1ss). L'attaccamento alle ricchezze viene passato sotto silenzio ed emerge solo da 1 Cor VI, 8 (« Siete voi invece che commettete ingiustizia e rubate, e ciò ai fratelli! ») che è sicuramente manipolato per giustificare i tribunali ecclesiastici sotto Costantino. I vescovi, presbiteri e diaconi, erano bigami e trigami (tanto vero che nella lettere a 1 Timoteo, III, 2 e XII e a Tito, I,6, Paolo prescrive che debbano essere monogami, altrimenti, è ovvio, nulla avrebbe prescritto), dediti al molto vino, litigiosi, iracondi, violenti, falsi nel parlare, avidi di denaro e guadagni disonesti. Anche Cipriano nel III secolo afferma che i vescovi erano avidi di denaro e dediti all'usura.

 

Fine 3a parte

 

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